5. Le definizioni

Esaminiamo ora un altro campo particolare dove le difficoltà logiche si manifestano con molta evidenza. Intendo parlare delle "definizioni".
Le virgolette sono pour cause: infatti è ben raro che le definizioni che si provano in un libro di fisica, specialmente nelle prime pagine, meritino davvero tale nome. Direi quasi che non sarebbe un cattivo criterio per un giudicare un testo l'esame del numero di definizioni che impiega: più queste sono abbondanti, più è probabile che l'autore abbia realizzato un'esposizione apparentemente precisa, ma in realtà vuota.
Spero sia chiaro che con questo non intendo mettere al bando l'uso delle definizioni, che - quando sono logicamente corrette - sono senz'altro utili, e praticamente necessarie. Qui per definizioni "logicamente corrette" intendo quelle che si suole chiamare "nominali", e che non sono altro che abbreviazioni del discorso: ad es. il momento di un vettore, l'energia cinetica, la densità, ecc. Sulle definizioni nominali ritornerò più avanti.
La mia critica si rivolge piuttosto a quelle pseudodefinizioni, che pretendono di introdurre un termine - o un concetto - una volta per tutte, mentre invece non definiscono a rigore un bel nulla, o perché si appoggiano a termini a loro volta non definiti e privi di significato preciso, o perché incomplete, o confuse, o per altri motivi simili. Lasciando da parte casi famosi, e che vorrei sperare ormai estinti, come la definizione del "fenomeno fisico", o altri più complessi, come il "punto materiale", che discuterò in seguito, prendiamo in esame un esempio tipico, che riassume bene quello che voglio dire: la definizione di "forza". Spesso questa viene data più o meno come segue: "forza è ogni azione che produce deformazioni o movimenti di un corpo" (1). Le parole possono cambiare, ma non molto: la sostanza è sempre quella.
Ci sono almeno due aspetti per i quali una tale definizione è insoddisfacente. In primo luogo, la definizione sembra correttamente applicabile a situazioni in cui certo nessuno parlerebbe di "forza". Esempio: se metto una sbarra di ferro su di una fiamma, essa si allunga. Certamente c'è stata un'azione (mettere la sbarra sulla fiamma); c'è stata una deformazione (l'allungamento): è stata forse applicata una forza? Si vede dunque che la definizione richiederebbe delle cautele, delle restrizioni, che non sarebbe facile enunciare completamente, e in ogni caso di solito vengono del tutto taciute. In secondo luogo, la definizione è incompleta perché non fornisce una prescrizione, applicabile in ogni situazione concreta, per attribuire una grandezza numerica all'ente che si definisce; la definizione è cioè solo qualitativa. Naturalmente non si potrebbe dare una definizione completa prima di aver parlato del dinamometro; ma appunto per questo è discutibile l'utilità di dare una pretesa "definizione" quando ciò non è ancora possibile.
Occorre dire che l'esigenza delle definizioni non è campata in aria, ma riflette qualcosa di valido, cioè la necessità che il discorso scientifico sia un discorso preciso, rigoroso. A questo si aggiunge di solito la convinzione che il rigore e la precisione siano necessari e inevitabili fin dal principio, e che il modo per garantirli sia quello di procedere appoggiandosi a tutta una serie di definizioni dei termini che via via si introducono. Mi riprometto di discutere più avanti quanto tutto ciò sia necessario e possibile; per ora, accettando provvisoriamente l'esigenza del rigore, mi limiterò a osservare che se questo è il punto di vista che si vuole assumere, la cosa migliore da fare è di impiegare sistematicamente e correttamente la tecnica che ormai da tempo è stata sviluppata a questo scopo, e cioè il metodo assiomatico.
In realtà il metodo assiomatico non è che un insieme di procedimenti, di regole di costruzione del discorso scientifico, che ha lo scopo di assicurare la precisione, di evitare fraintendimenti, di dare la certezza delle deduzioni, e così via. Anche se la sua più feconda sfera d'impiego è la matematica, si può certamente pensare di applicarlo in altre scienze, e ciò è del resto stato fatto in numerosi casi particolari. Posso supporre che il lettore sia abbastanza familiare con la struttura del metodo assiomatico quale si presenta in matematica; vi sono però delle differenze essenziali nella sua applicazione a una scienza sperimentale, e per meglio metterle in rilievo ritengo opportuno richiamare brevemente le linee generali del procedimento.

Continua...