LO SCIENZIATO E IL CONTESTO

 

Paolo Rossi 20 Aprile 2007

 

 

Non sono n uno storico della scienza n un epistemologo, per cui non mi sento autorizzato a intervenire nel dibattito interno sulle figure umane e sui risultati scientifici dei due autorevoli scienziati che sono loggetto del presente Convegno.

Ho per qualche opinione sul ruolo che ci che appare esterno alla dinamica intrinseca dellinvestigazione scientifica pu invece avere su di essa, anche perch sono stato per molto tempo coinvolto nelle problematiche relative allorganizzazione e alla gestione della ricerca, e ho quindi dovuto prestare attenzione alle relazioni che tale attivit inevitabilmente stabilisce con il contesto culturale, sociale ed economico nel quale i ricercatori sono costantemente immersi.

Mi sembra che proprio i personaggi di cui ci stiamo occupando offrano pi di uno spunto per cercare di approfondire tali relazioni, e per cercare di capire in quale misura il rapporto con il contesto pu favorire o sfavorire limpresa scientifica.

Ma prima di esaminare specificamente alcune vicende che mi sembrano rilevanti per le mie argomentazioni, vorrei brevemente introdurre il quadro di riferimento concettuale nel quale esse si collocano e senza il quale diventerebbe difficile astrarre dai casi particolari una qualsivoglia, anche minima, generalizzazione.

Cinque anni fa il libro The rise of the creative class del sociologo americano Richard Florida suscit un notevole dibattito anche al di fuori della comunit solitamente ristretta degli addetti ai lavori. La tesi di Florida, tanto controversa quanto le metodologie di analisi dei fenomeni sociali da lui adottate al fine di darne una dimostrazione, si potrebbe riassumere nelle seguenti proposizioni:

-         possibile identificare allinterno del corpo sociale un gruppo (la creative class) formato da varie categorie di lavoratori della conoscenza (inclusi tutti quelli che in Italia chiamiamo professionisti) e il cui nocciolo duro costituito dai creativi veri e propri (intellettuali, ricercatori, artisti, programmatori, addetti ai media, etc)

-         Questo gruppo sociale la principale forza che guida lo sviluppo economico nella societ post-industriale

-         Le condizioni fondamentali per la piena esplicazione delle potenzialit della creative class sono riassumibili nella formula delle 3 T: tecnologia, talento e tolleranza

Se unadesione incondizionata allanalisi di Florida pare ardua a chiunque non abbia dei processi sociali una visione troppo schematica e riduttiva, e a chi non creda in formule magiche capaci di fornire in poche battute strumenti di comprensione e soprattutto di trasformazione di realt estremamente complesse, per vero (ed ci che studi successivi hanno messo abbastanza in luce) che esiste una correlazione non banale tra la possibilit di pieno dispiegamento di un talento che potremmo per comodit definire naturale (senza qui addentrarci in numerose altre vexatae quaestiones sulle origini, le forme e la misura dellintelligenza) e la compresenza, nel contesto in cui al talento dato (per caso o per scelta) di operare, di adeguati supporti sia in termini di sviluppo e accessibilit delle tecnologie, sia anche di attitudine alla valorizzazione della differenza. Questo in quanto, quasi per definizione, ogni scoperta veramente originale, ogni atto di creativit, si configura, nel momento in cui viene proposto alla comunit, come una differenza rispetto al comune modo di pensare, di percepire e di sentire, e una societ che tende a rifiutare ci che appare come diverso tender inevitabilmente a respingere anche quelle diversit che costituiscono innovazione e quindi progresso. Questo, io credo, il senso profondo dellesigenza di tolleranza espressa da Florida come precondizione per lo sviluppo: non tanto una petizione di principio di natura etica o filosofica, quanto una sorta di rivisitazione del concetto popperiano di societ aperta.

 

A questo punto tutti voi, immagino, avrete gi capito il nesso tra questa mia lunga introduzione e loggetto di questo Convegno.

Non mi dilungher molto sullimportanza del ruolo svolto dalle nuove tecnologie nella determinazione delle precondizioni necessarie anche a personaggi della statura di un Galileo o di un Pacinotti affinch essi potessero pervenire ai loro straordinari risultati. Noi qui vediamo che furono essi stessi produttori attivi di nuove tecnologie, sia come preliminari che come corollari alle loro scoperte; ma non possiamo dimenticarci che entrambi si trovarono a operare nel pieno di stagioni (certamente tra loro molto differenti) di straordinario sviluppo tecnologico precedente e parallelo alle loro invenzioni. Difficile immaginare il Galileo che conosciamo senza il cannocchiale che porta il suo nome; ma il cannocchiale di Galileo non sarebbe potuto a sua volta probabilmente nascere (anche al di l dellepisodica vicenda che ne vide lorigine) senza lenorme progresso nella lavorazione delle lenti che rese possibile la realizzazione di strumenti ottici complessi senza che linevitabile propagazione dellerrore derivante dallaccoppiamento di pi lenti ne rendesse totalmente inefficace luso. E non mero pretesto dialettico lobiezione di quanti, respingendo le implicazioni filosofiche delle scoperte galileiane, ne contestarono il fondamento proprio appellandosi allinaffidabilit degli strumenti utilizzati. Del resto proprio limplausibile descrizione di Saturno data da Galileo resta a testimoniarci in modo esplicito quanto poco sicuri fossero i primi passi lungo il cammino dellosservazione strumentale dei fenomeni celesti. Ho fatto soltanto lesempio pi clamoroso, ma in realt tutta lopera di Galileo andrebbe contestualizzata nellambito dellimpetuoso sviluppo tecnologico che, quasi prodromo della rivoluzione industriale, caratterizza i primi secoli dellet moderna, dal raffinamento delle tecniche costruttive degli orologi alla costruzione di strumenti bellici di sempre pi vasta gittata. difficile comprendere Galileo senza Leonardo, cos come impossibile comprendere Leonardo senza gli ingegneri del Quattrocento.

Considerazioni in qualche modo analoghe si potrebbero estendere al caso di Pacinotti, la cui formazione, seppur mediata dai grandi maestri della scuola pisana di  Mossotti e di Felici (oltre che del padre Luigi), non pu non essere ricondotta agli straordinari sviluppi che lo studio, sia sperimentale che teorico, dellelettricit, aveva visto nella prima met dellOttocento in un contesto internazionale segnato dai nomi di Oersted, Ampre, Faraday e di molti altri.

Ma laspetto su cui vorrei attirare maggiormente, in questa sede, la vostra attenzione piuttosto quello relativo al ruolo che la tolleranza, nel senso sopra precisato, ebbe, o non ebbe, nella vicenda scientifica e umana dei personaggi di cui ci stiamo occupando.

Non voglio qui enfatizzare in alcun modo le vicende relative al processo e allabiura di Galileo, su cui sarebbe molto difficile aggiungere, dopo quasi quattro secoli di discussione, considerazioni originali. Vicende che comunque sono solo marginalmente pertinenti a unapplicazione dellanalisi di Florida a Galileo stesso (in quanto questi aveva gi fatto, e ampiamente diffuso, le proprie scoperte quando fu processato), e sarebbero semmai importanti per lanalisi sociologica di ci che avvenne nella scienza italiana dopo Galileo.

Mi interessa invece approfondire un altro tratto della vicenda scientifica di Galileo, che mi pare tra laltro anche di maggiore e concreta attualit: quello relativo ai suoi numerosi spostamenti di sede, a cominciare dalla sua partenza da Pisa per Padova nel 1592. Perch Galileo lasci Pisa? Di sicuro vi furono banali motivi economici, ovvero uno stipendio molto maggiore di quello offertogli dallAteneo pisano; ma di certo (e i suoi scritti dellepoca non lasciano dubbi in materia, a partire dal famoso capitolo Contro il portar la toga) uno degli elementi che lo spinsero alla partenza fu la terribile chiusura mentale e culturale del mondo accademico pisano, nel quale idee originali come le sue non potevano trovare non dico consenso, ma neppure un orecchio veramente capace di ascoltarle e se necessario criticarle in modo costruttivo.

A Padova Galileo trov lattenzione e lamicizia di figure come Sagredo, Pinelli, Acquapendente, Sarpi, ma soprattutto trov il clima che il contemporaneo Gualdo descrive con queste parole, che io traggo dallancora attualissima Vita di Galileo Galilei di Antonio Banfi:

Tu non potresti trovare alcunaltra accademia in cui la pace, nutrice delle muse, inviti a s senza differenza alcuna i dotti. Qui non vՏ alcuno che indiscreto spii la vita dei forestieri, ma gente dogni terra ha in Padova piena libert di vita secondo i propri costumi e insieme sicura integrit e agevolezza di studio, cos che, ritornati alla patria loro, ogni volta che rammentano la libert padovana ne sospirano.

Sul tema si potrebbero spendere molte altre parole, ma mi pare che queste poche righe bastino a chiarire il nesso che intendo stabilire tra le categorie generali introdotte da Florida e lo specifico contesto esistenziale prima ancora che scientifico in cui si svolse la pi brillante e produttiva stagione dellattivit di Galilei.

Passando, con uno iato di oltre due secoli, alle vicende di Pacinotti, mi pare che il tema della tolleranza trovi qui una declinazione affatto differente, e per molti aspetti assai vicina a vicende e situazioni che rappresentano spesso la quotidianit del nostro stesso operare.

Mi sembra che nella vicenda pacinottiana ci siano almeno due elementi molto peculiari e caratteristici, tra loro strettamente legati, e che qui richiamo soltanto per sommi capi, ma che meriterebbero pi approfondita analisi:

-         la distrazione di Pacinotti rispetto ai possibili usi industriali della propria invenzione, al punto di trascurare completamente la possibilit di proteggere lidea con un brevetto, e di raccontare a Gramme il funzionamento della propria macchina nei pi minuti dettagli, permettendo a questultimo di riprodurne il progetto (con correzioni peggiorative) e di ottenerne il brevetto

-         la totale assenza di un contesto socio-economico pisano capace di far germogliare lidea di Pacinotti e tradurla in impresa produttrice di concreta innovazione, di ricchezza e di crescita

Il secondo punto in particolare un evento non certo unico e non certo isolato nella storia e nel contesto locale: carit di patria impone di non recitare per lennesima volta il lungo elenco delle occasioni mancate.

Voglio concludere invece con una nota positiva: trovo potenzialmente vincente lidea di valorizzare sinergicamente, individuando uno spazio operativo ed espositivo comune, che dovrebbe diventare la Cittadella Galileiana della Scienza e della Tecnologia, sia la gloriosa storia scientifica e culturale del nostro Ateneo che le sue attuali capacit di produrre innovazione e di tradurla rapidamente in iniziativa economica e industriale. Se questo progetto decoller vedremo, forse per la prima volta, scienziati e contesto trovare un vero e fertile punto dincontro nel nostro territorio.