8. Metodo assiomatico e metodo sperimentale nella pratica didattica

Adesso che abbiamo visto le caratteristiche generali di una presentazione assiomatica della fisica, cioè di quello che potrei chiamare per scherzo "il sogno del fisico teorico", possiamo domandarci: in che misura, in che modo, questa presentazione può essere utilizzata nell'insegnamento, e in particolare al livello della scuola secondaria? Credo che la mia risposta sia già chiara, ed è sostanzialmente negativa. E non per le generiche difficoltà che ognuno vede, ma per motivi più profondi, che ora vorrei discutere. Lasciamo anche andare la mancanza di un'assiomatizzazione sufficientemente completa, che potrebbe essere un ostacolo contingente: c'è in effetti un motivo pedagogico che mi sembra più importante.
È un fatto che molti termini del discorso teorico della fisica sono anche termini del linguaggio comune. Esempi tipici: forza, velocità, energia, carica, tempo... Questo comporta che qualunque ragazzo, anche se del tutto digiuno di fisica, non è mai del tutto tabula rasa sull'argomento. Quando noi diciamo "forza" il ragazzo associa necessariamente alla parola una certa interpretazione, derivante dalla sua esperienza del linguaggio, dall'uso che ne fa lui e il suo ambiente. Sia chiaro che non si tratta qui di sapere se l'uso che fa del termine il ragazzo è quello corretto o no. È certo interessante sapere che idea può avere un ragazzo di forza, energia, e simili: per un'analisi, sia pure parziale e incompleta, del problema, rinvio a un'altra sede (4). Il punto fondamentale è però che non si può pretendere da un ragazzo di 16 anni di capire d'un colpo la regola principale del metodo assiomatico: che i termini non hanno alcun significato se non quello che risulta dall'uso che se ne fa nella teoria. Può anche accadere che in buona fede il ragazzo creda di accettare la regola del gioco: ma si può star certi che sarà continuamente spinto a dimenticarsene. Per di più, forse gli riuscirà addirittura difficile capire perché dovrebbe far finta di non sapere le cose che sa (magari anche giuste: e il guaio è che anche le conoscenze giuste mandano a farsi benedire il rigore assiomatico, perché sono fuori posto). Peggio ancora, di solito accade che l'insegnante trascura questo aspetto del problema, e non dà al ragazzo nessun aiuto per lo sforzo che gli sta chiedendo.
Per inciso, posso ora facilmente esporre qual' è secondo me la critica più seria al metodo delle definizioni che citavo all'inizio. A parte il fatto che - come si è visto - un discorso rigoroso non si riduce affatto a definizioni, c'è soprattutto l'illusione che le cose siano a posto solo perché a un certo punto si è scritto DEFINIZIONE; si dimentica di indagare come la presunta definizione interagisce con le conoscenze del ragazzo, portando magari a risultati del tutto inattesi, a interpretazioni indesiderate.
Ma supponiamo pure che il problema non esista; che si sia riusciti a fare un'impeccabile presentazione assiomatica della fisica: possiamo essere soddisfatti? La mia risposta è no. Se lo scopo dell'insegnamento della fisica fosse quello di dare un quadro il più preciso possibile, di fornire certe nozioni, magari anche di mettere in grado gli allievi di adoperarle correttamente; in una parola se lo scopo dell'insegnamento fosse puramente tecnico, la via assiomatica potrebbe anche essere quella più efficiente. Ma se l'insegnamento della fisica deve avere un valore culturale, allora c'è dell'altro da fare. Bisogna fornire la risposta a domande che un insegnamento assiomatico deve per forza trascurare: come sono nate le teorie? chi ha suggerito quei certi termini primitivi e quei certi assiomi? perché si sono adottate proprio quelle interpretazioni? quanto sono valide e quanto sono stabili le strutture che si sono costruite? quali difficoltà si sono superate, e quali non si sono potute superare? Tutto questo non è meno importante di una formulazione il più rigorosa e precisa possibile; e se lo si vuole ottenere, il metodo di insegnamento non può essere quello assiomatico.
È a questo punto che si comprende l'importanza e il valore di un metodo sperimentale. Ricordiamo la frase di Hempel prima sottolineata: "Guidato dalla propria conoscenza dei dati empirici lo scienziato deve inventare un insieme di concetti...". Ecco il punto. Per dare un'idea del lavoro che c'è stato dietro la costruzione della fisica come oggi la conosciamo, e del lavoro che ancora oggi si continua a fare per andare avanti, bisogna tentare di mettere gli allievi stessi di fronte allo stesso tipo di problemi: costruirsi dei concetti, vedere se e quanto sono adeguati ai fatti, come si scoprono delle regolarità, come si modificano i concetti e le teorie in base all'esperienza, ecc. Naturalmente questo non significa mettere da parte il discorso teorico; si tratta solo di introdurlo al posto e al momento giusto.
Tanto per fare un esempio: supponiamo che mediante uno dei tanti dispositivi a carrelli, o simili, si sia arrivati all'idea, alla congettura, che forza e accelerazione sono connesse. A questo punto non si deve lasciar credere che l'esperimento coi carrelli prova, cioè convince in modo definitivo, che F=ma. Questo sarebbe sbagliato, e anche disonesto. In realtà l'esperimento di quel tipo può solo dare l'idea, cioè fornire lo spunto per una costruzione teorica. Poi la teoria cammina per conto suo, e porta a conseguenze che possono andare molto più in là del dato di partenza: ad esempio con le leggi di Newton e la gravitazione si costruisce tutta la meccanica celeste. È chiaro che la prova delle leggi di Newton non sta nei carrelli: sta nel fatto che lo schema teorico e le relative regole di interpretazione hanno dato delle conseguenze verificate positivamente anche nei casi più complessi, anche negli esperimenti più sensibili.
Tuttavia sarebbe un errore credere di poter omettere il momento iniziale, l'esperimento coi carrelli, solo perché grossolano e non decisivo come prova. Il momento iniziale ha il suo posto fondamentale nella genesi della teoria, e non può essere saltato senza falsare la struttura dell'intero discorso.
Un altro esempio: il problema dell'attrito. È facile dire come debbono andare le cose in assenza di attriti; ma se uno fa l'esperimento, l'attrito c'è. Allora non è possibile dare una prova sperimentale della legge d'inerzia? Anche qui quello che conta è far seguire da vicino il procedimento logico: esperimento iniziale - idea teorica - ritorno all'esperimento - eventuale raffinamento della teoria, e così via. Non si può eliminare l'attrito, ma si può ridurlo, e si osservano le conseguenze di questa riduzione. Quello che si vede suggerisce l'estrapolazione al caso di attrito nullo. Di qui nasce la teoria, alla luce della quale poi anche l'attrito acquista delle leggi e diventa comprensibile.
È anche importante che si veda la necessità di mettere sempre in dubbio qualsiasi teoria, di considerarla valida solo fino a prova contraria. In genere sarà la stessa teoria a suggerire gli esperimenti che possono convalidarla o negarla; anche questa funzione critica dell'esperimento deve riuscire ben chiara. Naturalmente a questo punto si deve convenire che non tutti gli esperimenti possono essere fatti: alcuni saranno solo descritti, o presentati magari in un film. Ma è una differenza profonda a seconda dell'abito mentale che si è formato nel ragazzo: se gli è stato fatto chiaramente capire, anche in pochi casi, ma veramente a fondo, qual' è la funzione di un esperimento vissuto personalmente, potrà senza pericolo accettare che alcuni esperimenti sono difficili, costosi, ecc.; che non importa vedere tutto di persona quando si è comunque in grado di capire quello che altri hanno fatto prima di lui. Allora perfino un esperimento solo descritto in un libro verrà preso con un altro spirito, e potrà contribuire efficacemente al quadro generale. Se invece il discorso iniziale ha avuto un carattere prevalentemente deduttivo, con eccessiva preminenza al momento teorico, c'è il rischio che l'esperimento venga visto come accessorio, quasi inutile, e tutta la materia appaia sganciata dalla realtà concreta. È così che si trovano ragazzi che non sono capaci di ragionare sulle cose elementari e di esperienza comune, e magari poi vorrebbero saltare alla fisica nucleare, al laser, all'espansione dell'universo, o che so io.

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