Chi era Richer?

 

Se di Richer di Saint-Remi (Richerus monachus Sancti Remigii) volessimo dire soltanto ciò che la rigorosa documentazione storica ci autorizza ad affermare, la sua biografia cesserebbe pressoché là dove è iniziata, ovvero con l’enunciazione di un nome e di una vocazione religiosa che egli stesso ribadisce comparendo per due volte in prima persona nella sua propria opera, nel prologo e nel celebrato resoconto del viaggio a Chartres per studiare medicina [IV.50], e col ricordo di una paternità fisica e di una paternità spirituale. Ma abdicheremmo alla nostra intelligenza e alla nostra immaginazione se rinunciassimo ad ogni tentativo di collocare il massimo (sic!) storico della seconda metà del X secolo nel contesto spaziale e sociale in cui si trovò a scrivere e ad operare. Proviamo dunque ad accumulare indizi, consci della definitiva impossibilità di ogni verifica ma anche consapevoli che non v’è conoscenza del mondo che non riposi sul giudizioso accostamento di frammenti.

Siamo fortemente tentati di collocare l’intero arco della vita di Richer entro le date di riferimento dei suoi libri III-IV (954-998). Difficile infatti non immaginarlo significativamente più giovane del suo maestro Gerbert, la cui data di nascita (anch’essa peraltro sconosciuta) è comunque da collocarsi in un breve arco di tempo immediatamente antecedente il 950, e che in ogni caso diverrà magister alla scuola di Reims dopo il 972. Se Richer ha seguito le lezioni di Gerbert, come appare pressoché evidente da [III.46-54], difficile pensare che sia nato prima del 955. Questa data è d’altronde consistente con i due riferimenti cronologici relativi alla vita del padre, che nel 949 e nel 956 era uomo già maturo ma non troppo anziano per comandare truppe in un’operazione militare. E ci è facile credere che Richer, destinato alla vita religiosa, non fosse il suo primogenito.

Sulle origini della famiglia di Richer tutte le indicazioni in nostro possesso convergono nel ridursi all’area di quella regione che Richer stesso denota costantemente col nome classico di Belgica, restringendo i confini dell’Austrasia originaria allo spazio tra Marna (Matrona) e Reno. Conferma quasi probante ci viene dall’elogio dei Belgae in I.1, che non può essere imputato a piaggeria cortigiana in quanto il destinatario delle Storie di Richer è l’aquitano Gerbert. Ma un’ulteriore restrizione geografica ci è imposta dalla constatazione che in [1.12], in un elenco di vescovi e delle relative province ecclesiastiche, l’arcivescovo di Reims e i suoi suffraganei appaiono come rappresentanti della Celtica, in una circostanza (l’elezione di Carlo III) in cui le esigenze della legittimazione lasciano poco spazio per distrazioni o lapsus, pur non inconsueti in Richer. È in questo spazio ristretto, poco più vasto dell’attuale Wallonie, che si collocano le imprese di Rodulfus, padre di Richer, la presa di Laon [II.87-90] e soprattutto la conquista del castello di Mons [III.7-9]. Se i suoi uomini possono confondersi con gli operai che lavorano a Mons, sembra legittimo supporre che la loro provenienza geografica sia tale da non indurre alcun sospetto. Anche l’identificazione di Rodulfus con il castellano di Clastres, proposta da Lauer[1], non è incompatibile con quest’analisi, ma solo a patto di leggere nell’episodio narrato da Flodoard[2] all’anno 944 non il resoconto di un tradimento (come nella recente e in genere accurata traduzione inglese di Fanning e Bachrach[3]) ma quello di una fuga (lettura del resto perfettamente autorizzata dal testo originale).

Ma alcuni fatti ci inducono a restringere ulteriormente il cerchio delle nostre indagini. Menzioniamo in primo luogo un episodio minore, ma tale per sua natura da suggerire qualche supposizione in merito alla parentela del nostro autore. In [I.25], seguendo Flodoard, egli ci narra della deposizione di Ilduino, vescovo di Liegi (anno 920) e della sua sostituzione con l’abate di Prüm, che da altra fonte (il Chronicon di Reginone[4]) sappiamo essere fratello di Gerard e Matfrid conti in Lotaringia, e titolare dell’abbazia dall’899. Questo episodio, di scarsa importanza in relazione agli avvenimenti contemporanei narrati, diventa sintomatico quando si osservi che il nome dell’abate è Richerus, che il nostro autore parteggia esplicitamente per lui nel conflitto che lo vede opposto all’arcivescovo Ermanno, e quando si ricordi che era consuetudine all’interno delle famiglie notabili dell’epoca assegnare ai cadetti destinati alla vita religiosa il nome di un antenato che avesse già ricoperto un ruolo nella gerarchia ecclesiastica. Un esempio per tutti è l’uso del nome Adalbéron nella famiglia dei Gothelon-Godefroi, nello stesso periodo che stiamo analizzando. Il nome Richerus poi è talmente poco comune nella classe dirigente carolingia e post-carolingia che è difficile credere alla casualità della coincidenza. Si noti che l’abate Richerus è un fedele di Carlo re di Francia mentre il padre di Richer è un fedele di re Ludovico IV, figlio del precedente, e poi della vedova di questi Gerberga, e appartiene alla cerchia ristretta di coloro che hanno accesso diretto al sovrano e dei quali sono richiesti i consigli, soprattutto, nel suo caso, quando si tratti di intraprendere azioni belliche. Quanto all’assenza di una menzione esplicita di parentela da parte del nostro, vale la pena di notare che la parentela in questione, se reale, non potrebbe comunque essere troppo ravvicinata, perché almeno un paio di generazioni separano i due; si potrebbe al più pensare al fortunato matrimonio di un ascendente diretto di Richer (padre o nonno) con un’esponente di una delle famiglie più potenti della  Belgica (qui intesa nel più ristretto senso di Lotharii regnum).

Il secondo elemento sul quale ci preme portare l’attenzione è di tutt’altra natura. Partiamo dalla constatazione che lo spazio di Richer, come risulta definito dall’insieme delle citazioni di luoghi geografici nelle Historiae, è alquanto limitato, e ovviamente ha il suo centro nella città di Reims. Circa la metà dei luoghi citati si trova a meno di cento chilometri dalla metropolis, e un raggio di duecento chilometri racchiude più di due terzi dei riferimenti geografici. Fuori da questo raggio, peraltro, le menzioni riguardano quasi esclusivamente sedi vescovili o abbaziali, e sempre per il tramite dei loro titolari. Con un paio di significative eccezioni: un gruppo di località non lontane da Chartres, e legate alla vicenda del conte Eude I, che Richer ci racconta con dovizia di particolari [IV.40; 74-78; 90-94], avendola probabilmente appresa da fonti orali nel corso della sua forse lunga visita, e soprattutto un nutrito gruppo di siti nei dintorni di Liegi (Capraemons, Iuppila, Harstalium, Tungri, Litta, Treiectum, Gullus, Harburc, Marsna, Hasbanium, Condrucium), connessi alla storia del duca Gisleberto [I.34-40], e verso i quali Richer mostra un’attenzione dalla quale è difficile allontanare il sospetto di una conoscenza diretta o, almeno, familiare. Di un paio di queste località, oggi non più identificabili (Litta, ma in particolare la fortezza di Harburc, pur così puntualmente descritta), Richer resta l’unica testimonianza a noi disponibile. Non riusciamo a sottrarci alla tentazione di immaginare nella regione di Liegi l’area d’origine della famiglia di Richer, costretta poi alla migrazione verso sud-ovest dalle vicende che portarono i re di Germania a stabilire, a danno dei Carolingi, la propria sovranità sul regnum Lotharii a partire dal 923.

Il monaco Richer, pur destinato a tutt’altri interessi e attività, è palesemente affascinato dai valori guerrieri di cui il padre è simbolo e portatore, anche se poi nei fatti tra i suoi protagonisti (con la parziale eccezione di Ottone II imperatore, la cui immagine è di certo positivamente filtrata da Gerbert) non pare emergere dal ceto militare dei signori feudali alcun eroe autenticamente positivo.

Ma il centro di tutta la geografia fisica e morale di Richer è, come si è detto, la città di Reims, con i suoi arcivescovi che, nel bene e nel male, finiscono col diventare i protagonisti delle Historiae, o almeno autorevoli comprimari di sovrani raramente all’altezza del proprio ruolo. Se il primo arcivescovo menzionato è Hincmar, e se le Historiae ci narrano, pur con notevoli imprecisioni, le vicende di Folco, di Hervé, di Séulf, di Artaud e del suo competitore Ugo di Vermandois, di Odelrico, è certo intorno alle figure di Adalbéron, di Arnolfo e di Gerbert che ruota la parte più viva della narrazione, quella che corrisponde poi all’esperienza diretta e vissuta dell’autore.

Tra gli interessi di Richer ve n’è tuttavia almeno uno in grado di stornare la sua attenzione dalla vicenda politico-sociale della quale si è fatto narratore, ed è la passione per la medicina.[5]  È questa vocazione medica che gli ispira le numerose pagine in cui (con probabile scarso rispetto per la verità storica) egli descrive le patologie che affliggono i suoi protagonisti e ne causano il decesso. Ed è questa passione a spingerlo a intraprendere, per il desiderio di leggere un manoscritto, il già ricordato e avventuroso viaggio verso Chartres (sempre se non vogliamo dare troppo credito a una complicata congettura di Glenn[6] che vorrebbe legare l’episodio alla quasi contemporanea caduta di Carlo di Lotaringia per il tradimento di Ascelin).

Ma che cosa accade a Richer dopo la definitiva interruzione della stesura delle Historiae? Secondo Lauer[7], che si basa su una lettera di Fulberto di Chartres ad Abbone di Fleury databile al 1003, a quell’epoca Richer era monaco a Chartres, dove doveva avere in precedenza stabilito solidi legami.

Sulla base di un indizio tanto flebile quanto può esserlo una postilla anonima della prima metà del XII secolo a un necrologio della cattedrale di Reims composto tra il 1060 e il 1067, riferita a “Richerus huius ecclesiae cantor et canon et postea sancti Remigii monachus” Glenn[8] costruisce un intero castello congetturale che, oltre ad arricchire di nuovi elementi la biografia di Richer, permetterebbe addirittura di collocare la morte del monaco di Saint-Remi nella notte tra il 19 e il 20 maggio (di un anno peraltro sconosciuto).

Non ci avventureremo su questo terreno infido: per noi Richer scompare nelle nebbie della storia, magari immerso nell’appassionata lettura di qualche manoscritto di medicina classica, all’inizio della primavera del 998, mentre Gerbert dalla cattedra di Ravenna già pensa a ridisegnare le relazioni istituzionali tra potere ecclesiastico e civile all’interno del Patrimonium Petri, in attesa che il suo pupillo Ottone, di lì a un anno, lo chiami a Roma sul trono di Pietro a inaugurare il nuovo Reich e il nuovo millennio.


 



[1] Ph. Lauer, Le règne de Louis IV d’Outre-mer, p.113

[2] Flodoard, Annales, ed. Ph. Lauer, anno 944

[3] The Annals of Flodoard of Reims 919-966, eds. S. Fanning and B.S. Bachrach, p.39

[4] Reginone di Prüm, Chronicon, MGH 50, anno 899

[5] L.C. MacKinney, Tenth-Century Medicine as seen in the Historia of Richer of Rheims;

J. Rovinski, Une vocation médicale au Xe siècle. Le Moine Richer

[6] J. Glenn, Politics and History in the Tenth Century, pp.252-266

[7] Ph. Lauer, op. cit., Introduction, p. XI

[8] J. Glenn, op. cit., pp.21-24