LA PARABOLA DEI TALENTI (Passato, presente e futuro della docenza universitaria)

Paolo Rossi – Dipartimento di Fisica “E. Fermi” – Università di Pisa (16.3.2008)

 

Affrontare e risolvere i problemi comporta innanzitutto il conoscerli nei loro termini reali.

 

La pubblicistica, i media, il dibattito politico ci hanno ormai da qualche tempo resi consapevoli del fatto che esiste in questo Paese, accanto ad altre numerose e gravi emergenze, anche un’”emergenza Università”, i cui caratteri e i cui contorni sono però troppo spesso definiti soltanto mediante la raffigurazione a forti tinte di vicende di rilevanza penale, o più generalmente tramite la descrizione di comportamenti che vanno dal nepotismo al conflitto d’interessi e che implicherebbero, da parte di una vasta pluralità di soggetti, un sistematico uso dell’istituzione a fini privati, accompagnato dal quasi totale e generalizzato disinteresse per gli obiettivi dell’efficacia, dell’efficienza e della buona amministrazione.

 

Quest’analisi (che non è però veramente completa, in quanto non è quasi mai accompagnata da un serio tentativo di valutare la rilevanza quantitativa dei fenomeni descritti) porta poi spesso i commentatori, inclusi i più autorevoli, a suggerire una varietà di terapie, che nella maggior parte dei casi sono riconducibili a poche idee-guida, riassumibili nello schema seguente:

-       il sistema universitario costa troppo rispetto a quanto produce, perché le risorse vengono sperperate in modo perverso da soggetti che non devono rispondere del proprio operato;

-       occorre quindi iniettare nel sistema concorrenza e mercato, riducendo la quota dei finanziamenti pubblici “a pioggia” per obbligare i decisori a scelte economiche più oculate e orientarli verso attività non autoreferenziali ma atte a stimolare altri canali di finanziamento.

 

Come ogni schema, anche questo è troppo semplice per essere del tutto vero, o del tutto falso. Non si tratta quindi di sostenerlo o di confutarlo a priori, ma di capire meglio, e con adeguato dettaglio, quali siano le reali dinamiche del sistema universitario (e in particolare quelle che hanno rilevanza economico-finanziaria).

 

Uno degli aspetti più comunemente contestati della gestione economica delle Università riguarda la politica del reclutamento, nella quale si sarebbero in molti casi privilegiate le promozioni alle fasce superiori della docenza, più onerose e improduttive, a sfavore delle nuove assunzioni di giovani; proprio a questa politica si è imputato il dissesto finanziario di alcuni Atenei, giunti a superare con le spese per il personale di ruolo il limite legale del 90% del Fondo di Finanziamento Ordinario (F.F.O.) fissato dalla legge Finanziaria 1997.

 

Di fronte a una contestazione così rilevante è parso opportuno analizzare con cura tutti i dati quantitativi a disposizione, per capire dove e in quale misura si sia esercitato in passato un arbitrio decisionale, e quali margini rimangano al sistema in vista di scelte future, sia che s’intenda lasciarle nelle mani degli attuali decisori, eventualmente soggetti a più sostanziali vincoli di verifica di correttezza e adeguatezza di gestione, che nell’ipotesi di avocare ogni decisione a più alte e più responsabili autorità.

 

È stato possibile effettuare un’analisi di tal genere grazie alla disponibilità di una base di dati di fonte CINECA, rigorosamente anonima ma contenente tutti gli elementi cronologici relativi alle carriere dei docenti universitari presenti nel sistema a partire dal 1 gennaio 1998 e fino al 31 dicembre 2007. A tale base di dati è stato applicata una procedura di calcolo volta ad applicare tutte le (non semplici) norme di legge che presiedono alla formazione della retribuzione, e quindi del costo lordo Amministrazione, della docenza universitaria. La procedura permette di calcolare il costo annuo (reale e deflazionato) della docenza per ogni Ateneo e per ogni anno a partire dal 1998.

 

Le principali conclusioni che ci sembra di poter trarre dall’analisi, i cui dettagli saranno presentati in un documento separato, sono le seguenti:

-       l’aumento complessivo dei costi del personale docente di ruolo nel decennio 1998-2007, se misurato in termini reali, ossia in valuta deflazionata (usando come coefficiente inflattivo quello stesso che viene annualmente definito dall’ISTAT e impiegato per gli adeguamenti stipendiali) è stato del 19%, quindi inferiore al contemporaneo aumento numerico del personale (26%) (peraltro ancora insufficiente al fabbisogno didattico e scientifico), con ciò formalmente smentendo la nozione che la politica delle promozioni sia stata, nel suo complesso, eccessiva, e comunque responsabile del generale dissesto finanziario;

-       la dinamica della spesa per personale docente dei singoli Atenei (calcolata dal 1998 fino al 2018 mediante proiezioni basate sul personale attualmente in servizio) è rappresentabile mediante una curva universale a forma di parabola, dalla quale nessun Ateneo con un budget superiore ai 5 Milioni di euro annui si discosta significativamente, e gli andamenti effettivi differiscono soltanto per la dimensione degli Atenei e per la collocazione temporale del massimo della spesa; tale data a sua volta pare essere in relazione inversa alla dimensione, per cui gli Atenei più grandi (che sono anche i più vecchi) tendono a raggiungere prima il massimo (e con esso spesso la crisi finanziaria), ma anche a iniziare prima una parabola di spesa discendente, mentre gli Atenei più piccoli (e più giovani), pur collocati sull’identico percorso, appaiono oggi meno palesemente toccati dall’emergenza, ma sono comunque destinati a spese crescenti;

-       il finanziamento pubblico del sistema universitario nel corso del passato decennio non è stato in grado di accompagnare questa dinamica, pur nel complesso fisiologica, e di conseguenza il sistema universitario nel suo complesso è andato sempre più avvicinandosi al limite legale del 90% del F.F.O. il cui valore totale (deflazionato) è stabile o talvolta addirittura in discesa;

-       l’opzione di mantenere una quota adeguata e stabile di reclutamenti e di promozioni, anche nell’ipotesi di una sostanziale stagnazione dell’investimento pubblico, può essere assicurata nella maggior parte dei casi da una realistica politica di programmazione, resa possibile grazie a una stima attendibile del volume dell’impegno finanziario per i prossimi anni (tendenzialmente in calo in assenza di nuovi ingressi).

 

Sembra molto difficile a questo punto riuscire a identificare comportamenti clamorosamente virtuosi o viziosi, mentre appare abbastanza chiaro che un sistema con le rigidità strutturali e normative di quello universitario tende a obbedire a dinamiche fortemente inerziali i cui esiti sono largamente indipendenti dalle volontà e dalle decisioni di singoli e gruppi.

 

Solo il confronto tra la situazione finanziaria effettiva di un Ateneo e quella prevista teoricamente sulla base delle sue dimensioni e della sua storia pregressa potrebbe eventualmente permettere di misurare l’impatto (prevedibilmente limitato) degli interventi messi volontariamente in atto da chi lo ha amministrato e di giudicarne il segno (positivo o negativo).

 

Sembra quindi assai pericoloso, ai fini del raggiungimento di obiettivi strategici di efficienza e di efficacia gestionale, associare meccanismi premiali e/o punitivi alla maggiore o minor distanza di un Ateneo da un obiettivo generico di riferimento (come ad esempio il 90% del F.F.O.) senza tener conto della collocazione oggettiva dell’Ateneo stesso lungo la curva universale di spesa.

 

Applicare acriticamente il precetto “a chi ha sarà dato, e sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha” (Mt 25,29) ben difficilmente otterrebbe il risultato di “moralizzare” o rendere competitivo il sistema universitario, mentre potrebbe essere il definitivo colpo di grazia per alcuni presidii di alta cultura di questo Paese, riconosciuti anche internazionalmente, che proprio per la longevità della loro tradizione si trovano già oggi all’apice della parabola.