I protagonisti delle Historiae

 

Tutti i personaggi di Richer appartengono ad élites, siano esse politiche, militari, religiose o culturali. Sarebbe vano cercare tracce significative del vissuto quotidiano, e in particolare di quello delle classi subalterne, se non in pochissime pagine, del resto giustamente famose[1]: la descrizione dell’inflazione conseguente alla carestia dell’890-892 [I.5], i costumi corrotti dei monaci [III.34-41], il viaggio da Reims a Chartres [IV.50]. Volutamente non includiamo in questo elenco le numerose e abbondanti descrizioni di fenomeni clinici, che sono largamente frutto di fantasia e che riflettono piuttosto un penchant intellettuale di Richer. Se lo confrontiamo con uno storiografo quasi coevo, il borgognone Rodolfo il Glabro[2], che invece dedica parecchia, ancorché aneddotica, attenzione a fatti come le invasioni, le carestie, la devozione popolare e le eresie, fino ai fenomeni astronomici e meteorologici, notiamo che l’atteggiamento di Richer è ancor più radicale di quello che il contesto storico e culturale gli imporrebbe. Preso atto di ciò, cerchiamo dunque di analizzare il contributo delle Historiae a una storiografia (o prosopografia?) delle élites del X secolo.[3]

Partiamo da alcuni dati di tipo quantitativo. Sono indicati nominativamente nelle Historiae poco più di 300 individui, che si riducono a circa 270 se consideriamo soltanto i “contemporanei” di Richer (ossia quelli che sono vissuti nel X secolo). Tra questi la stragrande maggioranza è costituita da maschi. I personaggi femminili sono soltanto 21, e solo di una dozzina Richer riporta il nome (che in altri cinque casi ricaviamo da fonti coeve); i ruoli sono solo quelli di madre, moglie, figlia o concubina. A loro volta i personaggi maschili si dividono equamente tra religiosi (130) e laici (126).

Uno degli aspetti più suggestivi dello scenario che stiamo analizzando è l’elevatissimo grado di interrelazione parentale tra questi personaggi. Le 17 donne di cui si ha il nome, 16 religiosi e ben 87 tra i laici (più dei due terzi del gruppo) compaiono nelle Tavole Genealogiche presentate qui di seguito, corrispondenti a non più di una dozzina di Stämme (che potrebbero forse ridursi a un numero ancora minore se una migliore conoscenza delle strutture di parentela in età precarolingia non ci fosse purtroppo definitivamente preclusa dalla mancanza di documentazione). E si noti bene che numerosi tra questi individui (in particolare ovviamente le donne) compaiono in più di una Tavola, a sottolineare una volta di più le reazioni di tipo cognatizio e non solo agnatizio che legano i protagonisti, fin quasi a riunirli tutti in una sorta di gigantesca “famiglia allargata”. Richer stesso mette più volte in rilievo queste relazioni, cosa che ci rende evidente la rilevanza sociologica non solo oggettiva, ma anche soggettivamente percepita, del fenomeno.

In questo contesto risulta subito evidente lo “scandalo” costituito dalla figura di Gerbert: di origini forse umili, privo comunque di legami familiari con la classe dirigente di origine prevalentemente franca, e in particolare austrasiana, egli giunge ad occupare posizioni della massima rilevanza nella gerarchia ecclesiastica e politica, normalmente occupate dai membri della “famiglia allargata”. Non è quindi da stupirsi, anche al di là del complesso gioco di potere (tra Chiesa romana e Chiesa gallicana, tra vescovi e abati, tra regno di Francia e Impero) che si disputa intorno alla sua persona, che il fronte dei suoi oppositori si cementi in una sorta di “solidarietà di classe” volta a respingere l’intruso, indipendentemente dai suoi meriti.

Più in generale, ci pare che un’analisi del ruolo delle élites (magnates, nobiles, optimates) nel testo di Richer debba necessariamente passare attraverso una decostruzione/ricostruzione del lessico con cui  l’autore caratterizza i suoi personaggi dal punto di vista istituzionale. Siamo certamente di fronte a un lessico consolidato per quanto riguarda la gerarchia ecclesiastica e per le sue articolazioni territoriali, a partire da una riconosciuta centralità del vescovo di Roma (apostolicus, papa, domnus papa). Non ci si faccia trarre in inganno da [IV.89}: anche quando (per ovvia ispirazione di Gerbert), si tenta di limitare il potere discrezionale del papa, il riferimento è sempre un’autorità superiore (i canoni, i decreti dei Padri), non l’autonomia locale. E non a caso (ma questo ovviamente Richer non può dircelo) Gerbert, nei panni di Silvestro II, confermerà definitivamente Arnolfo nella sede di Reims, ratificando l’operato dei propri predecessori (e smentendo se stesso).

La Chiesa si articola territorialmente in province (provinciae), affidate agli arcivescovi (archiepiscopus, metropolitanus, praesul, pontifex, sacerdos: si notino gli slittamenti di significato!), e ripartite a loro volta in diocesi (diocesis, episcopium) rette dai vescovi (episcopus). Figure minori e subalterne (presbyter, clericus, archidiaconus, diaconus) compaiono solo incidentalmente nelle Historiae, con l’eccezione dello scholasticus, un personaggio che nella narrazione di Richer acquista un rilievo del tutto particolare. Un discorso a parte merita l’organizzazione del sistema monastico: in ogni monastero (abbatia, coenobium, monasterium) a capo dei monachi si trova sempre un abbas, personaggio non privo di potere e di prestigio. I canonici, associati ai capitoli (collegia) delle cattedrali, seguivano invece una regola differente, e per certi aspetti più permissiva.

Di fronte a questo scenario strutturato e consolidato (e largamente mutuato dall’organizzazione imperiale romana, con la quale si pone in sostanziale continuità), la situazione delle gerarchie civili ci appare invece infinitamente più confusa e magmatica, sia nella definizione delle gerarchie che, soprattutto, nel loro impatto sui territori. Se i concetti astratti di imperium e regnum risultano sufficientemente consolidati, non altrettanto si può dire del loro ambito di applicabilità.  Esiste una giurisdizione dell’imperator Augustus sul territorio della Gallia? Certamente no, secondo il re di Francia, ma non conosciamo il punto di vista dell’imperatore, anche se numerosi episodi delle Historiae ci fanno sospettare che potesse essere parecchio differente. Ma c’è perfino un’inversione di ruoli quando Richer attribuisce a Carlo III la potestà (mai realmente posseduta, in verità) di designare come propria emanazione l’autorità politica in Germania, nella persona di Enrico I.

La situazione è abbastanza confusa anche al livello delle formulae: Richer passa in corso d’opera dal regnum Francorum al regnum Franciae, con uno spostamento semantico (e geografico) che a noi appare sostanziale, ma in relazione al quale non siamo onestamente in grado di apprezzare il grado di consapevolezza dell’autore né tantomeno l’impatto sui suoi contemporanei. A capo delle grandi unità territoriali (ed etniche) troviamo spesso un dux (che traduciamo “duca” consapevoli della nostra leggerezza), che può talvolta essere rimpiazzato da un princeps, mentre il vocabolo marchio è curiosamente del tutto assente dalle Historiae, forse soltanto perché di etimo germanico, e quindi avvertito come barbarismo dal classicheggiante Richer. Ma il territorio è politicamente e amministrativamente frantumato, le sue articolazioni minori (pagi) dovrebbero avere di norma a capo un comes, ma da un lato ciò non sempre avviene, dall’altro non è affatto chiaro nelle Historiae come si eserciti concretamente il potere del conte: sembrerebbe cruciale il controllo delle fortificazioni (castra, oppida), spesso poi affidate a personaggi di rango inferiore (praesides), peraltro straordinariamente inclini al tradimento, almeno a giudicare dalla narrazione di Richer. Cruciale anche, ovviamente, risulta il controllo delle città, dove però il potere del conte (quando presente) coesiste con quello del vescovo (coadiuvato da vicedomini), spesso in apparenza assai più rilevante. Potere civile, religioso e militare si intrecciano, si confondono, spesso si contrappongono: è un confronto senza vinti né vincitori, almeno su base permanente, ed è un confronto nel quale nessuno dei protagonisti si staglia in modo particolare né per preclare virtù personali né come incarnazione di un Weltgeist difficilmente identificabile, e non soltanto per i contemporanei. Non torneremo qui nuovamente sul tema della scarsa indulgenza dimostrata da Richer verso la maggior parte dei suoi personaggi, se non per rilevare che le uniche figure veramente senza ombre sono quelle di Adalbéron e di Gerbert, un fatto che tenderebbe a suffragare l’ipotesi, difficilmente dimostrabile ma non del tutto peregrina, avanzata da Glenn[4], secondo il quale Richer avrebbe incorporato nella sua opera frammenti delle Gesta Adalberonis [III.22-42] e di una Vita Gerberti [III.43-65], di natura più strettamente agiografica, da lui composte in precedenza. E non v’è dubbio che queste parti vivono di vita quasi propria, sia per la forma e il linguaggio che per il contenuto, e ciò non pare dovuto soltanto alla conclusione in [III.21] del faticoso rapporto di Richer con il testo di Flodoard, al quale il nostro autore si era agganciato fin da [1.41].

 


 TAVOLE GENEALOGICHE

 

Queste tavole genealogiche sono state predisposte esclusivamente al fine di permettere un facile riconoscimento dei rapporti di parentela, diretta e acquisita, intercorrenti tra i personaggi citati nelle Historiae. Sono pertanto inclusi nelle tavole (con pochissime eccezioni) solo i personaggi direttamente o indirettamente citati nel testo o comunque indispensabili al fine di stabilire i legami familiari. Nei casi controversi abbiamo cercato di adottare le soluzioni più accreditate e recenti, ma resta inteso che la prosopografia dell’età carolingia e postcarolingia è tema delicatissimo e sul quale è sempre molto facile trovare opinioni (anche autorevoli) fortemente discordanti. In un paio di casi abbiamo volutamente rinunciato a connessioni anche affascinanti ma troppo debolmente appoggiate sulla documentazione esistente.

 

Per quanto riguarda la notazione adottata, segnaliamo che l’uso del grassetto evidenzia i personaggi direttamente (anche se non sempre nominativamente) citati nel testo di Richer.

La sottolineatura indica la presenza del personaggio in almeno un’altra delle Tavole: per esigenze grafiche abbiamo evitato di indicare esplicitamente la tavola così richiamata, ma il ricorso all’indice onomastico permette di rintracciare facilemnte la connessione.

 

INDICE DELLE TAVOLE

 

  1. Carolingi: discendenti di Carlo Magno

 

  1. Carolingi: discendenti di Carlo il Calvo

 

  1. Carolingi: Eriberti (Vermandois)

 

  1. Robertingi

 

  1. Bosoni (Borgogna)

 

  1. Welf (Borgogna)

 

  1. Liudolfingi

 

  1. Reginari (Hainaut)

 

  1. Lotaringia

 

  1. Blois e Anjou

 

  1. Aquitania, Normandia, Fiandra

 

  1. Re anglosassoni

 

 

 



[1] Puntualmente commentate da E. Pognon, La vita quotidiana nell’anno Mille

[2] Rodolfo il Glabro, Storie dell’anno Mille, a cura di G. Andenna e D. Tuniz

[3] Si veda in particolare l’intervento di S. Airlie, L’historiographie des élites en Gaule, al convegno L’historiographie des élites dans le haut Moyen Âge (Marne-la-Vallée, 28-29.XI.2003)

[4] J. Glenn, op. cit.