FLODOARD

 

ANNALI

 

(919-966)

   

(TRADUZIONE ITALIANA A CURA DI PAOLO ROSSI)

 


Testimone del luogo, testimone del tempo

 

Della vita non breve, e a quanto pare non priva di episodi salienti, di Flodoard canonico di Reims (893?-966) siamo condannati, come spesso accade per il secolo cui egli appartiene, a mettere insieme, come pezzi di un puzzle, poveri e scarni frammenti, cercando di indovinare più che di ricostruire una vicenda umana la cui chiave principale resta per noi soltanto la testimonianza che Flodoard stesso ce ne ha dato attraverso i propri scritti.

L’anno di nascita (893/4) si può inferire da un riferimento presente all’anno 963 degli Annales, in cui Flodoard, nel dichiarare la propria rinuncia all’incarico fino a quel momento ricoperto (peraltro trasferendolo al nipote omonimo) ricorda di trovarsi nel settantesimo anno di vita.

Poco e niente sappiamo della famiglia, a parte il nipote summenzionato, ma dobbiamo presumere uno status sociale che, senza essere quello dei magnati, sia compatibile con una formazione culturale e con una carriera istituzionale che lo vede dotato di beni materiali e di incarichi di responsabilità, e che quindi lo eleva necessariamente fin dalla nascita al di sopra della folla di laboratores senza nome, senza volto e senza prospettive di ascesa sociale.

Tardiva è l’ipotesi che lo vuole originario di Épernay, mentre quasi inconfutabile, più o meno per gli stessi motivi addotti in relazione al ceto della famiglia, è l’idea di una provenienza comunque interna alla diocesi e al pagus di Reims. Anche i riferimenti geografici presenti nelle sue opere storiografiche, quando non dettati dall’eccezionalità degli eventi riportati, sono sempre e costantemente collocati in quest’ambito, e non v’è alcuna attenzione focalizzata sistematicamente su altri territori. Come ci si aspetterebbe per un’eventuale “terra d’origine”.

E a Reims, fatte salve alcune missioni più o meno importanti svolte per conto dell’arcivescovado (ad Autun nel 924, probabilmente a Roma nel 936-7, certamente a Ingelheim nel 948, di nuovo in Germania nel 951) si svolge anche tutta la “carriera” di Flodoard, e nascono tutte le sue opere.

Opere che possiamo immediatamente dividere in due categorie nettamente separate, per forma e per contenuto. Da un lato abbiamo i testi poetici, i vari Triumphi, che con i loro 19 libri costituiscono la più ampia e complessa, se non la più affascinante, opera poetica del X secolo, di contenuto fortemente agiografico, e del tutto priva di connessioni dirette con la realtà del tempo – opera tutta da studiare, certamente, ma che difficilmente potremmo collocare tra le “fonti” per la storiografia, almeno nell’accezione convenzionale del vocabolo.

Dall’altra parte troviamo i testi propriamente storiografici: l’Historia Remensis Ecclesiae (dalle origini fino al 948), composta probabilmente tra il 948 e il 952, e intesa dal suo autore come “vera” opera storiografica, con ambizioni di rigore documentario, e questi Annales, redatti tra il 919 e l’anno della morte (966), scritti apparentemente di fretta, quando capitava, senza pretese né di stile né di approfondimento analitico, e ciò nonostante documento straordinario (e non solo per comparazione con la miseria delle fonti contemporanee) di un luogo, di un’epoca e in fondo anche di una personalità.

Negli Annales come nell’Historia Flodoard è innanzitutto testimone del luogo. La centralità di Reims, cui già facevamo riferimento, non è soltanto fisica, e non nasce semplicemente dall’accesso diretto, spesso oculare, ai fatti narrati, che di per sé già porta a privilegiarne la descrizione. C’è in più che Reims è l’ultima città della Francia altomedievale, alla sua frontiera nord-orientale con il Lotharii regnum, che durante l’arco della vita adulta di Flodoard è (quasi sempre) provincia del regno tedesco e multietnico dei sovrani sassoni, ma dal quale è pressoché impossibile, nello stesso periodo, distogliere l’attenzione dei re dei Franchi occidentali, ma anche quella di tutti i più importanti tra i principi loro (riottosi) vassalli.

E c’è che Reims si trova a essere, con la vicina Laon, una sorta di capitale de facto del regno di Francia: capitale più politica e militare la seconda, più religiosa e amministrativa la prima, ma in ogni caso simbiotiche, e quasi sempre unite nelle alterne sorti del regno, sballottate sotto il mai veramente saldo controllo di uno dei tanti duellanti. E la partita che si gioca è terribilmente complicata, mai completamente riducibile alla dialettica Carolingi-Robertingi (che si chiuderà realmente soltanto alla fine del secolo, con la scomparsa dei primi e l’almeno inizialmente risibile affermazione dei secondi). Partecipano al gioco (e quindi gravitano su Reims) a pieno titolo gli Eriberti attestati nel Vermandois; incombe costantemente (almeno a partire dal 940) l’ombra ingombrante di Ottone di Sassonia, e una costellazione di personaggi di medio calibro, ma già con una forte vocazione all’ascesa personale e dinastica (pensiamo a un Teobaldo di Blois, o a un Rainaldo di Roucy) gravita intorno alla città e si contende i castelli della sua diocesi e della sua provincia.

Una storia locale, quindi, nella percezione e nelle intenzioni di chi la scrive, ma una storia che si dilata inevitabilmente a dimensioni nazionali ed europee, e non per distaccata curiosità o per gusto aneddotico, ma perché i fatti di Normandia come quelli della Germania Transrenana, e persino le vicende del Regnum Italicum e i travagli interni della città di Roma, l’ascesa e il declino della potenza dei “barbari” (Normanni in primo luogo, ma anche Ungari e Saraceni) finiscono per ripercuotersi in una continua reazione a catena anche sugli equilibri locali che stanno a cuore a Flodoard. E noi, che assistiamo con ovvio distacco alle beghe tra vassalli, non riusciamo tuttavia a non emozionarci quando vediamo, in embrione e in filigrana, dipanarsi le prime trame di tanta storia dell’intero continente, manifestarsi quelle logiche di inclusione e di esclusione di cui ancora oggi vediamo le conseguenze.

Da testimone del luogo, quindi, Flodoard diventa testimone del tempo.

 

 

Il secolo di Flodoard

 

Dopo un incipit sul “meraviglioso chicco di grandine” involontariamente degno di un maestro del surrealismo (o dell’iperrealismo?), Flodoard ci precipita istantaneamente in medias res, raccontandoci vicende il cui contesto era perfettamente chiaro ai contemporanei, ma che non possono oggi essere intese se non le facciamo precedere da un pur sintetico inquadramento generale sulla situazione europea (e in particolare del regno dei Franchi occidentali) al termine del primo ventennio del X secolo.

Tramontata definitivamente nei fatti ( ma non nella coscienza soggettiva degli uomini dell’epoca) l’unità dell’impero Carolingio con la deposizione di Carlo il Grosso (11.XI.887), i grandi agglomerati etnico-politici che lo componevano presero strade parzialmente diverse, che conviene analizzare separatamente, malgrado vi sia tra loro una continua e importante interazione.

Più di ogni altra ci interessa in questa sede la vicenda del regno dei Franchi occidentali, i cui confini non coincidono in nessuna direzione con quelli della Francia moderna. A Sud esso valica i Pirenei a includere la Marca di Catalogna, estremo avamposto cristiano contro i Mori di Spagna, mentre a Est il suo limite è (assai schematicamente) tracciato dalla linea Mosa-Saona-Rodano.

È una struttura instabile per cause esterne, perché sottoposta agli attacchi concentrici dei Normanni, attestati alla foce della Senna e della Loira, degli Ungari, le cui periodiche scorrerie, iniziate in Lotaringia nel 913, termineranno definitivamente soltanto dopo la sconfitta subita nel 955 al Lechfeld per opera di Ottone il Grande, e dei Saraceni, insediati non solo in Spagna, ma anche a Fraxinetum sulla costa provenzale, a partire dall’891 (e fino al 975); e inoltre continuamente coinvolta dai sovrani e dai magnati nelle vicende della vicina (e ancor più instabile) Lotaringia.

Ma ci sono anche forti fattori interni di instabilità, tra cui il più evidente, ma non certo l’unico, è il conflitto (irrisolto per tutto il secolo) tra gli ultimi Carolingi, detentori della sovranità per diritto di sangue, e i principi della famiglia Robertingia, che fondano il proprio diritto sul merito militare nella lotta contro gli invasori e sul grande potere derivante da un forte insediamento territoriale, soprattutto in Neustria (tra la Senna e la Loira) e più avanti anche in Borgogna. Eude è il primo di questa famiglia a ottenere l’elezione a re (888-898). Il fratello Roberto lo imiterà per un breve periodo (922-923), poi, dopo il salto di una generazione (quella di Ugo il Grande), ma senza che il conflitto con i Carolingi abbia mai veramente a interrompersi, si arriverà nel 987, con l’elezione di Ugo Capeto, alla definitiva sostituzione dinastica. Ma anche ammettendo che di questo processo ci siano giù tutte le premesse, di certo i suoi esiti non sono neppur vagamente immaginabili nell’anno 919.

Nel contesto del regno Franco occidentale operano tuttavia almeno altri due gruppi di cui sarebbe del tutto erroneo sottovalutare il ruolo. Da un lato ci sono i Normanni di Rouen, a partire da Rollo che nel 911 con il trattato di Saint-Clair-sur-Epte ottiene dal re Carolingio Carlo il Semplice il primo riconoscimento formale di sovranità territoriale sul nucleo della futura Normandia, in cambio dell’accettazione del battesimo e del giuramento di fedeltà feudale al sovrano. Dall’altro troviamo i membri della famiglia degli Eriberti, conti di Vermandois, attestati in Champagne, discendenti essi stessi in linea maschile diretta e legittima, ancorché diseredata, da Carlo Magno, e antagonisti permanenti dei sovrani Carolingi, e quindi pronti ad allearsi, seppur sempre e soltanto tatticamente, con tutti i loro oppositori.

Intorno a questi gruppi principali ruotano numerosi soggetti secondari, ma non per questo meno importanti nel determinare l’evoluzione delle singole e specifiche vicende. Dobbiamo qui ricordare almeno i conti di Fiandra e i duchi di Borgogna, trascurando le pur importanti dinastie di Bretagna e d’Aquitania, il cui ruolo è tuttavia marginale nelle vicende narrate da Flodoard.

Siamo nella stagione della prima formazione dei principati territoriali, ed è in questo contesto che dobbiamo analizzare l’altrimenti indecifrabile e continuamente mutevole gioco delle alleanze e degli scontri fra i magnati, quelli che mezzo secolo dopo Richer chiamerà congressus Gallorum.

L’annalista è ben poco attento alle dinamiche economico-sociali, ma da quel poco che si può intravedere in filigrana risulta abbastanza chiaro che la sopravvivenza della classe dirigente è affidata in non piccola misura a un’economia di rapina, in cui la pratica del saccheggio assume regolarità pressoché periodica e costituisce evidentemente, accanto al prelievo fiscale sui prodotti della terra, un cespite non trascurabile per un’élite fortemente militarizzata, per la quale la pratica delle armi è mezzo e fine al tempo stesso.

A oriente del regno Franco troviamo quello che Flodoard identifica con la locuzione Regnum Lotharii, e che corrisponde grosso modo all’area compresa tra la Mosa e il Reno, dal Giura fino al Mare del Nord. Si tratta di una pura invenzione politica, risalente al trattato di Verdun dell’843, totalmente priva di omogeneità etnico-linguistica, e proprio per questo difficilmente assimilabile in toto a uno dei due regni confinanti, ma inevitabile oggetto di interesse e candidato naturale per i progetti espansionisti dei sovrani di Francia e di Germania. Dopo l’estinzione dei Carolingi tedeschi e fino alla deposizione di Carlo il Semplice (che peraltro molto probabilmente pagherà in questo modo proprio un eccesso di attenzione verso gli affari Lorenesi) sembra che la Lotaringia debba entrare a far parte del regno dei Franchi occidentali, ma in realtà a partire dal 925, pur tra alterne sorti, sarà l’egemonia tedesca ad esercitarsi più stabilmente su questo territorio, che tuttavia rappresenterà anche per i re di Germania una sorta di spina nel fianco, non solo per le continue ingerenze dei Carolingi e dei loro alleati, ma anche in quanto fertile terreno di coltura per tutte le vocazioni ribellistiche dell’alta nobiltà tedesca, che si concretizzeranno negli avvenimenti del 939 e più ancora in quelli del 953/4. La partita si chiuderà definitivamente, e per alcuni secoli, soltanto con l’estinzione dei Carolingi nel 991.

Anche il regno, ormai non più Franco orientale ma definitivamente tedesco dopo l’ascesa al trono della dinastia Sassone (con l’elezione di Enrico I l’Uccellatore nel 919), non è certo privo di problemi esterni (soprattutto le invasioni Ungare e gli scontri alla frontiera con gli Slavi, oltre alle già citate vicende Lorenesi) e di tensioni interne, dovute al forte radicamento dei duchi etnici (di Franconia, Svevia e Baviera) che con grande fatica riconoscono al re di Germania qualcosa di più del potere nominale di un primus inter pares.

Occorreranno almeno vent’anni al figlio di Enrico, Ottone I (che diverrà re nel 936) per stabilire definitivamente, anche con lo strumento di una sistematica sostituzione dei dinasti locali con propri familiari (laici ed ecclesiastici) il proprio potere pressoché assoluto sul territorio, e trovare quindi i margini per le grandi avventure espansioniste della seconda parte del suo regno, nelle terre degli Slavi e in Borgogna, ma poi soprattutto verso l’Italia e l’impero.

A Sud della Lotaringia un’altra importante aggregazione territoriale è costituita dai regni di Borgogna e di Provenza, nati anch’essi alla fine del IX secolo per iniziativa di magnati con un radicamento locale e con importanti parentele Carolingie (Rodolfo Welf in Borgogna Giurana e Bosone in Provenza).

Non ci avventureremo a raccontare le minuzie delle assai variegate vicende interne di questi staterelli, se non per sottolineare che i loro sovrani (da Ludovico il Cieco a Rodolfo II di Borgogna a Ugo d’Arles) sono in questo periodo storico più proiettati verso la difesa dai Saraceni e verso avventure italiane che non attenti alle vicende di Francia; un disinteresse del resto quasi sempre ricambiato, sia dai sovrani che dall’annalista, paradossalmente attento a loro solo nella misura in cui gli interessano le vicende italiane.

Il Regnum Italicum è dominato nel primo ventennio del secolo da un sovrano cosiddetto “nazionale” (anche se scaturito da un’importante famiglia franca d’Austrasia), Berengario I, che nel 915 dopo la vittoria sui Saraceni del Garigliano ha assunto anche il titolo imperiale. Ma il suo potere è contrastato dai tentativi provenzali e borgognoni, supportati anche dalla conflittuale e volubile nobiltà italica. Contro i suoi oppositori Berengario non esita a servirsi anche della pericolosissima alleanza con gli Ungari, che ovviamente approfittano senza alcuno scrupolo delle diatribe interne per compiere senza troppi ostacoli le loro devastanti scorrerie. La parabola di Berengario si concluderà presto, per fare spazio al lungo ma poco glorioso regno di Ugo d’Arles.

Un discorso a parte riguarda Roma, che nella prima parte del secolo è dominata dalla cosiddetta “pornocrazia”, incarnata soprattutto in Marozia e nei suoi successivi mariti e amanti, mentre l’autorità civile e morale dei pontefici scende a un minimo storico. Soltanto a partire dal 932, e per un intero ventennio, sotto il dominio di Alberico II di Spoleto, pur figlio di Marozia, l’Urbe attraverserà un periodo di stabilità e buongoverno abbastanza inconsueto per l’epoca e anche nell’intera storia millenaria della città.

 

Non abbiamo ritenuto opportuno presentare qui una narrazione degli eventi che caratterizzarono il periodo coperto dagli Annales, anche perché in molti casi si sarebbe trattato di una semplice parafrasi del testo di Flodoard. Abbiamo invece introdotto nel seguito una serie di tavole riassuntive, che possono servire come ausilio alla lettura e come facile referenza.

La tavola cronologica copre il periodo dall’888 (deposizione di Carlo il Grosso) al 987 (elezione di Ugo Capeto), e permette quindi di inquadrare la narrazione di Flodoard in un più ampio contesto temporale. Gli eventi sono raggruppati per area geografica, separando i fatti franco-lorenesi da quelli che più specificamente coinvolgono Germania, Papato e Impero. Gli eventi cui Flodoard fa esplicito riferimento sono evidenziati con l’uso del grassetto.

Per lo stesso periodo una tavola raccoglie le date delle principali feste mobili (Ceneri, Pasqua, Ascensione e Pentecoste), che sono spesso usate negli Annales in luogo di giorno e mese.

La tavola degli assedi, battaglie e spedizioni è a tutti gli effetti una sorta di indice ragionato degli Annales, poiché la maggior parte degli avvenimenti narrati ricade in una di queste categorie. Con l’uso del grassetto abbiamo evidenziato il vincitore di ciascuno scontro, quando identificabile.

La tavola delle liste vescovili copre il periodo 888-969 e una vasta area geografica, che include tutte le diocesi nel raggio di 200 Km da Reims, le intere province di Reims, Treviri e Sens e le metropoli circonvicine di Colonia, Magonza, Tours e Bourges.

Le tavole genealogiche infine includono tutti i personaggi citati negli Annales e legati tra loro da (identificati) vincoli di parentela; si noti che si tratta di oltre il 45% dei personaggi citati, inclusi i religiosi, e della quasi totalità dei membri laici dell’aristocrazia.

Un Glossario raccoglie i vocaboli di uso non comune (o il cui significato sia cambiato nel tempo), dei quali Flodoard abbia fatto un uso rilevante nella sua narrazione (tipicamente almeno cinque presenze nel testo).

Per i vocaboli di uso più raro, come pure per le ulteriori e più specifiche indicazioni cronologiche, prosopografiche e geografiche, si rimanda all’ampio apparato di note che correda la traduzione, e agli indici analitici posti al termine della stessa.

 


I protagonisti degli Annales

 

Un’analisi dei personaggi degli Annales può essere svolta a partire da considerazioni puramente quantitative, che ci forniscono però un buon numero di indicazioni anche qualitativamente rilevanti.

Paritamo dalla più semplice constatazione: gli individui citati nominativamente negli Annales sono nel complesso circa 282 (con un’ambiguità legata alla possibile identificazione di alcuni omonimi citati in anni diversi). Nel conto non sono inclusi i nomi di santi citati al solo scopo di individuare un toponimo (chiesa, abbazia, località) o una datazione (tramite il riferimento a una festa religiosa). Sono invece inclusi una quindicina di nomi di santi (citati a proposito delle loro reliquie) e di padri della Chiesa (citati in relazione ai loro scritti). Al totale andrebbero aggiunti poi 37 individui che sono citati nel testo, ma non nominativamente: per 22 tra questi è stato possibile risalire al nome sulla base di altri testi dell’epoca. Abbiamo quindi nel complesso poco più di 300 personaggi che vissero nell’arco di tempo coperto dagli Annales, e un numero totale di citazioni prossimo a 1.800.

Possiamo raggruppare questi personaggi in alcune grandi categorie abbastanza omogenee dal punto di vista della collocazione sociale. I due gruppi di gran lunga più importanti sono quello dei membri (maschi) dell’aristocrazia (con 110 individui nominati, più 5 non nominati, per complessive 1230 citazioni) e quello dell’alto clero (108+5 individui, per complessive 430 citazioni). È interessante notare che la consistenza numerica dei due gruppi è pressoché uguale, mentre le citazioni dei laici sono quasi il triplo di quelle dei religiosi. A questi gruppi bisogna affiancare in subordine quello dei fideles (notabili, castellani, legati), che assomma a 39+5 individui, con 60 citazioni, e quello dei membri del basso clero (preti, diaconi, monaci), con 7+2 individui e altrettante citazioni.

Flodoard cita anche un piccolo numero di individui (5+4) appartenenti ai ceti più bassi della popolazione, ma ciò avviene soltanto in connessione alla narrazione di visioni o di fatti miracolosi, per i quali l’autore degli Annales dimostra sempre un notevole interesse.

Un discorso a parte meritano le donne: soltanto 8 (più due visionarie) sono citate nominativamente, mentre altre 16 sono implicitamente richiamate (e ben 13 di loro sono identificabili altrimenti). Soltanto una di loro, la regina Gerberga, ha un numero significativo di citazioni, e soltanto altre due (la regina Emma e Marozia) hanno un ruolo di protagoniste in specifici episodi.

Un ulteriore dato quantitativo di grande interesse è quello relativo ai forti legami di parentela che uniscono un grande numero di personaggi degli Annales. Nelle 16 tavole genealogiche allegate figurano complessivamente 99 membri maschi dell’aristocrazia, 18 tra vescovi e papi, e tutte le 24 donne. Nell’insieme per quasi la metà dei protagonisti (e per quasi tutti i nobiles) sono identificabili vincoli di parentela, e non possiamo ignorare il fatta che la scarsità della documentazione coeva ci impedisce per sempre di accertare ulteriori probabili legami.

Può essere utile anche cercare di identificare i “protagonisti” degli Annales sulla base del numero delle citazioni individuali. In quest’analisi non bisogna tuttavia dimenticare che molte volte i sovrani sono citati non espicitamente, ma con il solo titolo di rex (vocabolo che complessivamente compare 428 volte, di cui 182 senza l’indicazione del nome) o regina (che compare 36 volte, di cui 11 senza il nome), e quindi la loro presenza nel testo deve essere stimata includendo questo tipo di citazioni. In testa alla classifica troviamo allora Ludovico IV d’Oltremare, re di Francia (con 100+102 citazioni), seguito da vicino da Ugo il Grande, duca di Francia, con 175 citazioni; vengono poi Eriberto II di Vermandois (142 citazioni), Rodolfo re di Francia (72+31), Ottone I re di Germania e imperatore (71+16), Artaud arcivescovo di Reims (81), Carlo III il Semplice re di Francia (45+5), Ugo di Vermandois, arcivescovo di Reims (46), Arnolfo I conte di Fiandra (39), Lotario re di Francia (20+16) Gerberga regina di Francia (22+10), Enrico I re di Germania (33), Gisleberto duca di Lorena (30), Corrado il Rosso duca di Lorena (29), Bosone conte in Borgogna (26), Rainaldo conte di Roucy (22), Brunone di Sassonia arcivescovo di Colonia (22), Erluino di Montreuil e Teobaldo di Blois (20), Eriberto III di Vermandois (19), Guglielmo di Normandia, Ugo d’Arles re d’Italia e il legato papale Marino (18).

Anche da queste crude cifre risulta abbastanza chiaro che il tema centrale degli Annales va visto nel conflitto tra i re Carolingi e i loro (numerosi) oppositori, e che le stesse vicende dell’arcivescovado di Reims, pur sempre presenti nella narrazione, sono vissute come un corollario di quello scontro.

 

TAVOLE GENEALOGICHE

 

Queste tavole genealogiche sono state predisposte esclusivamente al fine di permettere un facile riconoscimento dei rapporti di parentela, diretta e acquisita, intercorrenti tra i personaggi citati negli Annales. Sono pertanto inclusi nelle tavole (con pochissime eccezioni) solo i personaggi direttamente o indirettamente citati nel testo o comunque indispensabili al fine di stabilire i legami familiari. Nei casi controversi abbiamo cercato di adottare le soluzioni più accreditate e recenti, ma resta inteso che la prosopografia dell’età carolingia e postcarolingia è tema delicatissimo e sul quale è sempre molto facile trovare opinioni (anche autorevoli) fortemente discordanti. In un paio di casi abbiamo volutamente rinunciato a connessioni anche affascinanti ma troppo debolmente appoggiate sulla documentazione esistente.

 

Per quanto riguarda la notazione adottata, segnaliamo che l’uso del grassetto evidenzia i personaggi direttamente (anche se non sempre nominativamente) citati nel testo di Flodoard.

La sottolineatura indica la presenza del personaggio in almeno un’altra delle Tavole: per esigenze grafiche abbiamo evitato di indicare esplicitamente la tavola così richiamata, ma il ricorso all’indice onomastico permette di rintracciare facilmente la connessione.

 

INDICE DELLE TAVOLE

 

  1. Carolingi: discendenti di Carlo Magno
  1. Carolingi: discendenti di Carlo il Calvo
  1. Carolingi: Eriberti (Vermandois)
  1. Robertingi
  1. Bosoni (Borgogna)
  1. Provenza, Italia: discendenti di Berta
  1. Amiens, Laon, Italia: discendenti di Gisela
  1. Welf (Borgogna)
  1. Liudolfingi
  1. Corradini
  1. Reginari (Hainaut)
  1. Lotaringia
  1. Blois, Bretagna e Anjou
  1. Normandia, Ponthieu, Fiandra
  1. Aquitania, Tolosa
  1. Re Anglosassoni

 


La geografia di Flodoard

 

Uno dei tanti elementi di interesse di un testo che, come gli Annales, nasca per una motivazione non strettamente letteraria, e anzi intenzionalmente documentaria, è costituito dalla possibilità di analizzarlo, anche mediante parametri quantitativi, con la finalità di individuare e misurare lo spazio percettivo del suo autore. Per spazio percettivo intendiamo più precisamente l’orizzonte entro il quale gli avvenimenti di cui si giunge a conoscenza sono percepiti come significativi e rilevanti per l’esistenza propria e/o del gruppo sociale cui si fa riferimento (come committente o come destinatario del proprio lavoro di documentazione). Come ogni misura, anche questa è da intendersi soggetta a un’imprecisione sistematica e statistica, ma una volta tenuto conto di ciò la traduzione di questa nozione in uno o più parametri numerici ci pare un utile strumento anche per una miglior comprensione della realtà culturale dalla quale scaturisce il testo.

La più semplice definizione quantitativa di “raggio di percezione” (Rossi 2006) è data dalla media (pesata) delle distanze dei luoghi citati nel testo da una località che possa essere definita come “centro di percezione” del testo stesso. In casi più complessi è anche possibile dare una definizione formale di tale “centro”, ma nel nostro caso tale località è evidentemente Reims. Abbiamo quindi ordinato i luoghi citati negli Annales in relazione alla loro distanza da Reims, con i risultati che esponiamo qui di seguito.

Il numero totale delle località esplicitamente citate nel testo è 174, per complessive 800 citazioni. A queste vanno poi aggiunte 7 località citate solo implicitamente, ma perfettamente identificabili. Nel nostro conteggio abbiamo incluso da un lato anche gli edifici (chiese, abbazie, palazzi reali e imperiali), dall’altro i distretti (pagi) le cui limitate dimensioni consentono un’associazione diretta con la località più importante del distretto stesso. Abbiamo invece escluso per motivi tecnici fiumi e monti (19 nomi e 114 citazioni) e per motivi anche concettuali le citazioni di regioni (o regni) e i relativi etnonimi (34 nomi e 430 citazioni), che indubbiamente fanno parte dello spazio percettivo, ma in maniera troppo generica e sfuocata per poter procedere a un’adeguata quantificazione.

Riferendo l’analisi alle 181 località di cui sopra, abbiamo calcolato un raggio di percezione di 180 Km, un valore di poco, ma significativamente, inferiore a quello del quasi contemporaneo Richer.

Il numero delle località che si trovano entro un raggio di 50 Km da Reims è 36 (20% del totale dei nomi, e 40% delle citazioni), entro 100 Km se ne trovano 66 (36% dei nomi e 58% delle citazioni) e 89 (49% dei nomi, 69% delle citazioni) distano da Reims meno di 150 Km. Il raggio di percezione, così come lo abbiamo definito, include 95 località (oltre il 50%) e 574 citazioni (oltre il 70%).

Questi dati evidenziano la fortissima focalizzazione di Flodoard sulla regione più direttamente influenzata dalle dinamiche relative alla città di Reims e alla sua chiesa. Sono citate moltissime località, anche minori, appartenenti alla diocesi di Reims, e numerosi castelli della provincia ecclesiastica, ma quando usciamo dai confini della provincia di Reims gli unici riferimenti geografici riguardano le città episcopali, e con l’aumentare della distanza restano soltanto le sedi metropolitane. Un capitolo a parte merita il lungo elenco di vescovadi tedeschi che Flodoard ci presenta in occasione del sinodo di Ingelheim: evidentemente la circostanza era percepita come epocale e di rilevanza continentale, e questo spiega e giustifica anche il momentaneo allargamento dell’orizzonte geografico.

L’analisi quantitativa permette anche in generale di individuare un’asse principale della percezione. Nel caso di Flodoard e degli Annales il risultato tuttavia non fa che confermare un fatto intuitivamente prevedibile, trattandosi di un uomo di chiesa: c’è una polarizzazione dell’attenzione verso ciò che avviene a Roma che è del tutto sproporzionata rispetto alla distanza fisica dell’Urbe dai luoghi su cui si concentra l’interesse “naturale” dell’autore. Ma è possibile ripetere l’analisi depurandola dai dati relativi alla città di Roma: si trova allora che il raggio di percezione “crolla” a 123 Km (pur continuando a includere all’incirca i 2/3 delle citazioni residue) e l’asse principale si riorienta su una direzione nordest-sudovest che è quella che ci si potrebbe comunque aspettare per una regione, come la Champagne, che funge da cerniera tra la Germania renana di Aquisgrana e Colonia e la Aquisgrana e la Francia robertingia che presto troverà il suo centro di gravità a Parigi.

L’altro asse principale, matematicamente ortogonale al precedente, è anch’esso non affatto casuale, perché corrisponde alla direttrice che va da Laon a Châlons, a sua volta immediatamente riconoscibile come il tratto champenois della Via Francigena, il percorso dei pellegrini (in particolare Angli, più volte citati da Flodoard) diretti verso Roma. È interessante notare il numero delle stationes della Francigena, anche lontane da Reims, citate a vario titolo da Flodoard (da Pavia a Vercelli, da Saint-Maurice a Brienne, da Châlons a Reims, da Corbeny a Laon, da Thérouanne a Guines), anche se non c’è negli Annales alcun esplicito riferimento all’itinerario reso celebre dopo il 990 dal resoconto fattone da Sigeric, arcivescovo di Canterbury.

 

 

Il testo e la traduzione

 

L’analisi dettagliata dei sette differenti manoscritti che ci hanno tramandato gli Annales, con la ricostruzione dello stemma codicum, è stata effettuata da Lauer nella premessa alla sua edizione critica, alla quale rinviamo, ed è stata recentemente ripresa in un articolo di Lecouteux, che sviluppa alcune interessanti congetture sulle vicende iniziali del testo (fino alla fine del X secolo). Noi ci siamo limitati aseguire puntualmente l’edizione critica, inserendo tra parentesi quadre le frasi che non compaiono in tutte le versioni del testo.

Poiché l’obiettivo principale della presente traduzione è quello di fornire strumenti per una conoscenza il più possibile “fedele” dell’epoca trattata. abbiamo cercato di aderire strettamente al testo originario, talvolta anche a scapito dell’immediata leggibilità. È stato comunque inevitabile sciogliere alcuni costrutti latini (prolessi del relativo, ablativo assoluto) che non hanno un corrispettivo sintattico in italiano. Abbiamo sistematicamente inteso quidam come surrogato per l’aricolo indefinito o il partitivo, e ipse come pronome dimostrativo. Vero è stato tradotto con “poi”.

Un discorso a parte merita la questione della traduzione dei nomi propri. Per i nomi geografici abbiamo sistematicamente adottato la forma locale moderna, italianizzata solo nei pochi casi per i quali esiste un uso consolidato, per cui l’espressione in lingua straniera sarebbe parsa leziosa.

Per quanto invece riguarda i nomi propri di persona, se da un lato sarebbe risultato impossibile procedere in modo generalizzato alla sostituzione con il corrispettivo italiano, anche perché in molti casi di nomi inusitati e arcaici non esiste una forma italiana corrispondente e accettata, dall’altro lato l’adozione della forma in uso nella lingua attualmente parlata nella regione di riferimento sarebbe potuto risultare per più aspetti mistificante: in primo luogo le forme moderne sono spesso tardive, e quindi comunque non corrispondenti al “parlato” del X secolo; inoltre in molti casi di frontiera (ed è proprio il caso di gran parte del Lotharii regnum) l’attribuzione di una nazionalità etnica e linguistica moderna è operazione controversa, talvolta ideologica, comunque con tutta probabilità anacronistica.

Alternativamente si sarebbe potuto in questi casi mantenere la forma latina del nome, ma ci è parso che tale scelta di rigore filologico avrebbe contrastato con l’esigenza di una lettura “moderna”, e avrebbe comportato per coerenza l’adozione della stessa misura nei confronti di tutti i (moltissimi) sostantivi per i quali la forma moderna comprime inevitabilmente la specificità semantica del vocabolo contestualizzato nel X secolo: basti pensare a tutti i termini indicanti una struttura o carica politico-militare (per i quali si veda anche il Glossario), o alle indicazioni di geografia antropica.

Come scelta intermedia e di immediata leggibilità abbiamo optato per l’adozione della forma italiana per tutti quei nomi che, a causa della grande mobilità del ceto feudale, hanno finito per diffondersi (e quindi trovare corrispettivi) dalle regioni originarie all’intera area europea occidentale. Soltanto per alcuni nomi di religiosi (quasi tutti tedeschi), privi di un vero corrispettivo italiano e più tipicamente legati all’area territoriale di provenienza, si è scelto di adottare la forma più vicina all’uso attuale della lingua parlata nella sede di riferimento. Abbiamo esteso questa scelta anche ad alcuni personaggi-chiave (diversi arcivescovi di Reims, oltre a Flodoard stesso), citati spesso anche nei saggi introduttivi, per evitare in quella sede l’effetto di arcaismo derivante dalla forma italianizzata dei nomi. La forma latina e le eventuali traduzioni alternative sono sempre comunque indicate nelle note.

 

 

Glossario

 

Di ciascun vocabolo si riporta tra parentesi il corrispettivo italiano più comunemente usato in questa traduzione, e una breve definizione riferita all’uso (o agli usi) fattone da Flodoard negli Annales.

 

Abbatia (abbazia): indica l’edificio del monastero, ma anche (e spesso) i benefici ad esso connessi (diritti, terre, possedimenti, servitù militari), che potevano rappresentare un importante fonte di risorse per il signore laico o ecclesiastico cui erano attribuiti; era retta da un abate (abbas).

 

Castellum (castello): è una fortificazione di solito consistente in una singola torre, spesso circondata da un muro. La torre poteva essere costruita in pietra, ma più spesso era in legno, e il muro era quasi sempre di legno; il castellum era normalmente più piccolo del castrum.

 

Castrum (castello): è una fortificazione, di solito abbastanza grande e spesso costruita in pietra, con un maschio interno e una cinta muraria in pietra dotata di torri.

 

Civitas (città): indica l’agglomerato urbano, ma soprattutto il distretto amministrativo ad esso associato, che poteva coincidere con un pagus o anche con una diocesi, e del quale l’urbs era il capoluogo; a capo della civitas poteva essere posto un comes, mentre la massima autorità religiosa era il vescovo

 

Comes (conte): era la massima autorità civile e militare cui era affidata dal sovrano la gestione di una o più unità amministrative del territorio (pagus); nel X secolo la prassi della successione ereditaria era stabilita, ma non totalmente consolidata, e per i discendenti la conferma regia del possesso non era sempre una pura formalità (come nel caso di Laon). Nel corso del secolo il titolo di comes cominciò a essere attribuito anche a signori di castelli di più recente costruzione.

 

Diocesis (provincia): indica la provincia ecclesiastica, che raggruppa numerose diocesi e a capo della quale è posto un arcivescovo (domnus archiepiscopus). Nel X secolo la provincia di Reims comprendeva dieci diocesi, a loro volta articolate in numerosi pagi (tipicamente 3/5 per diocesi).

 

Dux (duca): era (etimologicamente) un comandante militare, cui fu in seguito attribuita anche una giurisdizione civile permanente su un insieme di contee caratterizzato da un’unità regionale, come nel caso della Burgundia, dell’Aquitania e della Francia (Neustria), e più tardi della Normandia e della Lorena. In area tedesca l’origine del ducato (Herzogtum) è più decisamente etnica.

 

Episcopus (vescovo): è il titolare della massima autorità religiosa locale (episcopatus), essendo posto a capo della diocesi (episcopium); era formalmente eletto dal clero e dal popolo, ma in pratica nel X secolo era designato dal sovrano e a lui soggetto, con un vincolo di tipo feudale.

 

Excommunicatio (scomunica): è la pena consistente nell’esclusione dalla comunione dei fedeli, ed era gravissima non soltanto dal punto di vista religioso, perché comportava la rescissione dei vincoli personali su cui si fondava la maggior parte delle relazioni sociali.

 

Fidelis (fedele): era colui che aveva prestato un giuramento di fedeltà (fidelitas) a un signore feudale (dominus o senior), impegnandosi al suo servizio, sia civile che militare.

 

Monasterium (monastero): in F. è sinonimo di abbatia.

 

Munitio (fortificazione): è una locuzione generica, il cui valore dipende dal contesto specifico.

 

Miles (soldato): indica il combattente generico, ma spesso anche il combattente per eccellenza, ossia il cavaliere, e quindi l’appartenente al gruppo sociale costituito dall’aristocrazia militare.

 

Nepos (nipote): indica il figlio del fratello o della sorella, ma in altri contesti era usato anche per indicare i figli dei figli.

 

Obsidio (assedio): nel X secolo era la forma più tipica dello scontro militare, in quanto il controllo del territorio consisteva essenzialmente nel controllo delle fortificazioni che lo presidiavano; l’arte militare del periodo era fortemente basata sulle tecniche di costruzione delle macchine ossidionali.

 

Oppidum (fortezza): indica una fortificazione importante, di solito un castrum, di regola in pietra, e talvolta addirittura un’urbs fortificata.

 

Pagus (distretto): era la tipica unità amministrativa altomedievale, di solito retta da un conte; è quindi spesso sinonimo di contea, e talvolta di civitas.

 

Pallium (pallio): era una stola di lana bianca, di solito ornata con sei croci nere, che era inviata dal papa agli arcivescovi come simbolo della loro condizione e della loro autorità

 

Pascha (pasqua): era la principale festività religiosa (e di fatto anche civile).

 

Pecunia collaticia (imposta pecuniaria): era una tassazione straordinaria, finalizzata alla stipula di un accordo di pace (in questo caso con i Normanni) e per prevenire razzie e saccheggi.

 

Placitum (placito): indicava un’assemblea pubblica (con finalità di governo o giudiziarie) o anche il documento scaturito da una tale assemblea.

 

Praesidium (presidio): indica di solito l’area fortificata posta all’interno di una struttura più ampia, come una cittadella o un oppidum.

 

Praesul (presule): in F. è sinonimo di episcopus.

 

Princeps (magnate): è un’espressione generica, che se riferita a un individuo può indicare il sovrano o un signore regionale (duca, marchese o conte di più contee), mentre come nome collettivo indica l’insieme dei notabili e feudatari di una regione o di un regno.

 

Sacramentum (giuramento): indica la promessa solenne che accompagnava di regola gli accordi di pace e gli impegni di fedeltà; ha come sinonimi iuramentum e iureiurandum.

 

Synodus (sinodo): è un’assemblea di vescovi, con potere deliberativo su numerose materie di interesse canonico ed ecclesiastico; poteva essere provinciale (e presieduto dall’arcivescovo) o generale (e di norma presieduto dal papa o da un suo vicario).

 

Urbs (città): era il capoluogo amministrativo e centro religioso di un pagus o di una civitas, sede di un conte e/o di un vescovo.

 

Villa (villaggio): indica un’unità amministrativa minore, di riferimento per la ripartizione dei lavori e delle risorse agricole tra il signore e i lavoratori (a vario titolo) della terra, ed è quindi anche sinonimo di curtis; indica anche il centro abitato di riferimento per il territorio in questione.

 

 

 

Bibliografia ragionata

Non è nostra intenzione presentare qui una bibliografia scientifica, che occuperebbe molte pagine e comunque difficilmente potrebbe aspirare alla completezza. Intendiamo piuttosto indicare i testi che sono risultati più importanti per il nostro lavoro, e quelli maggiormente accessibili al lettore non professionista (e quindi in particolare i testi più recenti e quelli scritti o tradotti in italiano).

 

Testi del X secolo di interesse storiografico:

Adalbert, Reginonis Continuatio, ed. F. Kurze, M.G.H. Scriptores 50, Hannover 1890

Ademar de Chabannes, Chronicon, ed J. Chavanon, Paris 1897

Archives administratives de la ville de Reims, Collection de pièces inédites, Paris 1839

Dudon de Saint-Quentin, De moribus et actis primorum Normanniae ducum, ed. J. Lair, Caen 1865

Flodoard, Annales, ed. P. Lauer, Paris 1905

The Annals of Flodoard of Reims 919-966, eds. S. Fanning and B.S. Bachrach, Peterborough 2004

Flodoard, Historia Remensis Ecclesiae, M.G.H. Scriptores 36, Hannover 1998

The Annals of St-Bertin, ed. J.L. Nelson, Manchester 1991

Hincmar di Reims, Annales Bertiniani, ed. G. Waitz, M.G.H. SRG. 5, Hannover 1883

Planctus (per l’uccisione di Guglielmo Lungaspada), ed. Lair, Bibl. École de chartes 31 (1870)

Reginone di Prüm, Chronicon, ed. F. Kurze, M.G.H. Scriptores 50, Hannover 1890

Richer von Saint-Remi, Historiae, ed H.Hoffmann, M.G.H. Scriptores 38, Hannover 2000

Rodolfo il Glabro, Storie dell’anno Mille, a cura di G.. Andenna e D. Tuniz, Milano 1981

Thietmar di Merseburg, Chronicon, ed. F. Kurze, M.G.H. Scriptores 54, Hannover 1889

Widukind di Corvey, Rerum gestarum saxonicarum libri III, M.G.H. Scriptores 60, Hannover 1935

 

Sul periodo storico in generale:

The New Cambridge Medieval History, Vol. III, c.900-c.1024, ed. by T. Reuter, Cambridge 1999

Lexikon des Mittelalters, ed. R. Auty et al., München 1980-

A. Barbero e C. Frugoni, Dizionario del Medioevo, Bari 1998

Geoffrey Barraclough, The crucible of Europe, Berkeley 1976

Dominique Barthélemy, La mutation féodale at-elle eu lieu?, Paris 1997

Marc Bloch, La società feudale, Torino 1949 (Paris 1939-40)

Jan Dhondt, L’Alto Medioevo, Milano 1970 (Frankfurt 1968)

François L. Ganshof, Che cos’è il feudalesimo?, Torino 1989 (Bruxelles 1944)

Robert S. Lopez, La nascita dell’Europa, Torino 1966 (Paris 1962)

Edmond Pognon, La vita quotidiana nell’anno Mille, Milano 1989 (Paris 1981)

J.P. Poly and E. Bournazel, La mutation féodale, Xe-XIIe siècle, Paris 1991

Pierre Riché, I Carolingi, Firenze 1988 (Paris 1983)

Aldo A. Settia, Rapine, assedi, battaglie. La guerra nel Medioevo, Bari 2002

Renato Stopani, La Via Francigena, Firenze 1988

Giovanni Tabacco e Grado G. Merlo, Medioevo (V-XV secolo), Bologna 1981

 

Sulla storia di Francia nel X secolo:

Atlas de la France de l’an Mil, ed. M. Parisse, Paris 1994

Michel Bur, La formation du comté de Champagne v.950-v.1150, Nancy 1977

J. Dhondt, Études sur la naissance des principautés territoriales en France (IXe-Xe siècle), Gent 1948

A. Eckel, Charles le Simple, Paris 1899

É. Favre, Eudes, comte de Paris et roi de France (882-898), Paris 1893

Philippe Lauer, Le Règne de Louis IV d’Outre-mer, Paris 1900

Philippe Lauer, Robert Ier et Raoul de Bourgogne, rois de France (923-936), Paris 1910

C. Lauranson-Rosaz, L’Auvergne et ses marges du VIII au XI siècle. La fin du monde antique?, Le Puy 1987

S. Lecouteux, Sur l'origine des comtes de Ponthieu du XIe siècle et la diffusion du prènom Enguerrand

S. Lecouteux, Une reconstitution hypothétique du cheminement des Annales de Flodoard

Ferdinand Lot, Les Derniers Carolingiens: Lothaire, Louis V, Charles de Lorraine, Paris 1891

Robert Parisot, Le Royaume de Lorraine sous les Carolingiens (843-923), Paris 1898

René Poupardin, Le Royaume de Bourgogne (888-1038), Genève 1974 (Paris 1907)

René Poupardin, Le Royaume de Provence (855-933), Paris 1901

Sot, Un historien et son Eglise, Paris 1993

 

Sulle élites dirigenti e le loro relazioni familiari:

Alessandro Barbero, L’aristocrazia nella società francese del medioevo, Bologna 1987

Eduard Hlawitschka, Die Anfänge des Hauses Habsburg-Lothringen, Saarbrücken 1969

Eduard Hlawitschka, Kontroverses aus dem Umfeld von König Heinrichs I. Gemahlin Mathilde, 1987

Detlev Schwennicke, Europäische Stammtafeln (Neue Folge) Band I, Frankfurt 1998-2000

Christian Settipani, La Noblesse du Midi Carolingien, Oxford 2004

Christian Settipani (avec P.V.Kerrebrouck), La Préhistoire des Capétiens 481-987, Villeneuve d’Ascq 1993

Andreas Thiele, Erzählende genealogische Stammtafeln zur europäischen Geschichte, Frankfurt 1991-2003

Karl Ferdinand Werner, Nascita della nobiltà, Torino 2000 (Paris 1998)

Karl Ferdinand Werner, Die Nachkommen Karls des Grossen bis um das Jahr 1000 (1.-8. Generation) in Karl der Grosse: Lebenswerk und Nachleben, IV 402-482, Düsseldorf 1965-1968

L’historiographie des élites dans le haut Moyen Âge, Marne-la-Vallée 2003

Onomastique et Parenté dans l’Occident Medieval, eds. K.Keats-Rohan et C.Settipani, Oxford 2000