Stando a un sondaggio, pare che Galileo
sia il personaggio italiano più conosciuto nel mondo, perfino più di Dante,
Michelangelo o Leonardo (ma il sondaggio fu fatto prima che uscisse il “Codice
Da Vinci”),
È una cosa che in un Paese come il nostro, impregnato di cultura soprattutto artistico-letteraria, può sembrare strana, ma che in realtà non ci dovrebbe stupire troppo, se pensiamo all’impatto che hanno avuto le Scienze della Natura, e in particolare la Fisica, nella formazione e nell’evoluzione del mondo moderno: è una constatazione, non un giudizio di merito.
Però qualcosa di strano c’è comunque:
se prendiamo in mano un libro di Fisica ci rendiamo presto conto che, alla fin
fine, non ci si trova nulla che si chiami “legge di Galileo” o “formula di
Galileo”, e nemmeno “principio di Galileo”. Si parla, è vero, di “relatività
galileiana”, ma più che altro per dire (erroneamente) che è stata superata
dalla relatività einsteiniana – mentre in realtà ne è parte integrante -
e comunque si tratta di un tema già riservato agli “addetti ai lavori”. Si
ricorda il “cannocchiale di Galileo”, ma più spesso per dire che non si tratta
veramente di un’invenzione originale che per celebrare lo scienziato che per
primo seppe farne un efficace strumento di ricerca.
Molte delle teorie di Galileo erano
ancora spiegazioni inadeguate, o francamente sbagliate, come nel caso delle
maree, e molte delle sue osservazioni astronomiche non ebbero il carattere
della novità assoluta, anche se chi lo precedette non seppe quasi mai trarne le
dovute implicazioni.
Ma allora – verrebbe da chiedersi
– che cosa ha fatto veramente Galileo?
La risposta in realtà non è poi così
difficile: Galileo ha letteralmente inventato la scienza moderna. Il suo
contributo metodologico, e più ancora di quello il suo presupposto concettuale,
cioè l’idea che l’Universo è un libro leggibile, purché si impari a conoscerne
il linguaggio, e questo linguaggio è quello della matematica, sono talmente
rivoluzionari, e talmente efficaci dal punto di vista conoscitivo, che dopo di
lui il mondo è cambiato irreversibilmente: si può amare la scienza o si può
odiarla, si può pensare che è la soluzione dei problemi dell’umanità o che ne è
la principale causa, ma non v’è dubbio, quale che sia il punto di vista dal
quale ci si pone, che ;la scienza è galileiana, e che il suo potere, sia esso
positivo o negativo, deriva comunque da questo suo fondamento concettuale.
Ma a causa di Galileo, e sicuramente
contro ciò che egli avrebbe desiderato, avviene anche un’altra drammatica svolta
nel pensiero occidentale: la rottura dell’unità filosofica tra scienze
dell’uomo e della natura, nata dai Presocratici e passata indenne attraverso
l’età classica e quella medievale. Galileo è un umanista, forse l’ultimo
umanista, che conosce, ama e studia le arti, che cura la scrittura con lo
stesso rigore con cui cura i propri calcoli, che eredita ed elabora una visione
del mondo nata con gli studi sulla prospettiva di Piero della Francesca e Leon
Battista Alberti, con lo studio dell’anatomia e del volo di Leonardo, e mentre
la sublima e la supera non ne vuol certo annullare la memoria.
E invece purtroppo ciò che avverrà dopo
di lui sarà una frattura apparentemente insanabile tra due mondi che smettono
di parlarsi. È una storia dolorosa, una piaga intellettuale che fatica a
cicatrizzarsi. Lo spregio di certi scienziati per il mondo delle “lettere”
(salvo poi amare le arti figurative e la musica), il malcelato e talvolta
dichiarato orgoglio con cui certi studiosi di scienze umane si vantano di non
capire niente di matematica, sono ferite aperte per chiunque abbia una visione
veramente unitaria e veramente “umanista” dell’intelletto umano.
Oggi siamo qui ad assistere a un
piccolo tentativo di ricomposizione, un tentativo quanto mai benvenuto e quanto
mai apprezzabile, come ogni sforzo che si faccia per permettere a ognuno di noi
di ripetere con Terenzio “Sono un uomo, e nulla di ciò che è umano mi è
straneo”
Pisa, 9 Novembre
2006
paolo rossi