7. Le regole di interpretazione

È questo un punto fondamentale e alquanto delicato, che perciò dovrò discutere con una certa ampiezza (2). Come si stabilisce il collegamento della nostra teoria con la realtà, con i fatti osservati? Sarebbe ingenuo credere che questo collegamento sia automatico: che a ogni termine e a ogni operazione teorica corrisponda un ben preciso dato di osservazione, una ben precisa operazione fisica. Questa corrispondenza naturalmente esiste, ma solo in forma incompleta e approssimata. Le regole di interpretazione hanno appunto lo scopo di precisare i limiti e la portata della corrispondenza; è attraverso queste regole che la teoria diventa un modello della realtà. Ma si badi bene: un modello, non una copia o un'approssimazione o un'idealizzazione (tra poco ritornerò meglio su questo).
Esempi di regole di interpretazione possono essere:
a) la procedura sperimentale che associa a un oggetto fisico la sua massa (cioè la "definizione operativa" di massa);
b) la specificazione delle condizioni in cui un corpo può essere schematizzato come un punto materiale;
c) la precisazione delle caratteristiche dell'oggetto empirico che nella teoria prende il nome di elettrone...
Si vede già da questi esempi come le regole di interpretazione possono essere di natura assai diversa tra loro. L'esempio b) mostra bene in che senso ho parlato sopra di corrispondenza "approssimata"; ma lo stesso vale anche per l'esempio c): quelle che oggi si considerano proprietà sufficienti a caratterizzare un elettrone, potrebbero risultare inesatte o incomplete domani.
L'incompletezza delle regole di interpretazione si coglie meglio in un altro esempio, che sebbene assai elementare, è di solito trascurato. La meccanica classica richiede di considerare le coordinate di un punto materiale come funzioni reali della variabile tempo, derivabili almeno due volte. Una regola di interpretazione può precisare come si determinano sperimentalmente tali funzioni? Evidentemente no, perché un numero finito di misure di precisione finita non permetteranno mai di determinare una funzione f(t), anzi neppure un solo numero reale. D'altra parte si capisce bene che la teoria non può rinunciare alla f(t) derivabile due volte, senza un radicale sconvolgimento; e in pratica nessuna teoria abbastanza articolata dal punto di vista matematico può fare a meno di costrutti analoghi o ancora più astratti (ho a mente qui lo spazio di Hilbert che fa tanto soffrire chi affronta la meccanica quantistica: e credo che la radice della difficoltà stia proprio nel non aver fatto presente in tempo che quella del costrutto teorico senza diretta interpretazione osservabile non è una peculiarità della meccanica quantistica).
Credo opportuno citare a questo proposito un brano che illustra il nostro punto con grande chiarezza:
"Una teoria scientifica è pertanto paragonabile a una complessa rete sospesa nello spazio. I suoi termini sono rappresentati dai nodi, mentre i fili collegati a questi corrispondono, in parte, alle definizioni e, in parte, alle ipotesi fondamentali e derivative della teoria. L'intero sistema fluttua, per così dire, sul piano dell'osservazione, cui è ancorato mediante le regole interpretative. Queste possono venir concepite come fili non appartenenti alla rete, ma tali che ne connettono alcuni punti con determinate zone del piano di osservazione. Grazie a siffatte connessioni interpretative, la rete risulta utilizzabile come teoria scientifica: da certi dati empirici è possibile risalire, mediante un filo interpretativo, a qualche punto della rete teorica, e di qui procedere, attraverso definizioni e ipotesi, ad altri punti, dal quali, per mezzo di un altro filo interpretativo, si può infine ridiscendere al piano dell'osservazione.
Così una teoria interpretata consente di inferire il verificarsi d'un fenomeno descrivibile in termini osservativi, ed eventualmente appartenente al passato o al futuro, sulla base di altri fenomeni osservabili già accertati. Ma l'apparato teorico che, con l'assicurare un ponte fra i dati di fatto acquisiti e i risultati empirici potenziali, permette di giungere a tali asserzioni su eventi futuri o passati, non è, in genere, formulabile in termini di soli osservabili. L'intera storia della scienza mostra che nel nostro mondo principi ampi, semplici e attendibili per spiegare e prevedere fenomeni osservabili non possono venir stabiliti unicamente ammassando e generalizzando induttivamente i risultati empirici. Occorre una procedura ipotetico-deduttivo-osservativa, la quale, naturalmente, è quella applicata nelle branche più avanzate della scienza empirica. Guidato dalla propria conoscenza dei dati empirici, lo scienziato deve inventare un insieme di concetti, i costrutti teorici, privi di significato empirico diretto, un sistema di ipotesi formulate in termini di questi, e un'interpretazione per la risultante rete teorica; e tutto ciò in una maniera che consenta di stabilire fra i dati dell'osservazione diretta connessioni feconde ai fini della spiegazione e della previsione" (3).
Posso ora tornare alla teoria come modello della realtà. Qui "modello" è usato nel senso in cui si parla di modello di una nave o di un vestito: schema semplificato, che non pretende di riprodurre tutte le caratteristiche e i dettagli dell'oggetto reale, ma solo quelle che interessano più da vicino. Questo è il prezzo che la teoria deve pagare, per avere in cambio un grande vantaggio: lo schema è interamente sotto il nostro controllo, può essere modificato se occorre; e soprattutto, grazie all'uso del linguaggio e delle tecniche matematiche, è privo di ambiguità e certo nelle conclusioni. Ecco perché non si tratta di una copia, ma nemmeno di un'approssimazione (che dà l'idea di qualcosa di imperfetto) o di un'idealizzazione (che viceversa fa pensare che in qualche modo la teoria sia "migliore" della realtà).
Per concludere questo paragrafo vorrei fare un'annotazione psicologica. È facile che tutto quanto precede, e in particolare l'esplicita dichiarazione dell'incompletezza e imprecisione insite nella struttura del discorso fisico, lascino un senso di insoddisfazione, quasi di rimpianto: quanto è più bella la matematica, dove tutto è preciso e ben definito! In parte è solo questione di gusti; ma c'è da osservare due cose. In primo luogo, anche in matematica un sistema assiomatico poggia su elementi non definiti; e questo può essere un motivo di disagio non minore del precedente. Andare a fondo sul problema dell'interpretazione degli enti matematici sarebbe qui fuori luogo: vorrei solo osservare che è proprio a questo disagio che si deve ricondurre il forte fascino delle soluzioni di tipo platonizzante (gli enti matematici esistono in un mondo iperuranio, inaccessibile, o accessibile al solo pensiero). In secondo luogo, l'incompletezza è appunto ciò che fa della fisica un discorso aperto, capace di evoluzione e di sviluppo a contatto con la realtà. Ma su questo dovremo tornare nel prossimo paragrafo, quando affronteremo gli aspetti didattici del nostro tema.

Continua...