[PROLOGO]
Al signore e beatissimo padre Gerbert[1],
arcivescovo di Reims, il monaco Richer.
Padre santissimo Gerbert, l’autorità del tuo comando diede
origine all’intenzione di trascrivere in un volume gli scontri dei Galli.
Poiché questa cosa presenta una grandissima utilità e la materia del soggetto
si offre molteplice, perciò abbraccio con slancio dell’animo questa impresa,
alla quale sono attratto dalla mirabile benevolenza di chi mi sollecita. Ho
pensato che l’inizio di questo lavoro dovesse essere preso vicino nel tempo,
poiché Hincmar[2]
di venerabile memoria, ottavo[3] prima
di te nel pontificato, incluse assai abbondantemente nei propri annali[4] i
fatti accaduti molto tempo fa. E il lettore li troverà tanto più antichi quanto
più, tramite la narrazione di costui, si allontanerà dall’inizio del nostro
opuscolo. E dico questo affinché la frequente ripetizione di Carli e di altri
in entrambe le opere non turbi l’ordine dell’una e dell’altra opera. Infatti
dove l’ordine dei fatti non viene osservato, l’errore tanto confonde ciò che è
chiaro quanto allontana l’errante dall’ordinata
sequenza. Per cui dal momento che qui e là spesso si presentano riferimenti a
Carlo[5] e a
Ludovico[6], il
lettore prudente distinguerà i sovrani omonimi sulla base dell’epoca degli
autori. Ci si è proposti specialmente di riportare alla memoria con lo scritto
le guerre frequentemente condotte dai Galli ai tempi di costoro e i loro vari
disordini e le diverse condizioni degli affari. Se poi saranno riferite alcune
cose di altri, si pensi che ciò sia avvenuto per ragioni contingenti che non
poterono essere evitate. Ma se sarò accusato di ignoranza a proposito di
un’antichità sconosciuta, non nego di aver preso qualcosa da un certo libretto
di Flodoard[7],
prete di Reims, ma in verità l’opera stessa dimostra in modo del tutto evidente
che ho disposto non le stesse parole, bensì alcune al posto di altre, in uno
schema di discorso di gran lunga differente.[8] E
ritengo che il lettore dovrebbe restare soddisfatto se avrò esposto ogni cosa
in modo plausibile ma anche chiaramente e brevemente. In effetti, rifiutandomi
di effondermi nel discorso, esporrò molte cose in modo succinto. E affronterò
effettivamente l’esordio della narrazione dopo aver brevemente descritto la
divisione del mondo e distinto la Gallia in parti, in quanto ci si è proposti
di descrivere i costumi e le azioni dei suoi popoli.
FINE DEL PROLOGO
[1.] DIVISIONE DEL MONDO.
Dunque la parte del mondo, che si presenta adatta ai
mortali, è ritenuta dai cosmografi[9] esser
divisa in tre parti, e cioè in Asia, Africa ed Europa. Di queste la prima, da
settentrione attraverso la regione dell’oriente fino al meridione, limitata
esternamente dall’oceano, internamente è divisa dall’Europa fino all’ombelico
del mondo[10]
dai monti Rifei[11],
dal Tanai, dalla Meotide[12] e
dal Mediterraneo. Dall’ombelico poi fino al meridione è separata dall’Africa
dal fiume Nilo[13].
Il Mediterraneo interposto separa poi l’Africa e l’Europa, esteriormente
circondate dall’oceano dal meridione al settentrione. Internamente invece, come
si è detto, separano dall’Asia l’una di loro il Nilo, l’altra il Mediterraneo,
il Tanai e la Meotide. Pur avendo ciascuna di queste le sue proprie
ripartizioni, tuttavia stimai, avendoci pensato, di dividere nelle sue parti
una sola parte dell’Europa, che viene chiamata Gallia per il candore[14], per
il fatto che coloro che ne provengono mostrano i tratti di un tipo più bianco.
[2.] DISTRIBUZIONE IN PARTI DI CODESTA GALLIA.[15]
La Gallia dunque è anch’essa distinta in tre parti: Belgica,
Celtica e Aquitanica. Tra queste la prima, la Belgica, si estende dal Reno[16], che
a partire dall’oceano delimita la Germania, ferace di molte genti, che prese il
nome dal germinare[17],
fino al fiume Marna[18]. È
poi cinta dall’uno e dall’altro lato: di qua dalle Alpi Pennine[19], e
di là da quel mare, da cui è circondata l’isola Britannica.[20] La
Celtica invece si distende nel senso della lunghezza dalla Marna alla Garonna[21]; le
sue coste hanno i limiti dell’oceano Britannico e dell’isola Britannica. Ciò
che si estende dalla Garonna fino ai Pirenei[22] è
chiamato Aquitanica[23],
confinante di qua col Rodano[24] e la
Saona[25], di
là col Mediterraneo.[26] E
così risulta che tutto lo spazio della Gallia è cinto a oriente dal Reno, a
occidente dai Pirenei[27], e a
settentrione dal mare Britannico, a meridione dal Mediterraneo.
[3.] I COSTUMI DEI GALLI.
Dunque tutti i popoli delle Gallie si fanno molto trascinare
dall’innata audacia, insofferenti di critiche. Se vengono eccitati, si esaltano
nei massacri e furiosi vanno all’assalto senza pietà. Ma una volta persuasi e
convinti con argomenti, difficilmente hanno l’abitudine di smentirsi. Perciò
anche Girolamo[28]
disse: La sola Gallia non produsse mostri, ma sempre brillò per uomini
prudenti ed eloquentissimi. E oltre a ciò i Belgi sono più capaci a
regolare gli affari, ma non inferiori per forza e per audacia. Si indirizzano a
ogni cosa molto importante più con l’intelligenza che con la forza. E se sono
abbandonati dall’ingegno nelle cose verso cui si dirigono, si servono
audacemente della forza. Sono anche parchi nel cibo e nel bere. I Celti poi e
gli Aquitani sono pieni di saggezza e insieme di audacia, e inclini alle
sedizioni. Tuttavia i Celti si muovono più prudenti, gli Aquitani invece più
precipitosi; e sono maggiormente presi dalla brama dei cibi. Ciò è così innato
in loro che non bramano oltre il naturale. Per questo dice anche Sulpicio[29]: La
voracità nei Greci è gola, nei Galli natura. Le storie tramandano che tutti
questi popoli, anche se per natura selvaggi, fin dall’antichità quasi in ogni
caso operarono felicemente, anche quando erano pagani. In seguito, battezzati
da san Remigio[30],
si narra che s’innalzarono molto per una vittoria sempre famosa.[31] E si
tramanda che il primo loro re cristiano fosse Clodoveo[32].
Dopo costui si sa che nelle epoche successive lo stato fu governato da sovrani
eccellenti fino a Carlo[33], a
partire dal quale poniamo l’inizio della storia.
[4.] A CAUSA DELLA MINORE ETÀ DEL RE E DELLA
DISCORDIA DEI PRINCIPI I PIRATI INVASERO LE GALLIE.
Costui ebbe per padre[34] il
re Carlomanno, e per avo paterno Ludovico detto il Balbo, per bisnonno invece
Carlo il Calvo, imperatore eccellente dei Germani e dei Galli. Ancora all’età
di due anni perse il padre; la madre sopravvisse appena quattro anni.[35] A
causa dell’infanzia di lui mentre i principi dei regni per eccessiva cupidigia
di beni rivaleggiavano per primeggiare, ciascuno estendeva i propri possessi
quanto poteva. Nessuno si curava del vantaggio del re, nessuno badava alla
tutela del regno. Per ognuno la cosa più importante era acquisire i beni
altrui; e pareva che non provvedesse ai propri beni chi non vi aggiungeva
qualcosa d’altri. E di conseguenza la concordia generale si rivolse nella
massima discordia. Da ciò divamparono saccheggi, da ciò incendi, da ciò
devastazioni. Poiché queste cose avvenivano fuori da ogni misura, i pirati[36] che
abitavano la provincia di Rouen[37], che
è parte della Gallia Celtica, furono spinti all’eccesso. Questa gente era
sortita molto tempo prima dalle isole più lontane dell’oceano settentrionale e,
portata la flotta in giro per i mari, aveva raggiunto questa parte estrema
delle Gallie. E spesso l’avevano assalita con le armi, spesso erano anche
caduti, vinti dai principi del paese. Ai magnati della Gallia, dopo che ne
ebbero molte volte discusso tra loro, parve opportuno che questa provincia
fosse loro attribuita come dono dei re[38] così
che in cambio, lasciata del tutto l’idolatria, si sottomettessero fedelmente
alla religione cristiana e fedelmente combattessero per terra e per mare per i
re delle Gallie. Si sa che il capoluogo di questa provincia è Rouen, che
estende la forza del proprio dominio soltanto a sei città, cioè Bayeux,
Avranches, Evreux, Sées, Coutances, Lisieux[39]. E
così è noto che questa regione è posseduta dai pirati da un tempo remoto. Ma a
quel tempo spinti dall’atavica ferocia tentano di muoversi contro i principi
discordi. Quindi cominciano a molestare con saccheggi e incursioni la Bretagna
minore, che è contigua e soggetta alla Gallia, e trovando l’opportunità della
cosa, rompono del tutto l’impegno di fedeltà e avanzano ulteriormente in Gallia[40] e,
disperdendosi tutt’intorno, si spargono in lungo e in largo, portando via non
piccola preda di donne, di fanciulli, di bestiame e di ogni altra cosa. Si
raccolgono poi con tutte queste cose lungo la Senna[41] in
un luogo che è chiamato Jeufosse[42]. E
avendo più volte compiuto la stessa azione, assalirono quasi tutta la parte
della Gallia Celtica che giace tra i fiumi Senna e Loira[43], che
è chiamata anche Neustria[44]. E
questi avevano in animo di penetrare nelle parti interne delle Gallie, e di
cacciare i loro abitanti fuori dal paese oppure sottometterli a pesantissimi
tributi. E s’affrettavano a realizzare ciò prima che i principi fossero
ricondotti a un accordo, giudicando che sicuramente, grazie a una tale
discordia, avrebbero potuto portarsi via le ricchezze delle Gallie. L’attacco
di costoro veniva condotto dal principe Catillo[45]. I
principi, colpiti da tanta ignominia dei barbari, tentano seriamente, tramite
ambasciatori, di stabilire fra se stessi una pace. E senza indugiare a lungo si
riuniscono insieme, con garanzia di ostaggi, per prendere decisioni. In questa
riunione, giovandosi del consiglio dei saggi, e impegnandosi alla fedeltà,
ritornarono nella massima concordia, pronti ad andare a vendicarsi degli
oltraggi inflitti dai barbari. E poiché Carlo aveva ancora appena tre anni[46],
decidono di eleggere un re; non come traditori, ma in quanto indignati contro
gli avversari.
[5.] LA STIRPE E LA SORTE DEL RE.
E così nell’anno 888 dall’incarnazione del Signore, ... di
marzo, di giovedì[47], con
deliberazione comune eleggono re Eude[48],
uomo di guerra e combattivo, nella basilica di san ... Questi ebbe per padre
Roberto[49],
dell’ordine dei cavalieri; per avo paterno poi Witikind[50],
originario della Germania. Eletto re, condusse ogni cosa con impegno e a buon
fine, a parte il fatto che nello scompiglio militare ebbe raramente la
possibilità di comporre le liti. Infatti per sette volte vinse i pirati in
battaglia campale all’interno della Neustria e per nove volte li mise in fuga[51], e
ciò nel corso di quasi cinque anni[52].
Respinti costoro, seguì una forte carestia, poiché la terra era rimasta incolta
per tre anni[53].
Già infatti la misura di frumento, che presa sedici volte fa un moggio, si
vendeva per dieci dramme, e un pollo per quattro dramme; una pecora poi per tre
once, e una vacca si prendeva per undici once[54]. Non
c’era alcun commercio di vino, poiché i vigneti erano stati ovunque tagliati, e
a stento se ne trovava un po’. A quel tempo il re costruì fortificazioni nei
luoghi[55] che
offrivano adito ai pirati assalitori e pose in esse truppe di soldati. Egli
stesso si ritirò nelle regioni dell’Aquitania[56],
proponendosi di non ritornare prima che la suddetta misura di un moggio di
frumento fosse venduta per due dramme, un pollo poi per un denaro, e parimenti
una pecora per due dramme, e che una vacca fosse posta in vendita per tre once.
[6.] I PIRATI ATTACCANO E DEVASTANO LA BRETAGNA.[57]
In quel tempo mentre il re nella città di Puy[58] si
occupa dello stato, i pirati respinti fuori dai confini della Neustria apprendono
che egli si è ritirato nell’interno dell’Aquitania. E così si riuniscono e
preparano la flotta e invadono all’improvviso la Bretagna. I Bretoni atterriti
dall’improvviso assalto dei barbari si piegano a quelli, che infieriscono. A
ciascuno fu sufficiente soltanto salvare la vita. Nessuno cercava il
salvataggio dei propri beni. Si preoccupavano soltanto della vita. Quindi,
avendo costoro abbandonato quasi tutte le proprie cose, i pirati si spingono in
tutte le direzioni. Portano via ogni cosa utile e ritornano con molta preda di
beni senza che nessuno faccia resistenza. Dunque esaltati da un tanto felice
esito, seguendo le frontiere esterne della Bretagna verso Angers[59]
invadono l’Aquitania, e spopolano il paese con grande devastazione. Portano via
gli uomini le donne e i bambini. Decapitano i più anziani di loro di ambo i
sessi. Riducono i fanciulli in schiavitù e prostituiscono le donne di
bell’aspetto.
[7.] IL RE EUDE PREPARA UN ESERCITO CONTRO I PIRATI.
Ma alcuni, scampati per circostanze varie, si salvarono con
la fuga. I fatti furono subito riferiti da questi, che venivano tormentati, al
re Eude. Egli, mosso dalla gravità degli avvenimenti, ordinò con un editto
regio che si radunassero dall’Aquitania cavalieri e fanti, quanti ne poté.
Anche dalla Provenza[60], che
è circondata tutt’intorno dal Rodano, dalle Alpi, dal mare e dai confini dei
Goti[61],
ricevette quelli di Arles e di Orange[62]. Ma
anche dalla Gotia quelli di Tolosa e di Nîmes[63].
Riuniti questi, l’esercito regio era di diecimila cavalieri e seimila fanti. E
così avanza mettendosi in strada verso Brioude[64],
città di san Giuliano martire, e avendo venerato il santo con doni regali entra
nel distretto d’Alvernia[65]. Qui
erano già arrivati i nemici, e assalivano con violenta ostilità il castello che
è detto Montpensier[66]. Il
re, circondato dai principi dei Franchi e degli Aquitani, dopo una
consultazione dall’esito incerto, pur tuttavia discuteva con loro la
disposizione di combattimento, esortandoli alla battaglia e molto esaltando il
loro naturale coraggio. E ricordava che essi erano più potenti delle altre
genti, tanto per le forze quanto per l’audacia e le armi. E che i loro antenati
avevano debellato quasi tutto il mondo e avevano schiacciato terribilmente la
stessa capitale del mondo, Roma. Per cui affermava che era opportuno fosse
rinnovato nei figli l’ardimento paterno, cosicché il coraggio dei padri fosse
ricordato grazie al valore dei figli.
[8.] OFFENSIVA DEL RE EUDE CONTRO I PIRATI E QUALITÀ
DELLA BATTAGLIA.
Avendoli persuasi col dire queste cose, da uomo audace e
violento egli assale i barbari innalzando sedicimila insegne[67]. Ma
manda avanti le truppe dei fanti e sferra contro quelli il primo attacco. Egli
stesso seguendo con la cavalleria attendeva la sorte dei fanti. Peraltro anche
i barbari avevano schierato l’esercito e pensavano di accogliere compatti gli
avversari. Ma i fanti del re diretti contro i nemici all’inizio del
combattimento lanciano frecce e, serrati i ranghi, con le lance volte in
avanti, si portano contro quelli. Ricevuti dai barbari, molti periscono,
tuttavia non senza la rovina degli avversari. Infatti anche di quelli alcuni
furono abbattuti, moltissimi altri poi furono feriti. Poi dopo i fanti seguì
anche la cavalleria del re e assalì con molto slancio le schiere dei nemici,
divise dalle truppe dei fanti. Ne abbatté, come si tramanda, tredicimila,
essendosene salvati pochi con la fuga. E quando già la vittoria era conquistata
e si avvicinava l’ora di strappare le spoglie, quattromila[68]
barbari, che insidiosamente si erano celati in luoghi nascosti, irruppero da
vie traverse. Mentre questi si avvicinavano con andatura di marcia, furono
riconosciuti dalle sentinelle per il riflesso delle armi, e dato il segnale
l’esercito si riunì. Il re giudicando che ne arrivassero molti di più esorta le
sue guardie affinché riprendano il coraggio di prima e non, al contrario, lo
abbandonino, affermando che è onorevole morire per la patria ed eccellente
donare i corpi alla morte per la difesa dei cristiani. E così l’esercito
ricompattato, benché sofferente per le ferite del combattimento precedente,
tuttavia non rinviò l’intervento.
[9.] INGO DI UMILE ORIGINE VA IN BATTAGLIA COME
PORTINSEGNA DEL RE.
E mentre si discuteva chi avrebbe portato l’insegna del re,
per il fatto che in un così gran numero di nobili nessuno appariva senza
ferite, e tutti scansavano quest’impegno, balzò fuori tra tutti Ingo[69] e
offrendosi per il servizio disse imperterrito: “Io di umile origine
palafreniere del re, se ciò non toglie qualcosa all’onore dei grandi, porterò
l’insegna del re contro le schiere dei nemici. E non temo l’ambigua sorte della
guerra, poiché so che sono destinato a morire una sola volta.”
A ciò il re Eude disse: “Per nostro dono e per volontà dei
principi sii portinsegna.” Ricevuta l’insegna egli avanzava circondato
dall’esercito compatto; e postosi sulla punta del cuneo di soldati procede
sventolando contro i nemici. I barbari sono travolti, e perdono le forze. Ma
l’esercito del re ritornando di nuovo li assale e li abbatte. E avendoli
assaliti per la terza volta li schiaccia quasi tutti. Poiché l’aria addensata
per il loro tumulto si era molto appesantita per la polvere, Catillo[70] con
pochi si sottrasse con la fuga in mezzo alla foschia e si nascose nella
macchia. Mentre era nascosto fu ritrovato e catturato dai vincitori che
vagabondavano in tutte le direzioni, e mentre i suoi che si erano nascosti con
lui[71]
furono trapassati con la spada egli dopo essere stato spogliato fu portato al
re Eude.
[10.] BATTESIMO E UCCISIONE DEL TIRANNO.
Avendo dunque profittevolmente conseguito la vittoria, il re
conduce con se a Limoges[72] il
tiranno[73]
catturato e là gli offrì la scelta tra la vita e la morte, promettendo la vita
se si fosse fatto battezzare, altrimenti la morte. Il tiranno subito e senza
obiezioni chiede di essere battezzato, ma v’è dubbio su quanta sincerità
avesse. Dunque, poiché si avvicinava la festa della Pentecoste e si teneva
presso il re una riunione di vescovi, dai vescovi gli viene imposto un digiuno
di tre giorni.
Nel giorno stabilito poi, nella basilica di san Marziale[74]
martire, compiute le cerimonie dei vescovi, dopo che fu disceso nel sacro fonte
per essere accolto dal re in persona e dopo che già era stato battezzato con
una tripla immersione nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, Ingo
l’ex-portinsegna, estratta una spada, lo trapassa mortalmente e insanguina
terribilmente, per la fuoriuscita dalla ferita, la fonte consacrata. Il re,
indignato per un così orribile delitto, ordina ai principi frementi che
l’omicida sia preso e trucidato. Quello fuggendo dopo aver gettato la spada si
abbracciò all’altare di san Marziale, implorando indulgenza dal re e dai
magnati e chiedendo con molte grida la possibilità di parlare, e per ordine del
re è fatto comparire per rispondere del crimine commesso e levatosi parla così:
[11.] PERSUASIVO DISCORSO DI INGO AL RE E AI PRINCIPI
IN PROPRIO FAVORE.
”Chiamo a testimone Dio, consapevole della mia volontà, del
fatto che nulla mi fu più caro della vostra salvezza. L’amore per voi mi spinse
a questo; per la vostra salvezza precipitai me stesso in queste miserie; per la
vita di tutti non ebbi paura di affrontare un così grave pericolo. In verità è
grave l’azione compiuta, ma più grande è il beneficio dell’azione. Non nego
invero di aver leso la maestà del re, ma affermo che nel delitto sono compresi
molti vantaggi. Si consideri l’intenzione dell’autore, ci si renda anche conto
dell’utilità futura del delitto. Valutai che il tiranno catturato avesse
chiesto il battesimo per paura e che, una volta che fosse stato mandato via,
avrebbe reso la pariglia alle numerose ingiurie e avrebbe vendicato
terribilmente la strage dei suoi. Poiché egli mi parve l’origine di una futura
strage, piantai in lui il ferro. Questa è la causa del mio delitto, ciò mi
spinse al crimine. Feci ciò per la salvezza del re e dei suoi. E voglia il
cielo che dalla mia morte conseguano la libertà della patria e la tranquillità
dello stato! Ma se vengo ucciso, apparirà che sono stato ucciso per la salvezza
del re e dei magnati. Chiunque si chiederà se in cambio di una ricompensa di
tal genere gli tocchi di essere fedele e se per aver mantenuto la fedeltà sia
intitolato a una tale retribuzione. Ecco le ferite recenti del capo, del petto
e dei fianchi. Sono evidenti le cicatrici dei tempi precedenti, e i lividi sono
dispersi per le altre parti del corpo. Tormentato dai loro frequenti dolori,
dopo tanti mali non aspetto nulla, se non la morte, la fine dei mali.” Questa
lamentazione trasse alcuni alla benevolenza, mosse poi altri alle lacrime. Per
cui alcuni cavalieri, agendo in suo favore, blandiscono il re e lo persuadono
alla clemenza della pietà, affermando che non può essere di alcun vantaggio per
il re se qualcuno dei suoi muore; anzi si deve essere contenti dell’uccisione
del tiranno, o perché è donato alla vita se è morto nella fede, o perché le sue
insidie sono completamente cessate se ha ricevuto il battesimo in malafede. Il
re placando l’animo per questi motivi, dopo aver sepolto il barbaro, accoglie
nuovamente Ingo nella propria grazia e lo sistema generosamente nel castello
che è chiamato Blois[75], per
il fatto che colui che aveva la custodia del castello era stato ucciso nella
guerra dei pirati. Ingo si unisce anche in matrimonio per dono del re con la
moglie di quello, rimasta sola. Da allora in poi, pienamente beneficiato dalla
grazia del re e dei principi, conduceva ogni cosa favorevolmente e felicemente.
Ma ciò fu vero per breve tempo. Infatti, poiché il marciume delle ferite, male
estirpato dai chirurghi, aveva sviluppato sotto la superficie piagata un
gonfiore interno, tormentato per più di un biennio dall’eccessivo reumatismo
dell’umore egli giacque a letto. per cui il reuma rinchiuso si gonfiò del
tutto; e così con il corpo tutto invaso dall’erisipela, abbandonò la vita,
lasciando superstite il piccolo figlio Gerlone[76].
Questi, affidato dal re a un tutore, possedette insieme alla madre il
patrimonio.
[12.] NOMINA DI CARLO A RE.
A quel tempo il re allontanatosi dalla città di Limoges si
diresse ad Angoulême[77] e là
decise tutto ciò che doveva essere definito. Non molto tempo dopo dirigendosi a
Perigueux[78],
risolve con grandissima equità le vertenze dei nobili che erano discusse con
liti, occupandosi moltissimo delle questioni comuni di tutti[79].
Mentre era molto impegnato da queste cose e si proponeva di dimorare in quel
luogo per qualche tempo, Folco[80],
arcivescovo di Reims, trattava con i Belgi l’elevazione di Carlo al regno. E
infatti sembrava allora che l’opportunità presente offrisse qualche vantaggio
per quest’operazione, e molto convinceva di ciò l’assenza dei Neustriani. E
infatti si trattenevano ancora col re nelle terre d’Aquitania.[81]
Spingevano anche le molteplici lamentele dell’adolescente. Già quindicenne[82],
infatti, si lamentava moltissimo della perdita del regno con gli amici e i
familiari e s’impegnava con molti tentativi a rivendicare il regno paterno.
Dunque tutti i principi Belgi e alquanti Celti gli erano massimamente
favorevoli. E il consenso di questi viene confermato con la forza di un
giuramento di fronte all’arcivescovo di Reims, e al tempo stabilito si
riuniscono, dalla Belgica appunto gli arcivescovi di Colonia, di Treviri e di
Magonza[83] con
i loro vescovi suffraganei e gli altri o i loro inviati autorizzati, dalla
Celtica[84] poi
il predetto arcivescovo di Reims con alquanti suoi suffraganei, cioè quello di
Laon, di Châlons e di Thérouanne[85].
Quindi nell’anno dell’incarnazione del Signore 893, il quinto giorno delle
calende di febbraio, di domenica[86],
riuniti a Reims[87]
nella basilica di san Remigio[88] essi
eleggono re Carlo quindicenne e, avendolo rivestito di porpora in città, gli
consentono di promulgare editti al modo dei re. E invero dalla Celtica
pochissimi seguivano il suo partito, invece dalla Belgica tutti gli erano
favorevoli. Infatti, accolto da quelli devotissimamente, fu portato in giro in
tutte le loro città e piazzeforti con grande cordialità.[89]
[13.] RITORNO DI EUDE DALL’AQUITANIA E SUA MORTE.
Il re Eude venendo a sapere ciò che era stato fatto, tornò
dall’Aquitania, e dirigendosi verso la città di Tours[90]
onora san Martino con doni regali. E così accolto a Parigi[91] fa
doni magnifici ai santi martiri Dionigi, Rustico ed Eleuterio[92].
Infine, riattraversato il fiume Marna, entra nella Belgica e, ricevuto nella
piazzaforte che è detta La Fère[93], per
la troppa inquietudine cominciò a soffrire di insonnia, Quando questa crebbe
troppo produceva un’alienazione mentale. Poiché gli umori eccedevano, nell’anno
decimo del suo regno, come certi riportano per follia, come dicono altri per
frenesia, raggiunse la fine della vita[94]. Viene
poi tumulato con grande lamento dei suoi nella basilica di san Dionigi martire.
[14.] I COSTUMI DI CARLO.
E così Carlo, fatto re, tendeva a una grande benevolenza. Fu
di corpo prestante, di ingegno buono e semplice,[95] non
abbastanza abituato agli esercizi militari, ma molto erudito nelle arti
liberali; generoso nel donare, niente affatto avido; notevole per due difetti,
intemperante nella libidine e un po’ negligente nel dar corso ai processi. I
principi della Gallia si unirono a lui di cuore e per giuramento. E anche
Roberto[96],
fratello del defunto re Eude, uomo intraprendente e pieno di audacia, si
acconcia a porsi al servizio del re[97]. E
il re lo mise a capo[98]
della Celtica come duca e ve lo lasciò come responsabile di tutto ciò che si
doveva fare; servendosi per quasi quattro anni[99] dei
suoi consigli ed essendo con lui in grande intimità. Condotto da lui per la
Neustria[100],
fu da lui ricevuto nelle città e nelle piazzeforti. Dirigendosi verso la città
di Tours, offre generosamente molti talenti d’oro e d’argento a san Martino.
Chiedendo ai servi di quello che si dicessero per lui preghiere, le ottenne
quotidiane in perpetuo. E ritornando di là dopo aver sistemato tutto, si dirige
di nuovo verso la Belgica e onora san Remigio con doni straordinari. E così,
affidata la Gallia Celtica a Roberto, si ritira in Sassonia[101];
andando in giro ottenne le sue città e sedi regie senza che nessuno facesse
resistenza. E là mette a capo di tutti come duca Enrico[102],
nobile di stirpe regia, e originario del luogo.[103] Ed
ebbe come sudditi senza combattimento i Sarmati[104].
Obbligò a sé anche gli Angli[105] e i
rimanenti popoli transmarini per la sua mirabile benevolenza, per dieci anni[106]. E
forse sarebbe stato felicissimo in ogni cosa, se in una sola cosa non avesse
sbagliato troppo.
[15.] ECCESSIVO AFFETTO DI CARLO PER AGANONE.[107]
Infatti pur trattando i principi con molta cortesia,
tuttavia aveva un particolare affetto per Aganone[108],
che aveva sollevato dalle sue umili origini rendendolo potente, a un punto tale
per cui mentre tutti i magnati in sua presenza stavano lontani, egli soltanto
stava attaccato al fianco del re, e spessissimo pubblicamente si metteva il
berretto avendolo tolto dal capo del re. Anche questa cosa portò molto disonore
al re. E in effetti i grandi trovando ciò indegno si recano dal re e si
lamentano alquanto con lui che un uomo nato da oscuri genitori possa molto
togliere alla dignità del re, assistendo il re come un consigliere come se ci
fosse scarsità di nobili, e, se il re non si distaccherà da una così grave
abitudine, essi se ne andranno del tutto dal consiglio reale. Il re non dando
il minimo credito a questi discorsi dissuasivi, non si allontana dal favorito.
[16.] IRRITAZIONE DI ROBERTO VERSO AGANONE.[109]
A quel tempo, avendo saldissimamente in possesso le città e
le piazzeforti della Belgica[110],
ritorna in Celtica[111] e
si ritira nella città di Soissons[112].
Qui da tutta la Gallia convergono i principi; qui convengono con molto
entusiasmo anche gli umili. Mentre Roberto riteneva di essere tra tutti quello
considerato con maggior favore dal re, in quanto questi lo aveva messo a capo
di tutti come duca nella Celtica, quando il re sedette a palazzo, per suo
ordine il duca sedette a destra, e Aganone a pari livello alla sua sinistra. Il
duca Roberto sopportava in silenzio che l’indegno, persona di origini mediocri[113],
fosse reso pari a lui, e messo avanti ai grandi. Ma, trattenendo l’ira,
nascondeva i suoi sentimenti, parlando poco e a stento al re. Dunque si alza
rapidamente e si riunisce con i suoi. Tenuta questa riunione, manda a dire al
re tramite inviati che non può sopportare che Aganone sia reso uguale a lui e
anteposto ai grandi; e appare anche indecoroso che un uomo di tal fatta stia
vicino al re e i più nobili tra i Galli se se stiano a distanza; e se non
rigetterà costui in una condizione umile, egli stesso lo soffocherà con
spietata impiccagione. Il re non sopportando l’ignominia del favorito risponde
che potrebbe più facilmente fare a meno del colloquio di tutti che non della
familiarità di costui. Roberto, troppo indignato per questo, senza attendere
ordini si reca in Neustria con la maggioranza dei grandi e si ritira a Tours,
avendo grande indignazione per la leggerezza del re e ragionando cautamente in
vario modo con i suoi al fine che il potere venga trasferito a lui. E infatti
sebbene egli fosse favorevole al re tuttavia gli invidiava non poco il regno,
in quanto gli pareva cosa migliore succedere egli stesso al fratello.[114] E
faceva anche qualche piano contro Folco[115]
arcivescovo di Reims, il quale aveva allevato il re fin dalla culla e lo aveva
elevato al regno. E infatti pareva che, se questi soltanto fosse morto, egli
avrebbe potuto più facilmente far tornare a sé il regno. Discuteva parecchio
questa cosa anche con Baldovino[116]
principe delle Fiandre[117].
Questi infatti, persuaso da lui, seguiva già il suo partito, avendo abbandonato
il re.
[17.] UCCISIONE DELL’ARCIVESCOVO FOLCO.[118]
Il re, giunto a conoscenza di ciò, si porta contro Baldovino
e con molte forze d’assedio gli toglie[119] il
castello di Arras[120] e
lo dona con tutta l’abbazia di Saint-Vaast[121] al
suddetto arcivescovo Folco. Ma dopo qualche tempo l’arcivescovo per la
lunghezza del viaggio e il disagio dei frati, chiamato il conte Altmaro[122] e,
fatte entrambi le proprie valutazioni, ne riceve l’abbazia di Saint-Medard[123] che
lo stesso conte possedeva e in cambio gli concede l’abbazia di Saint-Vaast col
castello di Arras. Per cui Baldovino si lascia trascinare a un eccesso di
crudeltà e preso da grande frenesia si convince completamente alla vendetta.[124]
Simula quindi amicizia verso l’arcivescovo, e tramite inviati comunica la
propria grande affezione e promette fedeltà. Ma fa osservare con grande
attenzione dai suoi, se mai egli abbia l’abitudine di recarsi al palazzo da
solo o in compagnia di truppe regie, desiderando attaccarlo con grande forza
mentre è solo. Mentre questi fatti avvenivano, accade che i vescovi della
Belgica si riuniscano presso il re per gli affari reali. Per cui anche
l’arcivescovo, essendo stato convocato e, premurandosi di accelerare il
viaggio, si affrettava con pochi senza precauzioni. Subito gli si avvicinò un
certo Guinemaro[125],
inviato da Baldovino con un contingente. L’arcivescovo, essendo con pochi
uomini, fu catturato insieme ai suoi dalle truppe. Non si vide alcuna
possibilità di fuga. Tutti vengono circondati e assaliti. Da ambo i lati
combattono intensamente, da ambo i lati cadono colpiti. Guinemaro, assalito
l’arcivescovo, lo trafigge inerme con la lancia e lo fa cadere tra i suoi
ferito da sette ferite. Mentre ancora dirigeva i colpi su di lui, spinti dal
grande amore per il vescovo alcuni dei suoi si gettano su di lui. Questi
vengono subito trafitti e uccisi insieme a lui[126].
Soltanto quattro si salvano con la fuga[127] e
rendono noto a Reims l’accaduto. Allora poi un grande manipolo di soldati,
subito condotto in armi dalla città, cerca di inseguire i nemici; ma poiché
questi erano sfuggiti raccolgono il signore ucciso con i suoi e lo riportano a
Reims con molti lamenti di dolore, seppellendo il sacerdote tra i sacerdoti con
grandissimo rispetto per la sua dignità.
[18.] MORTE DI GUINEMARO.[128]
Frattanto, mentre i vescovi sono riuniti[129]
presso il re, vengono subito riferiti tali avvenimenti. E ciò suscitò enorme
dolore nell’animo di tutti. Il re stesso, sciolto in lacrime, si doleva
particolarmente della morte del prelato[130].
Anche i vescovi e i suffraganei si dolsero con molta commiserazione per la
morte del confratello e, iniziato il consiglio, condannano con orribile anatema[131]
Guinemaro con i suoi complici. Questi dopo poco, ammalatosi, fu colpito da Dio
con l’incurabile morbo dell’idropisia. E così, con il ventre gonfio, bruciava
esternamente di un fuoco lento, internamente poi per un immane incendio. Aveva
un grosso rigonfiamento dei piedi. Le pudende erano piene di vermi; le gambe
erano gonfie e lustre; l’alito era fetido; e le viscere a poco a poco si
disfacevano attraverso l’intestino crasso. Oltre tutto questo soffriva una sete
intollerabile. Aveva poi un notevole desiderio di mangiare, ma i cibi
introdotti gli causavano disturbo. Soffriva di una perenne insonnia. Divenuto
intollerabile a tutti, era considerato con totale orrore. E così gli amici e i
servitori si allontanarono da lui, afflitti dal grande fetore del suo corpo,
tanto che nessun medico poteva avvicinarglisi neppure al fine di curarlo.
Disfatto per tutti questi motivi, privato della comunione di ogni cristiano, in
parte già consumato dai vermi, infame e sacrilego fu bandito da questa vita.
[19.] ELEVAZIONE DI HERVÉ ALL’EPISCOPATO.[132]
Sepolto
poi il signore arcivescovo Folco, Hervé[133],
uomo cospicuo e funzionario di corte, con il consenso dei vescovi e l’accordo
degli abitanti di Reims successe nell’episcopato[134]
per dono del re. Se qualcuno desidera sapere pienamente[135]
per quanti benefici e per quanto spirito religioso l’uno e l’altro di questi si
segnalò nella chiesa di Reims, legga il libro del prete Flodoard, che scrisse
assai abbondantemente a proposito dei vescovi della medesima città a partire
dalla sua fondazione[136].
Ed Hervé, una volta raggiunto l’episcopato, seguiva il re con grande fedeltà,
accanito particolarmente contro i traditori. Secondo il costume ecclesiastico
prima ammonisce Erlebaldo[137],
conte del Châtresais[138],
che aveva invaso i beni del suo vescovo e aveva preso la piazzaforte che
chiamano Mézières[139],
affinché si ravveda, poi lo condanna con un anatema. Poiché costui neppure
condannato gli dava soddisfazione, muove contro di lui con un grande numero di
soldati e preme fortemente per quattro settimane con un grande assedio la
piazzaforte[140]. Erlebaldo, non reggendo
il continuo attacco, di nascosto scappa con alquanti dei suoi dalla
piazzaforte. Quelli poi che erano rimasti, vinti, avendo subito spalancato le
porte, si arrendono all’arcivescovo ed egli, fattili uscire, installò in quel
luogo i suoi ed espulse da tutto il paese il fuggitivo Erlebaldo.
[20.] ASSALTO RECIPROCO PRESSO IL RENO E UCCISIONE DI
ERLEBALDO.[141]
Il re si era ritirato nel territorio di Worms[142],
per parlare a Enrico di Oltrereno[143].
Venne in questo luogo anche il conte Erlebaldo per lamentarsi presso il re di
essere stato trattato terribilmente dall’arcivescovo di Reims. Enrico presso il
re si impegnava con grande fedeltà nella gestione degli affari.[144]
Mentre era moltissimo impegnato in ciò, giovani Germani e Galli resi ostili
dalla differenza delle lingue, come è loro costume,[145] con
molta animosità cominciarono a colpirsi con insulti. Venuti alle mani
estrassero le spade e attaccandosi si feriscono mortalmente. In questo tumulto
il conte Erlebaldo essendosi fatto avanti per sedare la lite fu ucciso dagli
infuriati. Il re pensando a un tradimento si alza assai velocemente e viene
circondato dai suoi. Enrico poi, pensando a un inganno,[146]
raggiunge la flotta e viene costretto a passare il Reno dalle scorte regie.
Quelli che assistevano il re pensavano che egli fosse venuto per un inganno.[147] E
da quel tempo veniva considerato ostile al re.
[21.] INGANNEVOLE ARGOMENTAZIONE DI TRADITORI AL RE
CARLO A PROPOSITO DEL RIPUDIO DI AGANONE.[148]
E così Carlo era incalzato da una parte da Enrico,
dall’altra dal duca Roberto e, collocato in mezzo a loro, era pressato da ambo
le parti. Dopo questi fatti ritornando nell’interno della Belgica si ritira
nella città di Soissons[149]
facendo molte lamentele con i suoi per una disgrazia di tal fatta. Là
convengono anche numerosi principi dalla Belgica, dove essa confina con la
Celtica, e dalla Celtica. Ma anche il duca Roberto, fattosi più vicino, si
ritira a Étampes[150] e
manda inviati al palazzo reale per essere informato degli affari reali. Ma quelli
che si riunirono tenevano le parti di Roberto. Conquistati dai suoi argomenti,
sostengono davanti al re il ripudio di Aganone, non perché volessero che ciò
accadesse, ma perché si preparasse per Roberto un’occasione per regnare. E così
consigliano senza insistenza il ripudio di Aganone; mostrano anche con
affermazioni moderate che il duca si allontanerà da lui se non lo manderà via;
ciò affinché il re, ammonito con leggeri rimproveri, non tema di insistere come
ha iniziato. Per cui giudicavano che avrebbero avuto in seguito una giustissima
causa di indignazione contro di lui. E tutto ciò si svolse secondo i loro
auspici. Infatti il re, non toccato da nessun argomento, rispose che mai si
sarebbe allontanato dal favorito, e affermava ciò con molte dichiarazioni di
intenti. Quando il duca Roberto si rese conto[151] che
questa cosa era fissa nell’animo di lui, cercò tramite inviati di convincere
Enrico d’Oltrereno alla deposizione del re. Infatti aveva saputo che era stato
forzato alla fuga dalle scorte del re, per cui subito gli offrì la propria
fedeltà. Subito, contento del consenso di costui, il tiranno si dava da fare
con grandissimo impegno per far trasferire a sé il regno. E così concede con
larghezza molte cose e infinite ne promette. E infine parla apertamente del
tradimento ai principi già convinti, dicendo che il re vive isolato a Soissons
e i Belgi ad eccezione di pochissimi sono tornati alle proprie sedi. Per cui
faceva notare che c’era l’opportunità della cosa, affermando che il re poteva
essere catturato assai facilmente e pianamente, se essi tutti si fossero recati
al palazzo come per tenere consiglio e mentre tenevano consiglio avessero
catturato e tenuto prigioniero il re nella stanza stessa del palazzo. A ciò
sono favorevoli quasi tutti della Celtica, e congiurano presso il tiranno di
perpetrare il delitto. Quindi si recano al palazzo e circondano il re come per
tener consiglio; poi dopo averlo fatto entrare nella stanza, dopo che pochi
hanno parlato lo catturano e lo tengono prigioniero.[152]
[22.] L’ARCIVESCOVO HERVÉ LIBERA CARLO, PRESO DAI
TRADITORI, E LO CONDUCE A REIMS.[153]
E già si adoperavano per portarlo via, quando l’arcivescovo
Hervé con le truppe rapidamente entra nella città di Soissons. Infatti,
preoccupato per il re, aveva presentito l’inganno dei traditori.[154] E
invero prima egli stesso con pochi, poi in seguito i suoi, con l’aiuto di
Riculfo[155]
vescovo di quella stessa città, vengono fatti entrare. E così circondato da
armati entra nella riunione dei traditori tutti stupefatti, e, fattosi terribile,
“Dov’è il mio signore il re, dico io?”. Tra tanti, pochi ebbero abbastanza
forze per rispondere, sentendosi del tutto sorpresi. Quando tuttavia ritrovate
le forze quelli dissero “Si consiglia con pochi all’interno”, l’arcivescovo
sferra un colpo alla porta chiusa, e rotte le serrature lo trova seduto con
poche[156]
persone. Infatti dopo averlo preso lo avevano imprigionato, disponendo dei
custodi. L’arcivescovo, presolo per mano, disse: “Vieni, re, e stai piuttosto
con i tuoi.” E così fu tolto dal mezzo dei traditori dall’arcivescovo. E
quindi, montato a cavallo, uscì dalla città con millecinquecento armati e si
recò a Reims[157].
Dopo la sua partenza i traditori, confusi dalla vergogna, si adiravano per
esser stati beffati e ritornano smarriti da Roberto, e i transfughi riferiscono
al traditore che la cosa non è si è svolta troppo bene. Il re Carlo poi, con
l’arcivescovo e pochi altri, che si erano allontanati da lui ma per consiglio
dei saggi erano a lui tornati, raggiunse l’interno della Belgica e si stabilì
presso Liegi[158]
e là, essendo allora morto il vescovo[159],
con il voto del clero e il favore del popolo, tramite l’arcivescovo Ermanno[160]
ordina[161]
presule Ilduino[162],
uomo liberale ed energico ma fazioso. Infatti, subito dopo essere stato
ordinato vescovo, subito si unì e diede sostegno ai principi della Belgica che
erano favorevoli al duca Roberto e all’abbandono del re, macchinando molto con
loro contro il re.[163] Ma
il re, basandosi sul buon consiglio dei suoi, tramite l’arcivescovo Hervé
convoca il duca Enrico che era a capo di tutti in Sassonia.[164]
Infatti costui, persuaso da Roberto[165],
con altri si era distaccato dal re.[166]
[23.] LAGNANZA DI HERVÉ ARCIVESCOVO DI REIMS PRESSO
ENRICO[167]
IN FAVORE DEL RE CARLO.[168]
Davanti a costui, l’arcivescovo in nome del re così iniziando
disse: “Fino a questo punto, uomo nobilissimo, per la tua prudenza e la tua
liberalità la pace dei principi e la concordia di tutti fiorirono
vantaggiosamente. Ma dopo che apristi l’animo all’invidia dei malevoli, la
forza della discordia venne fuori dai nascondigli tutt’intorno a te. Questo
fatto persuase il re nostro signore a venire a pregarti. Infatti prima d’ora
per i tuoi meriti fosti senza riserve dilettissimo. La tua eccezionale fedeltà
da lui ben conosciuta gli genera molta fiducia nel caso di gravi pericoli. Il
re non ignora di essersi un poco allontanato da te quando si è impadronito del
potere su tutto lo stato; ma desidera con molta sincerità porre riparo a ciò. E
ciò non è inusitato e singolare.[169]
Accade a tutti di agire talvolta insensatamente, ma è proprio dei buoni il
ritornare alla ragione. E così bisogna sopportare e con grande benevolenza
perdonare. Anche tu, il migliore tra i Germani[170],
sei apparso allontanarti troppo dalla retta via. E ciò non è stupefacente.
Infatti il duca Roberto[171] bramando
tutto e invidiando enormemente al re il regno, allettò te incauto[172] con
suggestioni. E infatti che cosa non ottiene un discorso esposto in forma
persuasiva? Io dico che troppo si è sbagliato da entrambe le parti. Ma ora
finalmente ritorni a voi la virtù passata. Ognuno dei due si impegni, con il
massimo sforzo di entrambi, affinché tu abbia un re a te massimamente
favorevole e il re abbia in te un uomo del tutto degno di lui. Egli infatti
desidera che tu sia a capo di tutti quelli che si sa che abitano in Germania[173].
Perciò dunque volgi l’animo a migliori intenzioni; accogli nuovamente un
signore respinto, affinché anche tu possa essere accolto da lui per essere
innalzato.
[24.] RISPOSTA DI ENRICO[174]
ALL’ARCIVESCOVO HERVÉ A PROPOSITO DI CARLO.
A ciò Enrico rispose: “Molte cose mi dissuadono da questo,
se la tua virtù, padre eccellente, non mi trascinasse a ciò in qualche modo.
Infatti so quanto sia difficile e arduo dargli consigli, tanto per la sua
incostanza quanto per la gelosia dei suoi. Non mi è uscito di mente quanto io
abbia dovuto combattere per lui in passato all’interno e con l’esercito.
Risulta anche notissimo quanto egli nei miei confronti abbia abusato della fede
dovuta. Tu, padre, mi persuadi a ciò che forse, una volta fatto, mi pentirò di
aver fatto. Ma poiché riguardo al futuro nessuno è abbastanza perspicace, e
nessuno é abbastanza prudente, per quanto arrivino più spesso cattivi che buoni
consigli, mi farò condurre ovunque tu ordini e sottometterò la mia modestia
alla tua dignità, ben conoscendo la tua virtù. In verità avevo deciso di non
associarmi più a lui con l’ingegno, con il consiglio e con le armi.” E così,
persuaso dall’arcivescovo, Enrico viene ricondotto al re, e viene ricevuto con
grandi onori e considerazione, e i due si uniscono in un patto di amicizia.[175]
[25.][176]
Dopo questi avvenimenti Ilduino, vescovo di Liegi, accusato di aver cospirato
contro il re insieme a quelli che avevano abbandonato il re, e ostile al re,
era da questi perseguitato. La forza del suo odio giunse al punto che egli
promosse Richer[177]
abate del monastero di Prüm[178] e
fece abdicare Ilduino. Ma Richer, beneficiato dal re, poiché veniva incalzato[179]
dall’arcivescovo Ermanno in quanto aveva ricevuto dal re l’episcopato
illecitamente a danno di colui che lo teneva e che non era stato forzato da
nessuna confessione di colpe, né condannato da nessun giudizio, per ordine del
re si reca in fretta a Roma e là illustra al papa Giovanni[180] la
decisione del re e le ragioni della sua vertenza. Il papa, indignato con il traditore
Ilduino lo sospende dall’ufficio e lo condanna con anatema; ordina poi vescovo
Richer e gli dà la benedizione della propria autorità. Mentre avvengono questi
fatti Ilduino sopraggiunge, presentando invano molte lagnanze al papa e
adoperandosi moltissimo con lui per l’assoluzione. Mentre quello si lamenta,
Richer ritorna e, essendogli stato ordinato dal re, accede alla sede vacante.
[26.][181]
Mentre queste cose avvenivano, il re ritorna nelle parti interne della Belgica
e là, a causa delle molte vertenze che erano sorte, per regio decreto e per
ordine dell’arcivescovo viene indetto un sinodo da tenersi a Trosly[182].
Presiede questo sinodo il signore Hervé, mentre anche il re presiede nello
stesso luogo. Avendo là deciso molte cose che appaiono della massima utilità,
per intervento del re e con il consenso dei vescovi che parteciparono al sinodo
il signore arcivescovo Hervé assolve[183] dal
vincolo della scomunica il predetto Erlebaldo conte del Châtresais. Là[184]
inoltre, essendo morto Rodolfo[185]
vescovo di Laon[186], ordina
solennemente Adelelmo[187],
tesoriere della medesima città, designato dal re con grande consenso dei
vescovi.
[27.][188]
Prese utilmente e vantaggiosamente queste iniziative, il re si dirige verso la
parte superiore della Belgica, con l’intenzione di regolare là qualche affare
dei suoi.[189]
Si porta contro il conte Ricuino[190], in
quanto, essendo anch’egli un traditore, teneva le parti di Roberto. Dunque pone
l’assedio alle fortezze di costui, attaccandole con veemente assalto. Ma
quello, valutando insostenibile la cavalleria, si consegna vinto al re con
l’impegno di ostaggi. Il re ricevendo il vinto libera l’animo dall’ira e lo
riprende in grazia.[191]
[28.][192]
Mentre si compievano questi fatti Roberto duca della Gallia Celtica assaliva
accanitamente i pirati. Infatti avevano fatto improvvisamente irruzione in
Neustria, al comando di Rollone[193]
figlio di Catillo,[194] e
già avevano attraversato la Loira con la flotta e si impadronivano senza danni
delle sue sponde. Andavano disperdendosi da ogni parte e con ricchi bottini si
riportavano alla flotta. Ma il duca aveva raccolto truppe da tutta la Neustria;
e molte ne aveva ricevute anche dall’Aquitania. Erano giunte anche, inviate dal
re, quattro[195]
coorti dalla Belgica, alle quali era a capo anche il predetto Ricuino[196];
Dalmazio[197]
poi si occupava delle legioni degli Aquitani; lo stesso duca Roberto dirigeva i
Neustriani; e così l’intero esercito del duca consisteva in quarantamila
cavalieri. Dunque dispone in prima linea Dalmazio con gli Aquitani, poi mette
tra le truppe di riserva i Belgi[198] e i
Neustriani. E il duca in persona, andando in giro per le legioni, esorta tutti
i comandanti chiamandoli per nome affinché si ricordino bene del proprio valore
e della propria nobiltà, affermando che bisogna combattere per la patria, per
la vita, per la libertà; non bisogna preoccuparsi della morte poiché essa è
incerta per tutti; se poi fuggiranno, a loro nulla verrà lasciato dai nemici.
Con questi e molti altri discorsi accendeva gli animi dei soldati. Detto ciò[199] il
duca li conduce nel luogo in cui doveva svolgersi il combattimento dopo averli
disposti in ordine di battaglia[200].
[29.] Nondimeno anche gli eserciti dei nemici con
molta audacia disponevano le truppe contro di loro. Il loro esercito procede
consistendo di cinquantamila armati che vengono incontro in ordine. Il duca
Roberto, rendendosi conto che la massima violenza del combattimento è imminente
si associa a Dalmazio in prima fila con mille fortissimi dalla Neustria. Così
avanza con Dalmazio[201] e
gli Aquitani. Ma le legioni dei pirati si erano allungate su un fronte esteso e
avevano disposto lo schieramento nella forma della luna che sta crescendo per
circondare i nemici, cosicché, mentre i nemici si avventavano con molta
veemenza, venissero intrappolati dalla manovra avvolgente dell’esercito; e
così, assaliti alle spalle da quelli che erano collocati in entrambe le punte,
venissero abbattuti come bestiame.
[30.] Avendo dunque dall’una e dall’altra parte fatto
questi preparativi, entrambi gli eserciti[202]
issate le insegne si scontrano.[203]
Roberto con i Neustriani[204],
Dalmazio con gli Aquitani penetrano tra le legioni dei pirati, e subito sono
attaccati alle spalle da quelli che erano nelle ali. E subito anche i Belgi[205]
sopraggiungono inaspettati e abbattono con immane massacro i pirati che
premevano i loro da dietro. Anche i Neustriani incalzano terribilmente. In
questa confusione mentre gli Aquitani[206],
circondati dai pirati, con molto sforzo costringevano in fuga quelli che essi
attaccavano, quelli che erano collocati nelle punte da una parte erano premuti
dai Belgi, dall’altra poi erano mortalmente incalzati dagli Aquitani che si
erano rigirati. E così sopraffatti depongono le armi e con molte grida
supplicano per la vita. E così Roberto cerca di risparmiare un così grande
massacro e insiste affinché siano tirati fuori. E a fatica l’esercito, eccitato
dal grande successo della sorte favorevole, si placò dal massacro. Calmatosi
poi il tumulto, quelli che tra loro apparivano più importanti furono presi dal
duca, e ai rimanenti con l’impegno di ostaggi viene permesso di ritornare alla
flotta.
[31.] Conseguita dunque la vittoria, e sciolto
l’esercito,[207]
Roberto lascia i prigionieri[208] a
Parigi. Chiedendo a questi se fossero cristiani, scopre che nessuno di loro
aveva avuto a che fare con qualcosa di connesso alla religione. E così, essendo
stato mandato a istruirli il reverendo prete e monaco Martino[209],
furono convertiti alla fede di Cristo. Quelli poi che erano ritornati alla
flotta, alcuni di essi furono trovati cristiani, altri pagani, mescolati tra
loro. E anche costoro, dopo che furono ricevuti dal duca gli ostaggi che essi
avevano consegnato, furono condotti ai sacramenti della salvezza, dopo esser
stati istruiti dall’uomo predetto.
[32.] E quando si trattava del battesimo, il compito
di predicare loro fu affidato dal duca a Guittone[210]
arcivescovo di Rouen.[211]
Guittone poi, non contento di sé solo, invia una lettera a Hervé di Reims,
tramite la quale chiede a lui con quale metodo e in che modo possa essere
associato alla Chiesa un popolo in precedenza infedele. L’arcivescovo Hervé,
desiderando di affrontare questa questione con grande cura, ordina che si tenga
un convegno di vescovi affinché la cosa sia adeguatamente disposta grazie ai
suggerimenti di molti.
[33.][212] E
nel giorno stabilito si tenne il sinodo. In esso in primo luogo si trattò in
modo acconcio e competente della pace e della religione della santa chiesa di
Dio e dello stato del regno dei Franchi, poi si discusse assai abbondantemente
della mitigazione e della conversione dei pirati; e fu deciso di chiedere
un’indicazione alla Divinità stessa su questo argomento, e di digiunare tutti
per tre giorni; poi che si dovesse suggerire ciò al signor papa[213],
cosicché, dopo aver invocato la Divinità mediante il digiuno e dopo aver
umilmente consultato il signor papa, la cosa potesse essere affrontata più
efficacemente. E così dopo aver riguardato i decreti dei padri il reverendo
arcivescovo Hervé dispose in un volume ventiquattro[214]
capitoli, redatti ragionevolmente e utilmente, e contenenti il modo in cui gli
uomini rozzi devono essere condotti alla fede. Egli inviò tutto ciò al
venerabile Guittone di Rouen. Quello poi ricevendolo portò a termine utilmente
l’impegno che aveva preso.
[34.] In questo periodo Reginaro[215],
uomo di rango e nobile soprannominato dal Lungo Collo[216], e
la cui morte[217]
portò grande rovina allo stato nella Belgica, giunse alla fine della vita al
palazzo di Meerssen[218],
colpito e oppresso da una malattia generale del corpo.
Si racconta che il re Carlo partecipasse alle sue esequie, e
con gli occhi pieni di lacrime dicesse: “Dall’alto al basso! dall’ampio al
ristrettissimo!”, riferendosi da un lato alla persona, dall’altro al monumento.
Compiute le esequie, accorda con grande generosità a Gisleberto[219]
figlio di lui, già diventato un giovane uomo, la carica paterna, alla presenza
dei principi che erano convenuti.
[35.][220]
Costui, essendo sorto da una stirpe assai illustre, e assai felice per il
matrimonio con Gerberga[221]
figlia del duca Enrico di Sassonia, si faceva rapidamente trascinare per
arroganza a un’eccessiva temerarietà; nella pratica militare era eccessivo per
audacia, a tal punto da non temere di desiderare alcunché di impossibile; di
corporatura media e di robustezza delle membra forte e dura, di portamento
inflessibile, di occhi minacciosi e inquieti e così mobili che il loro colore
non si faceva conoscere pienamente da nessuno, dai piedi assolutamente
impazienti; leggero di spirito. Il suo discorrere si basava su ragionamenti
ambigui; le sue domande erano ingannatrici; le sue risposte ambivalenti; le
parti del discorso raramente si connettevano in modo chiaro; era massimamente
generoso con i suoi, enormemente bramoso dei beni altrui; era esternamente
favorevole ai superiori e ai suoi pari, ma segretamente invidioso; era lieto
della confusione generale e della reciproca diffamazione dei discordi.
[36.] E così una tal persona era spinta contro il re
da un’enorme animosità. Meditava anche fortemente la deposizione del re, e
discuteva molto in proposito con quelli che apparivano più potenti nella
Belgica, in verità non aspirando al regno per Roberto[222], ma
per sé, e distribuendo quasi tutti i suoi beni ai principi. E a detta di tutti
donava ai magnati fondi e magnifici edifici, allettava invece con successo gli
umili con somme d’oro e d’argento. E così si genera il consenso di molti nella
Belgica nei suoi confronti. Ma ciò viene fatto abbastanza improvvidamente e
inconsultamente. Infatti sebbene li avesse attratti a sé conquistati dai grandi
benefici, tuttavia non li unì a sé mediante il giuramento di perpetrare il
delitto. Dunque essendo stati attratti con leggerezza, con leggerezza in
seguito si dissociarono.
[37.] Infatti
quando Carlo, udito ciò, ritornò dalla Celtica con l’esercito e si preparò a
portar guerra ai Belgi, i Belgi subito non si sforzarono di resistere in campo
aperto con Gisleberto, ma si richiudono nelle fortezze e nelle città. Il re poi
invia agli individui che si erano allontanati da lui degli ambasciatori,
tramite i quali faceva sapere che avrebbe elargito con regale solenne donazione
quanto di poderi e di edifici era stato loro conferito da Gisleberto, e che
egli avrebbe combattuto in loro favore contro Gisleberto, se questi avesse
voluto riprendere da loro qualcosa dei benefici conferiti. Conquistati da ciò
subito ritornano al re con vincolo di giuramento, e avendo essi reso conto di
quanto in termini di benefici era stato loro conferito da Gisleberto, a
ciascuno fu concesso definitivamente per elargizione reale. Per cui,
allontanandosi da Gisleberto, si associano di nuovo e fermissimamente al re e
insieme a lui si portano contro Gisleberto.
[38.] Gisleberto poi si era rinchiuso con pochi nella
piazzaforte di Harburc[223],
che è protetta dai fiumi, da un lato la Mosa[224] e
dall’altro la Geul[225],
davanti poi è difesa da un immane precipizio e da molti orribili rovi. Il re si
affretta verso quel luogo con l’esercito e pone l’assedio, navale da una parte
e dall’altra, di fronte poi con la cavalleria. Poiché egli insisteva nell’assedio,
Gisleberto si dileguò con la fuga su un battello. Quelli della piazzaforte poi,
catturati, si pongono agli ordini del re. Gisleberto d’altra parte, privato
dell’eredità paterna, sul punto di essere bandito passa il Reno con due dei
suoi fedeli minori e per alquanti anni, essendosi ingannato, vive in esilio
presso il suocero Enrico. Tuttavia, essendo trascorso il tempo di alcuni anni[226],
Enrico intervenne persuasivamente presso il re affinché Gisleberto fosse
richiamato e riassunto nelle grazie del re, ma alla condizione che, restando
intatta la sentenza del re a proposito dei benefici conferiti, Gisleberto
ricevesse per la clemenza reale soltanto quei beni i cui possessori erano già
morti in tutto il tempo del suo esilio.
[39.] E così, richiamato dall’esilio, ottiene per
mezzo di Enrico la grazie del re, tuttavia come si è detto alla condizione che
resti privo dei benefici, che aveva eccessivamente distribuito, fino a quando i
possessori restassero in vita; invece riprenda per la misericordia reale quei beni
i cui possessori, durante un certo numero di anni, erano morti. E così riprende
ciò che, lasciato dai defunti, si è reso vacante, la maggior parte dei suoi
beni[227],
Maastricht[228],
Jupille[229],
Herstal[230],
Meerssen, Leten[231],
Chèvremont[232].
Ciò avvenuto, il re Carlo ritorna nella Celtica, preparandosi a portare truppe
contro i Normanni, che attaccavano nelle località marine gli estremi confini
delle Gallie. Essendo poi Enrico partito oltre il Reno contro i Sarmati,
Gisleberto con l’aiuto dei suoi tormentava pesantemente e maltrattava quelli
che tenevano per concessione del re i suoi beni donati. Uccidendo gli uni con
azione clandestina, incalzando incessantemente altri affinché abbandonino i
loro beni, finalmente trionfa ed entra in possesso di tutti i propri beni; macchinando
d’allora in poi più furiosamente contro il re. E così si reca dal suocero[233] e
lo convince ad allontanarsi dal re, affermando che al re può bastare la sola
Celtica, mentre la Belgica e la Germania hanno molto bisogno di un altro re.
Per cui lo spingeva anche con molti discorsi persuasivi affinché egli stesso
non ricusasse di essere incoronato come re. Enrico in verità, rendendosi conto
che lo si esortava ad azioni nefande, resistette parecchio ai discorsi
persuasivi e si impegnava con molte spiegazioni affinché egli desistesse da
azioni illecite.
[40.] E invero Gisleberto, non ottenendo risultati
presso il suocero e non potendo procurare per sé il regno[234],
parte per la Celtica e passa in Neustria, e così tiene consiglio con il duca Roberto
a proposito dello stesso soggetto, esortandolo all’acquisizione del regno e
alla deposizione di Carlo. Il tiranno gioisce e senza indugio approva il
tiranno. E così deliberano entrambi e poi confermano con un giuramento
l’impegno a compiere queste azioni.[235]
[41.][236]Al
tempo stabilito poi, quando il re era ritornato a Liegi e risiedeva là senza
scorta,[237]
Roberto entra nella città di Soissons[238]. I
grandi, riuniti presso di lui da tutta la Celtica, si consultano nella massima
concordia sul modo in cui deporre il re. E non mancò Gisleberto dalla Belgica,
il quale strepitava che Roberto doveva essere creato re subito senza
discussione. Dunque, per comune decisione di tutti quelli che erano presenti,
Roberto viene eletto e, condotto a Reims dalla grande spinta dell’ambizione,
viene fatto re[239]
nella basilica di san Remigio. Trascorsi tre giorni dalla sua incoronazione,
Hervé arcivescovo di Reims, tormentato da una lunga malattia, morì[240]. Se
costui a quello stesso tempo fosse stato in buona salute, non avrebbe tollerato
la possibilità di un così grave delitto. E a lui subito successe, beneficiato
da Roberto, Séulf[241],
che allora teneva per incarico nella stessa città l’arcidiaconato, uomo attivo
e famoso per la grande conoscenza delle cose.
[42.][242] Nel
frattempo Carlo, trovandosi abbandonato dai Galli ad eccezione di pochissimi
tra i Belgi, faceva continuamente ai principali tra i suoi che non si erano
allontanati da lui[243] una
grande lamentela sulla propria disgrazia; dicendo che era più sventurato per
l’essere oppresso da questa calamità che se avesse chiuso gli occhi per la
morte ultima, poiché i dolori sono da quella aumentati, da questa eliminati;[244] e
per lui era preferibile essere ucciso dal ferro che esser privato del regno da
un intruso; infatti dopo la perdita del regno restava solamente la deportazione
in esilio. E in questa situazione era consapevole di dover accogliere i giudizi
di coloro che sempre aveva trattato con sommo amore, con i quali più a lungo
aveva avuto dimestichezza, e ai quali non aveva mai fatto nulla di male.
[43.] A ciò i suoi[245]
dicono: “È rovinoso per chi ha giurato allontanarsi dal signore, è poi
scelleratissimo porsi contro il signore. Se si tratta di un traditore e
transfuga, se si capisce il significato di questi nomi, ciò che essi hanno fatto
è al di là di ciò che è giusto ed equo. Per cui e senza dubbio se li
costringerà la necessità di un combattimento, non sfuggiranno alla vendetta
della Divinità. Ma devi sapere con la massima certezza che in nessun modo il
regno potrà essere da te recuperato se non attaccherai con la guerra il tiranno
stesso; non rientrerai nel regno che ti è stato strappato se non ti aprirai la
via violentemente con il ferro.[246] E
poiché già ora la situazione spinge al combattimento, la fedeltà deve essere
impegnata con un giuramento affinché, avendo noi giurato, la cosa non resti
nell’ambiguità. Poi devono essere scelti almeno cinquanta che si impadroniscano
saldamente del tiranno e gli facciano violenza, così che mentre la violenza
della guerra avrà scatenato gli uni contro gli altri, questi mirino soltanto al
tiranno e dopo averlo trovato lo trafiggano. A che cosa infatti servirà che
tutti vengano uccisi e sia risparmiata la causa dei mali?” E per comune
decisione giurano insieme contro Roberto.
[44.][247] E
subito e per ordine del re vengono chiamati dalla Belgica tutti quelli che
risultavano non essersi allontanati dal re. Il numero di quelli raccolti, come
si narra, era stimato appena in diecimila[248]. E
tuttavia per quanto fu possibile osservare, non fu ammesso nessuno inadatto
alla milizia. Tutti erano valenti di corpo e non inabili al combattimento; e
tutti unanimi contro il tiranno. Il re, circondato da loro, avanza[249]
contro il nemico attraverso Condroz[250] ed
Hesbaye[251];
e irrompendo nel regno strappatogli entra nella sede regia di Attigny[252] in
precedenza sua e avendo fatto là riposare per qualche tempo l’esercito si porta
contro l’avversario.
[45.][253] Una
volta giunto più vicino al tiranno, dispone l’esercito per il combattimento,
mettendo davanti seimila dei vigorosi. E mise come comandante di questi un uomo
di rango di nome Fulberto[254].
Affida poi a se stesso, circondato da quattromila[255], il
compito di venire in aiuto ai primi che cominciano a cedere. Dopo aver poi
esortato molto e a lungo ciascun comandante a combattere con forza[256]
correndo poi qua e là per tutte le legioni, incitando con numerose esortazioni
le truppe schierate le conduce al luogo in cui si doveva combattere.
Attraversando poi il fiume Aisne[257] si
dirige verso la città di Soissons. E infatti il tiranno aveva raccolto là le
truppe.[258]
E il suo esercito consisteva di ventimila. Poiché dunque il re Carlo si
preparava alla guerra con prudenza,[259] su
sollecitazione dei vescovi e degli altri uomini di religione che lo assistevano
si agì in modo tale che il re stesso non entrasse nel combattimento, cosicché,
caduto lui, non si estinguesse per accidente nella confusione degli eventi la
stirpe regia. Anche i comandanti e i soldati spinsero a ciò. Dunque spinto da
tutti mise il nobile Hagrold[260] a
capo di quattromila[261] soldati,
circondato dai quali egli stesso avanzava. Li prega poi molto affinché
implorino soltanto l’aiuto di Dio; ricordando che nulla deve esser da loro
temuto, e per nulla si deve dubitare della vittoria. E affermava che l’invasore
del regno sarebbe durato a stento un solo momento, dicendo: “Poiché Dio ha
ripugnanza di ciò e presso di lui non trova luogo la superbia, in che modo
potrà resistere colui che Egli stesso non protegge? In che modo si risolleverà
colui che Egli stesso fa cadere?” E dopo di ciò, con i vescovi e gli uomini di
religione che erano presenti, sale su un’altura posta dirimpetto a quel luogo,
dove si trova anche una basilica dedicata alla beata vergine Genoveffa[262],
per seguire da là gli eventi della guerra. Nel frattempo l’esercito avanza
compatto e si affretta a grandi passi con fierezza contro il nemico. Avanza
anche il tiranno, non impari per coraggio, ma più dotato di legioni.
[46.] GUERRA TRA CARLO E ROBERTO E UCCISIONE DI
QUEST’ULTIMO.[263]
Essendo
giunti a vedersi faccia a faccia gli uni gli altri, entrambi gli eserciti a
insegne spiegate si corrono incontro con grandissimo clamore. Ed essendosi
scontrati, innumerevoli cadono da una parte e dall’altra. E invero, mentre il
re Roberto se ne stava non riconosciuto nel campo di battaglia e infuriava
menando colpi da una parte e dall’altra in tutto il campo, essendo stato scorto
dai congiurati gli viene chiesto se sia proprio lui. Ma quello intrepido subito
scopre la barba nascosta e mostra di essere se stesso vibrando con molta forza
il ferro contro il conte Fulberto. Ma questo, ricevuto il colpo letale, da esso
viene piegato sulla destra e così con la lancia attraverso la manica della
corazza ferisce quello nel fianco con un colpo gravissimo, e fa passare il
ferro attraverso il fegato e il polmone e l’addome dal lato sinistro fino al
disco e quello, circondato dagli altri, trafitto da sette lance, viene fatto
cadere e resta rigido. Fulberto perdette rapidamente molto sangue e cadde morto
tra i combattenti.[264]
Ucciso Roberto, entrambi gli eserciti incrudelirono nella strage con tanta
violenza che è stato scritto dal prete Flodoard[265] che
undicimila dalla parte di lui, settemilacentodiciotto dalla parte di Carlo
morirono a causa del ferro. E già in verità era evidente la vittoria di Carlo,
in quanto, essendo stato ucciso il tiranno, quelli che erano stati suoi
venivano spinti in fuga, quand’ecco da Eriberto[266]
viene condotto in battaglia Ugo[267],
figlio di Roberto, a quel tempo appena adolescente[268] e
soccorre quelli che stanno cedendo.[269] E
anche se era venuto con truppe, tuttavia poiché, avendo perso il padre,
sospettava di tutti e non aveva fiducia in nessun comandante, si tenne fuori
dalla violenza della battaglia. Si narra che fu assai memorabile il fatto che
senza che nessuno resistesse egli occupò il luogo del combattimento e vi restò
per alquanto tempo per strappare il bottino ai nemici. Per cui egli si
considerava il vincitore.[270]
Carlo poi a causa dell’uccisione del tiranno pensava di aver conseguito la
vittoria. E perciò la vittoria fu ancipite[271], in
quanto i Celti[272]
traditori avevano perso il re morto, ma Carlo non aveva ottenuto nessuna
spoglia. Né all’uno né all’altro di loro accadde di portar via un bottino. Pur
non essendo di ciò mancata a Carlo l’opportunità, tuttavia il re, non essendo
spinto da alcuna cupidigia evitò del tutto la cosa.[273]
Infatti, diffidando molto dei[274]
transfughi, poiché aveva perso la più grande parte dell’esercito,[275]
subito volse indietro il cammino, senza spoglie,[276]
verso la Belgica[277],
decidendo di tornare in seguito[278] con
maggior asprezza. In questo periodo nel distretto di Cambrai[279] ci
fu un terremoto[280],
dal quale furono demolite numerose case. Da ciò si poté presagire la calamità,
in quanto il sovrano del regno fu catturato ingiustamente e fu costretto in
carcere fino all’ultimo giorno della sua vita. In effetti poiché egli preparava
l’azione militare e si accingeva a condurre nelle Gallie un esercito più
numeroso, per questo si destava nei Galli un grande timore ed essi si
comportavano in modo più tranquillo. Il re Carlo, intuendo ciò, si sforzava
tramite inviati di richiamarli a sé e con molti argomenti cercava di
convincerli a ciò. E convinse anche i Normanni[281]
fino al risultato che essi vollero promettere fedeltà al re e militare per lui
così come egli avrebbe comandato. Mentre questi si preparavano ad accorrere per
combattere per il re, ne furono impediti dai Galli che si interposero[282].
per cui il re fu privato del loro aiuto.
[47.] ELEVAZIONE DEL RE RODOLFO E CATTURA DI CARLO.[283]
I Galli, non rinunciando in alcun modo alla loro ostinazione,
si misero a capo come re[284],
avendolo fatto venire nella città di Soissons, sebbene egli fosse abbastanza
contrario, Rodolfo[285]
figlio di Riccardo di Borgogna[286],
uomo combattivo e non poco istruito nelle arti liberali. Eriberto, l’istigatore
di così grandi mali, dissimulando di voler ciò, manda a chiamare tramite
inviati il re Carlo, mandando a dire che egli avrebbe voluto opporsi a tanto
grandi scelleratezze, ma ne era stato assai fortemente impedito dalla
moltitudine dei congiurati; non si era manifestata allora nessuna opportunità
per un consiglio, ma ora aveva trovato un ottimo modo di rimediare. Per cui si
rechi quanto prima in un luogo in cui a lui stesso sia possibile venirgli
incontro; tuttavia in compagnia di pochi, per non essere costretti alla guerra,
qualora si presentino con molti, dall’animosità degli oppositori. E per la
sicurezza del viaggio, se gli piacerà, riceva dagli inviati stessi un
giuramento di fedeltà. Il re pronto a credere ciò ricevette un giuramento di
fedeltà dagli ambasciatori e senza il consiglio dei suoi non tardò ad andare
incontro al traditore. Il traditore dissimulando gli inganni, gli venne
incontro ugualmente con pochi, e dopo essersi accolti dandosi baci, si
trattennero insieme in colloqui familiari. E mentre si sta parlando chiama
fuori dai nascondigli una schiera di armati e la invia contro il re indifeso.
Questi non essendo in grado di resistere alla moltitudine viene catturato dalla
schiera, ed essendo stati alcuni catturati con lui, certi anche uccisi, e i
rimanenti messi in fuga, viene condotto a Péronne[287] e
affidato alla custodia carceraria. I Germani[288],
avendo perso il re, si comportano in modi diversi. Alcuni di loro si danno da
fare per il ritorno del signore, altri poi, persa la speranza, passano al re
Rodolfo, tuttavia non gli concedono pienamente la fedeltà. I primi tra questi,
mentre aspettavano con una lunga attesa la liberazione del signore, spesso
condannarono il traditore Eriberto per la violazione della fedeltà e quindi si
lamentarono alquanto con i complici del misfatto. Non riuscendo a convincerli,
non destarono in loro alcuna vergogna per il reato di spergiuro, anche se l’ira
di Dio incombeva su di loro.[289]
[48.] ESAZIONE DI UN TRIBUTO PUBBLICO DA DARE AI
PIRATI.[290]
Mentre avvenivano questi fatti i pirati[291]
invasero le Gallie, saccheggiando il paese con la sottrazione di greggi e
armenti e la spoliazione di molte ricchezze e con la prigionia di molti. Il re,
dolendosi dell’assalto di questi, avuto il consiglio dei suoi, stabilì che si
facesse l’esazione di un tributo raccolto mediante esattori, da consegnare ai
nemici per un patto di pace. Fatta la raccolta, quelli si accordano
conformemente al comune auspicio e rientrano nei propri domini. Il re poi,
sebbene meritevole si dedicò ad altre cose. E
così prepara un esercito per l’Aquitania contro il principe di quella regione
Guglielmo[292],
in quanto questi disdegnava di sottomettersi a lui. E al tempo opportuno si
presentò con l’esercito sulle rive della Loira[293]. Ma
Guglielmo, non potendo reggere il numero dei soldati, va incontro tramite
inviati all’assalitore; e tutto un giorno fu da loro consumato per le
argomentazioni degli inviati, poiché il fiume s’interponeva. Finalmente il
giorno successivo essendosi da ambo le parti impegnati alla fedeltà si
separarono.
[49.] SCONTRO DEL RE RODOLFO CON I PIRATI E LORO
SCONFITTA.[294]
Essendo quindi ritornato, il re viene colto da una febbre
acuta presso la città di Sens[295].
Pur essendosi egli ripreso nel giorno critico, di nuovo fu tormentato dalla
forza recidiva. E disperando per la salute si fece condurre a Reims presso san
Remigio. Avendogli elargito parecchi doni, trascorso un mese guarì
adeguatamente e si diresse verso la città di Soissons per occuparsi di altro.
Là, mentre teneva consiglio con i principi sulla cosa pubblica, si presentano
inviati che affermano che i pirati, violata la fedeltà, hanno fatto irruzione
nel territorio più interno della Borgogna[296] ed
essendosi scontrati[297] con
i conti Manasse[298] e
Guarnero[299]
e con i vescovi Iozselmo[300] e
Ansegiso[301]
hanno ceduto a tal punto che novecentosessanta di loro sono stati abbattuti
presso Chalmont[302], e
numerosi sono stati fatti prigionieri; il restante manipolo poi, in numero
minore, si è dato alla fuga; Guarnero poi, essendo stato ucciso il cavallo dal
quale era trasportato, era morto trafitto da dieci ferite. Il re, mosso da
questi fatti, spese l’intero giorno successivo nell’attività di consiglio e il
terzo giorno, per editto regio, raccolse reclute dalla Gallia citeriore nel
giro di quindici giorni e avendole raccolte le conduce, insieme ad alcuni
magnati[303],
contro gli avversari sul fiume Senna. Ma i pirati che venivano incontro per
resistere furono costretti dai Galli a ritornare nel proprio accampamento. I
Galli, inseguendo i fuggitivi, mettono fuoco all’accampamento[304] e
scontratisi con violento sforzo sterminano i vinti. Ma alcuni si danno alla
fuga a piedi, altri alla fuga con le navi, altri bruciano con l’accampamento,
altri tremila all’incirca vengono uccisi. Quelli poi che la fuga aveva
sospinto, dopo essersi radunati, si riunirono in una certa loro piazzaforte
situata presso il mare che aveva nome Eu[305].
[50.] MORTE DEL PIRATA ROLLONE E ROVINA DEI
SUOI.[306]
Il loro principe Rollone[307],
riempiendo la piazzaforte con sufficienti truppe, si preparò manifestamente
alla guerra. Il re[308] che
si era già allontanato da là, porta l’esercito contro quello che lo provoca,
non rinviando di scontrarsi. S’approssima alla piazzaforte e, posto l’assedio,
assale il baluardo dal quale era cinta. E così le reclute montando sul
perimetro esterno penetrano tra gli avversari e impadronitisi della piazzaforte[309]
trucidano tutti i maschi, risparmiano le femmine senza toccarle, distruggono e
bruciano la piazzaforte. Poiché gli incendi di questa avevano addensato e
oscurato l’aria, diversi fuggendo in mezzo alla scura caligine occupano una
certa isola vicina[310].
Senza ritardo l’esercito direttosi verso di loro li assale e avendoli vinti in
battaglia li schiaccia. I pirati, avendo perso la speranza della vita, alcuni
si tuffano nei flutti e muoiono, altri mentre nuotano via vengono scannati
dalle scolte, altri presi da eccessiva paura si colpiscono con le proprie armi.
E così, avendo soppresso tutti e avendo portato via un bottino non piccolo, il
re ritorna a Beauvais[311] e
là risiede.
[51.] ULTERIORE UCCISIONE DI PIRATI.[312]
Da là, avendo sentito che la regione dell’Artois[313] era
oppressa da altri pirati, raccolto un esercito da quelli che abitavano le zone
marittime, improvviso si porta contro di loro. I pirati, non reggendo di
scontrarsi corpo a corpo. sono forzati a cedere dall’esercito e costretti si
sforzavano di salvare la vita in un certo bosco. Ma l’esercito attaccandoli
tutt’intorno li premeva al massimo.
Quelli poi, fatta una sortita durante la notte, si spingono
contro l’accampamento del re e, rinchiusi completamente dall’esercito che li
circondava, soccombettero a una sorte miserabile.[314] E
infatti narrano che ottomila[315] di
loro furono là uccisi. Mentre il re in questo scontro fu ferito tra le spalle,
Ildegaudo[316],
conte di illustre stirpe fu ucciso come numerosi altri, tuttavia non famosi per
qualche titolo. Il re, avendo conseguito la vittoria, ritornò a Laon.
[52.] ECLISSE DI LUNA.[317]
A quel tempo[318]
anche la luna piena, oscurata dall’interposizione della terra, scomparve alla
vista di chi guardava; e nel cielo di Reims furono viste armi di fuoco[319].
Con questi segni premonitori ben presto si diffuse una malattia di febbri e
accessi di tosse. Per cui parecchi, mortalmente colpiti, perirono. Insieme a
ciò sorse, proseguì e si inasprì anche un non piccolo contenzioso tra il re ed
Eriberto, che deteneva in custodia Carlo, in quanto Eriberto richiedeva troppo
al re, mentre il re non gli concedeva nulla poiché quello era incontentabile[320].
[53.] FALSA LIBERAZIONE DI CARLO.[321]
Dunque Eriberto lanciando minacce al re condusse il re
Carlo, avendolo tolto dal carcere, nella regione del Vermandois[322],
non per restituirlo al regno in qualità di fedele ma per incutere mediante la
sua liberazione una qualche paura tra i sospettati. E così avendo fatto
chiamare i Normanni e avendoli raccolti presso la piazzaforte di Eu, ve lo
conduce e là il figlio[323] del
pirata Rollone, della cui uccisione già si è riferito, si consegna nelle mani
del re per servirlo e s’impegna alla fedeltà e la conferma con un giuramento.
[54.] SENTENZA CONTRO RODOLFO, CHIESTA E POI
DISDETTA.[324]
Dopo di ciò Eriberto, invidioso del re Rodolfo, lo insidiava
moltissimo. Per cui giungendo con Carlo a Reims invia per conto di lui
ambasciatori a Roma e manda una lettera al papa Giovanni mediante la quale
dichiarava di non aver congiurato contro Carlo e di non essere stato al
corrente della congiura, ma di aver soltanto ceduto suo malgrado ai congiurati:
per cui anche desiderava moltissimo che il regno fosse restituito a Carlo che,
innocente, ne era stato allontanato senza ragione. E non solo lui era di questa
opinione, ma anche chiunque tra i magnati eccetto quelli che erano stati
corrotti con molti doni. Per questo motivo egli, per l’autorità apostolica,
ordini che il regno sia restituito al re cacciato; chiunque tentasse di opporsi
a ciò che gli è stato imposto, egli lo condanni con un anatema di maledizione
perpetua e tal fine indirizzi una lettera ai vescovi e ai principi delle Gallie
e della Germania, contenente la benedizione dei buoni e la maledizione degli
oppositori. Dunque gli inviati si affrettano a Roma, ma avendo speso la fatica
del viaggio non compiono nessuna parte degli incarichi. E infatti il papa,
catturato dal prefetto[325], in
quanto questi era molto in disaccordo con lui, era tenuto da questi in custodia
carceraria. Per cui andandosene senza aver compiuto l’ambasceria tornarono
nelle Gallie. Eriberto poi, dedicandosi ad altro, si dava parecchio da fare
presso Ugo figlio di Roberto affinché fra loro si stabilisse un patto. Allettò
costui efficacemente con argomenti persuasivi e lo unì a sé con un patto di
fedeltà. E così, convinto adeguatamente Ugo, ritornò da Rodolfo e
riconciliatosi con lui gli stette attaccato per qualche tempo. Accolto nelle
buone grazie di questi, per mostrarsi conseguente alla fedeltà subito rinviò
Carlo in carcere a Péronne.
[55.] ERIBERTO RICEVETTE DAL RE IL VESCOVADO DI
REIMS.[326]
Per cui anche, chiedendo al re che gli fosse dato, ricevette
da lui il vescovado di Reims a nome del proprio figlio[327]
ancora fanciullo[328].
Infatti allora era morto[329]
l’arcivescovo Séulf di venerabile memoria. Ma poiché l’età troppo giovane
proibiva al fanciullo i sacri uffici, fu concesso a un certo Odelrico[330],
cacciato dal vescovado di Aix[331] per
gli attacchi dei pirati[332], di
compiere le funzioni in suo luogo. A costui attribuì anche l’abbazia di san
Timoteo[333]
per le sue esigenze personali e inoltre allo stesso tempo gli concesse la mensa
dei canonici. Nel frattempo il re Rodolfo, desiderando dimostrare quanto grande
fosse l’onestà della propria vita, si recò da Carlo dove questi era tenuto.
Dopo aver molto deplorato le sue miserie, chiedeva a lui con un lungo discorso
supplichevolmente perdono se lo aveva offeso. E poiché questi non sopportava di
perdere completamente la vetta del potere che gli era stato tolto, gli restituì
ciò che il diritto gli attribuiva, ovvero le sedi regie, cioè Attigny e
Ponthion[334];
e così ritornò a Soissons.
[56.] MORTE DI CARLO.[335]
Dopo di ciò Carlo, indebolito dal tedio e dalla pena, fu
colpito dalla consunzione e, tormentato da umori nocivi, dopo molto languire
perse la vita[336].
Il re Rodolfo poi, apprendendo tramite inviati che i pirati avevano invaso la
Gallia Aquitanica e la infestavano infuriando ostilmente, meditava di portare
un attacco.
[57.] CONFLITTO DEL RE CON I PIRATI E ROTTA DI
QUESTI.[337]
Dunque, fatti venire per editto regio tutti quelli
dell’ordine militare che erano in salute dalla Gallia Celtica con molti dei
Belgi, organizza dodici coorti. Intraprendendo il cammino con questi, avanza
fino a Limoges; e là[338]
schierate le legioni, mentre i pirati non reggendo la cavalleria del re,
tentavano di salvarsi con la fuga furono respinti dalla legione degli Aquitani.
Il re poi avanzando con le coorti con grande strage sterminò quasi tutti, pochi
essendosi posti in salvo con la fuga. Diversi dei suoi poi, essendo stati
feriti, guarirono dalle ferite; e alcuni furono uccisi. E così accadde che gli
Aquitani, rendendo grazie al re, vollero sottomettersi a lui con molta
devozione e si impegnarono con il vincolo di un giuramento a una fermissima
fedeltà. Compiute utilmente queste azioni, il re ricondusse l’esercito e pose
fine alla mobilitazione.
[58.] DISSENSO TRA ERIBERTO E UGO.[339]
Mentre venivano condotte queste azioni si scatenano liti tra
Ugo[340] ed
Eriberto a proposito della dignità vescovile e si danneggiano furiosi con
saccheggi e incendi. Il re, indignato con Eriberto, poiché sapeva che era
pronto alla slealtà, stava dalla parte di Ugo,[341] per
cui accompagnato da Ugo, assalita una fortezza di Eriberto di nome Denain[342],
l’espugna e avendola presa la distrugge. Analogamente avendo posto l’assedio ad
Arras la prese e unì a sé i cittadini vinti che avevano giurato. Mentre il re
allontanatosi di là si riteneva tranquillo, Eriberto condotti i Germani[343] che
abitano le sponde del Reno si porta contro il re e con esecrabile furore mise
in atto incendi e rapine; inoltre occupa anche la fortezza di Ugo che è detta
Braine[344],
situata lungo il torrente Vesle[345], la
prende e la distrugge.
[59.] PREPARATIVO DI ERIBERTO CONTRO IL RE.[346]
Il re, comprendendo di essere stato la causa di
quest’oltraggio, cercava di ridurre la sua potenza. Dunque invia ambasciatori
ai cittadini di Reims e ordina che eleggano un arcivescovo: che altrimenti se
non lo faranno annuncia che egli ne imporrà un altro, contro la loro volontà.
ma i cittadini, ricevendo la comunicazione dell’ambasceria reale riferiscono
tramite i propri inviati ciò che essi stessi vogliono e sentono; e cioè che per
ordine del re avevano accettato ed eletto arcivescovo il figlio di Eriberto,
sebbene ancor fanciullo, e quindi gli avevano già accordato la fedeltà; per la
qual cosa è impossibile che essi possano allontanarsi così da lui restando
inviolata la fedeltà. Il re, comprendendo che i cittadini erano favorevoli alla
parte di Eriberto, raccolto un esercito assale all’improvviso la città.
Impedito a entrarvi, pone l’assedio e incalza impetuoso i cittadini[347]
resistenti. I quali, tormentati dal lungo assalto, infine nella terza settimana
aprirono le porte vinti e supplici. Il re entrato in città, dopo avere dato
diverse disposizioni, riunito un consiglio con i suoi, fece venire i cittadini
e così arringando disse:
[60.] DISCORSO DI RE RODOLFO AI CITTADINI DI REIMS IN
PROPRIO FAVORE.[348]
“Quante stragi e quante rapine lo stato abbia subito
recentemente a causa di una banda di malvagi, voi come credo lo sapete
benissimo: infatti non poté accadere che foste lasciati intatti e completamente
immuni mentre tanti mali infierivano dappertutto. In effetti quando le cose a
voi necessarie venivano spesso rapinate, spesso bruciate, sopportaste la loro
perdita. E qui non solo esternamente i beni pubblici, ma internamente i beni
privati vengono ogni giorno diminuiti dal ferocissimo esattore Eriberto. Per
cui ritengo di dovervi consigliare affinché eleggiate con accordo comune un
pastore a voi adatto, poiché quello figlio del tiranno ancora ragazzino non è
idoneo a voi e l’autorità canonica non permette che una chiesa sia priva del
pastore per così tanto tempo. E non si riverserà su di voi alcun disonore,
poiché a voi, vinti e presi con la violenza militare, si impone di seguire una
differente costrizione. E non vi dico tanto quanto io in questa vicenda ho
sbagliato. E mi pento di aver agito così. Pentitevi anche voi di aver causato
la perdita delle vostre cose. Richiamate alla mente quanto grande disgrazia vi
ha afflitto. Considerate anche verso quale esito favorevole potreste essere
sospinti se foste retti da un buon pastore.”
[61.] ELEZIONE DI ARTAUD.[349]
I cittadini persuasi dal re si assoggettano agli ordini
regi. E così per ordine del re il monaco Artaud[350],
chiamato dal monastero di san Remigio con il consenso di tutti, al tempo
stabilito, per concessione del re viene consacrato vescovo mediante
l’imposizione delle mani dei vescovi. Costui, gestendo ogni cosa con prudenza e
impegno, fu abbastanza utile ai suoi e a causa delle sue benemerenze ottenne la
benevolenza di tutti e specialmente dei suoi.
[62.] CATTURA DI BOVONE VESCOVO DI CHÂLONS E DEL
CASTELLO DI LAON.[351]
Mentre si facevano queste cose Bovone[352],
vescovo di Châlons, catturato nel corso di una casuale sortita dalle guardie
del re, in quanto egli stesso come traditore si era staccato dal re, fu
consegnato al re. Presentatisi i complici delle sue azioni egli, giudicato
colpevole davanti al re, viene assoggettato al carcere. Fatto ciò, non
desistendo dalla rovina di Eriberto, accompagnato da Ugo si dirige a Laon con
ottomila uomini. Là Eriberto, tormentato dal lungo assedio, chiede al re la
possibilità di uscire, in quanto non aveva sufficiente abbondanza di soldati e
di cibo. Ottenuto ciò dal re, uscì con i suoi dalla città, lasciando la moglie[353]
nella fortezza che aveva costruito, poiché pensava di poter ritornare presto
con truppe. Il re entrato nella città vuota rendendosi perfettamente conto
dell’inganno attacca la fortezza con un lungo assalto e la circonda
tutt’intorno e ostruisce ogni passaggio d’uscita impegnandosi a un conflitto di
lunga durata. Ma, essendo le forze dei resistenti impari a un tale
combattimento, deposte le armi si arrendono e supplicano per la vita. La moglie
del tiranno poi, anch’essa vinta, si affretta dal re con i suoi, per
supplicarlo in proprio favore, rendendogli la fortezza e chiedendo soltanto la
possibilità di uscire. Il re poi sdegnando di trattenere una donna le permise
di andarsene con i suoi e a quel punto ottenne la fortezza insieme con la
città.
[63.] UCCISIONE DEL CONTE ADELELMO INGANNATO DA UN
CERTO CHIERICO CHE CHIEDEVA IL VESCOVADO DI NOYON.[354]
Là, dopo che ebbe ordinato le cose necessarie a difendere la
città,[355]
deliberava anche, a proposito del vescovado di Noyon[356], a
chi dovesse essere dato, poiché era allora morto il vescovo Airardo[357].
Infatti si chiedeva che gli succedesse Gualberto[358]
abate di Corbie[359],
uomo energico e generoso e che apprezzava moltissimo il valore di tutto ciò che
è onesto. Tuttavia chiedeva di essere nominato successore dal re anche un certo
chierico della predetta città, uomo barbaro, eccessivo di mano e per audacia, e
per il quale era abituale rallegrarsi delle sottrazioni di beni altrui. Costui,
respinto dal re e dai cittadini, volse il cuore agli inganni. E così si rivolse
ad Adelelmo[360]
conte d’Artois, la cui disgrazia suscitò mestizia in molti, con l’intenzione di
sedurlo, chiedendo supplichevolmente il suo aiuto e offrendo il proprio,
nascondendo del tutto di essere disprezzato dal re: “Se, dice, grazie a te mi
impadronirò della dignità episcopale, grazie a me otterrai facilmente l’onore
comitale. E ciò varrà la pena che sia fatto in questo modo, se di notte scalerai
le mura della città e farai entrare i tuoi mentre io all’interno offro
sostegno. Anche io sarò presente con molti, e riuniti in una schiera invaderemo
la città. E così avverrà che catturiamo i cittadini o li espelliamo.” Adelelmo,
pronto a credere queste cose, approva i discorsi di chi lo vuol convincere.
Dunque per tentar di compiere il misfatto si dirige verso la città di notte con
ingenti truppe. Il chierico, non fiducioso di nessuno nella città, attendeva
sul luogo l’azione che doveva essere compiuta. Adelelmo, arrivando là, da
quello fu fatto entrare con i suoi, e riunitisi in un solo gruppo agitano la
città, nel buio della notte, con le trombe il clamore e lo strepito delle armi.
Per cui i cittadini destatisi, quando si furono resi conto di essere stati
invasi con l’inganno, si misero in salvo con la fuga dai nemici. Nessuno fu
catturato, in quanto i nemici, raggruppati insieme, non osarono disperdersi per
la città. Per cui a tutti fu accessibile la fuga. E così i cittadini scacciati
ricevono dai vicini le armi e gli altri aiuti e il quinto giorno
coraggiosamente si portano contro la città; anche gli abitanti del suburbio
offrono abbondantemente aiuto: dunque rapidamente giungono allo scontro.
Adelelmo e il chierico con i suoi resistono strenuamente. Ma il popolo che era
rimasto in città e aveva fatto loro giuramento di fedeltà ruppe l’impegno e
duramente li attaccò alle spalle. Trovatisi a questo punto in mezzo ai nemici,
furono costretti a rifugiarsi in una chiesa. Gli abitanti poi, accolti di nuovo
da quelli che erano dentro, non rinunciavano a perseguitare Adelelmo e il
chierico e, abbattute le porte della chiesa, raggiungono i nemici e davanti
all’altare trucidarono entrambi crudelmente con numerosi altri e impadronitisi
della città ripresero le proprie cose. Compiute queste azioni e purificata la
chiesa con una purificazione rituale, Gualberto, monaco e abate di Corbie,
nominato dal re, viene consacrato vescovo di Noyon dall’arcivescovo Artaud.
64.] I PRINCIPI DI AQUITANIA E DI
GUASCOGNA VENGONO A PORSI AL SERVIZIO DEL RE RODOLFO.[361]
Nel frattempo i principi dei Goti Raimondo[362] ed
Ermingaudo[363]
accorrono sulla sponda del fiume Loira per porsi al servizio del re che viene
loro incontro e pongono le proprie nelle mani di lui, si obbligano al servizio
militare e quindi s’impegnano alla fedeltà secondo quanto il re ordina. Il re
allontanatosi di là si reca nella parte più esterna dell’Aquitania. E là Loup
Aznar il Guascone[364],
che si diceva avesse un cavallo di più di cent’anni e ancora sanissimo in tutto
il corpo, si presenta per porsi al servizio del re e il re, essendogli stata
restituita l’amministrazione della provincia, generosamente gliela ridiede e
concesse che fosse governata da lui.
[65.] GRAN NUMERO DI MALI; PRODIGI.[365]
In questo stesso periodo nel cielo di Reims furono viste
passare armi di fuoco e fiamme sanguigne, simili a dardi o serpenti. E subito
sopraggiunse una pestilenza, che uccise moltissimi con pustole di erisipela. E
non molto dopo seguì anche la morte del re. Infatti poiché nel tempo autunnale
nei malati abbonda l’umor nero, fu afflitto per tutto l’autunno dalla
cachessia, con cui i latini indicano una cattiva disposizione del corpo, e
vinto dall’eccesso di umore morì[366] e
uscì dalla condizione umana. Fu sepolto nella basilica della santa vergine
Colomba[367]
presso Sens con grande afflizione degli amici e ossequio dei suoi. Non
predispose nulla in merito all’amministrazione del regno, ma la lasciò ai
grandi, in quanto non aveva figli che potessero acquistare il controllo dei
regni.
[1] Gerbertus, Gerbert
d’Aurillac (v.950†12.V.1003 Roma), monaco
a St.Geraud (Aurillac), studente a Vic (967-970), scolastico a Reims, abate di
Bobbio dal 983, arcivescovo di Reims (21.VI.991) poi di Ravenna (VIII.998),
papa col nome di Silvestro II (2.IV.999). Fu educatore, filosofo e scienziato,
ma anche partecipe delle vicende politiche dell’epoca, come sostenitore
dell’ascesa al trono di Ugo Capeto nel 987 e del progetto di Renovatio
Imperii di Ottone III.
[2] Hincmarus (806†21.XII.882 Epernay),
arcivescovo di Reims (18.IV.845), uno dei principali protagonisti della vita
ecclesiastica e civile del regno franco nella seconda metà del IX secolo.
[3] In origine R. aveva
scritto “settimo arcivescovo di Reims prima di te”, ma anche dopo la correzione
la cifra può giustificarsi solo se si esclude dalla lista Arnolfo (989-991) o
Ugo di Vermandois, arcivescovo nominato (925-931) ma non consacrato perché
minorenne.
[4] Hincmar fu redattore
degli Annali di Saint Bertin per gli anni 862-882.
[5] Carlo II il Calvo (823†6.X.877) fu re dei
Franchi Occidentali (840) e imperatore (25.XII.875);
Carlo
III il Semplice (17.IX.879†7.X.929), figlio di
Ludovico II, fu re di Francia (893-dep.922)
[6] Ludovico II (1.XI.846†10.IV.879), figlio di
Carlo II, fu re d’Aquitania (867) e di Francia (877);
Ludovico
III (863†5.VIII.882), figlio del
precedente, fu re di Francia-Neustria (879-882);
Ludovico
IV d’Oltremare (10.IX.921†10.IX.954), figlio di
Carlo III, fu re di Francia (936-954);
Ludovico
V (v.967†21.V.987), figlio di
Lotario, fu re di Francia (986-987)
[7] Flodoardus
(v.893/4†28.III.966), canonico
della cattedrale di Reims, autore degli Annales (919-966) e della Historia
Remensis Ecclesiae, oltre che di opere agiografiche (De Triumphis
Christi)
[8] Tutta la frase fu aggiunta
da R. in una nota successiva alla prima redazione
[9] R. si riferisce a
Orosio, Historiae
[10] Si intende Gerusalemme
[11] Riphei, monti
mitici, identificabili con la catena degli Urali (Russia)
[12] Il fiume Thanai
è il Don (Russia), lungo 1950 Km, che sfocia nel mar d’Azov (Meothis)
[13] Nilus nel testo,
fiume dell’Africa settentrionale, lungo 6.690 Km
[14] Etimologia da Isidoro
di Siviglia (Etymologiae, 14,IV.25), che richiama il greco gala (latte)
[15] R. si riferisce qui a
G.Cesare, Bellum Gallicum, I,1
[16] Rhenus nel
testo, fiume dell’Europa centro-occidentale, lungo 1320 Km
[17] Etimologia da Isidoro
di Siviglia (Etymologiae, 14,IV.24)
[18] Matrona nel
testo, fiume della Francia settentrionale, affluente della Senna, lungo 525 Km
[19] Alpes (A)penninae
nel testo, comprese tra il Gran San Bernardo e il San Gottardo
[20] Frase aggiunta a
margine da R.
[21] Garunna nel
testo, fiume della Francia sud-occidentale, lungo 575 Km
[22] Nella prima redazione
R. aveva scritto “fino all’Ebro (Hiberus) che diede il nome alla regione
fino all’oceano”
[23] La delimitazione
dell’Aquitania risulta da un compromesso incoerente di R. tra il testo di
Cesare e la realtà politica per cui il confine tra Celtica e Aquitania si
colloca alla Loira
[24] Rhodanus nel
testo, fiume della Francia sud-orientale, lungo 812 Km
[25] Araris nel
testo, fiume della Borgogna, affluente del Rodano, lungo 480 Km
[26] Nella prima redazione
“confinante di qua con la provincia di Lione (Lugdunensis), di là col
Mediterraneo”, e tutto l’inciso è aggiunto in una nota a piè di pagina
[27] Pyreneus nel
testo, ma nella prima redazione “dall’Ebro”
[28] Girolamo, Contra
Vigilantium, in Migne, PL 23, col.355A
[29] Sulpicio Severo, Dialogi,
I,8,5, ed.Halm p.160
[30] Remigius (fr.
Remi)(v.437†13.I.532/3 Reims),
santo, vescovo di Reims (dal 459/60), convertì e battezzò (496) Clodoveo re dei
Franchi
[31] I due ultimi periodi
sono aggiunti a margine
[32] Clodoueus (fr.
Clovis, ted. Chlodwig, da cui poi Ludovicus, Louis, Ludwig) (v.466†27.XI.511), re dei
Franchi (481-511), estese il regno su tutta la Gallia romana fino ai Pirenei
[33] Karolus (fr.
Charles, ted. Karl), Carlo III il Semplice (17-IX.879†7.X.929), re dal 28.I.893
[34] Grave errore di R.:
Carlo III era figlio postumo di Ludovico (II) il Balbo, e fratello minore di
Ludovico III e di Carlomanno (867-884) re d’Aquitania (879) e Francia (882-884)
[35] In origine “la madre
era morta poco prima”, ma in realtà la regina Adelaide (950/3†10.XI.901), madre
di Carlo il Semplice, morì quando Carlo era già adulto
[36] In R. il sostantivo piratae
è (quasi sempre) sinonimo di Normanni
[37] Rodomum/Rhodomum nel
testo (dép. Seine-Maritime); sede arcivescovile
[38] Se R. si riferisce
all’accordo di Saint-Clair-sur-Epte (911) la cronologia è errata
[39] Baiocae (dép.
Calvados), Abrincantum (dép. Manche), Ebrocae (dép. Eure), Sagium
(dép. Orne, arr. Alençon), Constantia (dép. Manche), Lisoium (dép. Calvados); sedi
vescovili
[40] Le frasi a partire da
“Questa gente” e fino a qui sono aggiunte in una nota successiva alla prima
redazione
[41] Sequana nel
testo, fiume della Francia settentrionale, lungo 776 Km
[42] Giuoldi fossa (dép.
Yvelines, arr. Mantes, cant. Bonnières), a metà strada tra Parigi e Rouen
[43] Liger nel testo,
fiume della Francia centro-settentionale, lungo 1020 Km
[44] L’ultimo inciso fu aggiunto
da R. in seguito: la Neustria è una regione storica della Francia
merovingia e carolingia; e in R. è spesso sinonimo di Celtica
[45] Frase aggiunta a
margine: il nome Catillus, non è attestato in documenti coevi, ma si
conosce il nome normanno Anketil (Anscatillus)
[46] In realtà nel marzo 888
Carlo aveva otto anni
[47] Giovedì 29 febbraio 888
(II Kal. Mart.), a Compiègne (Annales Vedastini a.888)
[48] Odo (fr. Eudes)
(v.860†1/3.I.898 La Fère), duca
o marchese in Neustria, re di Francia (888-898), figlio primogenito di Roberto
il Forte
[49] Rotbertus (fr.
Robert) (†15.IX.866 Brissarthe),
detto il Forte, conte di Tours, duca o marchese in Neustria (855), figlio di
Roberto (Rutperto III) dei Robertingi conti in Oberrheingau
[50] Uuitichinus, ma
l’origine sassone dei Robertingi è da ritenersi leggendaria
[51] Qui R. ha cancellato la
frase “e li eliminò completamente dai confini delle Gallie”
[52] Nella prima redazione
“due anni”
[53] Dall’890 all’892 (Annales
Vedastini a.892)
[54] iabus nel testo,
vale una libbra meno un’oncia
[55] Qui R. ha cancellato
l’aggettivo “marittimi”
[56] Nell’892-893.
[57] I capitoli 6-11 sono
privi di riscontri coevi e poco attendibili.
[58] Anitium nel
testo (dép. Haute-Loire); sede vescovile (prov. Lyon)
[59] Andegauum nel
testo (dép. Maine-et-Loire); sede vescovile (prov. Tours)
[60] Prouintia nel
testo, regione storica della Francia meridionale
[61] La Gothia
(Settimania) è una regione storica della Francia meridionale
[62] Arelatenses (dép. Bouches-du-Rhône)
e Aurasicanos (dép. Vaucluse, arr. Avignon)
[63] Tolosanos (dép.
Haute-Garonne) e Nemausinos (dép. Gard)
[64] Bridda nel testo
(dép. Haute-Loire)
[65] Aruernicum pagum,
regione storica della Francia centro-meridionale
[66] Mons Panchei nel
testo (dép. Puy-de-Dôme, arr. Riom, cant. Aigueperse)
[67] La battaglia di
Montpensier (893?) fu forse (Lauranson-Rosaz) un’azione bellica diretta non
contro i Normanni ma contro ribelli alverniati, di cui Catillo (nome dall’etimo
incerto) sarebbe stato il capo.
[68] R. usa costantemente
questa cifra, che quindi non ha alcun valore documentario
[69] Ingo (fr.
Ingon), non attestato in documenti coevi, capostipite mitico della casa di
Blois
[70] Nella prima redazione
“Il re dei barbari”
[71] Precisazione aggiunta a
margine
[72] Lemouicae nel
testo (dép. Haute-Vienne); sede vescovile (prov. Bourges)
[73] In R. il vocabolo tirannus
indica chiunque detenga il potere politico-militare senza la formale
legittimazione derivante da un’elezione o investitura, e in particolare ogni
usurpatore
[74] Sanctus Marcialis,
famosa abbazia benedettina di Limoges, demolita (ad eccezione della cripta) nel
XIX secolo
[75] Blesum nel testo
(dép. Loir-et-Cher).
[76] Gerlo (fr.
Gerlon), figlio di Ingo, viene da taluni identificato con Teobaldo
(?-v.940), visconte di Blois, che successe a Garnegaud (morto nel 906), ma
anche in questo caso, come per Ingo e Catillo, manca ogni evidenza documentaria
diversa dalla testimonianza di R., che potrebbe aver tratto la propria
narrazione da una tradizione orale appresa durante il periodo trascorso a
Chartres
[77] Echolisina nel
testo (dép. Charente); sede vescovile (prov. Bordeaux)
[78] Petragora nel
testo (dép. Dordogne); sede vescovile (prov. Bordeaux)
[79] Qui R. ha cancellato “e
molto di quelle private”
[80] Fulco (v.840†17.VI.900), arcivescovo
di Reims (883-900)
[81] La frase è aggiunta in
nota
[82] In realtà Carlo
nell’893 era tredicenne
[83] Hermann I, arcivescovo Coloniensis
(889/90-11.IV.924); Ratbod, arcivescovo Treuericus (883-30.III.915);
Hatto I, arcivescovo Maguntinus (891-15.V.913); sono i titolari delle
tre province ecclesiastiche nelle quali era ripartito il regno carolingio dei
Franchi Orientali (inclusa la Lotaringia)
[84] Significativa
incoerenza con le definizioni geografiche presentate nel cap. 2
[85] Dido, v. Laudunensis
(v.886-895); Rodoard, v. Catalaunicus (886-893?); Heriland, v. Morinensis
(887-900/908)
[86] Domenica 28 gennaio 893
(V Kal Febr.): la data è aggiunta a margine
[87] Remi nel testo
(dép. Marne); sede arcivescovile
[88] Chiesa abbaziale di
Saint-Remi, nei pressi di Reims
[89] Frase rimaneggiata da
R. dopo la prima redazione
[90] Turonis/Turonica
urbs nel testo (dép. Indre-et-Loire); sede arcivescovile
[91] Parisius nel
testo; sede vescovile (prov. Sens)
[92] Dionisius, Rusticus
et Eleutherius, venerati nella chiesa abbaziale di St-Denis, presso Parigi
[93] Fara nel testo
(dép. Aisne, arr. Laon)
[94] 1/3 gennaio 898
[95] Qui R. ha cancellato la
frase “anche nei primi anni dell’adolescenza gli furono cari la pace e la
tranquillità dello stato, la concordia dei suoi, il benessere della
popolazione. In effetti”
[96] Rotbertus (fr.
Robert) (860/5†15.VI.923 Soissons),
duca o marchese in Neustria (898), figlio di Roberto il Forte e fratello di
Eude, (I) re di Francia ( 922-923), sposò (895) Beatrice (v.880†d.III.931) di
Eriberto I di Vermandois
[97] Roberto giurò fedeltà a
Carlo alla fine della primavera dell’898, al termine di una campagna contro i
Normanni
[98] Nella prima redazione
R. aveva scritto:”Il re dunque, assistito dai principi e molto esaltato
dall’ossequio dei suoi, secondo il costume dei re stabilì leggi ed emise
decreti. E mise Roberto a capo”
[99] Precisazione temporale
aggiunta in un secondo tempo
[100] Qui R. ha cancellato
l’inciso “che è la Celtica”
[101] Saxonia nel
testo; riferimento ambiguo (risultante da una correzione, nella prima redazione
era Belgica)
[102] Heinricus (ted.
Heinrich) (876†2.VII.936), figlio di Ottone
l’Illustre duca di Sassonia (†30.XI.912), divenne duca
di Sassonia (912) e in seguito re di Germania (Enrico I l’Uccellatore)
(919-936); fu padre dell’imperatore Ottone I e fondatore della dinastia
Ottoniana
[103] Frase aggiunta in una
nota: qui per la prima volta nella revisione compare Enrico
[104] Sarmatae, nome
con cui R. (come pure Flodoard) indica gli Slavi
[105] Angli, nome
collettivo per le popolazioni anglosassoni dell’Inghilterra
[106] Precisazione aggiunta
in un secondo tempo
[107] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 920 (con dettagli d’invenzione di R.)
[108] Hagano
(fr.Haganon), di famiglia lotaringia, è detto parente di Stance padre di san
Gérard di Brogne, ed è forse collegato alla famiglia della regina Frederuna,
moglie di Carlo III; compare per la prima volta in un diploma del 29.I.916 a
Herstal in favore dell’abbazie di Prüm, e nel 918 è conte
[109] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 920
[110] Nella prima redazione
“delle Gallie”
[111] Nome inserito come
correzione dopo una cancellatura
[112] Suessonis/Suessonica
urbs nel testo (dép. Aisne); sede vescovile (prov. Reims)
[113] mediocris è qui
inserito in sostituzione dell’originale ignobilis
[114] Tutta la frase è
aggiunta a margine
[115] Gravissimo errore di
R.: Folco era morto assassinato nel 900, e nel 920 era arcivescovo Hervé
[116] Balduinus (fr. Baudoin),
Baldovino II conte di Fiandra (879-918), era già morto nel 920, mentre in
effetti era stato l’istigatore dell’assassinio dell’arcivescovo Folco nel 900
[117] Morini, in R.
indica la città di Thérouanne (Pas-de-Calais) ma anche la regione delle Fiandre
[118] Fonte: Flodoard, Hist.Rem.Eccl.
IV,10 (in relazione all’arcivescovo Folco); tutta la vicenda è inserita, per un
grave abbaglio di R., intorno al 920, ma i fatti qui narrati si svolsero nel
900.
[119] Tra la fine dell’899 e
l’inizio del 900
[120] Atrabatum nel testo
(dép. Pas-de-Calais); diocesi riunita a Cambrai dal 584 al 1093
[121] Sanctus Uedastus, situata
ad Arras
[122] Altmarus (fr.
Altmar), conte franco occidentale
[123] Sanctus Medardus,
situata a Soissons
[124] Frase rimaneggiata da
R. dopo la prima redazione
[125] Uuinemarus (fr.
Guinemer), vassallo del conte di Fiandra Baldovino II; R. ha cancellato qui la
frase “il più scellerato di quanti alberga la terra”
[126] La data di morte
dell’arcivescovo Folco è il 17 giugno 900
[127] Frase rimaneggiata da
R.
[128] Fonte: Flodoard, Hist.Rem.Eccl.
IV,10, con aggiunte inventate da R.
[129] A Reims il 6 luglio 900
[130] Nella prima redazione
R. aveva scritto “dell’amico”
[131] La sentenza di
scomunica è conservata alla Staatsbibliotek di Berlino
[132] Fonti: Flodoard, Hist.Rem.Eccl.
IV,11; Flodoard, Annales, anno 920
[133] Heriueus (†2.VII.922),
arcivescovo di Reims (900-922); nipote del conte Hubaud
[134] Il 6 luglio 900
[135] Precisazione aggiunta a
margine
[136] Flodoard, Hist.Rem.Eccl.
IV, 1-10 (Folco) 11-17 (Hervé)
[137] Erlebaldus (fr.
Ellebaud) (†920) conte in diverse
contee (Lommensis, Castricensis) sul confine tra Francia e Lotaringia;
sposa Alpais figlia naturale di Carlo III
[138] Castricenses/pagus
Castricensis è il territorio nei dintorni di Mézieres (Ardennes)
[139] Maceriae nel
testo (dép. Ardennes)
[140] Agosto-settembre 920
[141] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 920 (non prima della metà di settembre). Molti dettagli sono tuttavia
assenti nella fonte, e sono forse frutto della fantasia di R.
[142] Uuarmacensis pagus,
sul fiume Reno, nella provincia ecclesiastica di Magonza
[143] Transrhenensis;
R. si riferisce al re di Germania Enrico I
[144] Nella prima redazione
“si impegnava moltissimo all’amicizia che ci doveva essere tra loro”
[145] Precisazioni aggiunte a
margine
[146] Nella prima redazione
“ignaro dei fatti”
[147] Questa frase
sostituisce la prima redazione, che suonava “Da quel giorno non ci fu più tra
loro né concordia né amicizia”
[148] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 920
[149] R. confonde la sequenza
degli avvenimenti, e qui ritorna alle vicende già da lui descritte in I,16 e da
collocarsi all’inizio del 920: Roberto è a Soissons il 20 gennaio
[150] Stampae nel
testo (dép. Essonne)
[151] Nella prima redazione
“i principi si resero conto”. Da qui e fino alla fine del capitolo si tratta di
un’aggiunta
[152] Frase rimaneggiata da
R. dopo la prima redazione
[153] Fonti: Flodoard, Hist.Rem.Eccl.
IV,15; Flodoard, Annales, anno 920
[154] Le prime due frasi sono
state inserite da R. al posto di frasi cancellate
[155] Riculfus (fr.
Ricoux), vescovo di Soissons (889-900/908)
[156] Nella prima redazione
“soltanto con due”
[157] “si recò a Reims” è
aggiunto a margine. Secondo Flodoard, Folco condusse il re dapprima nella villa
di Chacrise (Aisne), 10 Km a SE di Soissons, poi in quella di Crugny (Marne),
infine a Reims dove lo ospitò per quasi 7 mesi
[158] Tungri nel
testo, città del Belgio, sede vescovile (prov. Colonia)
[159] Stefano, vescovo di
Liegi (v.901-9.V.920)
[160] Herimannus,
Hermann I arcivescovo di Colonia (889/90†11.IV.924)
[161] Non pare plausibile che
Carlo sostenesse la nomina di Ilduino, che secondo Flodoard fu invece approvata
da Gisleberto duca di Lotaringia.
[162] Hilduinus (fr.
Heudoin), vescovo di Liegi (920-921), poi di Verona (928-931), arcivescovo di
Milano (931-936)
[163] Frase rimaneggiata da
R.
[164] La prima redazione era
“Ma basandosi sul consiglio di Hervé arcivescovo di Reims convoca mediante
inviati Gisleberto che era più potente di tutti nella Belgica”. R. la modificò
una prima volta dandole la forma “Ma il re basandosi sul buon consiglio dei
suoi tramite l’arcivescovo Hervé convoca
mediante inviati Gisleberto che era più potente di tutti nella Belgica”, poi
una seconda volta cancellando alcune parole e sostituendo ai nomi di Gisleberto
e di Belgica quelli di Enrico e di Sassonia.
[165] “da Enrico” nella
redazione originaria
[166] Qui R. ha cancellato la
frase “e, accolto con molto onore, è ammesso alla presenza del re”
[167] Qui “ENRICO”, aggiunto
in un secondo tempo, certamente sostituisce “GISLEBERTO”
[168] Nei capitoli 23-24, che
sono pura invenzione di R., come pure nei riferimenti precedenti, là dove nella
redazione definitiva compare il nome di Enrico era in precedenza scritto quello
di Gisleberto. Non è chiaro se le motivazioni di R. per tale sostituzione siano
letterarie o politiche. La motivazione letteraria si riferirebbe all’esigenza
di non introdurre Gisleberto prima della sua presentazione, che avviene nel
capitolo 35, mentre per la motivazione politica ci si richiama alla volontà di
evidenziare la legittimità della rivendicazione di sovranità su tutti i
territori franchi da parte di Carlo, ultimo sopravissuto della dinastia
carolingia
[169] Qui R. ha cancellato
“ma frequente e comune”
[170] “dei Belgi” nella
redazione originaria
[171] Il nome è aggiunto in
un secondo tempo
[172] Nella redazione
originaria era scritto “non so se incauto o desideroso del male”
[173] “nella Belgica” nella
redazione originaria
[174] Anche qui e in seguito
“ENRICO” è inserito a correggere “GISLEBERTO”
[175] R. si riferisce qui
forse al trattato di Bonn (1 novembre 920), ricordato anche da Flodoard (anno
921)
[176] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 922
[177] Richerus (fr.
Richer) (†23.VII.945 Liegi),
figlio di Adalhard II conte di Metz e fratello dei conti Gerhard e Matfrid, che
lo crearono abate di Prüm (899-920/1) deponendo Reginone (che riferisce la
vicenda nel suo Chronicon all’anno 899); divenne poi a seguito delle
vicende qui narrate vescovo di Liegi (920/21-945)
[178] Prumiensis,
abbazia della Lotaringia (prov. Treviri), a SE di Liegi, legata ai
Carolingi
[179] Questo particolare non
trova riscontro nelle fonti coeve
[180] Iohannes,
Giovanni da Tossignano (v.860†928 Roma), vescovo di
Bologna, arcivescovo di Ravenna (905-914), poi papa Giovanni X (III.914-V.928),
imprigionato e assassinato per volontà di Guido e Marozia; gli successero Leone
VI (V-XII.928) e Stefano VII(VIII) (X.928-II.931)
[181] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 921
[182] Trosleium nel
testo (dép. Aisne, arr. Laon, cant. Coucy-le-Château)
[183] Si tratta in questo
caso di un’assoluzione postuma, il riferimento alla scomunica è aggiunto a
margine
[184] Secondo Flodoard
l’ordinazione avvenne a Reims
[185] Rodulfus (fr.
Raoul) (†921), vescovo di Laon
(896-921)
[186] Laudunum nel
testo (dép. Aisne); sede vescovile (prov. Reims)
[187] Adelelmus (fr.
Alleaume) (†929/30), vescovo di Laon
(921-929/30)
[188] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 921
[189] Qui tre righe sono
cancellate e illeggibili
[190] Richuinus (fr.
Ricouin, ted. Rikwin) (†923), conte di Verdun,
sposò Cunegonda, figlia di Engeltrude carolingia e vedova del conte Wigeric; fu
padre di Otto, conte di Verdun e duca di Lorena (940-944), e fu assassinato nel
923 dal conte Bosone figlio di Riccardo il Giustiziere e fratello di Rodolfo re
[191] Precisazioni aggiunte a
margine. Seguivano altre tre righe cancellate e illeggibili
[192] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 921. R. tuttavia nei capitoli 28-33 narra vicende della lotta contro i
Normanni che sono relative a periodi diversi, e in particolare all’anno 911
(battaglia di Chartres)
[193] Rollo (fr.
Rollon) (†933?), capo normanno,
conte di Rouen (911-925/33), sottoscrisse nel 911 il trattato di
Saint-Clair-sur-Epte con cui Carlo gli concesse in feudo i territori della
futura Normandia ed accettò il battesimo. R. lo dice figlio di Catillo, mentre
secondo altre fonti (comunque non coeve e incerte) era figlio del norvegese
Rognwald
[194] “al comando di Rollone
figlio di Catillo” è un’aggiunta successiva alla prima redazione
[195] Qui R. ha corretto con
“quattro” un precedente “nove”
[196] Tale presenza non è
attestata dalle fonti coeve, e il riferimento a Ricuino è aggiunto da R. a
margine
[197] Dalmatius
(fr.Dalmas), nobile alverniate, probabilmente visconte di Brioude
(o suo parente)
[198] Nella prima redazione
era scritto “che pone al comando di Gisleberto”, frase poi cancellata
[199] Tutta la perorazione è
aggiunta in un secondo tempo
[200] L’ultima parte del
capitolo imita brani di Sallustio, De Coniuratione Catilinae 58-59
[201] Riferimento aggiunto in
un secondo tempo
[202] Qui R. ha cancellato
“con grandissimo clamore”
[203] Battaglia di Chartres
del 20 luglio 911
[204] “con i Neustriani” è
una correzione successiva alla prima redazione
[205] Anche qui è eliminato
il riferimento a Gisleberto
[206] “i Belgi” è cancellato
[207] L’inciso “ciascuno
ritorna alla propria sede” è cancellato
[208] Il vocabolo “i
prigionieri” corregge “gli ostaggi dei pirati”
[209] Martinus monachus,
sul quale non si hanno altre notizie
[210] Uuitto/Uuito (fr.
Guitton) (†v.914), arcivescovo di
Rouen (v.900-v.914): le date sono molto incerte
[211] Il capitolo precedente,
fino a questo punto, sostituisce la redazione originaria: “Investigando con
grande diligenza se si impegnassero a promettere di farsi battezzare, avendo
poi appreso che, se fosse stata loro concessa col vincolo di un tributo la
terra vicina al mare nella quale essi stessi si erano insediati, avrebbero
spontaneamente adottato la religione cristiana e si sarebbero posti fedelmente
al servizio del re delle Gallie, credendo che non fosse sufficiente, tramite
inviati inviò a Guittone arcivescovo di Rouen una richiesta di consiglio. Ed
espose la stessa cosa a Hervé arcivescovo di Reims e gli chiese consiglio. E
difatti i due celebri arcivescovi ... erano allora massimamente ascoltati nelle
Gallie”
[212] Fonte: Flodoard, Hist.Rem.Eccl.
IV,14
[213] Giovanni X
[214] Secondo Flodoard i
capitoli sono ventitre.
[215] Ragenerus (fr.
Regnier, ted. Reginar), Reginaro I dal Lungo Collo (v.850†915 Meerssen), conte in
Lotaringia dall’875, figlio di Gisleberto di Maasgau e di una figlia di Lotario
I imperatore, sposò Alberada e fu padre del duca Gisleberto e di Reginaro II
conte d’Hainaut
[216] “soprannominato dal
Lungo Collo” è aggiunto a margine
[217] Tra il 25 agosto 915 e
il 19 gennaio 916
[218] Marsna nel
testo, cittadina del Limburgo olandese, sulla Geul, 6 Km a NE di Maastricht
[219] Gislebertus (fr.
Gilbert, ted. Giselbert) (890†2.X.939 Andernach),
figlio di Reginaro I; conte dal 916, ribelle a Carlo dal 919, passò a Enrico I
di Germania (923) e sposò sua figlia Gerberga (928/9); duca di Lotaringia
(936-939) si ribellò anche a Ottone I e morì in battaglia
[220] La descrizione è
ispirata al ritratto di Catilina in Sallustio, De Coniuratione Catilinae
5. Tutto il capitolo è comunque fortemente rimaneggiato rispetto alla redazione
originaria., con cancellazioni e inserimenti
[221] Gerberga (fr.
Gerberge) (913/17†5.V.968/9) figlia di
Enrico re di Germania, sposa in prime nozze (928/9) Gisleberto duca di Lotaringia
e in seconde nozze (939) Ludovico IV re di Francia
[222] “non per Roberto ma” è
aggiunta posteriore alla redazione originaria
[223] Harburc nel
testo, fortezza non identificata sita alla confluenza tra Geul e Mosa
[224] Mosa nel testo,
fiume della Francia nord-occidentale, del Belgio e dell’Olanda, lungo 950 Km
[225] Gullus nel
testo, fiume tra Belgio e Olanda, affluente della Mosa, lungo 58 Km
[226] In realtà probabilmente
un periodo abbastanza breve
[227] L’elenco, non desunto
dalle fonti ma singolarmente dettagliato, lascia supporre conoscenze dirette
(forse di origine familiare) sulla materia da parte di R.
[228] Treiectum nel
testo, città del Limburgo olandese, sulla Mosa, 25 Km a N di Liegi
[229] Iuppila nel
testo, cittadina belga, sulla sponda destra della Mosa, 5 Km a E di Liegi
[230] Harstalium nel
testo, cittadina belga, sulla sponda sinistra della Mosa, 5 Km a NE di Liegi
[231] Litta nel testo,
località non identificata con sicurezza; Leten presso Bilzen è in Belgio, a O
di Maastricht e circa 25 Km a a N di Liegi
[232] Capraemons nel testo,
cittadina belga, 5 Km a SE di Liegi; secondo Flodoard (anno 922) Gisleberto vi
fu assediato da Carlo, che però dovette ritirarsi per l’intervento di Ugo il
Grande
[233] In realtà non ancora
tale fino al 928
[234] l’inciso “non potendo
procurare per sé il regno” è un’aggiunta successiva alla prima redazione
[235] Qui R. ha cancellato le
frasi: “Dopo ciò Gisleberto tornò nella Belgica, riempiendo le città di soldati
e di truppe sufficienti, predisponendo tutto contro il re, e ricostruendo con
baluardi più robusti laddove le rovine permettevano l’accesso. Avendo poi
valutato che i combattenti avrebbero potuto abbandonarlo se non li avesse
legati a sé con un giuramento, ottenne da tutti loro un giuramento di fedeltà
ma anche tanti ostaggi quanti ne volle, e rinchiuse i prescelti nella fortezza
di Harburc, che appariva pressoché inespugnabile, disponendo tutto apertamente
contro il re. E in più ottenne che, qualunque cosa egli stesso macchinasse
contro il re, ciò non fosse a danno del suocero, soprattutto per il fatto che,
essendo lo stesso fortemente pressato dall’assalto degli Slavi, non poteva
utilmente interessarsi ad altri affari. Il re dunque, toccato da ciò, si
diresse verso la Belgica. Ma Gisleberto, in quanto aveva rotto la fedeltà, non
solo disdegnò di venire dal re, ma sottraeva al re, con denaro e promesse di
beni, tutti quelli che poteva. E il re , non ignorando che ciò doveva essere
tollerato pazientemente per qualche tempo, risiedeva a Liegi senza agitazione
con quelli che erano venuti con lui dalla Celtica, asserendo che diventa più
lieve ciò che è tollerato con pazienza, e riconoscendo di essere esposto
all’odio dei nemici, poiché era pressato di qua nella Celtica da Roberto, di là
nella Belgica da Gisleberto. E invero Roberto si dava da fare a danno del re e
a vantaggio dei suoi, e ottenne risultati presso i principi, cosicché quasi
tutti congiuravano crudelmente contro il loro re.”
[236] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 922
[237] Nota aggiunta a margine
[238] Nel giugno 922
[239] Domenica 30 giugno 922
[240] Il 3 luglio 922
[241] Seulfus (†1.IX.925), arcivescovo
di Reims (922-925)
[242] Il dialogo dei capitoli
42-42 è invenzione di R.
[243] Frase rimaneggiata da R
dopo la prima redazione.
[244] Qui R. ha cancellato la
frase “e ben poca speranza gli era rimasta, poiché tutto era stato invaso dal
tiranno, il potere di comandare e la libertà di possedere”
[245] Nella redazione
originaria “i magnati della Belgica”
[246] Frase aggiunta a piè di
pagina e ulteriormente rimaneggiata da R., come il resto del capitolo
[247] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 923
[248] Cifra di fantasia: R.
inizialmente aveva scritto 5.000, poi corretto in 6.000, infine in 10.000
[249] L’inciso è stato
aggiunto dopo la prima redazione
[250] Condrucium nel
testo, regione storica del Belgio, a SO di Liegi
[251] Hasbanium nel
testo (Hasbain/Hasbanien), regione storica del Belgio, a O di Liegi
[252] Atiniacum nel
testo (dép. Ardennes, arr. Vouziers), sul fiume Aisne, 47 Km a NE di Reims,
importante residenza reale merovingia (dal 647) e carolingia, poi abbandonata
dai Capetingi
[253] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 923
[254] Fulbertus (fr.
Foubert); un conte Fulberto figura in due diplomi di Carlo (anni 916 e 919)
[255] Duemila nella redazione
originaria, ma i numeri di R. sono sempre di fantasia
[256] Qui R. ha cancellato
l’inciso “con riferimento al dovere di prestare servizio, alla gloria data
dalla fama, alla nobiltà degli antenati e all’utilità per i figli”
[257] Axona nel testo,
fiume della Francia settentrionale, lungo 300 Km, affluente dell’Oise
[258] La battaglia di
Soissons si combatté il 15 giugno 923, e generò una tradizione leggendaria,
alla quale verosimilmente si ispira R. per molti particolari non attestati
nelle fonti
[259] La frase sostituisce
“si affrettava contro il tiranno”, che compariva nella redazione originaria
[260] Hagraldus, non
identificato, ha un nome di origine chiaramente normanna
[261] Duemila nella redazione
originaria (vedi anche sopra)
[262] Beata Genouefa
(fr. Geneviève), chiesa altomedievale nei pressi di Soissons, oggi
scomparsa
[263] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 923
[264] Tutta la frase è stata
fortemente rimaneggiata da R.
[265] Le cifre qui riportate
non figurano in alcuna delle opere note di Flodoard
[266] Heribertus, Heribert
(fr. Herbert), Eriberto II (v.880†23.II.943) conte di
Vermandois (902-943), figlio di Eriberto I (†900/7) e quindi discendente di
Carlo Magno (dal figlio Pipino); sposò (v.907) Adele figlia di Roberto I re, da
cui ebbe numerosi figli
[267] Hugo (fr.
Hugues), Ugo il Grande (897/8†956 Dourdan), marchese
di Neustria (923) e duca dei Franchi, figlio di Roberto I re e di Beatrice di
Vermandois, fu il più importante feudatario di Francia del suo tempo; sposò (in
terze nozze nel 937) Hedwige di Sassonia (922†965), figlia di Enrico I re di
Germania, dalla quale ebbe Ugo Capeto ed Eude duca di Borgogna
[268] In realtà aveva circa
venticinque anni
[269] Anche questa frase è stata
fortemente rimaneggiata da R.
[270] Dall’inizio del
capitolo 44 e fino a qui il testo è riscritto sopra una cancellatura
[271] In realtà secondo
Flodoard la vittoria, malgrado la morte del re, andò ai partigiani di Roberto,
che però non inseguirono i fuggitivi ma occuparono il campo e raccolsero il
bottino, con l’aiuto degli abitanti dei sobborghi di Soissons; R. fraintende
quest’ultimo episodio
[272] “Galli” nella redazione
originaria
[273] Le ultime due frasi
sono aggiunte a margine
[274] Qui R. ha cancellato
“Galli”
[275] L’inciso è aggiunto
come nota a piè di pagina
[276] L’inciso è aggiunto
posteriormente
[277] “la Germania” nella
redazione originaria
[278] Qui R. ha cancellato
“nelle Gallie”
[279] Camaracensis nel
testo (dép. Nord); sede vescovile (prov. Reims)
[280] In Flodoard l’evento è
riportato nell’anno 922
[281] Nortmanni nel
testo
[282] Secondo Flodoard le
truppe di Rodolfo si interposero tra Carlo e i Normanni sull’Oise
[283] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 923
[284] Il 13 luglio 923
[285] Rodulfus (fr.
Raoul) (v.890†15.I.936), figlio di
Riccardo il Giustiziere, duca di Borgogna dal 921, re di Francia (923-936),
sposò Emma figlia di Roberto I re
[286] Richardus
Burgundionis (fr. Richard) ) (†921), duca di Borgogna (901-921), figlio di
Bivin, sposò Adelaide figlia di Corrado II Welf, duca di Borgogna Transgiurana
[287] Perona nel testo
(dép. Somme); ma secondo Flodoard Carlo fu condotto a Château-Thierry. Il
trasferimento a Péronne, dove Carlo morì, è successivo (forse nel 924, a
seguito dell’incendio della fortezza di Château-Thierry)
[288] Il riferimento di R. ai
Germani è in questo contesto poco chiaro (forse un lapsus?)
[289] Qui R. non riproduce i
dettagli forniti da Flodoard sui rapporti intercorsi tra re Rodolfo e i
Lorenesi, forse non comprendendone bene il senso, o per la difficoltà di
parafrasarli
[290] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 924
[291] Nella prima redazione,
qui e spesso in seguito “i Normanni (Normanni, Nortmanni)”
[292] Uuilelmus (fr.
Guillaume), Guglielmo II (†926/7), duca d’Aquitania
(918-927), figlio di Acfred I conte di Carcassonne e di Adelinda, sorella del
duca d’Aquitania Guglielmo I il Pio (†918), fondatore di Cluny, cui Guglielmo II succedette in
assenza di eredi diretti
[293] Per l’esattezza nel
territorio di Autun, secondo Flodoard
[294] Fonte: Flodoard, Annales,
anni 924 e 925
[295] Senonas/Senonica
urbs nel testo (dép. Yonne); sede arcivescovile
[296] Burgundia nel
testo, regione storica della Francia centro-orientale, ma la prima versione era
“delle Gallie”
[297] Il 6 dicembre 924
[298] Manasse (†d.927), Manasse II il
Giovane, conte di Langres e Dijon, figlio di Manasse I conte di Châlon e di
Ermengarda figlia di Bosone re di Provenza
[299] Uarnerus (fr.
Garnier) (†6.XII.924), conte di
Troyes e visconte di Sens, sposò Teutberga sorella di Ugo d’Arles
[300] Iozselmus (fr.
Jousseaume/Gauzelin) (†931), vescovo di Langres
(924-931)
[301] Ansegisus (fr.
Anseïs) (†31.XII.970?), vescovo di Troyes (914-960/70)
[302] Calaus mons nel
testo (dép. Seine-et-Marne, arr. Melun, com. Fleury-en-Bière?), località non
identificata con certezza; il riferimento geografico è aggiunto da R. in una
nota a margine
[303] Flodoard ricorda il
vescovo Abbone di Soissons e il conte Eriberto di Vermandois
[304] Inciso aggiunto dopo la
prima redazione
[305] Auga nel testo
(dép. Seine-Maritime, arr. Dieppe), località costiera, 70 Km a N di Rouen
[306] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 925;
[307] In una prima versione
R. riportava l’accecamento di Rollone, poi cancellato; in realtà non v’è alcuna
indicazione, in Flodoard o in altre fonti, che Rollone sia morto in questa
circostanza: la sua morte si colloca probabilmente in epoca successiva
(928/933)
[308] Secondo Flodoard la
spedizione contro Eu è condotta da Eriberto e da Arnolfo di Fiandra
[309] Qui R. ha cancellato la
frase “tormentano Rollone dopo avergli cavato gli occhi”
[310] Forse un’isola del
fiume Bresle, sul quale è situata Eu
[311] Beluacum nel
testo (dép. Oise); sede vescovile (prov. Reims)
[312] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 926
[313] Atrabatensis nel
testo, regione storica della Francia settentrionale
[314] Battaglia di
Fauquembergues (dep. Pas-de-Calais, arr. Saint-Omer)
[315] Secondo Flodoard i
Normanni morti furono 1.100
[316] Hildegaudus (fr.
Helgaud) (†926), Ildegaudo II conte
di Ponthieu (921-926)
[317] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 926
[318] 1 aprile 926, sabato di
Pasqua
[319] Secondo Flodoard in un
mattino di domenica del marzo 927
[320] La contesa, secondo
Flodoard (anno 927) riguardava l’attribuzione della contea di Laon, che Rodolfo
concesse a Roger (II) figlio di Roger (I) conte di Laon, mentre Eriberto la
pretendeva per il figlio Eude
[321] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 927
[322] Ueromandensis pagus
nel testo, regione storica della Francia settentrionale; nella prima redazione
era regio U.
[323] Guglielmo Lungaspada
(v.905†16/17.XII.942),
conte di Rouen (927-942)
[324] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 928
[325] Giovanni X era stato
imprigionato da Guido, marchese di Toscana e marito di Marozia; morì nel corso
del 928 e fu rimpiazzato in rapida successione da Leone VI (V-XII.928) e da
Stefano VII(VIII) (X.928-II.931)
[327] Hugues di Vermandois
(920†962), arcivescovo eletto
di Reims (925), deposto nel 931, ristabilito nel 941, deposto definitivamente
nel 946
[328] All’epoca dell’elezione
aveva cinque anni
[329] Il 1 settembre 925
[330] Odelricus (fr.
Oudri), vescovo di Aix-en-Provence, secondo Flodoard presente anche al sinodo
di Verdun (947)
[331] Aquensis nel
testo (dép. Bouches-du-Rhône); sede vescovile
[332] In questo caso
Saraceni, probabilmente basati a Fraxinetum sulla costa provenzale
[333] Sanctus Timotheus,
abbazia della diocesi di Reims
[334] Pontion nel
testo (dép. Marne, arr. Vitry-le-François, cant. Thiéblemont), sede di un
palazzo reale carolingio, oggi del tutto scomparso, 75 Km a SE di Reims
[335] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 929
[336] 16 settembre o 7 ottobre
929; Carlo il Semplice morì a Péronne all’età di cinquant’anni, nel suo
trentasettesimo anno di regno, dopo sei anni di prigionia
[337] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 930
[338] La battaglia avvenne a Destricios
(Estresse presso Beaulieu-sur-Dordogne)
[339] Fonte: Flodoard, Annales,
anni 930 e 931
[340] Ugo il Grande
[341] Nota aggiunta a margine
[342] Donincum nel
testo (dép. Nord, arr. Valenciennes)
[343] Secondo Flodoard
Eriberto era sostenuto dai lorenesi di Gisleberto
[344] Braina nel testo
(dép. Aisne, arr. Soissons), località situata 37 Km a O di Reims
[345] Uitula nel
testo, fiume della regione di Reims, affluente dell’Aisne, lungo 140 Km
[346] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 931
[347] “cittadini” è
un’aggiunta a margine
[348] Il discorso di Rodolfo
non si trova ovviamente in Flodoard, ed è pura invenzione di R.
[349] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 931
[350] Artoldus (†961), arcivescovo di
Reims (931-961), eletto (XI/XII. 931) dopo la deposizione di Hugues di
Vermandois, costretto ad abdicare nel 941, definitivamente ristabilito nel 946
[351] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 931
[352] Bouo (fr. Beuve)
(†947), Bovone II vescovo
di Châlons (913/7-947), fratello di Frederuna moglie di Carlo III
[353] Adela (?) figlia del re
Roberto I
[354] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 932
[355] Qui R. ha cancellato “e
disposto altre cose a danno del suddetto tiranno”
[356] Nouiomum nel
testo (dép. Oise, arr. Compiègne); sede vescovile (prov. Reims)
[357] Ayrardus (fr.
Airard) (†932), vescovo di Noyon
(923/4-932)
[358] Uualbertus (fr.
Gaubert) (†26.XII.936), abate di Corbie
(?-932), vescovo di Noyon (932-936)
[359] Corbeiensis nel
testo (dép. Somme, arr. Amiens), importante abbazia fondata nel 657-662 dalla
regina Bathilde e da suo figlio Clotario III
[360] Adelelmus (fr.
Alleaume) (†932), conte di Arras,
figlio (?) del conte Altmaro, citato nel capitolo 17; secondo Flodoard combatté
i Normanni di Ragenold nel 923. Il riferimento geografico è aggiunto a margine
[361] Fonte: Flodoard, Annales,
anno 932
[362] Ragemmundus,
Raimond-Pons III (†942?), figlio di
Raimondo II, conte di Tolosa, duca d’Aquitania nel 936
[363] Ermingaudus (fr.
Ermengaud) (†936/943), conte di
Rouergue, fratello di Raimondo II conte di Tolosa
[364] Lupus Acinarius Uasco
(890†d.932), capo Guascone, appartenente alla famiglia ducale
[365] Fonte: Flodoard, Annales,
anni 934, 935, 936
[366] il 12, 14 o 15 gennaio
936
[367] Sancta Columba, abbazia
presso Sens