[PROLOGO]

 

Al signore e beatissimo padre Gerbert[1], arcivescovo di Reims, il monaco Richer.

Padre santissimo Gerbert, l’autorità del tuo comando diede origine all’intenzione di trascrivere in un volume gli scontri dei Galli. Poiché questa cosa presenta una grandissima utilità e la materia del soggetto si offre molteplice, perciò abbraccio con slancio dell’animo questa impresa, alla quale sono attratto dalla mirabile benevolenza di chi mi sollecita. Ho pensato che l’inizio di questo lavoro dovesse essere preso vicino nel tempo, poiché Hincmar[2] di venerabile memoria, ottavo[3] prima di te nel pontificato, incluse assai abbondantemente nei propri annali[4] i fatti accaduti molto tempo fa. E il lettore li troverà tanto più antichi quanto più, tramite la narrazione di costui, si allontanerà dall’inizio del nostro opuscolo. E dico questo affinché la frequente ripetizione di Carli e di altri in entrambe le opere non turbi l’ordine dell’una e dell’altra opera. Infatti dove l’ordine dei fatti non viene osservato, l’errore tanto confonde ciò che è chiaro quanto allontana l’errante dall’ordinata sequenza. Per cui dal momento che qui e là spesso si presentano riferimenti a Carlo[5] e a Ludovico[6], il lettore prudente distinguerà i sovrani omonimi sulla base dell’epoca degli autori. Ci si è proposti specialmente di riportare alla memoria con lo scritto le guerre frequentemente condotte dai Galli ai tempi di costoro e i loro vari disordini e le diverse condizioni degli affari. Se poi saranno riferite alcune cose di altri, si pensi che ciò sia avvenuto per ragioni contingenti che non poterono essere evitate. Ma se sarò accusato di ignoranza a proposito di un’antichità sconosciuta, non nego di aver preso qualcosa da un certo libretto di Flodoard[7], prete di Reims, ma in verità l’opera stessa dimostra in modo del tutto evidente che ho disposto non le stesse parole, bensì alcune al posto di altre, in uno schema di discorso di gran lunga differente.[8] E ritengo che il lettore dovrebbe restare soddisfatto se avrò esposto ogni cosa in modo plausibile ma anche chiaramente e brevemente. In effetti, rifiutandomi di effondermi nel discorso, esporrò molte cose in modo succinto. E affronterò effettivamente l’esordio della narrazione dopo aver brevemente descritto la divisione del mondo e distinto la Gallia in parti, in quanto ci si è proposti di descrivere i costumi e le azioni dei suoi popoli.

 

FINE DEL PROLOGO

 

LIBRO I

 

[1.] DIVISIONE DEL MONDO.

Dunque la parte del mondo, che si presenta adatta ai mortali, è ritenuta dai cosmografi[9] esser divisa in tre parti, e cioè in Asia, Africa ed Europa. Di queste la prima, da settentrione attraverso la regione dell’oriente fino al meridione, limitata esternamente dall’oceano, internamente è divisa dall’Europa fino all’ombelico del mondo[10] dai monti Rifei[11], dal Tanai, dalla Meotide[12] e dal Mediterraneo. Dall’ombelico poi fino al meridione è separata dall’Africa dal fiume Nilo[13]. Il Mediterraneo interposto separa poi l’Africa e l’Europa, esteriormente circondate dall’oceano dal meridione al settentrione. Internamente invece, come si è detto, separano dall’Asia l’una di loro il Nilo, l’altra il Mediterraneo, il Tanai e la Meotide. Pur avendo ciascuna di queste le sue proprie ripartizioni, tuttavia stimai, avendoci pensato, di dividere nelle sue parti una sola parte dell’Europa, che viene chiamata Gallia per il candore[14], per il fatto che coloro che ne provengono mostrano i tratti di un tipo più bianco.

 

[2.] DISTRIBUZIONE IN PARTI DI CODESTA GALLIA.[15]

La Gallia dunque è anch’essa distinta in tre parti: Belgica, Celtica e Aquitanica. Tra queste la prima, la Belgica, si estende dal Reno[16], che a partire dall’oceano delimita la Germania, ferace di molte genti, che prese il nome dal germinare[17], fino al fiume Marna[18]. È poi cinta dall’uno e dall’altro lato: di qua dalle Alpi Pennine[19], e di là da quel mare, da cui è circondata l’isola Britannica.[20] La Celtica invece si distende nel senso della lunghezza dalla Marna alla Garonna[21]; le sue coste hanno i limiti dell’oceano Britannico e dell’isola Britannica. Ciò che si estende dalla Garonna fino ai Pirenei[22] è chiamato Aquitanica[23], confinante di qua col Rodano[24] e la Saona[25], di là col Mediterraneo.[26] E così risulta che tutto lo spazio della Gallia è cinto a oriente dal Reno, a occidente dai Pirenei[27], e a settentrione dal mare Britannico, a meridione dal Mediterraneo.

 

[3.] I COSTUMI DEI GALLI.

Dunque tutti i popoli delle Gallie si fanno molto trascinare dall’innata audacia, insofferenti di critiche. Se vengono eccitati, si esaltano nei massacri e furiosi vanno all’assalto senza pietà. Ma una volta persuasi e convinti con argomenti, difficilmente hanno l’abitudine di smentirsi. Perciò anche Girolamo[28] disse: La sola Gallia non produsse mostri, ma sempre brillò per uomini prudenti ed eloquentissimi. E oltre a ciò i Belgi sono più capaci a regolare gli affari, ma non inferiori per forza e per audacia. Si indirizzano a ogni cosa molto importante più con l’intelligenza che con la forza. E se sono abbandonati dall’ingegno nelle cose verso cui si dirigono, si servono audacemente della forza. Sono anche parchi nel cibo e nel bere. I Celti poi e gli Aquitani sono pieni di saggezza e insieme di audacia, e inclini alle sedizioni. Tuttavia i Celti si muovono più prudenti, gli Aquitani invece più precipitosi; e sono maggiormente presi dalla brama dei cibi. Ciò è così innato in loro che non bramano oltre il naturale. Per questo dice anche Sulpicio[29]: La voracità nei Greci è gola, nei Galli natura. Le storie tramandano che tutti questi popoli, anche se per natura selvaggi, fin dall’antichità quasi in ogni caso operarono felicemente, anche quando erano pagani. In seguito, battezzati da san Remigio[30], si narra che s’innalzarono molto per una vittoria sempre famosa.[31] E si tramanda che il primo loro re cristiano fosse Clodoveo[32]. Dopo costui si sa che nelle epoche successive lo stato fu governato da sovrani eccellenti fino a Carlo[33], a partire dal quale poniamo l’inizio della storia.

 

[4.] A CAUSA DELLA MINORE ETÀ DEL RE E DELLA DISCORDIA DEI PRINCIPI I PIRATI INVASERO LE GALLIE.

Costui ebbe per padre[34] il re Carlomanno, e per avo paterno Ludovico detto il Balbo, per bisnonno invece Carlo il Calvo, imperatore eccellente dei Germani e dei Galli. Ancora all’età di due anni perse il padre; la madre sopravvisse appena quattro anni.[35] A causa dell’infanzia di lui mentre i principi dei regni per eccessiva cupidigia di beni rivaleggiavano per primeggiare, ciascuno estendeva i propri possessi quanto poteva. Nessuno si curava del vantaggio del re, nessuno badava alla tutela del regno. Per ognuno la cosa più importante era acquisire i beni altrui; e pareva che non provvedesse ai propri beni chi non vi aggiungeva qualcosa d’altri. E di conseguenza la concordia generale si rivolse nella massima discordia. Da ciò divamparono saccheggi, da ciò incendi, da ciò devastazioni. Poiché queste cose avvenivano fuori da ogni misura, i pirati[36] che abitavano la provincia di Rouen[37], che è parte della Gallia Celtica, furono spinti all’eccesso. Questa gente era sortita molto tempo prima dalle isole più lontane dell’oceano settentrionale e, portata la flotta in giro per i mari, aveva raggiunto questa parte estrema delle Gallie. E spesso l’avevano assalita con le armi, spesso erano anche caduti, vinti dai principi del paese. Ai magnati della Gallia, dopo che ne ebbero molte volte discusso tra loro, parve opportuno che questa provincia fosse loro attribuita come dono dei re[38] così che in cambio, lasciata del tutto l’idolatria, si sottomettessero fedelmente alla religione cristiana e fedelmente combattessero per terra e per mare per i re delle Gallie. Si sa che il capoluogo di questa provincia è Rouen, che estende la forza del proprio dominio soltanto a sei città, cioè Bayeux, Avranches, Evreux, Sées, Coutances, Lisieux[39]. E così è noto che questa regione è posseduta dai pirati da un tempo remoto. Ma a quel tempo spinti dall’atavica ferocia tentano di muoversi contro i principi discordi. Quindi cominciano a molestare con saccheggi e incursioni la Bretagna minore, che è contigua e soggetta alla Gallia, e trovando l’opportunità della cosa, rompono del tutto l’impegno di fedeltà e avanzano ulteriormente in Gallia[40] e, disperdendosi tutt’intorno, si spargono in lungo e in largo, portando via non piccola preda di donne, di fanciulli, di bestiame e di ogni altra cosa. Si raccolgono poi con tutte queste cose lungo la Senna[41] in un luogo che è chiamato Jeufosse[42]. E avendo più volte compiuto la stessa azione, assalirono quasi tutta la parte della Gallia Celtica che giace tra i fiumi Senna e Loira[43], che è chiamata anche Neustria[44]. E questi avevano in animo di penetrare nelle parti interne delle Gallie, e di cacciare i loro abitanti fuori dal paese oppure sottometterli a pesantissimi tributi. E s’affrettavano a realizzare ciò prima che i principi fossero ricondotti a un accordo, giudicando che sicuramente, grazie a una tale discordia, avrebbero potuto portarsi via le ricchezze delle Gallie. L’attacco di costoro veniva condotto dal principe Catillo[45]. I principi, colpiti da tanta ignominia dei barbari, tentano seriamente, tramite ambasciatori, di stabilire fra se stessi una pace. E senza indugiare a lungo si riuniscono insieme, con garanzia di ostaggi, per prendere decisioni. In questa riunione, giovandosi del consiglio dei saggi, e impegnandosi alla fedeltà, ritornarono nella massima concordia, pronti ad andare a vendicarsi degli oltraggi inflitti dai barbari. E poiché Carlo aveva ancora appena tre anni[46], decidono di eleggere un re; non come traditori, ma in quanto indignati contro gli avversari.

 

[5.] LA STIRPE E LA SORTE DEL RE.

E così nell’anno 888 dall’incarnazione del Signore, ... di marzo, di giovedì[47], con deliberazione comune eleggono re Eude[48], uomo di guerra e combattivo, nella basilica di san ... Questi ebbe per padre Roberto[49], dell’ordine dei cavalieri; per avo paterno poi Witikind[50], originario della Germania. Eletto re, condusse ogni cosa con impegno e a buon fine, a parte il fatto che nello scompiglio militare ebbe raramente la possibilità di comporre le liti. Infatti per sette volte vinse i pirati in battaglia campale all’interno della Neustria e per nove volte li mise in fuga[51], e ciò nel corso di quasi cinque anni[52]. Respinti costoro, seguì una forte carestia, poiché la terra era rimasta incolta per tre anni[53]. Già infatti la misura di frumento, che presa sedici volte fa un moggio, si vendeva per dieci dramme, e un pollo per quattro dramme; una pecora poi per tre once, e una vacca si prendeva per undici once[54]. Non c’era alcun commercio di vino, poiché i vigneti erano stati ovunque tagliati, e a stento se ne trovava un po’. A quel tempo il re costruì fortificazioni nei luoghi[55] che offrivano adito ai pirati assalitori e pose in esse truppe di soldati. Egli stesso si ritirò nelle regioni dell’Aquitania[56], proponendosi di non ritornare prima che la suddetta misura di un moggio di frumento fosse venduta per due dramme, un pollo poi per un denaro, e parimenti una pecora per due dramme, e che una vacca fosse posta in vendita per tre once.

 

[6.] I PIRATI ATTACCANO E DEVASTANO LA BRETAGNA.[57]

In quel tempo mentre il re nella città di Puy[58] si occupa dello stato, i pirati respinti fuori dai confini della Neustria apprendono che egli si è ritirato nell’interno dell’Aquitania. E così si riuniscono e preparano la flotta e invadono all’improvviso la Bretagna. I Bretoni atterriti dall’improvviso assalto dei barbari si piegano a quelli, che infieriscono. A ciascuno fu sufficiente soltanto salvare la vita. Nessuno cercava il salvataggio dei propri beni. Si preoccupavano soltanto della vita. Quindi, avendo costoro abbandonato quasi tutte le proprie cose, i pirati si spingono in tutte le direzioni. Portano via ogni cosa utile e ritornano con molta preda di beni senza che nessuno faccia resistenza. Dunque esaltati da un tanto felice esito, seguendo le frontiere esterne della Bretagna verso Angers[59] invadono l’Aquitania, e spopolano il paese con grande devastazione. Portano via gli uomini le donne e i bambini. Decapitano i più anziani di loro di ambo i sessi. Riducono i fanciulli in schiavitù e prostituiscono le donne di bell’aspetto.

 

[7.] IL RE EUDE PREPARA UN ESERCITO CONTRO I PIRATI.

Ma alcuni, scampati per circostanze varie, si salvarono con la fuga. I fatti furono subito riferiti da questi, che venivano tormentati, al re Eude. Egli, mosso dalla gravità degli avvenimenti, ordinò con un editto regio che si radunassero dall’Aquitania cavalieri e fanti, quanti ne poté. Anche dalla Provenza[60], che è circondata tutt’intorno dal Rodano, dalle Alpi, dal mare e dai confini dei Goti[61], ricevette quelli di Arles e di Orange[62]. Ma anche dalla Gotia quelli di Tolosa e di Nîmes[63]. Riuniti questi, l’esercito regio era di diecimila cavalieri e seimila fanti. E così avanza mettendosi in strada verso Brioude[64], città di san Giuliano martire, e avendo venerato il santo con doni regali entra nel distretto d’Alvernia[65]. Qui erano già arrivati i nemici, e assalivano con violenta ostilità il castello che è detto Montpensier[66]. Il re, circondato dai principi dei Franchi e degli Aquitani, dopo una consultazione dall’esito incerto, pur tuttavia discuteva con loro la disposizione di combattimento, esortandoli alla battaglia e molto esaltando il loro naturale coraggio. E ricordava che essi erano più potenti delle altre genti, tanto per le forze quanto per l’audacia e le armi. E che i loro antenati avevano debellato quasi tutto il mondo e avevano schiacciato terribilmente la stessa capitale del mondo, Roma. Per cui affermava che era opportuno fosse rinnovato nei figli l’ardimento paterno, cosicché il coraggio dei padri fosse ricordato grazie al valore dei figli.

 


[8.] OFFENSIVA DEL RE EUDE CONTRO I PIRATI E QUALITÀ DELLA BATTAGLIA.

Avendoli persuasi col dire queste cose, da uomo audace e violento egli assale i barbari innalzando sedicimila insegne[67]. Ma manda avanti le truppe dei fanti e sferra contro quelli il primo attacco. Egli stesso seguendo con la cavalleria attendeva la sorte dei fanti. Peraltro anche i barbari avevano schierato l’esercito e pensavano di accogliere compatti gli avversari. Ma i fanti del re diretti contro i nemici all’inizio del combattimento lanciano frecce e, serrati i ranghi, con le lance volte in avanti, si portano contro quelli. Ricevuti dai barbari, molti periscono, tuttavia non senza la rovina degli avversari. Infatti anche di quelli alcuni furono abbattuti, moltissimi altri poi furono feriti. Poi dopo i fanti seguì anche la cavalleria del re e assalì con molto slancio le schiere dei nemici, divise dalle truppe dei fanti. Ne abbatté, come si tramanda, tredicimila, essendosene salvati pochi con la fuga. E quando già la vittoria era conquistata e si avvicinava l’ora di strappare le spoglie, quattromila[68] barbari, che insidiosamente si erano celati in luoghi nascosti, irruppero da vie traverse. Mentre questi si avvicinavano con andatura di marcia, furono riconosciuti dalle sentinelle per il riflesso delle armi, e dato il segnale l’esercito si riunì. Il re giudicando che ne arrivassero molti di più esorta le sue guardie affinché riprendano il coraggio di prima e non, al contrario, lo abbandonino, affermando che è onorevole morire per la patria ed eccellente donare i corpi alla morte per la difesa dei cristiani. E così l’esercito ricompattato, benché sofferente per le ferite del combattimento precedente, tuttavia non rinviò l’intervento.

 

[9.] INGO DI UMILE ORIGINE VA IN BATTAGLIA COME PORTINSEGNA DEL RE.

E mentre si discuteva chi avrebbe portato l’insegna del re, per il fatto che in un così gran numero di nobili nessuno appariva senza ferite, e tutti scansavano quest’impegno, balzò fuori tra tutti Ingo[69] e offrendosi per il servizio disse imperterrito: “Io di umile origine palafreniere del re, se ciò non toglie qualcosa all’onore dei grandi, porterò l’insegna del re contro le schiere dei nemici. E non temo l’ambigua sorte della guerra, poiché so che sono destinato a morire una sola volta.”

A ciò il re Eude disse: “Per nostro dono e per volontà dei principi sii portinsegna.” Ricevuta l’insegna egli avanzava circondato dall’esercito compatto; e postosi sulla punta del cuneo di soldati procede sventolando contro i nemici. I barbari sono travolti, e perdono le forze. Ma l’esercito del re ritornando di nuovo li assale e li abbatte. E avendoli assaliti per la terza volta li schiaccia quasi tutti. Poiché l’aria addensata per il loro tumulto si era molto appesantita per la polvere, Catillo[70] con pochi si sottrasse con la fuga in mezzo alla foschia e si nascose nella macchia. Mentre era nascosto fu ritrovato e catturato dai vincitori che vagabondavano in tutte le direzioni, e mentre i suoi che si erano nascosti con lui[71] furono trapassati con la spada egli dopo essere stato spogliato fu portato al re Eude.

 

[10.] BATTESIMO E UCCISIONE DEL TIRANNO.

Avendo dunque profittevolmente conseguito la vittoria, il re conduce con se a Limoges[72] il tiranno[73] catturato e là gli offrì la scelta tra la vita e la morte, promettendo la vita se si fosse fatto battezzare, altrimenti la morte. Il tiranno subito e senza obiezioni chiede di essere battezzato, ma v’è dubbio su quanta sincerità avesse. Dunque, poiché si avvicinava la festa della Pentecoste e si teneva presso il re una riunione di vescovi, dai vescovi gli viene imposto un digiuno di tre giorni.

Nel giorno stabilito poi, nella basilica di san Marziale[74] martire, compiute le cerimonie dei vescovi, dopo che fu disceso nel sacro fonte per essere accolto dal re in persona e dopo che già era stato battezzato con una tripla immersione nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, Ingo l’ex-portinsegna, estratta una spada, lo trapassa mortalmente e insanguina terribilmente, per la fuoriuscita dalla ferita, la fonte consacrata. Il re, indignato per un così orribile delitto, ordina ai principi frementi che l’omicida sia preso e trucidato. Quello fuggendo dopo aver gettato la spada si abbracciò all’altare di san Marziale, implorando indulgenza dal re e dai magnati e chiedendo con molte grida la possibilità di parlare, e per ordine del re è fatto comparire per rispondere del crimine commesso e levatosi parla così:

 

[11.] PERSUASIVO DISCORSO DI INGO AL RE E AI PRINCIPI IN PROPRIO FAVORE.

”Chiamo a testimone Dio, consapevole della mia volontà, del fatto che nulla mi fu più caro della vostra salvezza. L’amore per voi mi spinse a questo; per la vostra salvezza precipitai me stesso in queste miserie; per la vita di tutti non ebbi paura di affrontare un così grave pericolo. In verità è grave l’azione compiuta, ma più grande è il beneficio dell’azione. Non nego invero di aver leso la maestà del re, ma affermo che nel delitto sono compresi molti vantaggi. Si consideri l’intenzione dell’autore, ci si renda anche conto dell’utilità futura del delitto. Valutai che il tiranno catturato avesse chiesto il battesimo per paura e che, una volta che fosse stato mandato via, avrebbe reso la pariglia alle numerose ingiurie e avrebbe vendicato terribilmente la strage dei suoi. Poiché egli mi parve l’origine di una futura strage, piantai in lui il ferro. Questa è la causa del mio delitto, ciò mi spinse al crimine. Feci ciò per la salvezza del re e dei suoi. E voglia il cielo che dalla mia morte conseguano la libertà della patria e la tranquillità dello stato! Ma se vengo ucciso, apparirà che sono stato ucciso per la salvezza del re e dei magnati. Chiunque si chiederà se in cambio di una ricompensa di tal genere gli tocchi di essere fedele e se per aver mantenuto la fedeltà sia intitolato a una tale retribuzione. Ecco le ferite recenti del capo, del petto e dei fianchi. Sono evidenti le cicatrici dei tempi precedenti, e i lividi sono dispersi per le altre parti del corpo. Tormentato dai loro frequenti dolori, dopo tanti mali non aspetto nulla, se non la morte, la fine dei mali.” Questa lamentazione trasse alcuni alla benevolenza, mosse poi altri alle lacrime. Per cui alcuni cavalieri, agendo in suo favore, blandiscono il re e lo persuadono alla clemenza della pietà, affermando che non può essere di alcun vantaggio per il re se qualcuno dei suoi muore; anzi si deve essere contenti dell’uccisione del tiranno, o perché è donato alla vita se è morto nella fede, o perché le sue insidie sono completamente cessate se ha ricevuto il battesimo in malafede. Il re placando l’animo per questi motivi, dopo aver sepolto il barbaro, accoglie nuovamente Ingo nella propria grazia e lo sistema generosamente nel castello che è chiamato Blois[75], per il fatto che colui che aveva la custodia del castello era stato ucciso nella guerra dei pirati. Ingo si unisce anche in matrimonio per dono del re con la moglie di quello, rimasta sola. Da allora in poi, pienamente beneficiato dalla grazia del re e dei principi, conduceva ogni cosa favorevolmente e felicemente. Ma ciò fu vero per breve tempo. Infatti, poiché il marciume delle ferite, male estirpato dai chirurghi, aveva sviluppato sotto la superficie piagata un gonfiore interno, tormentato per più di un biennio dall’eccessivo reumatismo dell’umore egli giacque a letto. per cui il reuma rinchiuso si gonfiò del tutto; e così con il corpo tutto invaso dall’erisipela, abbandonò la vita, lasciando superstite il piccolo figlio Gerlone[76]. Questi, affidato dal re a un tutore, possedette insieme alla madre il patrimonio.


[12.] NOMINA DI CARLO A RE.

A quel tempo il re allontanatosi dalla città di Limoges si diresse ad Angoulême[77] e là decise tutto ciò che doveva essere definito. Non molto tempo dopo dirigendosi a Perigueux[78], risolve con grandissima equità le vertenze dei nobili che erano discusse con liti, occupandosi moltissimo delle questioni comuni di tutti[79]. Mentre era molto impegnato da queste cose e si proponeva di dimorare in quel luogo per qualche tempo, Folco[80], arcivescovo di Reims, trattava con i Belgi l’elevazione di Carlo al regno. E infatti sembrava allora che l’opportunità presente offrisse qualche vantaggio per quest’operazione, e molto convinceva di ciò l’assenza dei Neustriani. E infatti si trattenevano ancora col re nelle terre d’Aquitania.[81] Spingevano anche le molteplici lamentele dell’adolescente. Già quindicenne[82], infatti, si lamentava moltissimo della perdita del regno con gli amici e i familiari e s’impegnava con molti tentativi a rivendicare il regno paterno. Dunque tutti i principi Belgi e alquanti Celti gli erano massimamente favorevoli. E il consenso di questi viene confermato con la forza di un giuramento di fronte all’arcivescovo di Reims, e al tempo stabilito si riuniscono, dalla Belgica appunto gli arcivescovi di Colonia, di Treviri e di Magonza[83] con i loro vescovi suffraganei e gli altri o i loro inviati autorizzati, dalla Celtica[84] poi il predetto arcivescovo di Reims con alquanti suoi suffraganei, cioè quello di Laon, di Châlons e di Thérouanne[85]. Quindi nell’anno dell’incarnazione del Signore 893, il quinto giorno delle calende di febbraio, di domenica[86], riuniti a Reims[87] nella basilica di san Remigio[88] essi eleggono re Carlo quindicenne e, avendolo rivestito di porpora in città, gli consentono di promulgare editti al modo dei re. E invero dalla Celtica pochissimi seguivano il suo partito, invece dalla Belgica tutti gli erano favorevoli. Infatti, accolto da quelli devotissimamente, fu portato in giro in tutte le loro città e piazzeforti con grande cordialità.[89]

 

[13.] RITORNO DI EUDE DALL’AQUITANIA E SUA MORTE.

Il re Eude venendo a sapere ciò che era stato fatto, tornò dall’Aquitania, e dirigendosi verso la città di Tours[90] onora san Martino con doni regali. E così accolto a Parigi[91] fa doni magnifici ai santi martiri Dionigi, Rustico ed Eleuterio[92]. Infine, riattraversato il fiume Marna, entra nella Belgica e, ricevuto nella piazzaforte che è detta La Fère[93], per la troppa inquietudine cominciò a soffrire di insonnia, Quando questa crebbe troppo produceva un’alienazione mentale. Poiché gli umori eccedevano, nell’anno decimo del suo regno, come certi riportano per follia, come dicono altri per frenesia, raggiunse la fine della vita[94]. Viene poi tumulato con grande lamento dei suoi nella basilica di san Dionigi martire.

 

[14.] I COSTUMI DI CARLO.

E così Carlo, fatto re, tendeva a una grande benevolenza. Fu di corpo prestante, di ingegno buono e semplice,[95] non abbastanza abituato agli esercizi militari, ma molto erudito nelle arti liberali; generoso nel donare, niente affatto avido; notevole per due difetti, intemperante nella libidine e un po’ negligente nel dar corso ai processi. I principi della Gallia si unirono a lui di cuore e per giuramento. E anche Roberto[96], fratello del defunto re Eude, uomo intraprendente e pieno di audacia, si acconcia a porsi al servizio del re[97]. E il re lo mise a capo[98] della Celtica come duca e ve lo lasciò come responsabile di tutto ciò che si doveva fare; servendosi per quasi quattro anni[99] dei suoi consigli ed essendo con lui in grande intimità. Condotto da lui per la Neustria[100], fu da lui ricevuto nelle città e nelle piazzeforti. Dirigendosi verso la città di Tours, offre generosamente molti talenti d’oro e d’argento a san Martino. Chiedendo ai servi di quello che si dicessero per lui preghiere, le ottenne quotidiane in perpetuo. E ritornando di là dopo aver sistemato tutto, si dirige di nuovo verso la Belgica e onora san Remigio con doni straordinari. E così, affidata la Gallia Celtica a Roberto, si ritira in Sassonia[101]; andando in giro ottenne le sue città e sedi regie senza che nessuno facesse resistenza. E là mette a capo di tutti come duca Enrico[102], nobile di stirpe regia, e originario del luogo.[103] Ed ebbe come sudditi senza combattimento i Sarmati[104]. Obbligò a sé anche gli Angli[105] e i rimanenti popoli transmarini per la sua mirabile benevolenza, per dieci anni[106]. E forse sarebbe stato felicissimo in ogni cosa, se in una sola cosa non avesse sbagliato troppo.

 

[15.] ECCESSIVO AFFETTO DI CARLO PER AGANONE.[107]

Infatti pur trattando i principi con molta cortesia, tuttavia aveva un particolare affetto per Aganone[108], che aveva sollevato dalle sue umili origini rendendolo potente, a un punto tale per cui mentre tutti i magnati in sua presenza stavano lontani, egli soltanto stava attaccato al fianco del re, e spessissimo pubblicamente si metteva il berretto avendolo tolto dal capo del re. Anche questa cosa portò molto disonore al re. E in effetti i grandi trovando ciò indegno si recano dal re e si lamentano alquanto con lui che un uomo nato da oscuri genitori possa molto togliere alla dignità del re, assistendo il re come un consigliere come se ci fosse scarsità di nobili, e, se il re non si distaccherà da una così grave abitudine, essi se ne andranno del tutto dal consiglio reale. Il re non dando il minimo credito a questi discorsi dissuasivi, non si allontana dal favorito.


[16.] IRRITAZIONE DI ROBERTO VERSO AGANONE.[109]

A quel tempo, avendo saldissimamente in possesso le città e le piazzeforti della Belgica[110], ritorna in Celtica[111] e si ritira nella città di Soissons[112]. Qui da tutta la Gallia convergono i principi; qui convengono con molto entusiasmo anche gli umili. Mentre Roberto riteneva di essere tra tutti quello considerato con maggior favore dal re, in quanto questi lo aveva messo a capo di tutti come duca nella Celtica, quando il re sedette a palazzo, per suo ordine il duca sedette a destra, e Aganone a pari livello alla sua sinistra. Il duca Roberto sopportava in silenzio che l’indegno, persona di origini mediocri[113], fosse reso pari a lui, e messo avanti ai grandi. Ma, trattenendo l’ira, nascondeva i suoi sentimenti, parlando poco e a stento al re. Dunque si alza rapidamente e si riunisce con i suoi. Tenuta questa riunione, manda a dire al re tramite inviati che non può sopportare che Aganone sia reso uguale a lui e anteposto ai grandi; e appare anche indecoroso che un uomo di tal fatta stia vicino al re e i più nobili tra i Galli se se stiano a distanza; e se non rigetterà costui in una condizione umile, egli stesso lo soffocherà con spietata impiccagione. Il re non sopportando l’ignominia del favorito risponde che potrebbe più facilmente fare a meno del colloquio di tutti che non della familiarità di costui. Roberto, troppo indignato per questo, senza attendere ordini si reca in Neustria con la maggioranza dei grandi e si ritira a Tours, avendo grande indignazione per la leggerezza del re e ragionando cautamente in vario modo con i suoi al fine che il potere venga trasferito a lui. E infatti sebbene egli fosse favorevole al re tuttavia gli invidiava non poco il regno, in quanto gli pareva cosa migliore succedere egli stesso al fratello.[114] E faceva anche qualche piano contro Folco[115] arcivescovo di Reims, il quale aveva allevato il re fin dalla culla e lo aveva elevato al regno. E infatti pareva che, se questi soltanto fosse morto, egli avrebbe potuto più facilmente far tornare a sé il regno. Discuteva parecchio questa cosa anche con Baldovino[116] principe delle Fiandre[117]. Questi infatti, persuaso da lui, seguiva già il suo partito, avendo abbandonato il re.

 

[17.] UCCISIONE DELL’ARCIVESCOVO FOLCO.[118]

Il re, giunto a conoscenza di ciò, si porta contro Baldovino e con molte forze d’assedio gli toglie[119] il castello di Arras[120] e lo dona con tutta l’abbazia di Saint-Vaast[121] al suddetto arcivescovo Folco. Ma dopo qualche tempo l’arcivescovo per la lunghezza del viaggio e il disagio dei frati, chiamato il conte Altmaro[122] e, fatte entrambi le proprie valutazioni, ne riceve l’abbazia di Saint-Medard[123] che lo stesso conte possedeva e in cambio gli concede l’abbazia di Saint-Vaast col castello di Arras. Per cui Baldovino si lascia trascinare a un eccesso di crudeltà e preso da grande frenesia si convince completamente alla vendetta.[124] Simula quindi amicizia verso l’arcivescovo, e tramite inviati comunica la propria grande affezione e promette fedeltà. Ma fa osservare con grande attenzione dai suoi, se mai egli abbia l’abitudine di recarsi al palazzo da solo o in compagnia di truppe regie, desiderando attaccarlo con grande forza mentre è solo. Mentre questi fatti avvenivano, accade che i vescovi della Belgica si riuniscano presso il re per gli affari reali. Per cui anche l’arcivescovo, essendo stato convocato e, premurandosi di accelerare il viaggio, si affrettava con pochi senza precauzioni. Subito gli si avvicinò un certo Guinemaro[125], inviato da Baldovino con un contingente. L’arcivescovo, essendo con pochi uomini, fu catturato insieme ai suoi dalle truppe. Non si vide alcuna possibilità di fuga. Tutti vengono circondati e assaliti. Da ambo i lati combattono intensamente, da ambo i lati cadono colpiti. Guinemaro, assalito l’arcivescovo, lo trafigge inerme con la lancia e lo fa cadere tra i suoi ferito da sette ferite. Mentre ancora dirigeva i colpi su di lui, spinti dal grande amore per il vescovo alcuni dei suoi si gettano su di lui. Questi vengono subito trafitti e uccisi insieme a lui[126]. Soltanto quattro si salvano con la fuga[127] e rendono noto a Reims l’accaduto. Allora poi un grande manipolo di soldati, subito condotto in armi dalla città, cerca di inseguire i nemici; ma poiché questi erano sfuggiti raccolgono il signore ucciso con i suoi e lo riportano a Reims con molti lamenti di dolore, seppellendo il sacerdote tra i sacerdoti con grandissimo rispetto per la sua dignità.

 

[18.] MORTE DI GUINEMARO.[128]

Frattanto, mentre i vescovi sono riuniti[129] presso il re, vengono subito riferiti tali avvenimenti. E ciò suscitò enorme dolore nell’animo di tutti. Il re stesso, sciolto in lacrime, si doleva particolarmente della morte del prelato[130]. Anche i vescovi e i suffraganei si dolsero con molta commiserazione per la morte del confratello e, iniziato il consiglio, condannano con orribile anatema[131] Guinemaro con i suoi complici. Questi dopo poco, ammalatosi, fu colpito da Dio con l’incurabile morbo dell’idropisia. E così, con il ventre gonfio, bruciava esternamente di un fuoco lento, internamente poi per un immane incendio. Aveva un grosso rigonfiamento dei piedi. Le pudende erano piene di vermi; le gambe erano gonfie e lustre; l’alito era fetido; e le viscere a poco a poco si disfacevano attraverso l’intestino crasso. Oltre tutto questo soffriva una sete intollerabile. Aveva poi un notevole desiderio di mangiare, ma i cibi introdotti gli causavano disturbo. Soffriva di una perenne insonnia. Divenuto intollerabile a tutti, era considerato con totale orrore. E così gli amici e i servitori si allontanarono da lui, afflitti dal grande fetore del suo corpo, tanto che nessun medico poteva avvicinarglisi neppure al fine di curarlo. Disfatto per tutti questi motivi, privato della comunione di ogni cristiano, in parte già consumato dai vermi, infame e sacrilego fu bandito da questa vita.

 

[19.] ELEVAZIONE DI HERVÉ ALL’EPISCOPATO.[132]

Sepolto poi il signore arcivescovo Folco, Hervé[133], uomo cospicuo e funzionario di corte, con il consenso dei vescovi e l’accordo degli abitanti di Reims successe nell’episcopato[134] per dono del re. Se qualcuno desidera sapere pienamente[135] per quanti benefici e per quanto spirito religioso l’uno e l’altro di questi si segnalò nella chiesa di Reims, legga il libro del prete Flodoard, che scrisse assai abbondantemente a proposito dei vescovi della medesima città a partire dalla sua fondazione[136]. Ed Hervé, una volta raggiunto l’episcopato, seguiva il re con grande fedeltà, accanito particolarmente contro i traditori. Secondo il costume ecclesiastico prima ammonisce Erlebaldo[137], conte del Châtresais[138], che aveva invaso i beni del suo vescovo e aveva preso la piazzaforte che chiamano Mézières[139], affinché si ravveda, poi lo condanna con un anatema. Poiché costui neppure condannato gli dava soddisfazione, muove contro di lui con un grande numero di soldati e preme fortemente per quattro settimane con un grande assedio la piazzaforte[140]. Erlebaldo, non reggendo il continuo attacco, di nascosto scappa con alquanti dei suoi dalla piazzaforte. Quelli poi che erano rimasti, vinti, avendo subito spalancato le porte, si arrendono all’arcivescovo ed egli, fattili uscire, installò in quel luogo i suoi ed espulse da tutto il paese il fuggitivo Erlebaldo.

 

[20.] ASSALTO RECIPROCO PRESSO IL RENO E UCCISIONE DI ERLEBALDO.[141]

Il re si era ritirato nel territorio di Worms[142], per parlare a Enrico di Oltrereno[143]. Venne in questo luogo anche il conte Erlebaldo per lamentarsi presso il re di essere stato trattato terribilmente dall’arcivescovo di Reims. Enrico presso il re si impegnava con grande fedeltà nella gestione degli affari.[144] Mentre era moltissimo impegnato in ciò, giovani Germani e Galli resi ostili dalla differenza delle lingue, come è loro costume,[145] con molta animosità cominciarono a colpirsi con insulti. Venuti alle mani estrassero le spade e attaccandosi si feriscono mortalmente. In questo tumulto il conte Erlebaldo essendosi fatto avanti per sedare la lite fu ucciso dagli infuriati. Il re pensando a un tradimento si alza assai velocemente e viene circondato dai suoi. Enrico poi, pensando a un inganno,[146] raggiunge la flotta e viene costretto a passare il Reno dalle scorte regie. Quelli che assistevano il re pensavano che egli fosse venuto per un inganno.[147] E da quel tempo veniva considerato ostile al re.

 

[21.] INGANNEVOLE ARGOMENTAZIONE DI TRADITORI AL RE CARLO A PROPOSITO DEL RIPUDIO DI AGANONE.[148]

E così Carlo era incalzato da una parte da Enrico, dall’altra dal duca Roberto e, collocato in mezzo a loro, era pressato da ambo le parti. Dopo questi fatti ritornando nell’interno della Belgica si ritira nella città di Soissons[149] facendo molte lamentele con i suoi per una disgrazia di tal fatta. Là convengono anche numerosi principi dalla Belgica, dove essa confina con la Celtica, e dalla Celtica. Ma anche il duca Roberto, fattosi più vicino, si ritira a Étampes[150] e manda inviati al palazzo reale per essere informato degli affari reali. Ma quelli che si riunirono tenevano le parti di Roberto. Conquistati dai suoi argomenti, sostengono davanti al re il ripudio di Aganone, non perché volessero che ciò accadesse, ma perché si preparasse per Roberto un’occasione per regnare. E così consigliano senza insistenza il ripudio di Aganone; mostrano anche con affermazioni moderate che il duca si allontanerà da lui se non lo manderà via; ciò affinché il re, ammonito con leggeri rimproveri, non tema di insistere come ha iniziato. Per cui giudicavano che avrebbero avuto in seguito una giustissima causa di indignazione contro di lui. E tutto ciò si svolse secondo i loro auspici. Infatti il re, non toccato da nessun argomento, rispose che mai si sarebbe allontanato dal favorito, e affermava ciò con molte dichiarazioni di intenti. Quando il duca Roberto si rese conto[151] che questa cosa era fissa nell’animo di lui, cercò tramite inviati di convincere Enrico d’Oltrereno alla deposizione del re. Infatti aveva saputo che era stato forzato alla fuga dalle scorte del re, per cui subito gli offrì la propria fedeltà. Subito, contento del consenso di costui, il tiranno si dava da fare con grandissimo impegno per far trasferire a sé il regno. E così concede con larghezza molte cose e infinite ne promette. E infine parla apertamente del tradimento ai principi già convinti, dicendo che il re vive isolato a Soissons e i Belgi ad eccezione di pochissimi sono tornati alle proprie sedi. Per cui faceva notare che c’era l’opportunità della cosa, affermando che il re poteva essere catturato assai facilmente e pianamente, se essi tutti si fossero recati al palazzo come per tenere consiglio e mentre tenevano consiglio avessero catturato e tenuto prigioniero il re nella stanza stessa del palazzo. A ciò sono favorevoli quasi tutti della Celtica, e congiurano presso il tiranno di perpetrare il delitto. Quindi si recano al palazzo e circondano il re come per tener consiglio; poi dopo averlo fatto entrare nella stanza, dopo che pochi hanno parlato lo catturano e lo tengono prigioniero.[152]

 

[22.] L’ARCIVESCOVO HERVÉ LIBERA CARLO, PRESO DAI TRADITORI, E LO CONDUCE A REIMS.[153]

E già si adoperavano per portarlo via, quando l’arcivescovo Hervé con le truppe rapidamente entra nella città di Soissons. Infatti, preoccupato per il re, aveva presentito l’inganno dei traditori.[154] E invero prima egli stesso con pochi, poi in seguito i suoi, con l’aiuto di Riculfo[155] vescovo di quella stessa città, vengono fatti entrare. E così circondato da armati entra nella riunione dei traditori tutti stupefatti, e, fattosi terribile, “Dov’è il mio signore il re, dico io?”. Tra tanti, pochi ebbero abbastanza forze per rispondere, sentendosi del tutto sorpresi. Quando tuttavia ritrovate le forze quelli dissero “Si consiglia con pochi all’interno”, l’arcivescovo sferra un colpo alla porta chiusa, e rotte le serrature lo trova seduto con poche[156] persone. Infatti dopo averlo preso lo avevano imprigionato, disponendo dei custodi. L’arcivescovo, presolo per mano, disse: “Vieni, re, e stai piuttosto con i tuoi.” E così fu tolto dal mezzo dei traditori dall’arcivescovo. E quindi, montato a cavallo, uscì dalla città con millecinquecento armati e si recò a Reims[157]. Dopo la sua partenza i traditori, confusi dalla vergogna, si adiravano per esser stati beffati e ritornano smarriti da Roberto, e i transfughi riferiscono al traditore che la cosa non è si è svolta troppo bene. Il re Carlo poi, con l’arcivescovo e pochi altri, che si erano allontanati da lui ma per consiglio dei saggi erano a lui tornati, raggiunse l’interno della Belgica e si stabilì presso Liegi[158] e là, essendo allora morto il vescovo[159], con il voto del clero e il favore del popolo, tramite l’arcivescovo Ermanno[160] ordina[161] presule Ilduino[162], uomo liberale ed energico ma fazioso. Infatti, subito dopo essere stato ordinato vescovo, subito si unì e diede sostegno ai principi della Belgica che erano favorevoli al duca Roberto e all’abbandono del re, macchinando molto con loro contro il re.[163] Ma il re, basandosi sul buon consiglio dei suoi, tramite l’arcivescovo Hervé convoca il duca Enrico che era a capo di tutti in Sassonia.[164] Infatti costui, persuaso da Roberto[165], con altri si era distaccato dal re.[166]

 

[23.] LAGNANZA DI HERVÉ ARCIVESCOVO DI REIMS PRESSO ENRICO[167] IN FAVORE DEL RE CARLO.[168]

Davanti a costui, l’arcivescovo in nome del re così iniziando disse: “Fino a questo punto, uomo nobilissimo, per la tua prudenza e la tua liberalità la pace dei principi e la concordia di tutti fiorirono vantaggiosamente. Ma dopo che apristi l’animo all’invidia dei malevoli, la forza della discordia venne fuori dai nascondigli tutt’intorno a te. Questo fatto persuase il re nostro signore a venire a pregarti. Infatti prima d’ora per i tuoi meriti fosti senza riserve dilettissimo. La tua eccezionale fedeltà da lui ben conosciuta gli genera molta fiducia nel caso di gravi pericoli. Il re non ignora di essersi un poco allontanato da te quando si è impadronito del potere su tutto lo stato; ma desidera con molta sincerità porre riparo a ciò. E ciò non è inusitato e singolare.[169] Accade a tutti di agire talvolta insensatamente, ma è proprio dei buoni il ritornare alla ragione. E così bisogna sopportare e con grande benevolenza perdonare. Anche tu, il migliore tra i Germani[170], sei apparso allontanarti troppo dalla retta via. E ciò non è stupefacente. Infatti il duca Roberto[171] bramando tutto e invidiando enormemente al re il regno, allettò te incauto[172] con suggestioni. E infatti che cosa non ottiene un discorso esposto in forma persuasiva? Io dico che troppo si è sbagliato da entrambe le parti. Ma ora finalmente ritorni a voi la virtù passata. Ognuno dei due si impegni, con il massimo sforzo di entrambi, affinché tu abbia un re a te massimamente favorevole e il re abbia in te un uomo del tutto degno di lui. Egli infatti desidera che tu sia a capo di tutti quelli che si sa che abitano in Germania[173]. Perciò dunque volgi l’animo a migliori intenzioni; accogli nuovamente un signore respinto, affinché anche tu possa essere accolto da lui per essere innalzato.


[24.] RISPOSTA DI ENRICO[174] ALL’ARCIVESCOVO HERVÉ A PROPOSITO DI CARLO.

A ciò Enrico rispose: “Molte cose mi dissuadono da questo, se la tua virtù, padre eccellente, non mi trascinasse a ciò in qualche modo. Infatti so quanto sia difficile e arduo dargli consigli, tanto per la sua incostanza quanto per la gelosia dei suoi. Non mi è uscito di mente quanto io abbia dovuto combattere per lui in passato all’interno e con l’esercito. Risulta anche notissimo quanto egli nei miei confronti abbia abusato della fede dovuta. Tu, padre, mi persuadi a ciò che forse, una volta fatto, mi pentirò di aver fatto. Ma poiché riguardo al futuro nessuno è abbastanza perspicace, e nessuno é abbastanza prudente, per quanto arrivino più spesso cattivi che buoni consigli, mi farò condurre ovunque tu ordini e sottometterò la mia modestia alla tua dignità, ben conoscendo la tua virtù. In verità avevo deciso di non associarmi più a lui con l’ingegno, con il consiglio e con le armi.” E così, persuaso dall’arcivescovo, Enrico viene ricondotto al re, e viene ricevuto con grandi onori e considerazione, e i due si uniscono in un patto di amicizia.[175]

 

[25.][176] Dopo questi avvenimenti Ilduino, vescovo di Liegi, accusato di aver cospirato contro il re insieme a quelli che avevano abbandonato il re, e ostile al re, era da questi perseguitato. La forza del suo odio giunse al punto che egli promosse Richer[177] abate del monastero di Prüm[178] e fece abdicare Ilduino. Ma Richer, beneficiato dal re, poiché veniva incalzato[179] dall’arcivescovo Ermanno in quanto aveva ricevuto dal re l’episcopato illecitamente a danno di colui che lo teneva e che non era stato forzato da nessuna confessione di colpe, né condannato da nessun giudizio, per ordine del re si reca in fretta a Roma e là illustra al papa Giovanni[180] la decisione del re e le ragioni della sua vertenza. Il papa, indignato con il traditore Ilduino lo sospende dall’ufficio e lo condanna con anatema; ordina poi vescovo Richer e gli dà la benedizione della propria autorità. Mentre avvengono questi fatti Ilduino sopraggiunge, presentando invano molte lagnanze al papa e adoperandosi moltissimo con lui per l’assoluzione. Mentre quello si lamenta, Richer ritorna e, essendogli stato ordinato dal re, accede alla sede vacante.

 

[26.][181] Mentre queste cose avvenivano, il re ritorna nelle parti interne della Belgica e là, a causa delle molte vertenze che erano sorte, per regio decreto e per ordine dell’arcivescovo viene indetto un sinodo da tenersi a Trosly[182]. Presiede questo sinodo il signore Hervé, mentre anche il re presiede nello stesso luogo. Avendo là deciso molte cose che appaiono della massima utilità, per intervento del re e con il consenso dei vescovi che parteciparono al sinodo il signore arcivescovo Hervé assolve[183] dal vincolo della scomunica il predetto Erlebaldo conte del Châtresais. Là[184] inoltre, essendo morto Rodolfo[185] vescovo di Laon[186], ordina solennemente Adelelmo[187], tesoriere della medesima città, designato dal re con grande consenso dei vescovi.


[27.][188] Prese utilmente e vantaggiosamente queste iniziative, il re si dirige verso la parte superiore della Belgica, con l’intenzione di regolare là qualche affare dei suoi.[189] Si porta contro il conte Ricuino[190], in quanto, essendo anch’egli un traditore, teneva le parti di Roberto. Dunque pone l’assedio alle fortezze di costui, attaccandole con veemente assalto. Ma quello, valutando insostenibile la cavalleria, si consegna vinto al re con l’impegno di ostaggi. Il re ricevendo il vinto libera l’animo dall’ira e lo riprende in grazia.[191]

 

[28.][192] Mentre si compievano questi fatti Roberto duca della Gallia Celtica assaliva accanitamente i pirati. Infatti avevano fatto improvvisamente irruzione in Neustria, al comando di Rollone[193] figlio di Catillo,[194] e già avevano attraversato la Loira con la flotta e si impadronivano senza danni delle sue sponde. Andavano disperdendosi da ogni parte e con ricchi bottini si riportavano alla flotta. Ma il duca aveva raccolto truppe da tutta la Neustria; e molte ne aveva ricevute anche dall’Aquitania. Erano giunte anche, inviate dal re, quattro[195] coorti dalla Belgica, alle quali era a capo anche il predetto Ricuino[196]; Dalmazio[197] poi si occupava delle legioni degli Aquitani; lo stesso duca Roberto dirigeva i Neustriani; e così l’intero esercito del duca consisteva in quarantamila cavalieri. Dunque dispone in prima linea Dalmazio con gli Aquitani, poi mette tra le truppe di riserva i Belgi[198] e i Neustriani. E il duca in persona, andando in giro per le legioni, esorta tutti i comandanti chiamandoli per nome affinché si ricordino bene del proprio valore e della propria nobiltà, affermando che bisogna combattere per la patria, per la vita, per la libertà; non bisogna preoccuparsi della morte poiché essa è incerta per tutti; se poi fuggiranno, a loro nulla verrà lasciato dai nemici. Con questi e molti altri discorsi accendeva gli animi dei soldati. Detto ciò[199] il duca li conduce nel luogo in cui doveva svolgersi il combattimento dopo averli disposti in ordine di battaglia[200].

 

[29.] Nondimeno anche gli eserciti dei nemici con molta audacia disponevano le truppe contro di loro. Il loro esercito procede consistendo di cinquantamila armati che vengono incontro in ordine. Il duca Roberto, rendendosi conto che la massima violenza del combattimento è imminente si associa a Dalmazio in prima fila con mille fortissimi dalla Neustria. Così avanza con Dalmazio[201] e gli Aquitani. Ma le legioni dei pirati si erano allungate su un fronte esteso e avevano disposto lo schieramento nella forma della luna che sta crescendo per circondare i nemici, cosicché, mentre i nemici si avventavano con molta veemenza, venissero intrappolati dalla manovra avvolgente dell’esercito; e così, assaliti alle spalle da quelli che erano collocati in entrambe le punte, venissero abbattuti come bestiame.


[30.] Avendo dunque dall’una e dall’altra parte fatto questi preparativi, entrambi gli eserciti[202] issate le insegne si scontrano.[203] Roberto con i Neustriani[204], Dalmazio con gli Aquitani penetrano tra le legioni dei pirati, e subito sono attaccati alle spalle da quelli che erano nelle ali. E subito anche i Belgi[205] sopraggiungono inaspettati e abbattono con immane massacro i pirati che premevano i loro da dietro. Anche i Neustriani incalzano terribilmente. In questa confusione mentre gli Aquitani[206], circondati dai pirati, con molto sforzo costringevano in fuga quelli che essi attaccavano, quelli che erano collocati nelle punte da una parte erano premuti dai Belgi, dall’altra poi erano mortalmente incalzati dagli Aquitani che si erano rigirati. E così sopraffatti depongono le armi e con molte grida supplicano per la vita. E così Roberto cerca di risparmiare un così grande massacro e insiste affinché siano tirati fuori. E a fatica l’esercito, eccitato dal grande successo della sorte favorevole, si placò dal massacro. Calmatosi poi il tumulto, quelli che tra loro apparivano più importanti furono presi dal duca, e ai rimanenti con l’impegno di ostaggi viene permesso di ritornare alla flotta.

 

[31.] Conseguita dunque la vittoria, e sciolto l’esercito,[207] Roberto lascia i prigionieri[208] a Parigi. Chiedendo a questi se fossero cristiani, scopre che nessuno di loro aveva avuto a che fare con qualcosa di connesso alla religione. E così, essendo stato mandato a istruirli il reverendo prete e monaco Martino[209], furono convertiti alla fede di Cristo. Quelli poi che erano ritornati alla flotta, alcuni di essi furono trovati cristiani, altri pagani, mescolati tra loro. E anche costoro, dopo che furono ricevuti dal duca gli ostaggi che essi avevano consegnato, furono condotti ai sacramenti della salvezza, dopo esser stati istruiti dall’uomo predetto.

 

[32.] E quando si trattava del battesimo, il compito di predicare loro fu affidato dal duca a Guittone[210] arcivescovo di Rouen.[211] Guittone poi, non contento di sé solo, invia una lettera a Hervé di Reims, tramite la quale chiede a lui con quale metodo e in che modo possa essere associato alla Chiesa un popolo in precedenza infedele. L’arcivescovo Hervé, desiderando di affrontare questa questione con grande cura, ordina che si tenga un convegno di vescovi affinché la cosa sia adeguatamente disposta grazie ai suggerimenti di molti.

 

[33.][212] E nel giorno stabilito si tenne il sinodo. In esso in primo luogo si trattò in modo acconcio e competente della pace e della religione della santa chiesa di Dio e dello stato del regno dei Franchi, poi si discusse assai abbondantemente della mitigazione e della conversione dei pirati; e fu deciso di chiedere un’indicazione alla Divinità stessa su questo argomento, e di digiunare tutti per tre giorni; poi che si dovesse suggerire ciò al signor papa[213], cosicché, dopo aver invocato la Divinità mediante il digiuno e dopo aver umilmente consultato il signor papa, la cosa potesse essere affrontata più efficacemente. E così dopo aver riguardato i decreti dei padri il reverendo arcivescovo Hervé dispose in un volume ventiquattro[214] capitoli, redatti ragionevolmente e utilmente, e contenenti il modo in cui gli uomini rozzi devono essere condotti alla fede. Egli inviò tutto ciò al venerabile Guittone di Rouen. Quello poi ricevendolo portò a termine utilmente l’impegno che aveva preso.

 

[34.] In questo periodo Reginaro[215], uomo di rango e nobile soprannominato dal Lungo Collo[216], e la cui morte[217] portò grande rovina allo stato nella Belgica, giunse alla fine della vita al palazzo di Meerssen[218], colpito e oppresso da una malattia generale del corpo.

Si racconta che il re Carlo partecipasse alle sue esequie, e con gli occhi pieni di lacrime dicesse: “Dall’alto al basso! dall’ampio al ristrettissimo!”, riferendosi da un lato alla persona, dall’altro al monumento. Compiute le esequie, accorda con grande generosità a Gisleberto[219] figlio di lui, già diventato un giovane uomo, la carica paterna, alla presenza dei principi che erano convenuti.

 

[35.][220] Costui, essendo sorto da una stirpe assai illustre, e assai felice per il matrimonio con Gerberga[221] figlia del duca Enrico di Sassonia, si faceva rapidamente trascinare per arroganza a un’eccessiva temerarietà; nella pratica militare era eccessivo per audacia, a tal punto da non temere di desiderare alcunché di impossibile; di corporatura media e di robustezza delle membra forte e dura, di portamento inflessibile, di occhi minacciosi e inquieti e così mobili che il loro colore non si faceva conoscere pienamente da nessuno, dai piedi assolutamente impazienti; leggero di spirito. Il suo discorrere si basava su ragionamenti ambigui; le sue domande erano ingannatrici; le sue risposte ambivalenti; le parti del discorso raramente si connettevano in modo chiaro; era massimamente generoso con i suoi, enormemente bramoso dei beni altrui; era esternamente favorevole ai superiori e ai suoi pari, ma segretamente invidioso; era lieto della confusione generale e della reciproca diffamazione dei discordi.

 

[36.] E così una tal persona era spinta contro il re da un’enorme animosità. Meditava anche fortemente la deposizione del re, e discuteva molto in proposito con quelli che apparivano più potenti nella Belgica, in verità non aspirando al regno per Roberto[222], ma per sé, e distribuendo quasi tutti i suoi beni ai principi. E a detta di tutti donava ai magnati fondi e magnifici edifici, allettava invece con successo gli umili con somme d’oro e d’argento. E così si genera il consenso di molti nella Belgica nei suoi confronti. Ma ciò viene fatto abbastanza improvvidamente e inconsultamente. Infatti sebbene li avesse attratti a sé conquistati dai grandi benefici, tuttavia non li unì a sé mediante il giuramento di perpetrare il delitto. Dunque essendo stati attratti con leggerezza, con leggerezza in seguito si dissociarono.


 [37.] Infatti quando Carlo, udito ciò, ritornò dalla Celtica con l’esercito e si preparò a portar guerra ai Belgi, i Belgi subito non si sforzarono di resistere in campo aperto con Gisleberto, ma si richiudono nelle fortezze e nelle città. Il re poi invia agli individui che si erano allontanati da lui degli ambasciatori, tramite i quali faceva sapere che avrebbe elargito con regale solenne donazione quanto di poderi e di edifici era stato loro conferito da Gisleberto, e che egli avrebbe combattuto in loro favore contro Gisleberto, se questi avesse voluto riprendere da loro qualcosa dei benefici conferiti. Conquistati da ciò subito ritornano al re con vincolo di giuramento, e avendo essi reso conto di quanto in termini di benefici era stato loro conferito da Gisleberto, a ciascuno fu concesso definitivamente per elargizione reale. Per cui, allontanandosi da Gisleberto, si associano di nuovo e fermissimamente al re e insieme a lui si portano contro Gisleberto.

 

[38.] Gisleberto poi si era rinchiuso con pochi nella piazzaforte di Harburc[223], che è protetta dai fiumi, da un lato la Mosa[224] e dall’altro la Geul[225], davanti poi è difesa da un immane precipizio e da molti orribili rovi. Il re si affretta verso quel luogo con l’esercito e pone l’assedio, navale da una parte e dall’altra, di fronte poi con la cavalleria. Poiché egli insisteva nell’assedio, Gisleberto si dileguò con la fuga su un battello. Quelli della piazzaforte poi, catturati, si pongono agli ordini del re. Gisleberto d’altra parte, privato dell’eredità paterna, sul punto di essere bandito passa il Reno con due dei suoi fedeli minori e per alquanti anni, essendosi ingannato, vive in esilio presso il suocero Enrico. Tuttavia, essendo trascorso il tempo di alcuni anni[226], Enrico intervenne persuasivamente presso il re affinché Gisleberto fosse richiamato e riassunto nelle grazie del re, ma alla condizione che, restando intatta la sentenza del re a proposito dei benefici conferiti, Gisleberto ricevesse per la clemenza reale soltanto quei beni i cui possessori erano già morti in tutto il tempo del suo esilio.

 

[39.] E così, richiamato dall’esilio, ottiene per mezzo di Enrico la grazie del re, tuttavia come si è detto alla condizione che resti privo dei benefici, che aveva eccessivamente distribuito, fino a quando i possessori restassero in vita; invece riprenda per la misericordia reale quei beni i cui possessori, durante un certo numero di anni, erano morti. E così riprende ciò che, lasciato dai defunti, si è reso vacante, la maggior parte dei suoi beni[227], Maastricht[228], Jupille[229], Herstal[230], Meerssen, Leten[231], Chèvremont[232]. Ciò avvenuto, il re Carlo ritorna nella Celtica, preparandosi a portare truppe contro i Normanni, che attaccavano nelle località marine gli estremi confini delle Gallie. Essendo poi Enrico partito oltre il Reno contro i Sarmati, Gisleberto con l’aiuto dei suoi tormentava pesantemente e maltrattava quelli che tenevano per concessione del re i suoi beni donati. Uccidendo gli uni con azione clandestina, incalzando incessantemente altri affinché abbandonino i loro beni, finalmente trionfa ed entra in possesso di tutti i propri beni; macchinando d’allora in poi più furiosamente contro il re. E così si reca dal suocero[233] e lo convince ad allontanarsi dal re, affermando che al re può bastare la sola Celtica, mentre la Belgica e la Germania hanno molto bisogno di un altro re. Per cui lo spingeva anche con molti discorsi persuasivi affinché egli stesso non ricusasse di essere incoronato come re. Enrico in verità, rendendosi conto che lo si esortava ad azioni nefande, resistette parecchio ai discorsi persuasivi e si impegnava con molte spiegazioni affinché egli desistesse da azioni illecite.

 

[40.] E invero Gisleberto, non ottenendo risultati presso il suocero e non potendo procurare per sé il regno[234], parte per la Celtica e passa in Neustria, e così tiene consiglio con il duca Roberto a proposito dello stesso soggetto, esortandolo all’acquisizione del regno e alla deposizione di Carlo. Il tiranno gioisce e senza indugio approva il tiranno. E così deliberano entrambi e poi confermano con un giuramento l’impegno a compiere queste azioni.[235]

 

[41.][236]Al tempo stabilito poi, quando il re era ritornato a Liegi e risiedeva là senza scorta,[237] Roberto entra nella città di Soissons[238]. I grandi, riuniti presso di lui da tutta la Celtica, si consultano nella massima concordia sul modo in cui deporre il re. E non mancò Gisleberto dalla Belgica, il quale strepitava che Roberto doveva essere creato re subito senza discussione. Dunque, per comune decisione di tutti quelli che erano presenti, Roberto viene eletto e, condotto a Reims dalla grande spinta dell’ambizione, viene fatto re[239] nella basilica di san Remigio. Trascorsi tre giorni dalla sua incoronazione, Hervé arcivescovo di Reims, tormentato da una lunga malattia, morì[240]. Se costui a quello stesso tempo fosse stato in buona salute, non avrebbe tollerato la possibilità di un così grave delitto. E a lui subito successe, beneficiato da Roberto, Séulf[241], che allora teneva per incarico nella stessa città l’arcidiaconato, uomo attivo e famoso per la grande conoscenza delle cose.

 

[42.][242] Nel frattempo Carlo, trovandosi abbandonato dai Galli ad eccezione di pochissimi tra i Belgi, faceva continuamente ai principali tra i suoi che non si erano allontanati da lui[243] una grande lamentela sulla propria disgrazia; dicendo che era più sventurato per l’essere oppresso da questa calamità che se avesse chiuso gli occhi per la morte ultima, poiché i dolori sono da quella aumentati, da questa eliminati;[244] e per lui era preferibile essere ucciso dal ferro che esser privato del regno da un intruso; infatti dopo la perdita del regno restava solamente la deportazione in esilio. E in questa situazione era consapevole di dover accogliere i giudizi di coloro che sempre aveva trattato con sommo amore, con i quali più a lungo aveva avuto dimestichezza, e ai quali non aveva mai fatto nulla di male.

 

[43.] A ciò i suoi[245] dicono: “È rovinoso per chi ha giurato allontanarsi dal signore, è poi scelleratissimo porsi contro il signore. Se si tratta di un traditore e transfuga, se si capisce il significato di questi nomi, ciò che essi hanno fatto è al di là di ciò che è giusto ed equo. Per cui e senza dubbio se li costringerà la necessità di un combattimento, non sfuggiranno alla vendetta della Divinità. Ma devi sapere con la massima certezza che in nessun modo il regno potrà essere da te recuperato se non attaccherai con la guerra il tiranno stesso; non rientrerai nel regno che ti è stato strappato se non ti aprirai la via violentemente con il ferro.[246] E poiché già ora la situazione spinge al combattimento, la fedeltà deve essere impegnata con un giuramento affinché, avendo noi giurato, la cosa non resti nell’ambiguità. Poi devono essere scelti almeno cinquanta che si impadroniscano saldamente del tiranno e gli facciano violenza, così che mentre la violenza della guerra avrà scatenato gli uni contro gli altri, questi mirino soltanto al tiranno e dopo averlo trovato lo trafiggano. A che cosa infatti servirà che tutti vengano uccisi e sia risparmiata la causa dei mali?” E per comune decisione giurano insieme contro Roberto.

 

[44.][247] E subito e per ordine del re vengono chiamati dalla Belgica tutti quelli che risultavano non essersi allontanati dal re. Il numero di quelli raccolti, come si narra, era stimato appena in diecimila[248]. E tuttavia per quanto fu possibile osservare, non fu ammesso nessuno inadatto alla milizia. Tutti erano valenti di corpo e non inabili al combattimento; e tutti unanimi contro il tiranno. Il re, circondato da loro, avanza[249] contro il nemico attraverso Condroz[250] ed Hesbaye[251]; e irrompendo nel regno strappatogli entra nella sede regia di Attigny[252] in precedenza sua e avendo fatto là riposare per qualche tempo l’esercito si porta contro l’avversario.

 

[45.][253] Una volta giunto più vicino al tiranno, dispone l’esercito per il combattimento, mettendo davanti seimila dei vigorosi. E mise come comandante di questi un uomo di rango di nome Fulberto[254]. Affida poi a se stesso, circondato da quattromila[255], il compito di venire in aiuto ai primi che cominciano a cedere. Dopo aver poi esortato molto e a lungo ciascun comandante a combattere con forza[256] correndo poi qua e là per tutte le legioni, incitando con numerose esortazioni le truppe schierate le conduce al luogo in cui si doveva combattere. Attraversando poi il fiume Aisne[257] si dirige verso la città di Soissons. E infatti il tiranno aveva raccolto là le truppe.[258] E il suo esercito consisteva di ventimila. Poiché dunque il re Carlo si preparava alla guerra con prudenza,[259] su sollecitazione dei vescovi e degli altri uomini di religione che lo assistevano si agì in modo tale che il re stesso non entrasse nel combattimento, cosicché, caduto lui, non si estinguesse per accidente nella confusione degli eventi la stirpe regia. Anche i comandanti e i soldati spinsero a ciò. Dunque spinto da tutti mise il nobile Hagrold[260] a capo di quattromila[261] soldati, circondato dai quali egli stesso avanzava. Li prega poi molto affinché implorino soltanto l’aiuto di Dio; ricordando che nulla deve esser da loro temuto, e per nulla si deve dubitare della vittoria. E affermava che l’invasore del regno sarebbe durato a stento un solo momento, dicendo: “Poiché Dio ha ripugnanza di ciò e presso di lui non trova luogo la superbia, in che modo potrà resistere colui che Egli stesso non protegge? In che modo si risolleverà colui che Egli stesso fa cadere?” E dopo di ciò, con i vescovi e gli uomini di religione che erano presenti, sale su un’altura posta dirimpetto a quel luogo, dove si trova anche una basilica dedicata alla beata vergine Genoveffa[262], per seguire da là gli eventi della guerra. Nel frattempo l’esercito avanza compatto e si affretta a grandi passi con fierezza contro il nemico. Avanza anche il tiranno, non impari per coraggio, ma più dotato di legioni.

 

[46.] GUERRA TRA CARLO E ROBERTO E UCCISIONE DI QUEST’ULTIMO.[263]

Essendo giunti a vedersi faccia a faccia gli uni gli altri, entrambi gli eserciti a insegne spiegate si corrono incontro con grandissimo clamore. Ed essendosi scontrati, innumerevoli cadono da una parte e dall’altra. E invero, mentre il re Roberto se ne stava non riconosciuto nel campo di battaglia e infuriava menando colpi da una parte e dall’altra in tutto il campo, essendo stato scorto dai congiurati gli viene chiesto se sia proprio lui. Ma quello intrepido subito scopre la barba nascosta e mostra di essere se stesso vibrando con molta forza il ferro contro il conte Fulberto. Ma questo, ricevuto il colpo letale, da esso viene piegato sulla destra e così con la lancia attraverso la manica della corazza ferisce quello nel fianco con un colpo gravissimo, e fa passare il ferro attraverso il fegato e il polmone e l’addome dal lato sinistro fino al disco e quello, circondato dagli altri, trafitto da sette lance, viene fatto cadere e resta rigido. Fulberto perdette rapidamente molto sangue e cadde morto tra i combattenti.[264] Ucciso Roberto, entrambi gli eserciti incrudelirono nella strage con tanta violenza che è stato scritto dal prete Flodoard[265] che undicimila dalla parte di lui, settemilacentodiciotto dalla parte di Carlo morirono a causa del ferro. E già in verità era evidente la vittoria di Carlo, in quanto, essendo stato ucciso il tiranno, quelli che erano stati suoi venivano spinti in fuga, quand’ecco da Eriberto[266] viene condotto in battaglia Ugo[267], figlio di Roberto, a quel tempo appena adolescente[268] e soccorre quelli che stanno cedendo.[269] E anche se era venuto con truppe, tuttavia poiché, avendo perso il padre, sospettava di tutti e non aveva fiducia in nessun comandante, si tenne fuori dalla violenza della battaglia. Si narra che fu assai memorabile il fatto che senza che nessuno resistesse egli occupò il luogo del combattimento e vi restò per alquanto tempo per strappare il bottino ai nemici. Per cui egli si considerava il vincitore.[270] Carlo poi a causa dell’uccisione del tiranno pensava di aver conseguito la vittoria. E perciò la vittoria fu ancipite[271], in quanto i Celti[272] traditori avevano perso il re morto, ma Carlo non aveva ottenuto nessuna spoglia. Né all’uno né all’altro di loro accadde di portar via un bottino. Pur non essendo di ciò mancata a Carlo l’opportunità, tuttavia il re, non essendo spinto da alcuna cupidigia evitò del tutto la cosa.[273] Infatti, diffidando molto dei[274] transfughi, poiché aveva perso la più grande parte dell’esercito,[275] subito volse indietro il cammino, senza spoglie,[276] verso la Belgica[277], decidendo di tornare in seguito[278] con maggior asprezza. In questo periodo nel distretto di Cambrai[279] ci fu un terremoto[280], dal quale furono demolite numerose case. Da ciò si poté presagire la calamità, in quanto il sovrano del regno fu catturato ingiustamente e fu costretto in carcere fino all’ultimo giorno della sua vita. In effetti poiché egli preparava l’azione militare e si accingeva a condurre nelle Gallie un esercito più numeroso, per questo si destava nei Galli un grande timore ed essi si comportavano in modo più tranquillo. Il re Carlo, intuendo ciò, si sforzava tramite inviati di richiamarli a sé e con molti argomenti cercava di convincerli a ciò. E convinse anche i Normanni[281] fino al risultato che essi vollero promettere fedeltà al re e militare per lui così come egli avrebbe comandato. Mentre questi si preparavano ad accorrere per combattere per il re, ne furono impediti dai Galli che si interposero[282]. per cui il re fu privato del loro aiuto.

 

[47.] ELEVAZIONE DEL RE RODOLFO E CATTURA DI CARLO.[283]

I Galli, non rinunciando in alcun modo alla loro ostinazione, si misero a capo come re[284], avendolo fatto venire nella città di Soissons, sebbene egli fosse abbastanza contrario, Rodolfo[285] figlio di Riccardo di Borgogna[286], uomo combattivo e non poco istruito nelle arti liberali. Eriberto, l’istigatore di così grandi mali, dissimulando di voler ciò, manda a chiamare tramite inviati il re Carlo, mandando a dire che egli avrebbe voluto opporsi a tanto grandi scelleratezze, ma ne era stato assai fortemente impedito dalla moltitudine dei congiurati; non si era manifestata allora nessuna opportunità per un consiglio, ma ora aveva trovato un ottimo modo di rimediare. Per cui si rechi quanto prima in un luogo in cui a lui stesso sia possibile venirgli incontro; tuttavia in compagnia di pochi, per non essere costretti alla guerra, qualora si presentino con molti, dall’animosità degli oppositori. E per la sicurezza del viaggio, se gli piacerà, riceva dagli inviati stessi un giuramento di fedeltà. Il re pronto a credere ciò ricevette un giuramento di fedeltà dagli ambasciatori e senza il consiglio dei suoi non tardò ad andare incontro al traditore. Il traditore dissimulando gli inganni, gli venne incontro ugualmente con pochi, e dopo essersi accolti dandosi baci, si trattennero insieme in colloqui familiari. E mentre si sta parlando chiama fuori dai nascondigli una schiera di armati e la invia contro il re indifeso. Questi non essendo in grado di resistere alla moltitudine viene catturato dalla schiera, ed essendo stati alcuni catturati con lui, certi anche uccisi, e i rimanenti messi in fuga, viene condotto a Péronne[287] e affidato alla custodia carceraria. I Germani[288], avendo perso il re, si comportano in modi diversi. Alcuni di loro si danno da fare per il ritorno del signore, altri poi, persa la speranza, passano al re Rodolfo, tuttavia non gli concedono pienamente la fedeltà. I primi tra questi, mentre aspettavano con una lunga attesa la liberazione del signore, spesso condannarono il traditore Eriberto per la violazione della fedeltà e quindi si lamentarono alquanto con i complici del misfatto. Non riuscendo a convincerli, non destarono in loro alcuna vergogna per il reato di spergiuro, anche se l’ira di Dio incombeva su di loro.[289]

 

[48.] ESAZIONE DI UN TRIBUTO PUBBLICO DA DARE AI PIRATI.[290]

Mentre avvenivano questi fatti i pirati[291] invasero le Gallie, saccheggiando il paese con la sottrazione di greggi e armenti e la spoliazione di molte ricchezze e con la prigionia di molti. Il re, dolendosi dell’assalto di questi, avuto il consiglio dei suoi, stabilì che si facesse l’esazione di un tributo raccolto mediante esattori, da consegnare ai nemici per un patto di pace. Fatta la raccolta, quelli si accordano conformemente al comune auspicio e rientrano nei propri domini. Il re poi, sebbene meritevole si dedicò ad altre cose. E così prepara un esercito per l’Aquitania contro il principe di quella regione Guglielmo[292], in quanto questi disdegnava di sottomettersi a lui. E al tempo opportuno si presentò con l’esercito sulle rive della Loira[293]. Ma Guglielmo, non potendo reggere il numero dei soldati, va incontro tramite inviati all’assalitore; e tutto un giorno fu da loro consumato per le argomentazioni degli inviati, poiché il fiume s’interponeva. Finalmente il giorno successivo essendosi da ambo le parti impegnati alla fedeltà si separarono.

 

[49.] SCONTRO DEL RE RODOLFO CON I PIRATI E LORO SCONFITTA.[294]

Essendo quindi ritornato, il re viene colto da una febbre acuta presso la città di Sens[295]. Pur essendosi egli ripreso nel giorno critico, di nuovo fu tormentato dalla forza recidiva. E disperando per la salute si fece condurre a Reims presso san Remigio. Avendogli elargito parecchi doni, trascorso un mese guarì adeguatamente e si diresse verso la città di Soissons per occuparsi di altro. Là, mentre teneva consiglio con i principi sulla cosa pubblica, si presentano inviati che affermano che i pirati, violata la fedeltà, hanno fatto irruzione nel territorio più interno della Borgogna[296] ed essendosi scontrati[297] con i conti Manasse[298] e Guarnero[299] e con i vescovi Iozselmo[300] e Ansegiso[301] hanno ceduto a tal punto che novecentosessanta di loro sono stati abbattuti presso Chalmont[302], e numerosi sono stati fatti prigionieri; il restante manipolo poi, in numero minore, si è dato alla fuga; Guarnero poi, essendo stato ucciso il cavallo dal quale era trasportato, era morto trafitto da dieci ferite. Il re, mosso da questi fatti, spese l’intero giorno successivo nell’attività di consiglio e il terzo giorno, per editto regio, raccolse reclute dalla Gallia citeriore nel giro di quindici giorni e avendole raccolte le conduce, insieme ad alcuni magnati[303], contro gli avversari sul fiume Senna. Ma i pirati che venivano incontro per resistere furono costretti dai Galli a ritornare nel proprio accampamento. I Galli, inseguendo i fuggitivi, mettono fuoco all’accampamento[304] e scontratisi con violento sforzo sterminano i vinti. Ma alcuni si danno alla fuga a piedi, altri alla fuga con le navi, altri bruciano con l’accampamento, altri tremila all’incirca vengono uccisi. Quelli poi che la fuga aveva sospinto, dopo essersi radunati, si riunirono in una certa loro piazzaforte situata presso il mare che aveva nome Eu[305].

 

[50.] MORTE DEL PIRATA ROLLONE E ROVINA DEI SUOI.[306]

Il loro principe Rollone[307], riempiendo la piazzaforte con sufficienti truppe, si preparò manifestamente alla guerra. Il re[308] che si era già allontanato da là, porta l’esercito contro quello che lo provoca, non rinviando di scontrarsi. S’approssima alla piazzaforte e, posto l’assedio, assale il baluardo dal quale era cinta. E così le reclute montando sul perimetro esterno penetrano tra gli avversari e impadronitisi della piazzaforte[309] trucidano tutti i maschi, risparmiano le femmine senza toccarle, distruggono e bruciano la piazzaforte. Poiché gli incendi di questa avevano addensato e oscurato l’aria, diversi fuggendo in mezzo alla scura caligine occupano una certa isola vicina[310]. Senza ritardo l’esercito direttosi verso di loro li assale e avendoli vinti in battaglia li schiaccia. I pirati, avendo perso la speranza della vita, alcuni si tuffano nei flutti e muoiono, altri mentre nuotano via vengono scannati dalle scolte, altri presi da eccessiva paura si colpiscono con le proprie armi. E così, avendo soppresso tutti e avendo portato via un bottino non piccolo, il re ritorna a Beauvais[311] e là risiede.

 

[51.] ULTERIORE UCCISIONE DI PIRATI.[312]

Da là, avendo sentito che la regione dell’Artois[313] era oppressa da altri pirati, raccolto un esercito da quelli che abitavano le zone marittime, improvviso si porta contro di loro. I pirati, non reggendo di scontrarsi corpo a corpo. sono forzati a cedere dall’esercito e costretti si sforzavano di salvare la vita in un certo bosco. Ma l’esercito attaccandoli tutt’intorno li premeva al massimo.

Quelli poi, fatta una sortita durante la notte, si spingono contro l’accampamento del re e, rinchiusi completamente dall’esercito che li circondava, soccombettero a una sorte miserabile.[314] E infatti narrano che ottomila[315] di loro furono là uccisi. Mentre il re in questo scontro fu ferito tra le spalle, Ildegaudo[316], conte di illustre stirpe fu ucciso come numerosi altri, tuttavia non famosi per qualche titolo. Il re, avendo conseguito la vittoria, ritornò a Laon.

 

[52.] ECLISSE DI LUNA.[317]

A quel tempo[318] anche la luna piena, oscurata dall’interposizione della terra, scomparve alla vista di chi guardava; e nel cielo di Reims furono viste armi di fuoco[319]. Con questi segni premonitori ben presto si diffuse una malattia di febbri e accessi di tosse. Per cui parecchi, mortalmente colpiti, perirono. Insieme a ciò sorse, proseguì e si inasprì anche un non piccolo contenzioso tra il re ed Eriberto, che deteneva in custodia Carlo, in quanto Eriberto richiedeva troppo al re, mentre il re non gli concedeva nulla poiché quello era incontentabile[320].

 

[53.] FALSA LIBERAZIONE DI CARLO.[321]

Dunque Eriberto lanciando minacce al re condusse il re Carlo, avendolo tolto dal carcere, nella regione del Vermandois[322], non per restituirlo al regno in qualità di fedele ma per incutere mediante la sua liberazione una qualche paura tra i sospettati. E così avendo fatto chiamare i Normanni e avendoli raccolti presso la piazzaforte di Eu, ve lo conduce e là il figlio[323] del pirata Rollone, della cui uccisione già si è riferito, si consegna nelle mani del re per servirlo e s’impegna alla fedeltà e la conferma con un giuramento.

 

[54.] SENTENZA CONTRO RODOLFO, CHIESTA E POI DISDETTA.[324]

Dopo di ciò Eriberto, invidioso del re Rodolfo, lo insidiava moltissimo. Per cui giungendo con Carlo a Reims invia per conto di lui ambasciatori a Roma e manda una lettera al papa Giovanni mediante la quale dichiarava di non aver congiurato contro Carlo e di non essere stato al corrente della congiura, ma di aver soltanto ceduto suo malgrado ai congiurati: per cui anche desiderava moltissimo che il regno fosse restituito a Carlo che, innocente, ne era stato allontanato senza ragione. E non solo lui era di questa opinione, ma anche chiunque tra i magnati eccetto quelli che erano stati corrotti con molti doni. Per questo motivo egli, per l’autorità apostolica, ordini che il regno sia restituito al re cacciato; chiunque tentasse di opporsi a ciò che gli è stato imposto, egli lo condanni con un anatema di maledizione perpetua e tal fine indirizzi una lettera ai vescovi e ai principi delle Gallie e della Germania, contenente la benedizione dei buoni e la maledizione degli oppositori. Dunque gli inviati si affrettano a Roma, ma avendo speso la fatica del viaggio non compiono nessuna parte degli incarichi. E infatti il papa, catturato dal prefetto[325], in quanto questi era molto in disaccordo con lui, era tenuto da questi in custodia carceraria. Per cui andandosene senza aver compiuto l’ambasceria tornarono nelle Gallie. Eriberto poi, dedicandosi ad altro, si dava parecchio da fare presso Ugo figlio di Roberto affinché fra loro si stabilisse un patto. Allettò costui efficacemente con argomenti persuasivi e lo unì a sé con un patto di fedeltà. E così, convinto adeguatamente Ugo, ritornò da Rodolfo e riconciliatosi con lui gli stette attaccato per qualche tempo. Accolto nelle buone grazie di questi, per mostrarsi conseguente alla fedeltà subito rinviò Carlo in carcere a Péronne.

 

[55.] ERIBERTO RICEVETTE DAL RE IL VESCOVADO DI REIMS.[326]

Per cui anche, chiedendo al re che gli fosse dato, ricevette da lui il vescovado di Reims a nome del proprio figlio[327] ancora fanciullo[328]. Infatti allora era morto[329] l’arcivescovo Séulf di venerabile memoria. Ma poiché l’età troppo giovane proibiva al fanciullo i sacri uffici, fu concesso a un certo Odelrico[330], cacciato dal vescovado di Aix[331] per gli attacchi dei pirati[332], di compiere le funzioni in suo luogo. A costui attribuì anche l’abbazia di san Timoteo[333] per le sue esigenze personali e inoltre allo stesso tempo gli concesse la mensa dei canonici. Nel frattempo il re Rodolfo, desiderando dimostrare quanto grande fosse l’onestà della propria vita, si recò da Carlo dove questi era tenuto. Dopo aver molto deplorato le sue miserie, chiedeva a lui con un lungo discorso supplichevolmente perdono se lo aveva offeso. E poiché questi non sopportava di perdere completamente la vetta del potere che gli era stato tolto, gli restituì ciò che il diritto gli attribuiva, ovvero le sedi regie, cioè Attigny e Ponthion[334]; e così ritornò a Soissons.

 

[56.] MORTE DI CARLO.[335]

Dopo di ciò Carlo, indebolito dal tedio e dalla pena, fu colpito dalla consunzione e, tormentato da umori nocivi, dopo molto languire perse la vita[336]. Il re Rodolfo poi, apprendendo tramite inviati che i pirati avevano invaso la Gallia Aquitanica e la infestavano infuriando ostilmente, meditava di portare un attacco.

 

[57.] CONFLITTO DEL RE CON I PIRATI E ROTTA DI QUESTI.[337]

Dunque, fatti venire per editto regio tutti quelli dell’ordine militare che erano in salute dalla Gallia Celtica con molti dei Belgi, organizza dodici coorti. Intraprendendo il cammino con questi, avanza fino a Limoges; e là[338] schierate le legioni, mentre i pirati non reggendo la cavalleria del re, tentavano di salvarsi con la fuga furono respinti dalla legione degli Aquitani. Il re poi avanzando con le coorti con grande strage sterminò quasi tutti, pochi essendosi posti in salvo con la fuga. Diversi dei suoi poi, essendo stati feriti, guarirono dalle ferite; e alcuni furono uccisi. E così accadde che gli Aquitani, rendendo grazie al re, vollero sottomettersi a lui con molta devozione e si impegnarono con il vincolo di un giuramento a una fermissima fedeltà. Compiute utilmente queste azioni, il re ricondusse l’esercito e pose fine alla mobilitazione.


[58.] DISSENSO TRA ERIBERTO E UGO.[339]

Mentre venivano condotte queste azioni si scatenano liti tra Ugo[340] ed Eriberto a proposito della dignità vescovile e si danneggiano furiosi con saccheggi e incendi. Il re, indignato con Eriberto, poiché sapeva che era pronto alla slealtà, stava dalla parte di Ugo,[341] per cui accompagnato da Ugo, assalita una fortezza di Eriberto di nome Denain[342], l’espugna e avendola presa la distrugge. Analogamente avendo posto l’assedio ad Arras la prese e unì a sé i cittadini vinti che avevano giurato. Mentre il re allontanatosi di là si riteneva tranquillo, Eriberto condotti i Germani[343] che abitano le sponde del Reno si porta contro il re e con esecrabile furore mise in atto incendi e rapine; inoltre occupa anche la fortezza di Ugo che è detta Braine[344], situata lungo il torrente Vesle[345], la prende e la distrugge.

 

[59.] PREPARATIVO DI ERIBERTO CONTRO IL RE.[346]

Il re, comprendendo di essere stato la causa di quest’oltraggio, cercava di ridurre la sua potenza. Dunque invia ambasciatori ai cittadini di Reims e ordina che eleggano un arcivescovo: che altrimenti se non lo faranno annuncia che egli ne imporrà un altro, contro la loro volontà. ma i cittadini, ricevendo la comunicazione dell’ambasceria reale riferiscono tramite i propri inviati ciò che essi stessi vogliono e sentono; e cioè che per ordine del re avevano accettato ed eletto arcivescovo il figlio di Eriberto, sebbene ancor fanciullo, e quindi gli avevano già accordato la fedeltà; per la qual cosa è impossibile che essi possano allontanarsi così da lui restando inviolata la fedeltà. Il re, comprendendo che i cittadini erano favorevoli alla parte di Eriberto, raccolto un esercito assale all’improvviso la città. Impedito a entrarvi, pone l’assedio e incalza impetuoso i cittadini[347] resistenti. I quali, tormentati dal lungo assalto, infine nella terza settimana aprirono le porte vinti e supplici. Il re entrato in città, dopo avere dato diverse disposizioni, riunito un consiglio con i suoi, fece venire i cittadini e così arringando disse:

 

[60.] DISCORSO DI RE RODOLFO AI CITTADINI DI REIMS IN PROPRIO FAVORE.[348]

“Quante stragi e quante rapine lo stato abbia subito recentemente a causa di una banda di malvagi, voi come credo lo sapete benissimo: infatti non poté accadere che foste lasciati intatti e completamente immuni mentre tanti mali infierivano dappertutto. In effetti quando le cose a voi necessarie venivano spesso rapinate, spesso bruciate, sopportaste la loro perdita. E qui non solo esternamente i beni pubblici, ma internamente i beni privati vengono ogni giorno diminuiti dal ferocissimo esattore Eriberto. Per cui ritengo di dovervi consigliare affinché eleggiate con accordo comune un pastore a voi adatto, poiché quello figlio del tiranno ancora ragazzino non è idoneo a voi e l’autorità canonica non permette che una chiesa sia priva del pastore per così tanto tempo. E non si riverserà su di voi alcun disonore, poiché a voi, vinti e presi con la violenza militare, si impone di seguire una differente costrizione. E non vi dico tanto quanto io in questa vicenda ho sbagliato. E mi pento di aver agito così. Pentitevi anche voi di aver causato la perdita delle vostre cose. Richiamate alla mente quanto grande disgrazia vi ha afflitto. Considerate anche verso quale esito favorevole potreste essere sospinti se foste retti da un buon pastore.”


[61.] ELEZIONE DI ARTAUD.[349]

I cittadini persuasi dal re si assoggettano agli ordini regi. E così per ordine del re il monaco Artaud[350], chiamato dal monastero di san Remigio con il consenso di tutti, al tempo stabilito, per concessione del re viene consacrato vescovo mediante l’imposizione delle mani dei vescovi. Costui, gestendo ogni cosa con prudenza e impegno, fu abbastanza utile ai suoi e a causa delle sue benemerenze ottenne la benevolenza di tutti e specialmente dei suoi.

 

[62.] CATTURA DI BOVONE VESCOVO DI CHÂLONS E DEL CASTELLO DI LAON.[351]

Mentre si facevano queste cose Bovone[352], vescovo di Châlons, catturato nel corso di una casuale sortita dalle guardie del re, in quanto egli stesso come traditore si era staccato dal re, fu consegnato al re. Presentatisi i complici delle sue azioni egli, giudicato colpevole davanti al re, viene assoggettato al carcere. Fatto ciò, non desistendo dalla rovina di Eriberto, accompagnato da Ugo si dirige a Laon con ottomila uomini. Là Eriberto, tormentato dal lungo assedio, chiede al re la possibilità di uscire, in quanto non aveva sufficiente abbondanza di soldati e di cibo. Ottenuto ciò dal re, uscì con i suoi dalla città, lasciando la moglie[353] nella fortezza che aveva costruito, poiché pensava di poter ritornare presto con truppe. Il re entrato nella città vuota rendendosi perfettamente conto dell’inganno attacca la fortezza con un lungo assalto e la circonda tutt’intorno e ostruisce ogni passaggio d’uscita impegnandosi a un conflitto di lunga durata. Ma, essendo le forze dei resistenti impari a un tale combattimento, deposte le armi si arrendono e supplicano per la vita. La moglie del tiranno poi, anch’essa vinta, si affretta dal re con i suoi, per supplicarlo in proprio favore, rendendogli la fortezza e chiedendo soltanto la possibilità di uscire. Il re poi sdegnando di trattenere una donna le permise di andarsene con i suoi e a quel punto ottenne la fortezza insieme con la città.

 

[63.] UCCISIONE DEL CONTE ADELELMO INGANNATO DA UN CERTO CHIERICO CHE CHIEDEVA IL VESCOVADO DI NOYON.[354]

Là, dopo che ebbe ordinato le cose necessarie a difendere la città,[355] deliberava anche, a proposito del vescovado di Noyon[356], a chi dovesse essere dato, poiché era allora morto il vescovo Airardo[357]. Infatti si chiedeva che gli succedesse Gualberto[358] abate di Corbie[359], uomo energico e generoso e che apprezzava moltissimo il valore di tutto ciò che è onesto. Tuttavia chiedeva di essere nominato successore dal re anche un certo chierico della predetta città, uomo barbaro, eccessivo di mano e per audacia, e per il quale era abituale rallegrarsi delle sottrazioni di beni altrui. Costui, respinto dal re e dai cittadini, volse il cuore agli inganni. E così si rivolse ad Adelelmo[360] conte d’Artois, la cui disgrazia suscitò mestizia in molti, con l’intenzione di sedurlo, chiedendo supplichevolmente il suo aiuto e offrendo il proprio, nascondendo del tutto di essere disprezzato dal re: “Se, dice, grazie a te mi impadronirò della dignità episcopale, grazie a me otterrai facilmente l’onore comitale. E ciò varrà la pena che sia fatto in questo modo, se di notte scalerai le mura della città e farai entrare i tuoi mentre io all’interno offro sostegno. Anche io sarò presente con molti, e riuniti in una schiera invaderemo la città. E così avverrà che catturiamo i cittadini o li espelliamo.” Adelelmo, pronto a credere queste cose, approva i discorsi di chi lo vuol convincere. Dunque per tentar di compiere il misfatto si dirige verso la città di notte con ingenti truppe. Il chierico, non fiducioso di nessuno nella città, attendeva sul luogo l’azione che doveva essere compiuta. Adelelmo, arrivando là, da quello fu fatto entrare con i suoi, e riunitisi in un solo gruppo agitano la città, nel buio della notte, con le trombe il clamore e lo strepito delle armi. Per cui i cittadini destatisi, quando si furono resi conto di essere stati invasi con l’inganno, si misero in salvo con la fuga dai nemici. Nessuno fu catturato, in quanto i nemici, raggruppati insieme, non osarono disperdersi per la città. Per cui a tutti fu accessibile la fuga. E così i cittadini scacciati ricevono dai vicini le armi e gli altri aiuti e il quinto giorno coraggiosamente si portano contro la città; anche gli abitanti del suburbio offrono abbondantemente aiuto: dunque rapidamente giungono allo scontro. Adelelmo e il chierico con i suoi resistono strenuamente. Ma il popolo che era rimasto in città e aveva fatto loro giuramento di fedeltà ruppe l’impegno e duramente li attaccò alle spalle. Trovatisi a questo punto in mezzo ai nemici, furono costretti a rifugiarsi in una chiesa. Gli abitanti poi, accolti di nuovo da quelli che erano dentro, non rinunciavano a perseguitare Adelelmo e il chierico e, abbattute le porte della chiesa, raggiungono i nemici e davanti all’altare trucidarono entrambi crudelmente con numerosi altri e impadronitisi della città ripresero le proprie cose. Compiute queste azioni e purificata la chiesa con una purificazione rituale, Gualberto, monaco e abate di Corbie, nominato dal re, viene consacrato vescovo di Noyon dall’arcivescovo Artaud.

 

64.] I PRINCIPI DI AQUITANIA E DI GUASCOGNA VENGONO A PORSI AL SERVIZIO DEL RE RODOLFO.[361]

Nel frattempo i principi dei Goti Raimondo[362] ed Ermingaudo[363] accorrono sulla sponda del fiume Loira per porsi al servizio del re che viene loro incontro e pongono le proprie nelle mani di lui, si obbligano al servizio militare e quindi s’impegnano alla fedeltà secondo quanto il re ordina. Il re allontanatosi di là si reca nella parte più esterna dell’Aquitania. E là Loup Aznar il Guascone[364], che si diceva avesse un cavallo di più di cent’anni e ancora sanissimo in tutto il corpo, si presenta per porsi al servizio del re e il re, essendogli stata restituita l’amministrazione della provincia, generosamente gliela ridiede e concesse che fosse governata da lui.

 

[65.] GRAN NUMERO DI MALI; PRODIGI.[365]

In questo stesso periodo nel cielo di Reims furono viste passare armi di fuoco e fiamme sanguigne, simili a dardi o serpenti. E subito sopraggiunse una pestilenza, che uccise moltissimi con pustole di erisipela. E non molto dopo seguì anche la morte del re. Infatti poiché nel tempo autunnale nei malati abbonda l’umor nero, fu afflitto per tutto l’autunno dalla cachessia, con cui i latini indicano una cattiva disposizione del corpo, e vinto dall’eccesso di umore morì[366] e uscì dalla condizione umana. Fu sepolto nella basilica della santa vergine Colomba[367] presso Sens con grande afflizione degli amici e ossequio dei suoi. Non predispose nulla in merito all’amministrazione del regno, ma la lasciò ai grandi, in quanto non aveva figli che potessero acquistare il controllo dei regni.



[1] Gerbertus, Gerbert d’Aurillac (v.95012.V.1003 Roma), monaco a St.Geraud (Aurillac), studente a Vic (967-970), scolastico a Reims, abate di Bobbio dal 983, arcivescovo di Reims (21.VI.991) poi di Ravenna (VIII.998), papa col nome di Silvestro II (2.IV.999). Fu educatore, filosofo e scienziato, ma anche partecipe delle vicende politiche dell’epoca, come sostenitore dell’ascesa al trono di Ugo Capeto nel 987 e del progetto di Renovatio Imperii di Ottone III.

[2] Hincmarus (80621.XII.882 Epernay), arcivescovo di Reims (18.IV.845), uno dei principali protagonisti della vita ecclesiastica e civile del regno franco nella seconda metà del IX secolo.

[3] In origine R. aveva scritto “settimo arcivescovo di Reims prima di te”, ma anche dopo la correzione la cifra può giustificarsi solo se si esclude dalla lista Arnolfo (989-991) o Ugo di Vermandois, arcivescovo nominato (925-931) ma non consacrato perché minorenne.

[4] Hincmar fu redattore degli Annali di Saint Bertin per gli anni 862-882.

[5] Carlo II il Calvo (8236.X.877) fu re dei Franchi Occidentali (840) e imperatore (25.XII.875);

Carlo III il Semplice (17.IX.8797.X.929), figlio di Ludovico II, fu re di Francia (893-dep.922)

[6] Ludovico II (1.XI.84610.IV.879), figlio di Carlo II, fu re d’Aquitania (867) e di Francia (877);

Ludovico III (8635.VIII.882), figlio del precedente, fu re di Francia-Neustria (879-882);

Ludovico IV d’Oltremare (10.IX.92110.IX.954), figlio di Carlo III, fu re di Francia (936-954);

Ludovico V (v.96721.V.987), figlio di Lotario, fu re di Francia (986-987)

[7] Flodoardus (v.893/428.III.966), canonico della cattedrale di Reims, autore degli Annales (919-966) e della Historia Remensis Ecclesiae, oltre che di opere agiografiche (De Triumphis Christi)

[8] Tutta la frase fu aggiunta da R. in una nota successiva alla prima redazione

[9] R. si riferisce a Orosio, Historiae

[10] Si intende Gerusalemme

[11] Riphei, monti mitici, identificabili con la catena degli Urali (Russia)

[12] Il fiume Thanai è il Don (Russia), lungo 1950 Km, che sfocia nel mar d’Azov (Meothis)

[13] Nilus nel testo, fiume dell’Africa settentrionale, lungo 6.690 Km

[14] Etimologia da Isidoro di Siviglia (Etymologiae, 14,IV.25), che richiama il greco gala (latte)

[15] R. si riferisce qui a G.Cesare, Bellum Gallicum, I,1

[16] Rhenus nel testo, fiume dell’Europa centro-occidentale, lungo 1320 Km

[17] Etimologia da Isidoro di Siviglia (Etymologiae, 14,IV.24)

[18] Matrona nel testo, fiume della Francia settentrionale, affluente della Senna, lungo 525 Km

[19] Alpes (A)penninae nel testo, comprese tra il Gran San Bernardo e il San Gottardo

[20] Frase aggiunta a margine da R.

[21] Garunna nel testo, fiume della Francia sud-occidentale, lungo 575 Km

[22] Nella prima redazione R. aveva scritto “fino all’Ebro (Hiberus) che diede il nome alla regione fino all’oceano”

[23] La delimitazione dell’Aquitania risulta da un compromesso incoerente di R. tra il testo di Cesare e la realtà politica per cui il confine tra Celtica e Aquitania si colloca alla Loira

[24] Rhodanus nel testo, fiume della Francia sud-orientale, lungo 812 Km

[25] Araris nel testo, fiume della Borgogna, affluente del Rodano, lungo 480 Km

[26] Nella prima redazione “confinante di qua con la provincia di Lione (Lugdunensis), di là col Mediterraneo”, e tutto l’inciso è aggiunto in una nota a piè di pagina

[27] Pyreneus nel testo, ma nella prima redazione “dall’Ebro”

[28] Girolamo, Contra Vigilantium, in Migne, PL 23, col.355A

[29] Sulpicio Severo, Dialogi, I,8,5, ed.Halm p.160

[30] Remigius (fr. Remi)(v.43713.I.532/3 Reims), santo, vescovo di Reims (dal 459/60), convertì e battezzò (496) Clodoveo re dei Franchi

[31] I due ultimi periodi sono aggiunti a margine

[32] Clodoueus (fr. Clovis, ted. Chlodwig, da cui poi Ludovicus, Louis, Ludwig) (v.46627.XI.511), re dei Franchi (481-511), estese il regno su tutta la Gallia romana fino ai Pirenei

[33] Karolus (fr. Charles, ted. Karl), Carlo III il Semplice (17-IX.8797.X.929), re dal 28.I.893

[34] Grave errore di R.: Carlo III era figlio postumo di Ludovico (II) il Balbo, e fratello minore di Ludovico III e di Carlomanno (867-884) re d’Aquitania (879) e Francia (882-884)

[35] In origine “la madre era morta poco prima”, ma in realtà la regina Adelaide (950/3†10.XI.901), madre di Carlo il Semplice, morì quando Carlo era già adulto

[36] In R. il sostantivo piratae è (quasi sempre) sinonimo di Normanni

[37] Rodomum/Rhodomum nel testo (dép. Seine-Maritime); sede arcivescovile

[38] Se R. si riferisce all’accordo di Saint-Clair-sur-Epte (911) la cronologia è errata

[39] Baiocae (dép. Calvados), Abrincantum (dép. Manche), Ebrocae (dép. Eure), Sagium (dép. Orne, arr. Alençon), Constantia (dép. Manche), Lisoium (dép. Calvados); sedi vescovili

[40] Le frasi a partire da “Questa gente” e fino a qui sono aggiunte in una nota successiva alla prima redazione

[41] Sequana nel testo, fiume della Francia settentrionale, lungo 776 Km

[42] Giuoldi fossa (dép. Yvelines, arr. Mantes, cant. Bonnières), a metà strada tra Parigi e Rouen

[43] Liger nel testo, fiume della Francia centro-settentionale, lungo 1020 Km

[44] L’ultimo inciso fu aggiunto da R. in seguito: la Neustria è una regione storica della Francia merovingia e carolingia; e in R. è spesso sinonimo di Celtica

[45] Frase aggiunta a margine: il nome Catillus, non è attestato in documenti coevi, ma si conosce il nome normanno Anketil (Anscatillus)

[46] In realtà nel marzo 888 Carlo aveva otto anni

[47] Giovedì 29 febbraio 888 (II Kal. Mart.), a Compiègne (Annales Vedastini a.888)

[48] Odo (fr. Eudes) (v.8601/3.I.898 La Fère), duca o marchese in Neustria, re di Francia (888-898), figlio primogenito di Roberto il Forte

[49] Rotbertus (fr. Robert) (15.IX.866 Brissarthe), detto il Forte, conte di Tours, duca o marchese in Neustria (855), figlio di Roberto (Rutperto III) dei Robertingi conti in Oberrheingau

[50] Uuitichinus, ma l’origine sassone dei Robertingi è da ritenersi leggendaria

[51] Qui R. ha cancellato la frase “e li eliminò completamente dai confini delle Gallie”

[52] Nella prima redazione “due anni”

[53] Dall’890 all’892 (Annales Vedastini a.892)

[54] iabus nel testo, vale una libbra meno un’oncia

[55] Qui R. ha cancellato l’aggettivo “marittimi”

[56] Nell’892-893.

[57] I capitoli 6-11 sono privi di riscontri coevi e poco attendibili.

[58] Anitium nel testo (dép. Haute-Loire); sede vescovile (prov. Lyon)

[59] Andegauum nel testo (dép. Maine-et-Loire); sede vescovile (prov. Tours)

[60] Prouintia nel testo, regione storica della Francia meridionale

[61] La Gothia (Settimania) è una regione storica della Francia meridionale

[62] Arelatenses (dép. Bouches-du-Rhône) e Aurasicanos (dép. Vaucluse, arr. Avignon)

[63] Tolosanos (dép. Haute-Garonne) e Nemausinos (dép. Gard)

[64] Bridda nel testo (dép. Haute-Loire)

[65] Aruernicum pagum, regione storica della Francia centro-meridionale

[66] Mons Panchei nel testo (dép. Puy-de-Dôme, arr. Riom, cant. Aigueperse)

[67] La battaglia di Montpensier (893?) fu forse (Lauranson-Rosaz) un’azione bellica diretta non contro i Normanni ma contro ribelli alverniati, di cui Catillo (nome dall’etimo incerto) sarebbe stato il capo.

[68] R. usa costantemente questa cifra, che quindi non ha alcun valore documentario

[69] Ingo (fr. Ingon), non attestato in documenti coevi, capostipite mitico della casa di Blois

[70] Nella prima redazione “Il re dei barbari”

[71] Precisazione aggiunta a margine

[72] Lemouicae nel testo (dép. Haute-Vienne); sede vescovile (prov. Bourges)

[73] In R. il vocabolo tirannus indica chiunque detenga il potere politico-militare senza la formale legittimazione derivante da un’elezione o investitura, e in particolare ogni usurpatore

[74] Sanctus Marcialis, famosa abbazia benedettina di Limoges, demolita (ad eccezione della cripta) nel XIX secolo

[75] Blesum nel testo (dép. Loir-et-Cher).

[76] Gerlo (fr. Gerlon), figlio di Ingo, viene da taluni identificato con Teobaldo (?-v.940), visconte di Blois, che successe a Garnegaud (morto nel 906), ma anche in questo caso, come per Ingo e Catillo, manca ogni evidenza documentaria diversa dalla testimonianza di R., che potrebbe aver tratto la propria narrazione da una tradizione orale appresa durante il periodo trascorso a Chartres

[77] Echolisina nel testo (dép. Charente); sede vescovile (prov. Bordeaux)

[78] Petragora nel testo (dép. Dordogne); sede vescovile (prov. Bordeaux)

[79] Qui R. ha cancellato “e molto di quelle private”

[80] Fulco (v.84017.VI.900), arcivescovo di Reims (883-900)

[81] La frase è aggiunta in nota

[82] In realtà Carlo nell’893 era tredicenne

[83] Hermann I, arcivescovo Coloniensis (889/90-11.IV.924); Ratbod, arcivescovo Treuericus (883-30.III.915); Hatto I, arcivescovo Maguntinus (891-15.V.913); sono i titolari delle tre province ecclesiastiche nelle quali era ripartito il regno carolingio dei Franchi Orientali (inclusa la Lotaringia)

[84] Significativa incoerenza con le definizioni geografiche presentate nel cap. 2

[85] Dido, v. Laudunensis (v.886-895); Rodoard, v. Catalaunicus (886-893?); Heriland, v. Morinensis (887-900/908)

[86] Domenica 28 gennaio 893 (V Kal Febr.): la data è aggiunta a margine

[87] Remi nel testo (dép. Marne); sede arcivescovile

[88] Chiesa abbaziale di Saint-Remi, nei pressi di Reims

[89] Frase rimaneggiata da R. dopo la prima redazione

[90] Turonis/Turonica urbs nel testo (dép. Indre-et-Loire); sede arcivescovile

[91] Parisius nel testo; sede vescovile (prov. Sens)

[92] Dionisius, Rusticus et Eleutherius, venerati nella chiesa abbaziale di St-Denis, presso Parigi

[93] Fara nel testo (dép. Aisne, arr. Laon)

[94] 1/3 gennaio 898

[95] Qui R. ha cancellato la frase “anche nei primi anni dell’adolescenza gli furono cari la pace e la tranquillità dello stato, la concordia dei suoi, il benessere della popolazione. In effetti”

[96] Rotbertus (fr. Robert) (860/515.VI.923 Soissons), duca o marchese in Neustria (898), figlio di Roberto il Forte e fratello di Eude, (I) re di Francia ( 922-923), sposò (895) Beatrice (v.880†d.III.931) di Eriberto I di Vermandois

[97] Roberto giurò fedeltà a Carlo alla fine della primavera dell’898, al termine di una campagna contro i Normanni

[98] Nella prima redazione R. aveva scritto:”Il re dunque, assistito dai principi e molto esaltato dall’ossequio dei suoi, secondo il costume dei re stabilì leggi ed emise decreti. E mise Roberto a capo”

[99] Precisazione temporale aggiunta in un secondo tempo

[100] Qui R. ha cancellato l’inciso “che è la Celtica”

[101] Saxonia nel testo; riferimento ambiguo (risultante da una correzione, nella prima redazione era Belgica)

[102] Heinricus (ted. Heinrich) (8762.VII.936), figlio di Ottone l’Illustre duca di Sassonia (30.XI.912), divenne duca di Sassonia (912) e in seguito re di Germania (Enrico I l’Uccellatore) (919-936); fu padre dell’imperatore Ottone I e fondatore della dinastia Ottoniana

[103] Frase aggiunta in una nota: qui per la prima volta nella revisione compare Enrico

[104] Sarmatae, nome con cui R. (come pure Flodoard) indica gli Slavi

[105] Angli, nome collettivo per le popolazioni anglosassoni dell’Inghilterra

[106] Precisazione aggiunta in un secondo tempo

[107] Fonte: Flodoard, Annales, anno 920 (con dettagli d’invenzione di R.)

[108] Hagano (fr.Haganon), di famiglia lotaringia, è detto parente di Stance padre di san Gérard di Brogne, ed è forse collegato alla famiglia della regina Frederuna, moglie di Carlo III; compare per la prima volta in un diploma del 29.I.916 a Herstal in favore dell’abbazie di Prüm, e nel 918 è conte

[109] Fonte: Flodoard, Annales, anno 920

[110] Nella prima redazione “delle Gallie”

[111] Nome inserito come correzione dopo una cancellatura

[112] Suessonis/Suessonica urbs nel testo (dép. Aisne); sede vescovile (prov. Reims)

[113] mediocris è qui inserito in sostituzione dell’originale ignobilis

[114] Tutta la frase è aggiunta a margine

[115] Gravissimo errore di R.: Folco era morto assassinato nel 900, e nel 920 era arcivescovo Hervé

[116] Balduinus (fr. Baudoin), Baldovino II conte di Fiandra (879-918), era già morto nel 920, mentre in effetti era stato l’istigatore dell’assassinio dell’arcivescovo Folco nel 900

[117] Morini, in R. indica la città di Thérouanne (Pas-de-Calais) ma anche la regione delle Fiandre

[118] Fonte: Flodoard, Hist.Rem.Eccl. IV,10 (in relazione all’arcivescovo Folco); tutta la vicenda è inserita, per un grave abbaglio di R., intorno al 920, ma i fatti qui narrati si svolsero nel 900.

[119] Tra la fine dell’899 e l’inizio del 900

[120] Atrabatum nel testo (dép. Pas-de-Calais); diocesi riunita a Cambrai dal 584 al 1093

[121] Sanctus Uedastus, situata ad Arras

[122] Altmarus (fr. Altmar), conte franco occidentale

[123] Sanctus Medardus, situata a Soissons

[124] Frase rimaneggiata da R. dopo la prima redazione

[125] Uuinemarus (fr. Guinemer), vassallo del conte di Fiandra Baldovino II; R. ha cancellato qui la frase “il più scellerato di quanti alberga la terra”

[126] La data di morte dell’arcivescovo Folco è il 17 giugno 900

[127] Frase rimaneggiata da R.

[128] Fonte: Flodoard, Hist.Rem.Eccl. IV,10, con aggiunte inventate da R.

[129] A Reims il 6 luglio 900

[130] Nella prima redazione R. aveva scritto “dell’amico”

[131] La sentenza di scomunica è conservata alla Staatsbibliotek di Berlino

[132] Fonti: Flodoard, Hist.Rem.Eccl. IV,11; Flodoard, Annales, anno 920

[133] Heriueus (2.VII.922), arcivescovo di Reims (900-922); nipote del conte Hubaud

[134] Il 6 luglio 900

[135] Precisazione aggiunta a margine

[136] Flodoard, Hist.Rem.Eccl. IV, 1-10 (Folco) 11-17 (Hervé)

[137] Erlebaldus (fr. Ellebaud) (920) conte in diverse contee (Lommensis, Castricensis) sul confine tra Francia e Lotaringia; sposa Alpais figlia naturale di Carlo III

[138] Castricenses/pagus Castricensis è il territorio nei dintorni di Mézieres (Ardennes)

[139] Maceriae nel testo (dép. Ardennes)

[140] Agosto-settembre 920

[141] Fonte: Flodoard, Annales, anno 920 (non prima della metà di settembre). Molti dettagli sono tuttavia assenti nella fonte, e sono forse frutto della fantasia di R.

[142] Uuarmacensis pagus, sul fiume Reno, nella provincia ecclesiastica di Magonza

[143] Transrhenensis; R. si riferisce al re di Germania Enrico I

[144] Nella prima redazione “si impegnava moltissimo all’amicizia che ci doveva essere tra loro”

[145] Precisazioni aggiunte a margine

[146] Nella prima redazione “ignaro dei fatti”

[147] Questa frase sostituisce la prima redazione, che suonava “Da quel giorno non ci fu più tra loro né concordia né amicizia”

[148] Fonte: Flodoard, Annales, anno 920

[149] R. confonde la sequenza degli avvenimenti, e qui ritorna alle vicende già da lui descritte in I,16 e da collocarsi all’inizio del 920: Roberto è a Soissons il 20 gennaio

[150] Stampae nel testo (dép. Essonne)

[151] Nella prima redazione “i principi si resero conto”. Da qui e fino alla fine del capitolo si tratta di un’aggiunta

[152] Frase rimaneggiata da R. dopo la prima redazione

[153] Fonti: Flodoard, Hist.Rem.Eccl. IV,15; Flodoard, Annales, anno 920

[154] Le prime due frasi sono state inserite da R. al posto di frasi cancellate

[155] Riculfus (fr. Ricoux), vescovo di Soissons (889-900/908)

[156] Nella prima redazione “soltanto con due”

[157] “si recò a Reims” è aggiunto a margine. Secondo Flodoard, Folco condusse il re dapprima nella villa di Chacrise (Aisne), 10 Km a SE di Soissons, poi in quella di Crugny (Marne), infine a Reims dove lo ospitò per quasi 7 mesi

[158] Tungri nel testo, città del Belgio, sede vescovile (prov. Colonia)

[159] Stefano, vescovo di Liegi (v.901-9.V.920)

[160] Herimannus, Hermann I arcivescovo di Colonia (889/90†11.IV.924)

[161] Non pare plausibile che Carlo sostenesse la nomina di Ilduino, che secondo Flodoard fu invece approvata da Gisleberto duca di Lotaringia.

[162] Hilduinus (fr. Heudoin), vescovo di Liegi (920-921), poi di Verona (928-931), arcivescovo di Milano (931-936)

[163] Frase rimaneggiata da R.

[164] La prima redazione era “Ma basandosi sul consiglio di Hervé arcivescovo di Reims convoca mediante inviati Gisleberto che era più potente di tutti nella Belgica”. R. la modificò una prima volta dandole la forma “Ma il re basandosi sul buon consiglio dei suoi tramite  l’arcivescovo Hervé convoca mediante inviati Gisleberto che era più potente di tutti nella Belgica”, poi una seconda volta cancellando alcune parole e sostituendo ai nomi di Gisleberto e di Belgica quelli di Enrico e di Sassonia.

[165] “da Enrico” nella redazione originaria

[166] Qui R. ha cancellato la frase “e, accolto con molto onore, è ammesso alla presenza del re”

[167] Qui “ENRICO”, aggiunto in un secondo tempo, certamente sostituisce “GISLEBERTO”

[168] Nei capitoli 23-24, che sono pura invenzione di R., come pure nei riferimenti precedenti, là dove nella redazione definitiva compare il nome di Enrico era in precedenza scritto quello di Gisleberto. Non è chiaro se le motivazioni di R. per tale sostituzione siano letterarie o politiche. La motivazione letteraria si riferirebbe all’esigenza di non introdurre Gisleberto prima della sua presentazione, che avviene nel capitolo 35, mentre per la motivazione politica ci si richiama alla volontà di evidenziare la legittimità della rivendicazione di sovranità su tutti i territori franchi da parte di Carlo, ultimo sopravissuto della dinastia carolingia

[169] Qui R. ha cancellato “ma frequente e comune”

[170] “dei Belgi” nella redazione originaria

[171] Il nome è aggiunto in un secondo tempo

[172] Nella redazione originaria era scritto “non so se incauto o desideroso del male”

[173] “nella Belgica” nella redazione originaria

[174] Anche qui e in seguito “ENRICO” è inserito a correggere “GISLEBERTO”

[175] R. si riferisce qui forse al trattato di Bonn (1 novembre 920), ricordato anche da Flodoard (anno 921)

[176] Fonte: Flodoard, Annales, anno 922

[177] Richerus (fr. Richer) (23.VII.945 Liegi), figlio di Adalhard II conte di Metz e fratello dei conti Gerhard e Matfrid, che lo crearono abate di Prüm (899-920/1) deponendo Reginone (che riferisce la vicenda nel suo Chronicon all’anno 899); divenne poi a seguito delle vicende qui narrate vescovo di Liegi (920/21-945)

[178] Prumiensis, abbazia della Lotaringia (prov. Treviri), a SE di Liegi, legata ai Carolingi

[179] Questo particolare non trova riscontro nelle fonti coeve

[180] Iohannes, Giovanni da Tossignano (v.860928 Roma), vescovo di Bologna, arcivescovo di Ravenna (905-914), poi papa Giovanni X (III.914-V.928), imprigionato e assassinato per volontà di Guido e Marozia; gli successero Leone VI (V-XII.928) e Stefano VII(VIII) (X.928-II.931)

[181] Fonte: Flodoard, Annales, anno 921

[182] Trosleium nel testo (dép. Aisne, arr. Laon, cant. Coucy-le-Château)

[183] Si tratta in questo caso di un’assoluzione postuma, il riferimento alla scomunica è aggiunto a margine

[184] Secondo Flodoard l’ordinazione avvenne a Reims

[185] Rodulfus (fr. Raoul) (921), vescovo di Laon (896-921)

[186] Laudunum nel testo (dép. Aisne); sede vescovile (prov. Reims)

[187] Adelelmus (fr. Alleaume) (929/30), vescovo di Laon (921-929/30)

[188] Fonte: Flodoard, Annales, anno 921

[189] Qui tre righe sono cancellate e illeggibili

[190] Richuinus (fr. Ricouin, ted. Rikwin) (923), conte di Verdun, sposò Cunegonda, figlia di Engeltrude carolingia e vedova del conte Wigeric; fu padre di Otto, conte di Verdun e duca di Lorena (940-944), e fu assassinato nel 923 dal conte Bosone figlio di Riccardo il Giustiziere e fratello di Rodolfo re

[191] Precisazioni aggiunte a margine. Seguivano altre tre righe cancellate e illeggibili

[192] Fonte: Flodoard, Annales, anno 921. R. tuttavia nei capitoli 28-33 narra vicende della lotta contro i Normanni che sono relative a periodi diversi, e in particolare all’anno 911 (battaglia di Chartres)

[193] Rollo (fr. Rollon) (933?), capo normanno, conte di Rouen (911-925/33), sottoscrisse nel 911 il trattato di Saint-Clair-sur-Epte con cui Carlo gli concesse in feudo i territori della futura Normandia ed accettò il battesimo. R. lo dice figlio di Catillo, mentre secondo altre fonti (comunque non coeve e incerte) era figlio del norvegese Rognwald

[194] “al comando di Rollone figlio di Catillo” è un’aggiunta successiva alla prima redazione

[195] Qui R. ha corretto con “quattro” un precedente “nove”

[196] Tale presenza non è attestata dalle fonti coeve, e il riferimento a Ricuino è aggiunto da R. a margine

[197] Dalmatius (fr.Dalmas), nobile alverniate, probabilmente visconte di Brioude (o suo parente)

[198] Nella prima redazione era scritto “che pone al comando di Gisleberto”, frase poi cancellata

[199] Tutta la perorazione è aggiunta in un secondo tempo

[200] L’ultima parte del capitolo imita brani di Sallustio, De Coniuratione Catilinae 58-59

[201] Riferimento aggiunto in un secondo tempo

[202] Qui R. ha cancellato “con grandissimo clamore”

[203] Battaglia di Chartres del 20 luglio 911

[204] “con i Neustriani” è una correzione successiva alla prima redazione

[205] Anche qui è eliminato il riferimento a Gisleberto

[206] “i Belgi” è cancellato

[207] L’inciso “ciascuno ritorna alla propria sede” è cancellato

[208] Il vocabolo “i prigionieri” corregge “gli ostaggi dei pirati”

[209] Martinus monachus, sul quale non si hanno altre notizie

[210] Uuitto/Uuito (fr. Guitton) (v.914), arcivescovo di Rouen (v.900-v.914): le date sono molto incerte

[211] Il capitolo precedente, fino a questo punto, sostituisce la redazione originaria: “Investigando con grande diligenza se si impegnassero a promettere di farsi battezzare, avendo poi appreso che, se fosse stata loro concessa col vincolo di un tributo la terra vicina al mare nella quale essi stessi si erano insediati, avrebbero spontaneamente adottato la religione cristiana e si sarebbero posti fedelmente al servizio del re delle Gallie, credendo che non fosse sufficiente, tramite inviati inviò a Guittone arcivescovo di Rouen una richiesta di consiglio. Ed espose la stessa cosa a Hervé arcivescovo di Reims e gli chiese consiglio. E difatti i due celebri arcivescovi ... erano allora massimamente ascoltati nelle Gallie”

[212] Fonte: Flodoard, Hist.Rem.Eccl. IV,14

[213] Giovanni X

[214] Secondo Flodoard i capitoli sono ventitre.

[215] Ragenerus (fr. Regnier, ted. Reginar), Reginaro I dal Lungo Collo (v.850915 Meerssen), conte in Lotaringia dall’875, figlio di Gisleberto di Maasgau e di una figlia di Lotario I imperatore, sposò Alberada e fu padre del duca Gisleberto e di Reginaro II conte d’Hainaut

[216] “soprannominato dal Lungo Collo” è aggiunto a margine

[217] Tra il 25 agosto 915 e il 19 gennaio 916

[218] Marsna nel testo, cittadina del Limburgo olandese, sulla Geul, 6 Km a NE di Maastricht

[219] Gislebertus (fr. Gilbert, ted. Giselbert) (8902.X.939 Andernach), figlio di Reginaro I; conte dal 916, ribelle a Carlo dal 919, passò a Enrico I di Germania (923) e sposò sua figlia Gerberga (928/9); duca di Lotaringia (936-939) si ribellò anche a Ottone I e morì in battaglia

[220] La descrizione è ispirata al ritratto di Catilina in Sallustio, De Coniuratione Catilinae 5. Tutto il capitolo è comunque fortemente rimaneggiato rispetto alla redazione originaria., con cancellazioni e inserimenti

[221] Gerberga (fr. Gerberge) (913/175.V.968/9) figlia di Enrico re di Germania, sposa in prime nozze (928/9) Gisleberto duca di Lotaringia e in seconde nozze (939) Ludovico IV re di Francia

[222] “non per Roberto ma” è aggiunta posteriore alla redazione originaria

[223] Harburc nel testo, fortezza non identificata sita alla confluenza tra Geul e Mosa

[224] Mosa nel testo, fiume della Francia nord-occidentale, del Belgio e dell’Olanda, lungo 950 Km

[225] Gullus nel testo, fiume tra Belgio e Olanda, affluente della Mosa, lungo 58 Km

[226] In realtà probabilmente un periodo abbastanza breve

[227] L’elenco, non desunto dalle fonti ma singolarmente dettagliato, lascia supporre conoscenze dirette (forse di origine familiare) sulla materia da parte di R.

[228] Treiectum nel testo, città del Limburgo olandese, sulla Mosa, 25 Km a N di Liegi

[229] Iuppila nel testo, cittadina belga, sulla sponda destra della Mosa, 5 Km a E di Liegi

[230] Harstalium nel testo, cittadina belga, sulla sponda sinistra della Mosa, 5 Km a NE di Liegi

[231] Litta nel testo, località non identificata con sicurezza; Leten presso Bilzen è in Belgio, a O di Maastricht e circa 25 Km a a N di Liegi

[232] Capraemons nel testo, cittadina belga, 5 Km a SE di Liegi; secondo Flodoard (anno 922) Gisleberto vi fu assediato da Carlo, che però dovette ritirarsi per l’intervento di Ugo il Grande

[233] In realtà non ancora tale fino al 928

[234] l’inciso “non potendo procurare per sé il regno” è un’aggiunta successiva  alla prima redazione

[235] Qui R. ha cancellato le frasi: “Dopo ciò Gisleberto tornò nella Belgica, riempiendo le città di soldati e di truppe sufficienti, predisponendo tutto contro il re, e ricostruendo con baluardi più robusti laddove le rovine permettevano l’accesso. Avendo poi valutato che i combattenti avrebbero potuto abbandonarlo se non li avesse legati a sé con un giuramento, ottenne da tutti loro un giuramento di fedeltà ma anche tanti ostaggi quanti ne volle, e rinchiuse i prescelti nella fortezza di Harburc, che appariva pressoché inespugnabile, disponendo tutto apertamente contro il re. E in più ottenne che, qualunque cosa egli stesso macchinasse contro il re, ciò non fosse a danno del suocero, soprattutto per il fatto che, essendo lo stesso fortemente pressato dall’assalto degli Slavi, non poteva utilmente interessarsi ad altri affari. Il re dunque, toccato da ciò, si diresse verso la Belgica. Ma Gisleberto, in quanto aveva rotto la fedeltà, non solo disdegnò di venire dal re, ma sottraeva al re, con denaro e promesse di beni, tutti quelli che poteva. E il re , non ignorando che ciò doveva essere tollerato pazientemente per qualche tempo, risiedeva a Liegi senza agitazione con quelli che erano venuti con lui dalla Celtica, asserendo che diventa più lieve ciò che è tollerato con pazienza, e riconoscendo di essere esposto all’odio dei nemici, poiché era pressato di qua nella Celtica da Roberto, di là nella Belgica da Gisleberto. E invero Roberto si dava da fare a danno del re e a vantaggio dei suoi, e ottenne risultati presso i principi, cosicché quasi tutti congiuravano crudelmente contro il loro re.”

[236] Fonte: Flodoard, Annales, anno 922

[237] Nota aggiunta a margine

[238] Nel giugno 922

[239] Domenica 30 giugno 922

[240] Il 3 luglio 922

[241] Seulfus (1.IX.925), arcivescovo di Reims (922-925)

[242] Il dialogo dei capitoli 42-42 è invenzione di R.

[243] Frase rimaneggiata da R dopo la prima redazione.

[244] Qui R. ha cancellato la frase “e ben poca speranza gli era rimasta, poiché tutto era stato invaso dal tiranno, il potere di comandare e la libertà di possedere”

[245] Nella redazione originaria “i magnati della Belgica”

[246] Frase aggiunta a piè di pagina e ulteriormente rimaneggiata da R., come il resto del capitolo

[247] Fonte: Flodoard, Annales, anno 923

[248] Cifra di fantasia: R. inizialmente aveva scritto 5.000, poi corretto in 6.000, infine in 10.000

[249] L’inciso è stato aggiunto dopo la prima redazione

[250] Condrucium nel testo, regione storica del Belgio, a SO di Liegi

[251] Hasbanium nel testo (Hasbain/Hasbanien), regione storica del Belgio, a O di Liegi

[252] Atiniacum nel testo (dép. Ardennes, arr. Vouziers), sul fiume Aisne, 47 Km a NE di Reims, importante residenza reale merovingia (dal 647) e carolingia, poi abbandonata dai Capetingi

[253] Fonte: Flodoard, Annales, anno 923

[254] Fulbertus (fr. Foubert); un conte Fulberto figura in due diplomi di Carlo (anni 916 e 919)

[255] Duemila nella redazione originaria, ma i numeri di R. sono sempre di fantasia

[256] Qui R. ha cancellato l’inciso “con riferimento al dovere di prestare servizio, alla gloria data dalla fama, alla nobiltà degli antenati e all’utilità per i figli”

[257] Axona nel testo, fiume della Francia settentrionale, lungo 300 Km, affluente dell’Oise

[258] La battaglia di Soissons si combatté il 15 giugno 923, e generò una tradizione leggendaria, alla quale verosimilmente si ispira R. per molti particolari non attestati nelle fonti

[259] La frase sostituisce “si affrettava contro il tiranno”, che compariva nella redazione originaria

[260] Hagraldus, non identificato, ha un nome di origine chiaramente normanna

[261] Duemila nella redazione originaria (vedi anche sopra)

[262] Beata Genouefa (fr. Geneviève), chiesa altomedievale nei pressi di Soissons, oggi scomparsa

[263] Fonte: Flodoard, Annales, anno 923

[264] Tutta la frase è stata fortemente rimaneggiata da R.

[265] Le cifre qui riportate non figurano in alcuna delle opere note di Flodoard

[266] Heribertus, Heribert (fr. Herbert), Eriberto II (v.88023.II.943) conte di Vermandois (902-943), figlio di Eriberto I (†900/7) e quindi discendente di Carlo Magno (dal figlio Pipino); sposò (v.907) Adele figlia di Roberto I re, da cui ebbe numerosi figli

[267] Hugo (fr. Hugues), Ugo il Grande (897/8956 Dourdan), marchese di Neustria (923) e duca dei Franchi, figlio di Roberto I re e di Beatrice di Vermandois, fu il più importante feudatario di Francia del suo tempo; sposò (in terze nozze nel 937) Hedwige di Sassonia (922965), figlia di Enrico I re di Germania, dalla quale ebbe Ugo Capeto ed Eude duca di Borgogna

[268] In realtà aveva circa venticinque anni

[269] Anche questa frase è stata fortemente rimaneggiata da R.

[270] Dall’inizio del capitolo 44 e fino a qui il testo è riscritto sopra una cancellatura

[271] In realtà secondo Flodoard la vittoria, malgrado la morte del re, andò ai partigiani di Roberto, che però non inseguirono i fuggitivi ma occuparono il campo e raccolsero il bottino, con l’aiuto degli abitanti dei sobborghi di Soissons; R. fraintende quest’ultimo episodio

[272] “Galli” nella redazione originaria

[273] Le ultime due frasi sono aggiunte a margine

[274] Qui R. ha cancellato “Galli”

[275] L’inciso è aggiunto come nota a piè di pagina

[276] L’inciso è aggiunto posteriormente

[277] “la Germania” nella redazione originaria

[278] Qui R. ha cancellato “nelle Gallie”

[279] Camaracensis nel testo (dép. Nord); sede vescovile (prov. Reims)

[280] In Flodoard l’evento è riportato nell’anno 922

[281] Nortmanni nel testo

[282] Secondo Flodoard le truppe di Rodolfo si interposero tra Carlo e i Normanni sull’Oise

[283] Fonte: Flodoard, Annales, anno 923

[284] Il 13 luglio 923

[285] Rodulfus (fr. Raoul) (v.89015.I.936), figlio di Riccardo il Giustiziere, duca di Borgogna dal 921, re di Francia (923-936), sposò Emma figlia di Roberto I re

[286] Richardus Burgundionis (fr. Richard) ) (†921), duca di Borgogna (901-921), figlio di Bivin, sposò Adelaide figlia di Corrado II Welf, duca di Borgogna Transgiurana

[287] Perona nel testo (dép. Somme); ma secondo Flodoard Carlo fu condotto a Château-Thierry. Il trasferimento a Péronne, dove Carlo morì, è successivo (forse nel 924, a seguito dell’incendio della fortezza di Château-Thierry)

[288] Il riferimento di R. ai Germani è in questo contesto poco chiaro (forse un lapsus?)

[289] Qui R. non riproduce i dettagli forniti da Flodoard sui rapporti intercorsi tra re Rodolfo e i Lorenesi, forse non comprendendone bene il senso, o per la difficoltà di parafrasarli

[290] Fonte: Flodoard, Annales, anno 924

[291] Nella prima redazione, qui e spesso in seguito “i Normanni (Normanni, Nortmanni)”

[292] Uuilelmus (fr. Guillaume), Guglielmo II (926/7), duca d’Aquitania (918-927), figlio di Acfred I conte di Carcassonne e di Adelinda, sorella del duca d’Aquitania Guglielmo I il Pio (918), fondatore di Cluny, cui Guglielmo II succedette in assenza di eredi diretti

[293] Per l’esattezza nel territorio di Autun, secondo Flodoard

[294] Fonte: Flodoard, Annales, anni 924 e 925

[295] Senonas/Senonica urbs nel testo (dép. Yonne); sede arcivescovile

[296] Burgundia nel testo, regione storica della Francia centro-orientale, ma la prima versione era “delle Gallie”

[297] Il 6 dicembre 924

[298] Manasse (d.927), Manasse II il Giovane, conte di Langres e Dijon, figlio di Manasse I conte di Châlon e di Ermengarda figlia di Bosone re di Provenza

[299] Uarnerus (fr. Garnier) (6.XII.924), conte di Troyes e visconte di Sens, sposò Teutberga sorella di Ugo d’Arles

[300] Iozselmus (fr. Jousseaume/Gauzelin) (931), vescovo di Langres (924-931)

[301] Ansegisus (fr. Anseïs) (†31.XII.970?), vescovo di Troyes (914-960/70)

[302] Calaus mons nel testo (dép. Seine-et-Marne, arr. Melun, com. Fleury-en-Bière?), località non identificata con certezza; il riferimento geografico è aggiunto da R. in una nota  a margine

[303] Flodoard ricorda il vescovo Abbone di Soissons e il conte Eriberto di Vermandois

[304] Inciso aggiunto dopo la prima redazione

[305] Auga nel testo (dép. Seine-Maritime, arr. Dieppe), località costiera, 70 Km a N di Rouen

[306] Fonte: Flodoard, Annales, anno 925;

[307] In una prima versione R. riportava l’accecamento di Rollone, poi cancellato; in realtà non v’è alcuna indicazione, in Flodoard o in altre fonti, che Rollone sia morto in questa circostanza: la sua morte si colloca probabilmente in epoca successiva (928/933)

[308] Secondo Flodoard la spedizione contro Eu è condotta da Eriberto e da Arnolfo di Fiandra

[309] Qui R. ha cancellato la frase “tormentano Rollone dopo avergli cavato gli occhi”

[310] Forse un’isola del fiume Bresle, sul quale è situata Eu

[311] Beluacum nel testo (dép. Oise); sede vescovile (prov. Reims)

[312] Fonte: Flodoard, Annales, anno 926

[313] Atrabatensis nel testo, regione storica della Francia settentrionale

[314] Battaglia di Fauquembergues (dep. Pas-de-Calais, arr. Saint-Omer)

[315] Secondo Flodoard i Normanni morti furono 1.100

[316] Hildegaudus (fr. Helgaud) (926), Ildegaudo II conte di Ponthieu (921-926)

[317] Fonte: Flodoard, Annales, anno 926

[318] 1 aprile 926, sabato di Pasqua

[319] Secondo Flodoard in un mattino di domenica del marzo 927

[320] La contesa, secondo Flodoard (anno 927) riguardava l’attribuzione della contea di Laon, che Rodolfo concesse a Roger (II) figlio di Roger (I) conte di Laon, mentre Eriberto la pretendeva per il figlio Eude

[321] Fonte: Flodoard, Annales, anno 927

[322] Ueromandensis pagus nel testo, regione storica della Francia settentrionale; nella prima redazione era regio U.

[323] Guglielmo Lungaspada (v.905†16/17.XII.942), conte di Rouen (927-942)

[324] Fonte: Flodoard, Annales, anno 928

[325] Giovanni X era stato imprigionato da Guido, marchese di Toscana e marito di Marozia; morì nel corso del 928 e fu rimpiazzato in rapida successione da Leone VI (V-XII.928) e da Stefano VII(VIII) (X.928-II.931)

ù[326] Fonti: Flodoard, Annales, anno 925 e anno 928; Hist.Rem.Eccl. IV, 22

[327] Hugues di Vermandois (920962), arcivescovo eletto di Reims (925), deposto nel 931, ristabilito nel 941, deposto definitivamente nel 946

[328] All’epoca dell’elezione aveva cinque anni

[329] Il 1 settembre 925

[330] Odelricus (fr. Oudri), vescovo di Aix-en-Provence, secondo Flodoard presente anche al sinodo di Verdun (947)

[331] Aquensis nel testo (dép. Bouches-du-Rhône); sede vescovile

[332] In questo caso Saraceni, probabilmente basati a Fraxinetum sulla costa provenzale

[333] Sanctus Timotheus, abbazia della diocesi di Reims

[334] Pontion nel testo (dép. Marne, arr. Vitry-le-François, cant. Thiéblemont), sede di un palazzo reale carolingio, oggi del tutto scomparso, 75 Km a SE di Reims

[335] Fonte: Flodoard, Annales, anno 929

[336] 16 settembre o 7 ottobre 929; Carlo il Semplice morì a Péronne all’età di cinquant’anni, nel suo trentasettesimo anno di regno, dopo sei anni di prigionia

[337] Fonte: Flodoard, Annales, anno 930

[338] La battaglia avvenne a Destricios (Estresse presso Beaulieu-sur-Dordogne)

[339] Fonte: Flodoard, Annales, anni 930 e 931

[340] Ugo il Grande

[341] Nota aggiunta a margine

[342] Donincum nel testo (dép. Nord, arr. Valenciennes)

[343] Secondo Flodoard Eriberto era sostenuto dai lorenesi di Gisleberto

[344] Braina nel testo (dép. Aisne, arr. Soissons), località situata 37 Km a O di Reims

[345] Uitula nel testo, fiume della regione di Reims, affluente dell’Aisne, lungo 140 Km

[346] Fonte: Flodoard, Annales, anno 931

[347] “cittadini” è un’aggiunta a margine

[348] Il discorso di Rodolfo non si trova ovviamente in Flodoard, ed è pura invenzione di R.

[349] Fonte: Flodoard, Annales, anno 931

[350] Artoldus (961), arcivescovo di Reims (931-961), eletto (XI/XII. 931) dopo la deposizione di Hugues di Vermandois, costretto ad abdicare nel 941, definitivamente ristabilito nel 946

[351] Fonte: Flodoard, Annales, anno 931

[352] Bouo (fr. Beuve) (947), Bovone II vescovo di Châlons (913/7-947), fratello di Frederuna moglie di Carlo III

[353] Adela (?) figlia del re Roberto I

[354] Fonte: Flodoard, Annales, anno 932

[355] Qui R. ha cancellato “e disposto altre cose a danno del suddetto tiranno”

[356] Nouiomum nel testo (dép. Oise, arr. Compiègne); sede vescovile (prov. Reims)

[357] Ayrardus (fr. Airard) (932), vescovo di Noyon (923/4-932)

[358] Uualbertus (fr. Gaubert) (26.XII.936), abate di Corbie (?-932), vescovo di Noyon (932-936)

[359] Corbeiensis nel testo (dép. Somme, arr. Amiens), importante abbazia fondata nel 657-662 dalla regina Bathilde e da suo figlio Clotario III

[360] Adelelmus (fr. Alleaume) (932), conte di Arras, figlio (?) del conte Altmaro, citato nel capitolo 17; secondo Flodoard combatté i Normanni di Ragenold nel 923. Il riferimento geografico è aggiunto a margine

[361] Fonte: Flodoard, Annales, anno 932

[362] Ragemmundus, Raimond-Pons III (942?), figlio di Raimondo II, conte di Tolosa, duca d’Aquitania nel 936

[363] Ermingaudus (fr. Ermengaud) (936/943), conte di Rouergue, fratello di Raimondo II conte di Tolosa

[364] Lupus Acinarius Uasco (890†d.932), capo Guascone, appartenente alla famiglia ducale

[365] Fonte: Flodoard, Annales, anni 934, 935, 936

[366] il 12, 14 o 15 gennaio 936

[367] Sancta Columba, abbazia presso Sens