NUOVE IDEE PER LA FISICA DEL NUOVO SECOLO

 

Siamo ormai abituati al fatto che in ogni disciplina scientifica l’oggetto della ricerca non è definito una volta per tutte, ma cambia nel tempo al variare della sensibilità e dell’attenzione della comunità degli studiosi. Ma secondo il senso comune quest’affermazione non sembra particolarmente adatta a descrivere la Fisica, il cui dominio appare a molti, mi si perdoni l’ossimoro, tanto oscuro (nelle pratiche e nei metodi) quanto chiaro (nell’ambito e nelle finalità).

Ma proviamo ad osservare le tendenze più recenti della Fisica Teorica, il cui compito è sempre più spesso quello di aprire nuove strade, piuttosto che non quello abituale di consacrare con il rigore della formulazione matematica risultati ottenuti solitamente per tutt’altra via.

Ci accorgeremo allora che, se da un lato la stragrande maggioranza dei ricercatori continua a focalizzare la propria attenzione sulle tematiche tradizionali dell’infinitamente grande (astronomia e cosmologia) e dell’infinitamente piccolo (fisica della materia e delle particelle), magari cercando sinergie fino a poco tempo fa impensabili, come nella fisica “astroparticellare”, dall’altro lato una pattuglia nemmeno troppo sparuta si muove nella direzione di un altro tipo di infinito, quello che viene dal grande numero e dalla grande varietà degli elementi in gioco. Sto parlando della fisica della complessità, e sto usando questa parola in un’accezione non tecnica, per indicare con un solo vocabolo tutti quegli ambito di ricerca nei quali non si può più applicare quello straordinario strumento di semplificazione metodologica e concettuale che risiede nell’idea riduzionista per cui ogni processo può essere scomposto in processi (più) elementari, che a loro volta possono essere studiati individualmente e separatamente dal contesto.

Penso quindi alle applicazioni dei metodi più moderni della fisica a discipline quali la genetica delle popolazioni o l’economia dei mercati finanziari, a problematiche come i meccanismi di ripiegamento delle proteine, la dinamica del traffico urbano, la sociologia della produzione scientifica, la correlazione nelle sequenze del genoma o quella presente nei testi letterari classici.

Sto citando a caso e a memoria, senza alcuna pretesa di esaurire l’elenco dei filoni di ricerca, spesso non convenzionali, che vengono oggi esplorati (anche) dai fisici. Anche perché si può dire che non passi quasi giorno senza che appaia, in quello straordinario spazio di comunicazione che è la Rete, una qualche nuova proposta, più o meno attraente, di applicazione agli ambiti più diversi di metodologie nate nel contesto della fisica,

E proprio pensando alla Rete vorrei brevemente illustrare uno dei filoni più recenti e interessanti di questo tipo di ricerche, quello che uno dei suoi iniziatori, Albert-László Barabási, ha definito “la scienza delle reti”, sottotitolo del suo libro Link, tradotto e pubblicato da Einaudi, e la cui (facile) lettura consiglio a tutti gli interessati. L’idea che sta alla base del lavoro di Barabási e dei suoi epigoni (e che vedremo tornare in altri contesti) è quella dell’autosimilarità: le reti (e quindi non solo Internet, ma anche le reti di relazioni biologiche o sociali, i meccanismi di diffusione delle epidemie, le strutture di distribuzione di alcuni beni primari) possono essere arbitrariamente piccole o grandi, senza che nessun parametro possa definirne o limitarne a priori la scala, e se le si analizzano prescindendo appunto dalla scala e focalizzando soltanto sulle loro proprietà topologiche si scopre che queste proprietà non solo si ripetono uguali a se stesse su scale differenti di una stessa rete, ma sono sostanzialmente le stesse quando si confrontano reti di natura anche radicalmente diversa. Ragionando per immagini, la fotografia (del grafo) di una rete è uguale a quella dei suoi ingrandimenti (è l’effetto che si ottiene riprendendo con una telecamera un televisore acceso sul quale si invia l’immagine ripresa dalla telecamera stessa), ed è anche uguale alla fotografia (astratta) di una qualunque altra rete. E, ciò che più conta, questo tipo di proprietà può essere formalizzato matematicamente e ricondotto  a leggi sostanzialmente semplici e altrettanto sostanzialmente universali. La proprietà dell’”invarianza di scala” è qualcosa che i fisici teorici conoscono molto bene da più di trent’anni, cioè da quando prima Kadanoff e poi Ken Wilson (che per il suo lavoro in quest’ambito ebbe un meritatissimo premio Nobel) capirono che essa sta alla base della descrizione dei cosiddetti “fenomeni critici” della meccanica statistica (come la superfluidità, per dirne uno). Non è questa la sede per i tecnicismi, ma dovrebbe essere chiaro che il possesso e il controllo di un modello matematico costituisce per un qualunque fenomeno, naturale o sociale, uno strumento preferenziale per l’analisi delle criticità del fenomeno stesso. Capire che cosa rende “strutturalmente” vulnerabile una rete è il punto di partenza per difenderla (se è il caso) o per attaccarla (se si tratta della rete di Al Qaeda o di quella con cui si diffonde il virus dell’aviaria). Ma ci possiamo togliere anche curiosità più spicciole o marginali. Quanti passaggi occorrono per mettere in relazione tra loro due persone qualsiasi? Sei, dice la teoria più semplice (è l’effetto small world, anche se a rigore occorrerebbe approfondire meglio la validità di qualche ipotesi). Quando è vissuto il più recente Antenato Comune di tutta l’umanità (da non confondere con i cosiddetti Eva e Adamo primitivi, la cui linea di discendenza è rispettivamente tutta femminile e tutta maschile)? La risposta, alquanto inattesa, varia tra i 2000 e i 5000 anni fa.

La teoria delle reti è soltanto un caso particolare di applicazione di alcune nozioni estremamente versatili provenienti dalla meccanica statistica. Abbiamo parlato dell’invarianza di scala, ma dobbiamo parlare anche del fenomeno (ad essa strettamente connesso) della criticità autoorganizzata. Anche in questo caso devo rimandare a un libro bello e facile, Ubiquità di Mark Buchanan (pubblicato negli Oscar), dove chi ne ha tempo e voglia scoprirà che cosa accomuna le pile di sabbia, i terremoti, la diffusione degli incendi nei boschi, l’estinzione delle specie, i crolli in borsa, gli ingorghi del traffico, la formazione delle valanghe, le tendenze della moda e le rivoluzioni scientifiche (e non avrei finito!).

Ma la conclusione più importante può essere sintetizzata in poche parole: nei fenomeni di tipo “critico” (e tutti quelli summenzionati lo sono) non valgono per i parametri che li caratterizzano le leggi di distribuzione che non a caso sono chiamate “normali” (o Gaussiane). Valgono invece leggi di potenza, per le quali ha ben poco senso ragionare in termini di media e di varianza.

Per dirla con le parole di  B. West (che ci  ha raccontato alcune di queste cose il 30 settembre scorso in una bella conferenza, particolarmente apprezzata soprattutto dai numerosi giovani, anche liceali, intervenuti), sotto molti aspetti “la persona media è veramente eccezionale”.