COMPATIBITA’ DELLE SCELTE DIDATTICHE CON LE INDICAZIONI
NAZIONALI
Per valutare gli effetti dell’applicazione della riforma non
si puo’ prescindere dalla considerazione delle compatibilita’ strutturali delle
scelte didattiche.
Tali compatibilita’ devono essere necessariamente valutate
anche in relazione ai meccanismi con cui le scelte effettuate possono essere o
non essere sostenute dai finanziamenti pubblici in sede di ripartizione
ministeriale delle risorse, e particolarmente in sede di attribuzione del
F.F.O.
A
tale proposito non si puo’ non tener conto del D.M. 28 luglio 2004
“Approvazione Nuovo Modello di Valutazione Sistema Universitario”, che approva e fa proprio il documento DOC
1/04 predisposto dal CNVSU.
Senza entrare nei dettagli tecnici, le linee guida del nuovo
modello sono le seguenti:
-
30%
dei finanziamenti per la domanda da soddisfare (studenti iscritti
opportunamente pesati)
-
30%
per i risultati dei processi formativi (crediti acquisiti per anno)
-
30%
per i risultati delle attivita’ di ricerca scientifica
-
10%
per incentivi specifici
Ai fini della discussione presente sono rilevanti le prime
due voci. La seconda dal punto di vista tecnico si spiega da sola, ma indica
chiaramente, oltre all’ovvia necessita’ di agganciare il piu’ possibile i tempi
reali di studio a quelli ufficiali (confinamento del carico didattico, prove in
itinere, tutorato, incentivazione anche in termini di voti finali alla
rapidita’ negli studi) anche l’opportunita’ un intervento urgente sul sistema
di registrazione degli esami sostenuti perche’ in futuro i ritardi attuali
potrebbero ripercuotersi gravemente non soltanto sul buon funzionamento interno
ma anche sulla nostra capacita’ di ricevere finanziamenti.
La prima voce e’ invece quella sulla quale il meccanismo proposto
dal CNVSU agisce in un modo nettamente
innovativo, che richiede una piu’ compiuta esposizione e riflessione.
Vengono individuati valori ottimali di numerosita’ per il
numero annuale degli iscritti ai corsi di laurea, secondo la classe di
appartenenza e con una ripartizione in quattro gruppi principali di una decina
di classi l’uno, con valori ottimali di 200, 150, 100 e 50 studenti per corso,
e rispettivi pesi indicativamente pari a 1, 1,5, 2,5 e 4,5. Per essere
espliciti, appartengono al primo gruppo i corsi delle facolta’ di Giurisprudenza, Scienze Politiche,
Comunicazione e CMT. Del secondo gruppo fanno parte Economia, Lingue e i
settori L di Lettere. Nel terzo gruppo stanno i settori M di Lettere, Ingegneria,
Farmacia, Biologia e Informatica. Infine nel quarto gruppo stanno Agraria, il
resto di Scienze, Veterinaria e Medicina. Questi valori sono legati alle
differenti modalita’ di erogazione della didattica nelle varie classi
(esistenza di esercitazioni e laboratori, etc.), hanno corrispettivi simili a
livello europeo e comunque sono stati assunti come valori di riferimento dal
MIUR.
Questo schema porta quasi univocamente a una determinazione
del numero di corsi ottimalmente attivabili in ciascuna classe e facolta’. La
focalizzazione e’ sui corsi di laurea, nell’ipotesi che i corsi di laurea
specialistica abbiano un numero di iscritti proporzionale a quello dei
rispettivi corsi di laurea (con le dovute eccezioni da trattare a parte, come
le lauree SAN) e che in media ciascun docente ripartisca equamente il suo
carico didattico sui due livelli.
Sulla base dei dati relativi alle immatricolazioni del
2003/4 e di quest’anno si ricava per il nostro Ateneo un numero di corsi di
primo livello attivabili complessivamente pari a 72 (inclusi i corsi SAN con peso
0,5) che corrisponde quasi puntualmente al numero reale di corsi attivati.
Questo risultato virtuoso non e’ pero’ rispecchiato
altrettanto puntualmente nel dettaglio delle singole facolta’ (che pero’ non
eccedono mai per piu’ di un corso), e di certo non emerge dall’analisi fatta
classe per classe, che mostra con chiarezza almeno 5/6 casi di “eccesso di
offerta didattica” in classi in cui il numero degli iscritti non giustifica la
moltiplicazione dei corsi di studio.
Sono state ovviamente prodotte motivazioni culturali per
queste scelte, ma se si tiene conto dell’oggettiva difficolta’ di differenziare
sostanzialmente la formazione rispettando i vincoli di una data classe e nel
breve arco di un triennio, almeno in taluni casi sarebbe opportuno un ripensamento
e una ricompattazione, con ovvi vantaggi logistici vista l’esiguita’ delle
risorse docenti e l’improbabilita’ di una loro rapida crescita.
Dall’unione di queste considerazioni con il concetto gia’
introdotto dal CNVSU e dal MIUR di “requisiti minimi” (il cui rispetto e’
anch’esso rilevante ai fini dell’attribuzione dei finanziamenti) e’ possibile
costruire un algoritmo per la stima del fabbisogno docente ripartito anch’esso
per aree e facolta’.
Se si assume che annualmente in media ogni docente eroghi 6
CFU in un corso di laurea e altrettanti in una laurea specialistica si trova un
fabbisogno pari all’incirca a 30 docenti per corso di laurea attivabile (nel
senso di cui sopra). In realta’, tenendo conto dei crediti liberi, della
percentuale di tempo di insegnamento per credito che non e’ la stessa in tutte
le classi, e dei laboratori obbligatori si trova che il numero di docenti per
corso varia nelle classi da un minimo di 25 a un massimo di 32, con media 28,5.
A questi numeri corrisponderebbero all’incirca 2000 docenti
nell’Ateneo, che pero’ e’ una quantita’ economicamente insostenibile data
l’attuale distribuzione della docenza per eta’ e per fascia. Abbiamo di fronte
come possibili alternative o lo svecchiamento del corpo docente, ovviamente con
nuove assunzioni nelle fasce piu’ basse al posto dei pensionamenti nelle fasce
alte, oppure una riduzione significativa del numero dei docenti e quindi dei
corsi.
(intervento di P.Rossi alla riunione del Corpo Accademico
del 15.10.2004)