Relatività generale e paradosso dei gemelli

Elio Fabri

Ultima revisione: 28-2-01


Seconda puntata

Cominciamo coi dati di fatto, ossia con ciò che ormai si può considerare verificato sperimentalmente.

L'argomento viene di solito presentato parlando di gemelli, ma è più fisico parlare di orologi. In questi termini l'enunciato è assai semplice: si hanno due orologi, A e B, che si trovano inizialmente nello stesso posto e sono sincronizzati. Per semplicità, come si fa sempre, ci troviamo in una regione di spazio lontana da qualsiasi massa, per cui non occorre considerare effetti gravitazionali.
Si prende l'orologio B e lo si separa da A: mentre A viene lasciato muoversi di moto rettilineo uniforme (sarà quindi fermo in un opportuno riferimento inerziale) B si allontana per un certo tempo (meglio se a grande velocità) e poi torna a incontrare A.
Materialmente si può pensare che A e B si trovino su due astronavi affiancate: mentre quella di A rimane a motori spenti per tutto l'esperimento, quella di B accende i razzi, compie un viaggio a piacere, torna vicino ad A, manovra in modo da affiancarsi di nuovo, e si ferma rispetto ad A.
A questo punto si confrontano gli orologi, e si trova che A è avanti rispetto a B.

(Ho dato la versione semplice; ma in realtà anche se entrambe le astronavi accendono i motori e viaggiano come vogliono, fino a incontrarsi di nuovo dopo un po', di regola si troverà una differenza fra i due orologi; solo che in questo caso generale è più difficile dire quale orologio sarà avanti rispetto all'altro.)

Messo in questi termini, non si tratta di un paradosso, ma solo di un fatto sperimentale, che può essere verificato oppure no, può essere criticato dal punto di vista dell'attendibilità dell'esperimento; ma niente di più.
La prima verifica diretta è stata fatta da Hafele e Keating nel 1971 (usando comuni aerei al posto delle astronavi).

Il paradosso nasce in due tempi:
1) Dato che noi siamo attaccati alla concezione newtoniana del tempo assoluto, ci sembra assurdo che i due orologi possano segnare tempi diversi. Ma questo non è ancora un paradosso; è solo la motivazione psicologica per cercare di confutare l'esperimento.
Va tenuto presente che per molti anni, dopo la nascita della relatività, l'esperimento non era realizzabile; quindi aveva senso da una parte proporlo, ma solo come esperimento ideale, ossia nel senso: "se crediamo giusta la relatività ne segue questo". Ma dall'altra aveva altrettanto senso cercare di confutarlo, scovando qualche baco nel ragionamento. Oggi la situazione è diversa.
2) La confutazione più comune è la seguente: se è vero che B si è mosso rispetto ad A, e si spiega che segni un tempo minore per il fatto che si è mosso, basta mettersi dal punto di vista di B per capovolgere l'argomento. Ora B appare fermo ed è A che si allontana e ritorna. Dunque dovrebbe essere A a segnare un tempo minore. Poiché le due cose non possono essere entrambe vere, l'unica via d'uscita è che siano entrambe false, ossia che i due tempi siano uguali.

Si vede che la confutazione si basa su un'idea: che il moto è relativo, e quindi tutti gli effetti del moto debbono essere altrettanto relativi. È notevole che a chi ragiona così può sembrare che la relatività "si dia la zappa sui piedi", perché è proprio uno dei fondamenti della relatività che a tutti gli effetti il moto deve essere considerato relativo, in quanto non esiste un sistema di riferimento privilegiato.
Ma è facile ribattere: la RR asserisce l'equivalenza fra riferimenti inerziali. Ora non è possibile che entrambe le astronavi siano riferimenti inerziali: può esserlo una, o nessuna delle due, ma non entrambe. Dunque la supposta equivalenza non sussiste.

Ed ecco dove può entrare in ballo la RG, se la si vede secondo la prima interpretazione. Nel quadro della RG possiamo liberarci dalla restrizione ai riferimenti inerziali, e studiare il problema dal riferimento di una o dell'altra astronave.
Questo è perfettamente vero, anche se alquanto complicato. In molti testi si trova il calcolo dettagliato, e il risultato è quello che doveva essere: è vero che possiamo studiare il problema da entrambi i riferimenti, ma il tempo in un riferimento accelerato ha proprietà "strane" e nient'affatto intuitive. Se si fanno i conti per bene, si vede che comunque si proceda, rimane sempre vero che l'orologio A segna un tempo più lungo.

Ma è vero allora che il paradosso dei gemelli è un problema di RG? La mia risposta è no, per due ragioni.
La prima è che l'uso di riferimenti accelerati fa parte della RG solo se si accetta la prima interpretazione. Nella seconda interpretazione, dato che non siamo in presenza di gravità, lo spazio-tempo è sempre piatto e quindi non usciamo dalla RR.
Detto in altre parole, i riferimenti accelerati possono essere capiti senza uscire dalla RR (l'ho già detto nella prima puntata).

La seconda ragione è che il fenomeno in quanto tale non ha niente a che vedere con riferimenti, più o meno accelerati. Abbiamo due orologi che si lasciano e si ritrovano: quello che vogliamo sapere è se segneranno lo stesso tempo oppure no.
A questo risponde benissimo la RR, attraverso il concetto di tempo proprio. Ogni corpo (schematizzabile con un punto materiale) ha un suo tempo proprio, strettamente legato alla metrica dello spazio-tempo.

In un certo senso, possiamo considerare il tempo proprio come la "lunghezza" della curva che il punto descrive nello spazio-tempo (la curva esiste sempre, che il corpo si muova o no, per il solo fatto che il tempo passa).
Se abbiamo due orologi, abbiamo due curve, che hanno gli stessi estremi, ma sono diverse; non c'è alcuna ragione che abbiano la stessa lunghezza, e Minkowski ci ha insegnato come calcolare tale lunghezza. In particolare si dimostra che questa lunghezza ha una proprietà particolare: fra tutte le curve che uniscono due punti nello spazio-tempo, il segmento di retta ha la lunghezza massima (non minima, ed è per questo motivo che avevo scritto "lunghezza" tra virgolette).
Poiché questa lunghezza non è che il tempo segnato dall'orologio, si vede subito che l'orologio A, che si muove di moto rettilineo uniforme (per cui la sua curva nello spazio-tempo è una retta) segnerà il tempo più lungo rispetto a qualunque altro.

E così il paradosso dei gemelli scompare.
Ma se qualcuno non fosse ancora convinto, vada alla pagina seguente (a patto che capisca abbastanza di relatività, anche dal punto di vista matematico...)

(Fine della seconda puntata)


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