PER UN’ANAGRAFE STORICA DEGLI ITALIANI

(Paolo Rossi – 21 Marzo 2004)

 

 

La costruzione di identità collettive è uno dei compiti più ambiziosi che si possano proporre alla cultura del nostro tempo. In tale contesto un ruolo fondamentale può essere giocato dalle discipline storico-sociali, in particolare se esse saranno capaci di accettare la sfida del confronto con altri ambiti culturali, tra i quali risulta naturale menzionare le scienze della comunicazione e, per altro verso, quelle dell’informazione, ma potrebbero figurare anche, con motivazioni sicuramente meno ovvie ma in misura forse non meno rilevante, le scienze della genetica e della meccanica statistica.

 

Per qualificare il contenuto di queste affermazioni occorre rifarsi in primo luogo a considerazioni di carattere generale sulla possibile rilevanza dell’applicazione di discipline e metodologie di tipo formalizzato a problematiche specifiche al contesto delle discipline storico-sociali.

 

Lungi dal coltivare una qualsiasi illusione di tipo vetero-positivistico (o forse più correttamente: fantascientifico) sulla possibilità di trasformare le scienze storiche, o anche soltanto una parte di esse, in sistemi formalizzati a carattere  ipotetico-deduttivo, non possiamo tuttavia ignorare il ruolo che, anche nell’epistemologia di tali discipline, può (potrebbe) giocare la capacità di costruire modelli dinamici il cui studio evolutivo sia in grado di gettare luce, in termini di valutazione probabilistica di attendibilità o inattendibilità delle diagnosi relative ai processi studiati, sulla effettiva meccanica dei processi stessi considerati nel loro concreto divenire storico.

 

E ciò potrebbe valere non soltanto ed esclusivamente per quei processi di tipo “naturalmente” quantitativo, come i fatti economici o demografici, nei quali già da molto tempo l’utilità di un’analisi per modelli è un dato metodologico acquisito, ma anche probabilmente per temi e problematiche di tipo “antropologico-culturale” che sono finora in larga misura sfuggiti a questo tipo di indagine, malgrado gli espliciti sforzi in tal senso degli stessi “padri fondatori”.

A controprova non sarà in questa sede fuor di proposito richiamare (più ancora  che il Levi-Strauss delle Structures) l’esperienza del Queneau dell’Histoire modèle, una proposta per molti versi ellittica rispetto al mainstream della ricerca accademica, ma di certo non priva di stimoli per i cognoscentes più avvertiti (e abbiamo qui in mente le profonde e convinte considerazioni di R.Romano nella sua introduzione-recensione).

 

Più in generale purtroppo l’immaturità degli strumenti di analisi e/o una certa leggerezza nel loro impiego, per non parlare della quasi sempre irresistibile tentazione verso le generalizzazioni improprie, non hanno di certo giovato al diffondersi di una sana pratica induttivo-sperimentale, oseremmo dire “galileiana” che avrebbe potuto, se accompagnata da ragionevole successo, far breccia nello spesso strato delle (non immotivate) ataviche diffidenze.

 

Ma venendo al contenuto concreto della nostra proposta forse appariranno più chiari anche lo spirito che la informa e l’ambizione scientifica che la motiva.

 

In estrema sintesi ciò che qui si propone è la messa in cantiere di un progetto volto alla  creazione di un database strutturato e completamente accessibile via web, contenente le schede anagrafiche (con i corrispondenti e necessari links ipertestuali) relative a tutte le persone, comunque documentate, classificabili come “italiane” (nel senso più lato del termine) e vissute nei secoli dal VI all’ XI inclusi (almeno in prima istanza, e senza pregiudizio di possibili estensioni cronologiche).

 

 

Un progetto di tale natura richiede necessariamente una giustificazione culturale, una descrizione tecnica dettagliata, un piano di fattibilità e, non ultima, una stima delle possibili “applicazioni”, intendendo con questa parola una valutazione dell’ampiezza e del tipo di ricadute aspettate da un’impresa che, per quanto ragionevolmente realizzabile con uno sforzo non illimitato, dovrebbe in ogni caso garantire un “ritorno” proporzionale al (comunque non trascurabile) impegno richiesto.

 

Per ciò che concerne la giustificazione culturale occorrerà distinguere due differenti piani, che si potrebbero qualificare come “essoterico” ed “esoterico”. E’ al primo che si è fatto riferimento fin dall’introduzione con il richiamo al tema della costruzione dell’identità. Un’identità “italiana” che voglia contestualizzarsi in una più ampia identità “europea” non può e non deve prescindere dall’identificazione delle proprie radici anche “fisiche” oltre che “culturali”, e soprattutto dei meccanismi che hanno portato al costituirsi e all’evolversi delle differenti articolazioni del corpo sociale: non soltanto quindi le (pur determinanti) dinamiche delle elites dirigenti, ma anche, per quanto tracciabili qualitativamente e quantitativamente, quelle delle altre classi e ceti, con un’attenzione non episodica ma sistematica ai processi di scomposizione e ricomposizione dei gruppi sociali e mantenendo un confronto serrato, sincronico e diacronico, con gli analoghi processi in atto nel contesto europeo. Capire le (importanti) somiglianze e le (non trascurabili) differenze è una delle chiavi per un’integrazione non neutra e non forzosa nella quale le prime svolgano un ruolo di catalisi mentre le seconde, in una logica di cross-fertilization, ne valorizzino i possibili esiti.

 

Sul piano “esoterico”, quello che forse appare più affascinante allo studioso professionale, vale la pena di richiamare la notevole evoluzione che ha segnato il cammino della più recente prosopografia. Uscita dalle secche di una ricerca troppo spesso condizionata da modelli “araldico-genealogici”, questa scienza si è trasformata, a partire da precursori come Tellenbach, in uno sraordinario (e non meramente ausiliario) strumento di comprensione di dinamiche storiche: si pensi ai contributi di uno Hlawitschka, di un Werner, di un Riché, solo per menzionare i primi nomi che vengono alla mente, oppure, tra i più recenti, si pensi alle ricerche, notevolissime per documentazione, per latitudine e -perché no?- per (dichiarata) vocazione speculativa di un Settipani.

 

 L’Italia è presente, e presente con contributi ragguardevoli come quelli contenuti negli Atti dei convegni toscani sui ceti dirigenti (per non parlare dei seminali lavori di Violante), ma il grande sforzo collettivo già fin qui effettuato non è ancora maturato alle dimensioni di un progetto che, in termini di immagine e di effettiva ed estesa fruibilità,  acquisti quella dimensione “essoterica” che lo qualificherebbe come una grande produzione culturale anche agli occhi dei “non addetti ai lavori”.

 

Il fatto che in Inghilterra possa esistere una “Unit for Prosopographical Research”, di pura matrice accademica, ma capace di pubblicare (e vendere on-line, absit iniuria verbis) volumi di ricerca a un pubblico decisamente più ampio di quello degli appartenenti a un nostro “settore scientifico-disciplinare” non è soltanto la conseguenza di una differente cultura e di una diversa tradizione: alle spalle c’è anche una scelta di comunicazione che non ignora l’esistenza di non irrilevanti settori di popolazione “acculturata”, che sono presenti anche nel nostro Paese e per i quali l’estraneità alla cultura accademica non è oggi una scelta ma una condanna, scritta e portata a  esecuzione dagli esponenti stessi di quella cultura.

 

 

 

 

 

 

La descrizione tecnica della proposta non può che essere in questa fase del tutto preliminare. La limitazione cronologica è innanzitutto una questione di fattibilità: un progetto che pretendesse di estendersi oggi, “a freddo” e senza nessuna certezza di risorse umane e materiali, fino a includere anche soltanto il XII secolo si scontrerebbe immediatamente con un fenomeno di crescita esponenziale della documentazione tale da far ritenere quasi completamente implausibile il conseguimento di un risultato di qualità scientificamente accettabile. Viceversa la buona riuscita di un “esperimento” volutamente limitato potrebbe far crescere sostanzialmente la credibilità del progetto e catalizzare un successivo e più “corale” impegno per la sua estensione.

 

Più banale la giustificazione del terminus non ante quem: la cesura documentaria, linguistica e finanche onomastica rappresentata dal VI secolo induce, anche al di fuori di ogni parametrazione événementelle, una scelta pressoché obbligata a chi intenda proporsi comunque un limite.

 

Le schede anagrafiche dovrebbero contenere, oltre al nome con le eventuali varianti documentate, ogni riferimento cronologico significativo (nascita, matrimoni, morte, contratti, acquisizione di beni e cariche) e ogni legame di parentela diretta (ascendenti e discendenti di primo grado, coniugi).

A ciascun legame di parentela dovrebbe necessariamente corrispondere un link alla relativa scheda anagrafica, con l’ovvia limitazione al primo parente “non italiano”, quando esistente.

A ciascun riferimento documentale potrebbe poi associarsi, in una versione estesa del progetto, un ulteriore link che rimandi a un database documentario, acquisito in modo “immagine”, e che di per sé rappresenterebbe un notevole contributo alla “trasparenza” culturale, col rendere accessibile sul web anche a chi non ha la capacità e/o la possibilità materiale di frequentare gli archivi una porzione non totalmente irrilevante delle “fonti” per la storia nazionale.

La facile critica nel merito della scarsa fruibilità per i “non addetti ai lavori” di tali fonti, anche se trasformate in pagine elettroniche, dovrebbe trovare un’altrettanto facile risposta nella constatazione che l’aumento delle opportunità ha sempre e in ogni campo indotto un parallelo aumento dell’interesse e delle competenze.

 

La produzione delle schede potrebbe essere il risultato di una collaborazione diffusa, i cui esiti dovrebbero comunque essere controllati da un “comitato di redazione” in grado di assumersi, per competenza e per scelta personale, la responsabilità scientifica del materiale ufficialmente immesso nel network, restando ovviamente indicata in ciascuna scheda l’origine e il merito del contributo.

In tal senso ogni scheda potrebbe acquisire la valenza di una micro-pubblicazione scientifica (anche per incentivare la partecipazione al progetto di giovani e meno giovani ricercatori con legittime preoccupazioni sulla spendibilità accademica del proprio lavoro).

 

Quest’ultima osservazione si lega immediatamente al tema della fattibilità del progetto. E’ chiaro che una precondizione ineludibile è la creazione di un team, il cui “statuto” può essere anche estremamente flessibile, ma che deve di necessità includere le competenze storiche, paleografiche e informatiche necessarie, e che deve avere la capacità di proporsi, per esempio attraverso una ben strutturata proposta di P.R.I.N., come interlocutore “istituzionale” di tutti i potenziali collaboratori ma anche come gestore e garante nei confronti dei possibili finanziatori (in primis ovviamente il MIUR e l’Ateneo).

Nell’ambito della proposta sarebbe immaginabile prevedere l’istituzione di almeno un contratto di ricerca, totalmente finalizzato al progetto, per un giovane studioso dotato di alcune competenze trasversali e quindi capace di assumersi anche un non banale compito di “segreteria scientifica”.

Le risorse informatiche necessarie non appaiono più al giorno d’oggi gigantesche, ma richiedono comunque un investimento iniziale e l’opportuna manutenzione. Il “prodotto” finale, oltre ad essere accessibile in rete, potrebbe poi anche essere convertito in formati trasportabili (CD) e cedibili a soggetti interessati. Una più precisa valutazione degli oneri finanziari iniziali stimati è chiaramente uno dei primi compiti che un nucleo iniziale di proponenti dovrebbe assumersi.

 

Per concludere, due parole sulle possibili “ricadute”, al di là di quanto già implicitamente contenuto nelle considerazioni precedenti. La creazione di un  “luogo” virtuale in cui studiosi e “dilettanti” possano ritrovare facilmente, e con garanzie di serietà scientifica, informazioni di altrimenti non banale reperibilità, è operazione che, al di là dei suoi pregi culturali, rappresenta in genere un forte elemento di promozione dell’immagine, individuale e collettiva, di chi se ne assume l’onere ma ovviamente anche il merito.

Ma c’è qualcosa di più che deve in questo caso specifico essere sottolineato: la creazione di una base di dati di questo genere permetterebbe l’applicazione di tecniche di analisi quantitativa e di simulazione numerica a processi storici reali riferiti a epoche per le quali l’ordinaria analisi numerica delle scienze economico-statistiche si rivela inadeguata, mentre le tecniche più avanzate proprie della teoria statistica dei campi, che già hanno indicato la propria applicabilità in un terreno per molti aspetti affine qual è quello della genetica delle popolazioni, potrebbero trovare al tempo stesso una motivazione all’applicazione e un test ground per la verifica.

E’ questo ambizioso obiettivo, già in qualche modo anticipato nella premessa, a  costituire almeno per alcuni una forte motivazione per l’avvio un progetto di tale complessità organizzativa, ancorché gli esiti in questa direzione possano apparire oggi inevitabilmente incerti, il che è comunque vero per ogni iniziativa scientifica a carattere innovativo.