LIBRO II
[1.] DELIBERAZIONE DEI GALLI SULLA NOMINA DEL RE.[1]
Dopo le sue esequie i principi erano spinti in diverse direzioni e perseguivano
differenti finalità. E infatti i Galli Celti con gli Aquitani seguivano Ugo,
figlio del re Roberto, i Belgi invece Ludovico[2]
figlio di Carlo. Né all’uno né all’altro di questi appariva opportuno regnare,
poiché Ugo ricordava che il padre era morto per la presunzione e perciò aveva
paura di regnare e Ludovico dimorava nel territorio degli Angli, giacché era
stato portato là bambino presso lo zio re Adelstano[3], a
causa della persecuzione di Ugo ed Eriberto, in quanto essi avevano catturato
suo padre e l’avevano cacciato in carcere. E così i Galli impegnandosi per
apparire più liberi nella nomina del re si riunirono sotto la guida del duca
Ugo per decidere a proposito dell’elezione del re.
[2.] DISCORSO DEL DUCA UGO AI GALLI IN FAVORE DI LUDOVICO.[4]
Il duca in mezzo a loro, dopo molte discussioni, aspirando a grande
magnanimità, presa la parola, così disse: “Poiché il re Carlo, per sorte
miserabile, è morto, sia che ciò sia avvenuto perché se l’è meritato, sia
perché la Divinità stessa era indignata per i nostri crimini, se qualcosa é
stato commesso dai padri e da noi stessi per cui è stata offesa la maestà
divina, con grande impegno in primo luogo ciò dovrà essere cancellato e
allontanato dagli occhi. E quindi siano assenti i pretesti di discordia e
discutiamo nella comune concordia di tutti del principe che deve essere scelto.
Mio padre[5],
eletto re una volta per la volontà di voi tutti, regnò non senza un grave
illecito, poiché colui[6] al
quale soltanto spettava il diritto di regnare era vivo ed era rinchiuso vivente
in carcere. La qual cosa potete credere che non fosse bene accetta a Dio. Per
cui non avvenga che io sia rimesso al posto di mio padre. Né poi io penso che
qualcuno di diversa stirpe debba essere elevato dopo Rodolfo di venerabile memoria,
poiché al suo tempo si è visto che cosa ora potrebbe nascerne, cioè il
disprezzo verso il re e a causa di ciò la discordia dei principi. Si riprenda
dunque la linea della generazione regale interrotta per un po’ di tempo e,
richiamando Ludovico figlio di Carlo dalle terre al di là del mare, nominate
per voi un re come si conviene. E così avvenga che l’antica nobiltà della
stirpe regia sia rispettata e i suoi sostenitori desistano dalle lamentele.
Seguendo ora ciò che è meglio, richiamiamo l’adolescente dal paese
d’oltremare.” Ciò detto, i principi dei Galli cedono con mirabile buona
disposizione d’animo.[7] E
così il duca per richiamare Ludovico manda inviati intermediari al di là del
mare, che lo invitino a ritornare da parte del duca delle Gallie e degli altri
principi e offrano garanzia con impegno di giuramento sulla sicurezza del
viaggio, e annuncino la venuta dei principi fino alle stesse sabbie della riva.
Quelli, subito partiti, giunsero a Boulogne[8].
Saliti su navi in quel porto, con le vele che si gonfiavano ai venti
favorevoli, rapidamente furono portati a terra. Il re Adelstano, nella città
che è detta York[9],
regolava gli affari dei regni presso i suoi con il nipote Ludovico. Giungendo
là gli ambasciatori, si presentano al re e lo salutano rispettosamente da parte
del duca e dei magnati dei Galli.
[3.] AMBASCERIA DEI GALLI PRESSO IL RE ADELSTANO PER LUDOVICO[10]
E rendendo nota l’ambasceria dicono: “Per la buona volontà del duca e di
tutti quelli che sono potenti nelle Gallie siamo venuti qui attraverso le onde
di un mare sconosciuto; tanto grande è la volontà di tutti e il consenso di
tutti. Sottratto al mondo Rodolfo di venerabile memoria il duca si diede da
fare perché gli succedesse Ludovico, per quanto molti concedessero ciò contro
voglia, in quanto a seguito della cattura del padre consideravano il figlio
certamente sospetto. Tuttavia, adoperandosi il duca, ciò é stato concesso da
tutti con grande piacere. Dunque tutti augurano bene a Ludovico per ogni cosa e
nulla è per loro più importante o più caro della sua salvezza. E così tutti
chiedono che egli ritorni, e desiderano che egli regni con profitto in Gallia.
Vogliono che sia stabilito un tempo nel quale il duca con i principi venga
incontro fino alla stessa riva del mare a colui che regnerà.” Il re Adelstano,
non credendo abbastanza a quei barbari, chiese da loro un giuramento di lealtà
a proposito di ciò e lo ricevette secondo l’auspicio; e fu stabilito il tempo
per avere un colloquio. Gli ambasciatori, avendo ricevuto doni dal re ed
essendo andati via, ritornano in Gallia dopo aver ripercorso il mare,
riportando al duca ringraziamenti da parte del re e promettendo la sua grande
amicizia per l’invito a eleggerlo re. E così il duca con i principi delle
Gallie va a Boulogne[11] per
accogliere il signor re e, raccoltisi lungo le stesse spiagge marine, essi
mostravano con l’incendio di capanne la propria presenza a quelli che erano
sull’altra sponda.[12] Là
infatti si era recato il re Adelstano con la cavalleria reale per inviare il
nipote ai Galli che lo aspettavano.[13] E
per suo ordine alcune case incendiate mostravano a quelli che stavano
dall’altra parte che era arrivato.
[4.] UGO E GLI ALTRI PRINCIPI DELLE GALLIE RICHIAMANO LUDOVICO
DALL’ESILIO E SI DANNO A LUI E LO ELEGGONO RE.[14]
Il re dunque invia il vescovo[15] Odo[16], in
seguito arcivescovo di Canterbury[17],
uomo di grande equità ed eloquenza, come ambasciatore ai Galli situati
dall’altra parte, comunicando che egli invierà volentieri Ludovico, se nelle
Gallie[18] lo
eleveranno nell’onore tanto quanto lo stesso è stato innalzato dai suoi, poiché
sono in grado di non fare di meno, e confermeranno con un giuramento che
faranno ciò; se non acconsentiranno a ciò, egli gli donerà una parte dei suoi
regni, e soddisfatto da questa egli sarà contento delle sue cose e non
ricercherà quelle altrui. Il duca con gli altri magnati delle Gallie afferma
che farà ciò, se il re eletto non si allontani dai suoi consigli, e proseguendo
non rifiuta il giuramento. E così l’inviato ritornando dal re che l’aspettava
riferisce tutte queste cose. E perciò rassicurato egli invia alle navi il
nipote con quelli che erano più importanti presso di lui, con molta
ostentazione di ornamenti; entrati in mare con le vele gonfiate dal vento
favorevole, si portano tranquillamente a terra con i remi schiumanti. Ancorate
poi da dietro le navi alla spiaggia, Ludovico sbarca e, accogliendo il duca con
gli altri che venivano incontro, li lega a sé con il vincolo del giuramento.
Quindi il duca affrettandosi conduce un cavallo adornato con le insegne regie. Quando
egli volle prepararlo per la salita e quello insofferente si scostava di qua e
di là, Ludovico, saltando con un agile balzo, montò rapido, facendo a meno
della staffa, sul cavallo che scalpitava. E ciò fu gradito a tutti e causa di
molte congratulazioni. Il duca prendendo le sue armi precedeva come armigero,
finché avendone avuto l’ordine le rimise ai magnati della Gallia. Con costoro
al suo servizio[19]
fu condotto a Laon con grande fasto e seguito.
E là ricevendo a quindici anni[20] il
potere di regnare, essendo tutti favorevoli fu consacrato re[21] dal
signor arcivescovo Artaud insieme a venti vescovi.[22] E da
là portato via viene accolto con dimostrazioni di gioia nelle città vicine.
Tutti plaudono a lui, tutti si rallegrano, tanto grande fu il comune sentire di
tutti.
[5.] IL RE INSIEME AL DUCA SI RECA IN BORGOGNA E MUOVE GUERRA
ALLA CITTÀ DI LANGRES.[23]
Allora viene consigliato dal duca di dirigersi verso la Borgogna[24] e
passare in rassegna le città e le sedi regie. Il re, acconsentendo a chi lo
esorta, entra in Borgogna con il duca che lo accompagna. I capi delle città,
accorrendo a lui di buon grado, lo accolsero magnificamente e, richiestine,
concessero la loro fedeltà con il vincolo del giuramento. Soltanto Ugo[25],
fratello del re Rodolfo, che possedeva la città di Langres[26],
evitò di accorrere dal re, enormemente adirato con quelli che erano accorsi. Il
re, mentre per alcune settimane ispezionava i suoi beni, si accorse
dell’ostilità del nemico. E così proponendosi di non oltrepassare nessuna città
prima della partenza, invia ambasciatori a Ugo, che lo distolgano
dall’ostinazione e lo convincano del dovere di mantenergli la fedeltà. Pur
avendo costoro perorato presso di lui, non ottennero né pace né onori reali.
Per cui ripartiti riferiscono le cose udite al re. Ugo, essendo consapevole di
aver agito fuori dalla giustizia assegna truppe alla città, ritirandosi egli
stesso nelle parti esterne del regno per qualche tempo. Il re poi, indignato
contro l’ostinato, volge l’esercito verso la città, conducendo duramente un
assalto dalla parte che si rivolge verso la pianura. Infatti dall’altra parte è
pressoché inaccessibile, elevandosi la parete della montagna. Dunque il re con
il duca avvicina i soldati alla città dalla parte che è più adatta all’assedio.
I nemici resistono assai energicamente a quelli che li assalgono, riempiono
l’aria di dardi e pietre e schiacciano gli assalitori. Tuttavia non poterono
prevalere fino al risultato di respingerli: infatti, non reggendo l’assalto
della cavalleria regia, di notte essendo usciti sfuggirono dalla parte dirupata
che non era pressata dall’assedio; i cittadini poi che rimasero subito aprirono
le porte al re, congratulandosi e accogliendolo senza opposizione con i suoi in
città.[27] Il
re, impadronitosene, ricevette ostaggi dal suo vescovo[28] e
dagli altri nobili del regno e così con il duca rivolse il cammino verso
Parigi.
[6.] IL RE RIMUOVE DA SÉ LA TUTELA DEL DUCA.[29]
Il re, inorgoglito dal successo delle felici vicende, pensava che i suoi
affari potessero essere regolati fuori dalla tutela del duca. E perciò già
stabiliva l’amministrazione dell’esercito senza di lui. E così si dirige a Laon
e là delega alla custodia della città la regina Edgiva[30] sua
madre e di lì in poi intraprendeva ogni cosa senza il duca. E ciò fu l’origine di
un non piccolissimo disastro. E infatti il duca, rendendosi conto che il re
aveva rigettato le prescrizioni della sua tutela, chiamò a sé il conte
Eriberto, discutendo con lui molti progetti a oltraggio del re. Stabiliscono
tra loro reciprocamente una mutua amicizia con condizioni.
[7.] ERIBERTO PRENDE CON L’INGANNO CHÂTEAU-THIERRY E GETTA IN
CARCERE IL TRADITORE.[31]
E così Eriberto si recò a fine di inganno da Gualone[32],
fedele del re, che era a capo della fortezza che è detta Château-Thierry[33] e
gli parlò di diserzione. E non avendo atteso a lungo persuade l’ingannato,
offrendogli grandi cose e ancor più promettendone. Quello subito chiede un
giuramento sulle cose promesse, impegnandosi a fare le cose richiestegli. Il
tiranno acconsente molto volentieri e il traditore dopo aver giurato indica il
tempo in cui compiere il delitto, e per di più si pone nelle mani del tiranno
con l’intenzione di essere d’allora in poi al suo servizio e conforma la
fedeltà secondo l’impegno. Fatto ciò ritornano alle proprie cose. Giunge il
tempo, Gualone, simulando impegni, disloca i soldati del re che erano con lui
in luoghi diversi, come se stessero per fare l’interesse del re; egli stesso,
evacuata la fortezza, viene lasciato solo con i familiari. e il tiranno non mancò
di arrivare con una coorte. Accolto dal traditore, entra nella fortezza e la
occupa. E fissando il traditore dice: “Pensi forse che questa fortezza debba
essere affidata alla tua cura?”, e presolo subito lo getta in catene e affida
la custodia della fortezza ai suoi.
PRESAGIO DI UN ASSALTO DEGLI UNGARI.
E al momento in cui la notte succedeva al giorno una parte del cielo
prodigiosamente fu vista ardere. E a questo subito segue un’improvvisa
scorreria degli Ungari[34]
attraverso le Gallie. Poiché questi si accanirono enormemente, alquanti
municipi, villaggi e campi furono devastati; e numerose chiese bruciarono ed
essi furono lasciati ritornare indenni con una grande moltitudine di
prigionieri a causa della discordia dei principi. Infatti il re, non avendo truppe,
sopportò l’ignominia e, in quanto abbandonato dai suoi, cedette a quelli che
infierivano.
[8.] IL RE ESPUGNA CON UNA COORTE LA PIAZZAFORTE DI MONTIGNY E
CATTURA IL SUO COMANDANTE.[35]
Dopo che questi se ne furono andati il re manda contro la fortezza di
Montigny[36]
una coorte, affinché la occupi e, una volta presa, la distrugga, in quanto un
certo Serlo[37],
che praticava il brigantaggio, aveva rifugio in quel luogo. Dunque la coorte,
dirigendosi verso la fortezza, muove guerra ai briganti; e senza perder tempo
la prende con la forza, la mette a fuoco e la distrugge, e avendo preso il capo
dei briganti lo porta al re avendo lasciato andare quelli meno importanti.
Costui, mentre per ordine del re veniva condotto al boia per essere decapitato,
per intervento di Artaud arcivescovo di Reims ottenne la grazia dal re e, dopo
aver giurato che nel seguito non avrebbe più praticato il brigantaggio, ebbe il
permesso di andarsene. Compiute queste azioni, il re si ritirò nelle parti
della Belgica vicine al mare, intendendo costruire una piazzaforte in quello
stesso porto di mare. E questo luogo ha nome Guines[38]. E
accolto da Arnolfo[39]
principe di quella regione, presso di lui si occupava della costruzione della
piazzaforte. Mentre si attardava là in quest’attività, Eriberto penetra a
tradimento e prende un castello della chiesa di Reims di nome Chausot[40],
situato lungo il fiume Marna, elevato dal presule Artaud; e avendo assalito la
guarnigione porta via i principali di loro. Saccheggia le campagne tutt’intorno
e riempie la piazzaforte con ingenti prede, e vi colloca soldati in armi,
mentre egli si ritira altrove.
[9.] IL RE PRENDE LA CITTADELLA DI LAON.[41]
Nel frattempo queste cose vengono riferite mediante inviati
dall’arcivescovo al re. Questi subito interrompendo l’attività intrapresa,
ritorna per portargli soccorso. Raccoglie soldati e prepara un esercito.
Venendo con questo a Laon, assedia la fortezza là da poco costruita da Eriberto
e tenuta finora dai suoi. Ma quelli che erano nella fortezza si preparano alla
resistenza. Dunque il re disponendo tutt’intorno degli arcieri, cercava di
vincere con i proiettili. In questo scontro da una parte e dall’altra
moltissimi furono feriti, poiché quelli che erano nella fortezza nondimeno si
servivano di frecce e di altri proiettili. Dunque il re, non avendo ottenuto la
fine del conflitto con la forza, pensava di prenderli con l’ingegno.
[10.] COSTRUZIONE DI UNA MACCHINA.[42]
E così fece una macchina di legni robustissimi uniti insieme, simile a
una casa di forma allungata, in grado di contenere dodici uomini, in altezza
uguale alla statura di un corpo umano, e costruì le pareti di questa con grande
robustezza di legni, il tetto poi di frasche dure e intrecciate; e attaccò ad
essa all’interno quattro ruote, per cui la macchina poteva essere spinta fino
alla fortezza da quelli che si nascondevano all’interno. Ma il tetto non fu
disteso orizzontalmente, invece s’inclinava dalla cima verso destra e verso
sinistra, per offrire più facilmente la caduta alle pietre gettate. Una volta
che questa fu costruita subito fu riempita di reclute e spinta verso la
fortezza grazie alle ruote mobili. Quando i nemici cercarono di colpirla dalle
rupi poste più in alto, furono respinti violentemente dagli arcieri disposti da
tutte le parti. E così condotta la macchina fino alla fortezza, il muro fu in
parte scalzato e rovesciato. I nemici, temendo possibile che attraverso questo
passaggio possa introdursi una moltitudine di armati, depongono le armi e
implorano la clemenza regia. Dunque il re, proibendo che si combatta più a
lungo, s’impadronisce di loro pressoché intatti, a parte quelli che furono
feriti nello scontro militare, e pose i suoi nella fortezza a tutela della
città.
[11.] INGANNO DI ARNOLFO E PRESA DELLA PIAZZAFORTE DI MONTREUIL.[43]
Mentre si compievano queste cose, il predetto Arnolfo principe di
Fiandra, meditando di aggiungere alla propria parte la piazzaforte di Erluino[44]
situata lungo il mare, di nome Montreuil[45], in
modo tale che dai trasporti delle navi gli giungano da là maggiori vantaggi,
preparava inganni per ottenerla. E così invia alcuni astuti dei suoi in veste
misera, nascondendo l’inganno, a un certo custode della medesima piazzaforte,
che egli non dubitava essere molto facile al tradimento. Costoro, una volta
entrati, gli portano i saluti da parte del signore e chiedono l’opportunità di
parlare. Dunque si appartano. Quelli, fingendo che l’affare per il quale erano
venuti fosse tanto importante da non sapere affatto da che punto poter
cominciare, esitavano alquanto; e infine, sospirando dicono: “Beato te,
Roberto! beato te Roberto! – così infatti si chiamava[46]
– a quanti mali sei sfuggito, quanti pericoli ha evitato e quanti
successi ti aspettano per gli eventi favorevoli!” E subito gli offrirono due
anelli, uno d’oro, l’altro invece di ferro. “E vedi, dicono, che cosa si debba
intendere da questi.” E poiché quello non capiva di che cosa si trattasse, essi
proseguono: “Intendi nell’oro cose eccelse, nel ferro i vincoli del carcere. E
infatti si approssima il tempo in cui anche questa piazzaforte si consegnerà
nelle mani di un altro. Queste cose, che devono essere taciute, le affidiamo
alla tua fedeltà. La cosa à stata stabilita a vostra insaputa. Anche noi
ignoriamo ciò quasi completamente, ma non neghiamo di conoscere l’essenziale
della cosa. Noi parliamo della morte o dell’esilio. Per cui il conte Arnolfo
volendoti consigliare ti ha indicato con i suoi indizi la calamità della futura
rovina, esortandoti a passare a lui e ricevere da lui, insieme alla donazione
del re, grandi quantità d’oro e d’argento e abbondanza di terre e moltitudine
di soldati. Voi nel prossimo futuro siete destinati a finire nelle mani dei
Normanni, non sappiamo in che modo. E ciò che ti parrà su queste cose, non
rinviare di farlo sapere a un amico tramite noi.” Quello, guidato dalla
cupidigia, meditava il tradimento. Tuttavia stupefatto esitava. Infine dice a
se stesso che il disonore del tradimento può essere lavato per il motivo
cogente che a lui è noto che tutti gli occupanti della piazzaforte nel prossimo
futuro o saranno mandati in esilio o moriranno. Dunque s’impegna al tradimento
e offre la fedeltà con giuramento. Parimenti quelli giurano le cose promesse.
Il tempo del delitto viene fissato e confermato con giuramento. Gli inviati una
volta ritornati riferiscono di averlo convinto.
[12.] ENTRATA DI ARNOLFO A MONTREUIL.[47]
E così Arnolfo raccoglie una truppa di soldati scelti, per portare a
compimento il crimine che ha preparato; e mettendosi in strada con due coorti
giunge quasi fino alla piazzaforte. Il sole era già tramontato. Il traditore
aveva mandato fuori alcuni attraverso una porta, come se dovessero occuparsi di
alcune cose utili. Per cui anch’egli stesso stando sulle mura teneva esposta
una fiaccola ardentissima, come per fornire luce ai servitori mandati fuori,
mentre con questo segnale luminoso tramite gli inviati aveva stabilito di
indicare l’accesso. Arnolfo facendo là irruzione con i cavalieri attraverso la
porta che era aperta entrò nella piazzaforte; e impadronitosene cattura la
moglie di Erluino con i figli e saccheggia i suoi tesori. Erluino invece,
cambiato d’abito, sfuggì di mezzo ai nemici. E Arnolfo avendo invaso tutte le
parti affida la piazzaforte ai suoi, deporta oltre il mare la moglie di Erluino
con i figli per affidarli ad Adelstano re degli Angli; e così ritorna alle sue
cose dopo aver munito con i suoi la piazzaforte.
[13.] LAMENTELA DI ERLUINO PRESSO IL DUCA GUGLIELMO PER LA
PERDITA DEL CASTELLO, DELLA MOGLIE E DEI FIGLI.[48]
Erluino poi, appena libero dal pericolo di morte, si recò da Guglielmo[49]
principe dei Normanni, facendo presso di lui grandissima lamentela dei propri
casi, dicendosi più che infelice in quanto, privato della piazzaforte e dei
soldati e orbato della moglie e dei figli, non possedeva nulla oltre il corpo.
Non era a tal punto afflitto per la perdita della piazzaforte, poiché non era
senza qualche speranza di recuperarla, in quanto la terra è immobile e la
fortezza non può andarsene. Ma la privazione della moglie e dei figli appaiono
costituire una calamità interminabile, poiché, perduti quelli, egli stesso
sarebbe stato afflitto da dolori continui, e se non fossero morti, ma
trattenuti sotto la dominazione altrui, egli stesso sarebbe stato ingannato da
una vana attesa. E pertanto ricordava di essere venuto a chiedere soccorso e
gemente chiedeva ciò senza sosta.
[14.] ERLUINO ATTACCA LA PIAZZAFORTE E LA PRENDE.[50]
Il principe, toccato da queste lamentele, accorda l’aiuto e gli affida
una truppa di soldati. E così Erluino si affretta verso la piazzaforte e
velocemente la raggiunge con le truppe e la circonda tutt’intorno per terra e
per mare. E così l’assale e l’incalza duramente. Infine poi avendola logorata
con molti combattimenti vi entra e l’invade tutta. Cattura tutti i soldati di
Arnolfo. Di questi alcuni uccide con la spada, altri li risparmia per
recuperare la moglie e i figli.
[15.] SCONTRO DI ERLUINO CON I SOLDATI DI ARNOLFO.[51]
Arnolfo, toccato da una così grande disgrazia dei suoi, raccoglie
soldati e li manda contro Erluino, affinché saccheggino la sua terra fino alla
piazzaforte. E gli inviati infieriscono enormemente con incendi tutt’intorno e
con rapine; e dopo aver portato via un grande bottino si stavano affrettando
quando giunsero ambasciatori da parte di Erluino, che indicarono che, se quelli
non avessero reso senza indugio tutta la preda, senza indugio si sarebbe venuti
contro di loro. I nemici, disprezzando l’ambasceria, si affrettavano a portar
via le cose prese. Gli ambasciatori tornati indietro riferiscono di essere
stati maltrattati. Erluino con quattrocento armati subito si mette in moto e
raggiunge quelli che si stanno affrettando. Quelli poi, abbandonato il bottino,
dopo essersi girati si oppongono a quelli che li attaccano; e spiegate le insegne
si combatte duramente. I saccheggiatori quasi tutti perirono di spada, ad
eccezione di quelli che la fuga sottrasse alla violenza della guerra. E
tuttavia quelli, mentre la fuga li sospingeva, furono atrocemente uccisi da
Erluino che li inseguiva da dietro. Erluino recuperate le prede ritornò
felicemente alla propria sede con ingenti spoglie dei nemici.
[16.] LAMENTELA DEI BELGI CON IL RE PER LA SUA LEGGEREZZA.[52]
In quel tempo i principi dei Belgi si riuniscono dal re e a Laon presso di
lui si lamentano molto gravemente in quanto egli decide ogni cosa senza essersi
consultato. Se egli darà ascolto anche ai loro consigli, gli fanno presente che
le sue azioni avranno buon esito. E per questo si sono riuniti, affinché egli
faccia loro sapere che cosa vuole, e comunichi ciò che desidera. Se egli lo
vuole, col consiglio e con le armi, per terra e per mare, essi marceranno
insieme contro i nemici. Il re, ricevuto da loro l’impegno di fedeltà, con
grande benevolenza permise loro di tornare indietro, ordinando di ritornare se
per caso il caso lo richiederà. E non molto dopo fu mandata al re da Adelstano
re degli Angli una flotta con truppe. Infatti aveva udito che quegli era
disturbato da quelli che abitavano le località marittime, e contro di loro si
era mossa la flotta e portava aiuto al re nipote.[53]
Avendo poi scoperto che nessuno di quelli era schierato contro il re e che il
re stesso si era ritirato senza problemi nelle terre di Germania[54],
dopo aver riattraversato il mare ritornò dalle proprie parti.
[17.] IL RE NELLA BELGICA AGGREGA A SÉ I SUOI E CACCIA OLTRE IL
RENO I SOSTENITORI DI OTTONE.[55]
Il re, dopo aver parlato nel distretto d’Alsazia[56] con
Ugo[57]
principe Cisalpino[58],
attirò a sé i Belgi esterni che non erano ancora venuti dalla sua parte e
costrinse a fuggire oltre il Reno quelli che favorivano la parte di Ottone[59].
Infatti aveva presentito che Ottone voleva trasferire sotto il proprio comando
la Belgica. Per cui non era sospinto verso di lui da un animo sereno. Dunque
dandosi da fare contro di lui con cattive intenzioni, cacciò i suoi dal regno.
Accogliendo poi quelli che erano dalla sua parte, ovvero il duca dei Belgi
Gisleberto e i conti Teodorico[60] e
Isacco[61],
tiene consiglio insieme a loro e riceve da loro un giuramento di mantenere la fedeltà,
tornando in seguito a Laon.[62] E là
espulse dalla città il vescovo della città stessa, Rodolfo[63],
evidentissimamente incolpato di tradimento, e insieme a lui cacciò i suoi. E
distribuì ai propri uomini i beni di quelli.
[18.] OTTONE DEVASTA LA BELGICA[64]
Nel frattempo Ottone, apprendendo che i Belgi sostenevano la parte del
re e si erano totalmente allontanati da lui, entrato nella Belgica dopo aver
attraversato il Reno devasta numerosi luoghi di quella con incendi e con grandi
saccheggi, in quanto contestava ai Belgi che non lo riconoscevano di esserne il
principe per concessione paterna, mentre suo padre era stato fatto re soltanto
della Sassonia per l’iniquità degli Slavi[65], in
quanto Carlo, al quale era dovuta la somma dei poteri, ancora vagiva nella
culla. E così portando via molto bottino riattraversa il Reno.
[19.] ASSALTO DI GISLEBERTO CONTRO LA GERMANIA E DISPERSIONE SUA
E DEI SUOI.[66]
Ma il duca Gisleberto, volendo andare a vendicare l’ingiuria del
disonore, percorre tutta la Belgica e riunisce insieme reclute sceltissime,
lasciando in patria soltanto anziani fuori servizio; e costituito un esercito
attraversa il Reno e rade al suolo il paese con grandissimi incendi. L’esercito
raccoglie anche una grandissimo bottino di armenti e greggi e lo porta via. Già
si preparava poi ad attraversare il fiume quando Ottone condusse l’esercito
contro quelli che si stavano affrettando. I Belgi che resistevano si
scontrarono con i Germani lungo il fiume e furono dispersi da entrambe le
parti.[67] In
quel giorno la vittoria dei Germani fu ottenuta dolorosamente e si manifestò
quando già innumerevoli dei loro erano stati abbattuti. Infatti Gisleberto,
rendendosi conto che l’esercito dei suoi lo aveva abbandonato per la rotta,
cercava di sfuggire al pericolo con la fuga. E così avanzò nel fiume col
cavallo. Ma questo non potendo traversare a nuoto la profondità del fiume perì
vinto dalla forza delle onde e fece affondare il cavaliere. Alcuni dei Belgi
furono poi uccisi dal fiume, altri ammazzati dal ferro, altri catturati, alcuni
poi si salvarono con la fuga. Il re Ludovico apprendendo che Gisleberto era
morto ebbe molta compassione della sua sorte e, recatosi nella Belgica, prese
in matrimonio la moglie di lui Gerberga, sorella di Ottone, e la incoronò
regina[68] con
sé nel regno.
[20.] GUGLIELMO, DUCA DEI PIRATI, GIURA AL RE FEDELTA’ CONTRO
TUTTI.[69]
Mentre a Laon si svolgono queste vicende Guglielmo, duca dei pirati,
invia al re ambasciatori che indichino che gli è profondamente fedele: pronto ad
accorrere dove il re ordinerà e a promettere la fedeltà contro tutti. Il re,
accogliendo la delegazione di costoro con grande benevolenza, stabilì di
recarsi nel distretto di Amiens[70]
cosicché potessero esservi regolati tra loro certi affari specialmente
importanti. E così ripartiti gli inviati il re giunge nel luogo stabilito al
tempo fissato. E là anche il duca predetto venne davanti a lui; e accolto
cortesemente dal re, ricevette anche da lui la provincia che a lui[71]
aveva affidato il padre re Carlo. Per cui anche, diventato uomo del re, si legò
a lui con tale accordo da decidere lì per lì che sarebbe morto o avrebbe
restituito al re la pienezza del comando.
[21.] L’ARCIVESCOVO ARTAUD ATTACCA E PRENDE LA FORTEZZA DI
CHAUSOT.[72]
Avendo portato a buon fine la gestione di questo affare, il re si ritirò
in Borgogna. In sua assenza l’arcivescovo Artaud, perché non si pensasse a
trascuratezza nei suoi affari, attacca la fortezza di Chausot[73]
senza truppe regie e dispone l’assedio tutt’intorno ad essa. Attaccandola con
assalti continui, nel quinto giorno vi penetra e la prende[74]; e
cattura quelli che gli si erano ribellati; ma, in quanto uomo buono e non
desideroso della vita di nessuno, permise loro di andarsene indenni. Distrusse
anche fino alle fondamenta la cittadella, e così ritornò alla propria sede.
[22.] ERIBERTO E UGO ASSEDIANO E PRENDONO REIMS ED CACCIANO IL
PRESULE.[75]
Eriberto, avendo trovato un’occasione di cattive azioni, come dolendosi
della fortezza dei suoi distrutta, interviene con grande veemenza presso il
duca Ugo[76]
affinché invada Reims ed espella il vescovo. Subito Ugo, come tiranno
consenziente a un tiranno, promette che lo aiuterà. E così raccolto un esercito
i due si dirigono contro la città circondandola con un grande assedio. I
cittadini, favorevoli a Eriberto, in quanto avevano scelto suo figlio per
ordine del re prima di Artaud, cedono in combattimento e abbandonano il presule
e per accrescimento della sua pena come disertori passano al tiranno. Aperte
poi le porte nel sesto giorno dell’assedio, accolgono nella città i tiranni.
Artaud cacciato si reca al monastero di Saint-Remi, effondendo là la sua
lamentela verso Dio che tutto vede. E là subito accompagnato da alcuni dei
vescovi e da certi magnati, era pregato di abdicare dalla dignità di vescovo,
accontentandosi dell’abbazia di Avenay[77] e
dei beni di Saint-Basle[78]; e
acconsentì, turbato dai molti spaventi per le minacce, e giurò anche, come si
narra, il ripudio; e soddisfacendo a tal punto i cani, si ritirò là con
l’intenzione di dimorarvi.
[23.] UGO ED ERIBERTO IN ASSENZA DEL RE ATTACCANO LAON.[79]
Dunque lasciato a Reims il diacono Ugo, figlio del tiranno, già prima
chiamato all’episcopato della stessa città, Eriberto stesso e Ugo con le truppe
attaccano Laon, ponendo l’assedio da tutte le parti, giudicando la città priva
di soldati, in quanto il re si occupava d’altro nelle regioni esterne della
Borgogna. E attaccando dove potevano tentavano di entrare. Ma essendo impari a
quelli che stavano di sopra per l’altezza del monte, furono costretti a cedere
non una sola volta. Tuttavia insistevano e tentavano di prenderla prima
dell’ingresso del re.
[24.] CON L’ARRIVO DEL RE L’ASSEDIO VIENE SCIOLTO.[80]
E già avevano combattuto per sette settimane quando il re, raggiunto
dalla notizia di questi fatti, si presentò rapidamente nello Champagne[81] di
Reims. E, sebbene con pochi, tuttavia attraversa il fiume Aisne e così si porta
contro i nemici. Appreso ciò i tiranni[82],
rendendosi conto del coraggio e insieme della giustezza del re, si ritirano
dall’assedio. Il re poi dopo essere entrato preparò per i suoi il necessario
per nutrirsi e ordinò tutto ciò che era utile, e similmente avendo disposto
altri affari si diresse di nuovo in Borgogna. Alla partenza di questi Guido[83],
vescovo di Soissons, persuaso dai disertori, in quanto egli stesso
nascostamente sosteneva la loro parte, venendo a Reims, ordinò prete[84] Ugo
figlio di Eriberto. Per cui il padre desiderando innalzarlo con la dignità
sacerdotale cercava insistentemente di far privare Artaud del tutto legalmente
del pontificato. Discusse il progetto di ciò con il duca Ugo e richiese
fortemente che fosse posto in effetto.
[25.] ARTAUD VIENE DEPOSTO DAI VESCOVI PROVINCIALI E AL SUO POSTO
VIENE ELETTO UGO.[85]
Dunque avendo predisposto tutto il progetto convocano i vescovi della
provincia di Reims, affinché decidano la controversia tra Artaud e Ugo e
stabiliscano la fine dei contrasti. Dunque riunitisi presso la città di
Soissons[86],
nella basilica dei santi Crispino e Crispiniano[87],
ricevono la lamentela dei cittadini di Reims, che dicono di essere stati troppo
a lungo privi del pastore; chiedono supplichevolmente a chi debbano essere
sottomessi e obbedire. Non vogliono più Artaud, in quanto ha ripudiato la
carica di vescovo con giuramento; ma Ugo, in quanto essendo stato scelto
dall’unione di tutti risulta assai bene accetto da parte di tutti. I vescovi
dando ragione alle lamentele di costoro affermano che Ugo è degno del
sacerdozio, in quanto non solo la nobiltà della nascita, ma anche le pure
attitudini dell’animo lo raccomandano grandemente; hanno anche valutato che il
culmine di tanto onore sia esaltato dalla nobiltà della persona. E così
prescelgono Ugo con l’accordo di quasi tutti e, condottolo a Reims, lo consacrano[88]
solennemente arcivescovo nel monastero dei monaci di Saint-Remi e, cortesemente
accoltolo in città, lo onorano con grande ossequio e reverenza. Il re
apprendendo in Borgogna dalla relazione dei viaggiatori dell’evento
sopravvenuto, subito ritorna a Laon. Scaccia dalla città Arnoldo[89] e
suo fratello Landerico[90],
accusati di tradimento, tuttavia non completamente dimostrati colpevoli, poiché
in questa vicenda erano apparsi molto attivi.
[26.] IL RE RACCOGLIE UN ESERCITO CONTRO I TIRANNI NEL TERRITORIO
DELLA BORGOGNA.[91]
Il re, poiché non era in grado di intraprendere nulla contro i tiranni
per la povertà di truppe, si diresse nuovamente in Borgogna per raccogliervi un
esercito e condurlo a Reims. E infatti egli aspirava soprattutto a cacciare
Eriberto dalla città invasa. Mentre dunque si attardava a raccogliere soldati,
i tiranni[92]
con molta cavalleria si dirigono verso Laon e la circondano, riponendo in
taluni speranza di tradimento. Mentre questi fatti si compiono sono
tempestivamente riferiti alle orecchie del re. Il quale, presi quelli che fu
possibile raccogliere da tutte le parti, giunse nel distretto di Porcien[93].
Mentre là schierava l’esercito e si preparava a portare guerra ai nemici, i
tiranni, lasciato l’assedio di Laon[94],
vanno contro il re e, attaccando inaspettatamente il suo esercito, massacrano
diversi, costringono poi alla fuga i restanti. Il re condotto via dai suoi, a
stento con due compagni[95]
sfuggì alla violenza della morte, richiudendosi in una fortezza che è detta
Omont[96]. I
tiranni, delusi nella speranza di un tradimento, sciolgono l’assedio e si
ritirano nelle proprie sedi.
[27.] I TIRANNI SONO AMMONITI DAL PAPA DI NON PERSEGUITARE IL
LORO RE.[97]
Nel frattempo un uomo rimarchevole di nome Damaso[98] fu
inviato nelle Gallie dal signor papa Stefano[99] come
ambasciatore, portando lettere della sede apostolica contenenti l’ingiunzione
apostolica che i principi delle province non rinviassero di accogliere il loro
re Ludovico né più a lungo lo assalissero con spada ostile e che, se non
avessero cessato avrebbero dovuto essere tutti trafitti dalla freccia della
scomunica. Saputo ciò i vescovi della provincia di Reims, subito riuniti
insieme, discutono appassionatamente della scomunica che devono ricevere se non
recedono. In effetti decidono che si debba mandare inviati a Eriberto e
chiedere supplichevolmente a lui che egli stesso si rechi dal duca e si dia da
fare con lui in favore dell’accoglimento del re, mostrando il pericolo della
scomunica e quanta rovina sia riservata a quelli che non temono di essere
disprezzatori e persecutori dei loro signori. Quest’argomentazione non ebbe
alcun effetto. Subito fu inviata dal papa predetto anche un’altra ambasceria,
tramite gli inviati della chiesa di Reims che dovevano riportare il medesimo
pallio sacerdotale dal papa all’arcivescovo Ugo, i quali dissero che il
contenuto dell’ingiunzione apostolica era questo, che i principi delle Gallie
cessino di perseguitare il loro re e inoltre lo sostengano generosamente. E se
non faranno ciò entro il giorno prescritto, gli autori e gli associati ovvero i
fautori di questa fazione dovranno essere puniti con orribile anatema. Se
invece obbediranno volentieri all’ingiunzione apostolica mandino inviati a Roma
che riferiscano della loro benevolenza nei confronti del loro re. E neppure
così i tiranni si convinsero di qualcosa. Mentre da parte di costoro
incessantemente era cercata la rovina del re, al contrario la loro posizione fu
tutta rovinata.
[28.] IL RE TRAMITE IL CONTE RUGGERO SI RENDE AMICO IL DUCA
GUGLIELMO.[100]
E infatti il re, valendosi del consiglio dei buoni, inviò Ruggero[101],
uomo di rango, al principe dei pirati Guglielmo col compito di parlare in suo
favore. Questi, avendo svolto ottimamente presso di lui l’ambasciata in favore
del re, ivi lasciò la condizione umana. Tuttavia in precedenza convinse il
principe fino al risultato. Infatti non molto dopo con un’ambasceria dei suoi
questi invita il re con lealtà e ricevutolo a Rouen lo colma assai
onorevolmente di ingenti doni. Per cui accadde anche che altri impauriti da ciò
si avvicinarono assai rapidamente al re. E così Guglielmo[102],
duca degli Aquitani[103], e
Alano[104]
dei Bretoni, venendo a sapere che i pirati si occupano degli interessi del re,
si affrettano all’avvicinamento, si presentano al re e gli giurano la fedeltà
con l’impegno della milizia.
E così il re, messi insieme costoro, si dirige lungo il fiume Oise[105]
verso i predetti tiranni Ugo ed Eriberto per parlare con loro. I tiranni
guardando con sospetto alla cavalleria regia, la prevennero e tagliarono i
ponti, conducendo sull’altra sponda le navi tutt’intorno, e così si stabilirono
con i loro sull’opposta sponda del fiume. La discussione tra loro fu condotta
mediante intermediari soltanto per mezzo di due barchette[106], che
correvano da una parte e dall’altra. Finalmente si separano con la mediazione
di una tregua con l’impegno di ostaggi.
[29.] I RE LUDOVICO E OTTO S’INCONTRANO IN AMICIZIA, E ANCHE UGO
TRAMITE OTTONE.[107]
Il re, mandati via in pace i principi, con pochi rivolge il cammino
verso la Belgica, recandovisi per parlare con Ottone, la cui sorella[108]
egli aveva preso in moglie. Reso solido il loro accordo con grande concordia,
stabiliscono la reciproca amicizia con condizioni. E giunto il termine del
negoziato, il re ritorna a Laon. Ottone in verità si dava da fare per
ricondurre Ugo nelle grazie del re. Redarguendolo familiarmente con molte
parole stimolanti e con lieve irritazione per il fatto che andava contro il
proprio re e non aveva timore di accanirsi contro il proprio signore, fece sì
che egli ritornasse dal re; e al tempo opportuno, avendo mandato avanti delle
ambascerie di persone prudenti riconduce il duca al re e lo riconcilia con lui.
[30.] RIUNIONE DEI PRINCIPI PRESSO IL RE E SCOMPIGLIO DI
GUGLIELMO IN MEZZO ALLA LORO ASSEMBLEA.
Dunque dopo che il duca fu richiamato nella grazia antecedente, poiché
egli stesso era il primo per valore e per ricchezze, gli altri di conseguenza
furono sottomessi. E così, ritornati tutti i principi dal re, viene fissato dal
re un incontro da tenersi nella proprietà regia di Attigny dopo trenta giorni.
E nel giorno stabilito il re si presentò là con i principi delle province, cioè
i duchi Ugo soprannominato il Grande[109],
Arnolfo di Fiandra, Guglielmo dei pirati e il tiranno Eriberto; e non mancò il
re di Sassonia Ottone. Dopo che il re Ludovico ebbe accolto nella stanza con sé
il re Ottone e i principi, con una decisione non si sa se casuale il solo duca
Guglielmo non fu ammesso. Dunque aspettando egli a lungo fuori, poiché non veniva
chiamato, sopportava la cosa con animo irato. Alla fine volto all’ira, essendo
eccessivo per violenza ed audacia, fece forza sulle porte chiuse e le spinse
indietro vigorosamente. E una volta entrato vede il letto gestatorio.[110] E
in questo se ne stava più in alto dalla parte della testa Ottone, il re invece
più in basso nella parte estrema. Alla presenza di questi Ugo e Arnolfo, seduti
su due sedie, attendevano lo svolgimento del consiglio. Guglielmo non
sopportando l’offesa del re disse: “Forse non dovevo prendere parte a ciò? Fui
forse talvolta sporcato dall’onta del tradimento?” E avvicinandosi
impetuosamente disse: “Alzati un poco, re!”. Mentre questo subito si alzava,
egli stesso si sedette. E disse che era indecente che il re apparisse inferiore,
e un altro, non importa chi, superiore; perciò era necessario che Ottone si
levasse di lì e cedesse il posto al re. Ottone preso da vergogna si alzò e
cedette il posto al re. E così sedettero, il re più in alto e Guglielmo più in
basso.
[31.] OTTONE DISSIMULA L’OFFESA CON IL PRETESTO DI ASSICURARE LA
FEDELTÀ, E LA SUA LAMENTELA.
Ottone dissimulando completamente l’offesa, appoggiato a un bastone, si
dava da fare per concludere sul posto la discussione iniziata; e una volta
prese le decisioni il re alzandosi con i suoi consiglieri esce. Ottone
dissimulando a Guglielmo col massimo impegno l’offesa[111]
discute con lui a lungo della costante fiducia che deve essere mantenuta tra
loro. Per cui nasconde con vari colori di parole anche il delitto da lui
concepito. Svoltisi questi fatti, il re con Guglielmo ritorna alle sue cose.
Ottone poi, consultandosi con Ugo e Arnolfo, si lamentava ampiamente con
loro dell’ingiuria inflittagli, ricordando di essere stato oltraggiato oltre
l’equo e il giusto e rimosso dal seggio davanti agli amici.[112]
Dunque era opportuno che gli amici lo compatissero ed essi dovevano ritenere
come propria l’offesa a un amico. Diceva anche che una così grande insolenza
doveva essere respinta da loro col massimo impegno, poiché essa facilmente
sarebbe riuscita ad arrivare a loro. Infatti chi non fu benevolo verso il re,
ancor meno sarà benevolo verso di loro. Questo discorso procurò una grande
ostilità e incitò gli amici all’odio verso Guglielmo; poiché essi stessi per
quanto non apertamente gli erano fortemente ostili. Il re Ottone tornò ai
propri affari.
[32.] CONSULTAZIONE DI UGO E ARNOLFO PER LA MORTE DI GUGLIELMO.
Ugo e Arnolfo discutevano che cosa avrebbero fatto a Guglielmo. Si
dicevano che se l’avessero ucciso con la spada sarebbero stati più liberi in
ogni cosa; avrebbero anche più facilmente piegato il re a qualunque cosa essi
volessero, se solo fosse morto quello sul quale confidando il re non avrebbe
potuto essere piegato a qualunque cosa; se tuttavia non l’avessero ucciso,
discordie e liti sarebbero giunte senza dubbio e una volta emersa l’occasione
per queste ci sarebbe stata strage di molti. Ma ritenevano l’una e l’altra di
queste cose pericolosa, poiché in caso di uccisione ne sarebbe risultato il
reato di omicidio e in caso di remissione sarebbe apparsa inevitabile la
tirannide. Convintisi infine dell’uccisione, convocano quelli che devono
compiere il delitto, spiegando l’importanza dell’affare, e li fanno giurare
insieme contro Guglielmo. Il piano dell’uccisione di costui subito viene distribuito
tra i congiurati, cosicché siano inviati ambasciatori da parte di Arnolfo, i
quali svolgano adeguatamente la missione presso Guglielmo a proposito di un
incontro da tenersi quanto prima con grande impellenza, gli chiedano una data
nella quale a lui sia possibile presentarsi, chiedano poi un luogo lungo il
fiume Somme[113]
nel quale egli stesso si degni di uscire dal proprio territorio e raggiungere
quelli con cui parlerà.[114]
Dopo che questi giungerà e sarà accolto dagli amici, essi gli faranno molte profferte
di amicizia, e anche molte di fedeltà. E poiché allora, circondato dai suoi,
non potrà essere assalito, rimanderanno il colpo fin quando non si dirigerà di
nuovo alla nave, se per caso accadrà che sia venuto con una nave; e quando già
navigherà sul mare, sarà richiamato dai congiurati con molto clamore, come se
dovesse udire qualcosa di molto importante trascurato per dimenticanza. Dunque,
condotto su una barchetta con pochi, mentre gli altri aspettano sul mare, i
congiurati tratte le spade lo attaccheranno mentre non è in guardia. Se poi
sarà venuto a cavallo, dopo la fine dell’incontro, partito Arnolfo e mentre
quello si ritira, i congiurati lo richiameranno, simulando di riferirgli
qualcosa di importante, e chiamatolo lo tratterranno con qualche argomento
serio, finché avendolo tutti preceduto non avanzerà per ultimo in fondo; poi
avendolo attaccato ugualmente lo trapasseranno. Sfuggiranno poi alla violenza
dei pirati insorgenti se, condotti rapidamente da veloci cavalli, si
affretteranno a fuggire rapidamente presso il loro signore che li aspetta con
le truppe; e i pirati allora non potranno fare altro che affrettarsi alla fuga
o occuparsi delle esequie del signore. E così accadrà che sembri che un così
grave delitto sia stato perpetrato all’insaputa di Arnolfo, in quanto egli era
assente.
[33.] UCCISIONE DEL DUCA GUGLIELMO.[115]
E gli inviati così indirizzati chiedono il colloquio e l’ottengono.
Viene fissato il tempo dopo trenta giorni. Viene fissato anche il luogo nel
distretto di Amiens lungo il fiume Somme, dove si trova l’isola di Picquigny[116]; e
compiuto l’incarico gli inviati ritornano. Dunque al tempo stabilito[117]
Arnolfo per terra, Guglielmo per mare convengono nel luogo destinato e parlano
insieme molto di amicizia, molto della fedeltà che deve essere preservata da
entrambe le parti, e dopo vari discorsi si separano. Arnolfo simulando il
ritorno per un po’ se ne va. Guglielmo poi ritorna alla flotta, e salito su una
barchetta, mentre navigava in mare, richiamato con grande clamore dai
congiurati, volge indietro la prua e remando ritorna alla costa per sapere che
cosa volevano. Quelli subito asseriscono di dover riferire qualcosa di molto
urgente, che dal loro signore era stato tralasciato per dimenticanza. Il duca,
fatta approdare a riva la navicella, li accoglie; e da questi, sguainate le
spade, viene subito ucciso. Feriti anche due giovani, che erano con lui
senz’armi, e il marinaio, i criminali saltano dalla navicella e si lanciano in
fuga dietro il signore loro complice. Quelli invece che già navigavano
attraverso il mare, voltisi si dirigono nuovamente verso la costa e trovano il
signore ucciso e i due giovani e il marinaio feriti; e raccolto il corpo del
signore lo portano alla sepoltura con lamentose esequie.
[34.] IL RE CONCEDE A RICCARDO, FIGLIO DI GUGLIELMO, LA TERRA DEL
PADRE.[118]
Non molto tempo dopo[119]
conducono al re il figlio di lui avuto da una concubina bretone[120], di
nome Riccardo[121],
spiegandogli la sequenza dei fatti compiuti. Il re, notando la distinzione del
giovane, lo accoglie generosamente, concedendogli la provincia precedentemente
posseduta dal padre. Anche i magnati che erano giunti col giovane diventano
uomini del re per omaggio e giuramento, e rallegrati dalla grande benevolenza
del re ritornano a Rouen. Altri tra i Normanni invece, indignati che Riccardo
sia passato dalla parte del re, si volgono al duca Ugo.
[35.] IL RE È CHIAMATO DAI SUOI A ROUEN E COMBATTE CON I PIRATI.[122]
Ma quelli che tenevano per la parte del re, chiamatolo a Rouen tramite
inviati lo accolgono onorevolmente. Là essendogli stato riferito che il re dei
pirati Setrich[123] con
una flotta numerosa era entrato nel fiume Senna e che il suo comandante Thurmod[124] era
venuto di seguito con le truppe navali per invadere tutto senza la concessione
del re e per convincere all’idolatria il figlio del re defunto e per
ristabilire il culto pagano, il re raccoglie truppe con le quali combattere, e
confidando che Dio gli sarà favorevole attacca gli stranieri con ottocento[125]
uomini. E poiché era con pochi uomini non poté schierare le truppe in modo tale
da circondare i nemici. E così circondato dai suoi, alzate le insegne e serrati
i ranghi avanzò.[126]
Anche i pagani avanzavano schierati a piedi, e avvicinandosi, secondo il
costume patrio, nel primo scontro gettano le spade. Ritenendo che per la
densità di quelle i cavalieri siano stati spaventati e feriti, proseguono con
gli scudi e le lance. Ma la cavalleria regia, dissipata la nube di spade,
protetti dall’opposizione degli scudi si lanciano contro i fanti e serrati penetrano
indivisi nella schiera abbattendo e uccidendo e ne escono. E di nuovo
rientrando penetrano e distruggono. Dopo che la violenza dello scontro
costrinse alla fuga anche il re Setrich, egli subito ritrovato in un pruneto fu
trafitto con tre lance da quelli che andavano in giro. Thurmod poi, mentre si
dava da fare nel combattimento con tutte le forze, fu abbattuto da Ludovico con
il petto del cavallo che gli andava contro. Dopo che il re lo oltrepassò e non
lo riconobbe e, assalito dai nemici, si fermò sul posto e combatteva corpo a
corpo, Thurmod, circondato dai suoi, assalì il re alle spalle e, postosi alla
destra di lui, lo ferisce con la lancia attraverso la manica della corazza fin
quasi all’ipocondrio del lato sinistro. Il re, che per il grande massacro per
un poco era stato distratto da questo assalto, vede il feritore e tirato un
colpo di traverso sulla destra, taglia la testa con la spalla sinistra dello
sfidante. E i pagani furono abbattuti con un così grande massacro che si dice
che furono uccisi là novemila[127] di
loro. I rimanenti poi, peraltro pochissimi, si salvarono con la fuga mediante
le navi. Il re ottenne la vittoria grazie a Dio, tuttavia pochi dei suoi furono
abbattuti, alcuni poi feriti. Decidendo di tornare indietro dopo le cure di questi,
affidò Rouen a Erluino, tornando egli stesso a Compiegne[128].
[36.] L’ARCIVESCOVO ARTAUD ABBANDONA I TIRANNI E PASSA AL RE.[129]
Sapendo che egli era giunto là, Artaud, che essendo stato cacciato dalla
città dimorava nel convento di Saint-Basle confessore, subito rinunciando a
ogni cosa che gli era stata lasciata dal tiranno si recò dal re, preferendo
dimorare presso di lui contento di poco piuttosto che essere legato dalle
concessioni di un tiranno insaziabile. Il re, dolendosi per l’arcivescovo, dal
quale il re stesso era stato consacrato, ingiustamente caduto in disgrazia, lo
esorta a non disperare, promettendogli che gli renderà il sommo sacerdozio.
[37.] MORTE DI ERIBERTO.[130]
Mentre così avvenivano questi fatti, e mentre Eriberto studiava ogni
sorta di progetti dannosi e preparava molte azioni a danno di varie persone,
una volta che sedeva tra i suoi con un abito prezioso e con la mano tesa li
arringava, preso da una grave apoplessia a causa dell’eccesso di umori, nel
corso di quella stessa azione, strette le mani e contratti i nervi, con la
bocca storta fino alle orecchie, con molto orrore e sconvolgimento spirò[131]
davanti ai suoi all’improvviso, e raccolto dai suoi fu sepolto a Saint-Quentin[132].
Dopo che fu sepolto, i suoi figli[133]
presentandosi subito al re furono da lui accolti benignamente. Non facendo
propria nessuna delle ingiurie del padre fu accolto anche il vescovo Ugo,
tuttavia alla condizione che a tempo debito non si esima dal presentare
argomenti in proprio favore per l’accessione all’episcopato. E insieme a loro
il re si recò ad Amiens. Non volendo là decidere nessuna cosa importante senza
i principali dei suoi, mandò a chiamare tramite inviati Erluino che dimorava a
Rouen.
[38.] COMBATTIMENTO DI ARNOLFO ED ERLUINO.[134]
Arnolfo, avendo appreso ciò dal racconto dei malevoli, prepara imboscate
e, all’insaputa del re, manda una coorte contro quello, che sta venendo.
Erluino subito apprendendo ciò va allo scontro in battaglia campale. Essendo
stato lo scontro non piccolo da entrambe le parti, Arnolfo, disfatti i suoi,
scappando sfuggì a stento a quello che lo inseguiva. Erluino ottenuta la
vittoria uccide alcuni, cattura altri, altri ancora costringe alla fuga. In
quello scontro cattura anche con l’azione militare l’uccisore di Guglielmo, che
insieme ad Arnolfo gli aveva arrecato violenza. Tagliategli le mani, le mandò a
Rouen per vendetta dell’amico e, strappate le spoglie ai caduti, si recò dal
re.
[39.] [UGO E’ NOMINATO DUCA DI TUTTE LE GALLIE.][135]
A quel tempo[136] il
duca Ugo, tenuto in grande favore dal re, accolse la figlia[137] di
questi dal sacro lavacro. Dopodiché il re[138] lo
costituì duca di tutte le Gallie. Con lui come duca il re, preparata una
spedizione, parte con la regina per l’Aquitanìa e, giungendo nella città di
Nevers[139],
accoglie il duca dei Goti Raimondo[140] e i
grandi tra gli Aquitani venutigli là incontro. Trattando con loro
l’amministrazione delle province, ricevette da loro le province, affinché ogni
loro bene apparisse sotto la sua giurisdizione; e non tardò a confidar loro
l’amministrazione di queste. E così le affidò loro e stabilì che essi
comandassero per sua concessione, permettendo loro di tornare soddisfatti con
soddisfazione del re, e volgendo egli stesso con il duca il cammino verso la
Gallia, si ritirò a Laon[141].
[40.] ARNOLFO ED ERLUINO RITORNANO IN AMICIZIA PER CONSIGLIO DEL
RE.[142]
Radunando là i principali tra i suoi eccetto il duca, discuteva con loro
in che modo gli illustri uomini Arnolfo ed Erluino potessero dimenticarsi delle
ingiurie fatte e unirsi in benevolenza, giudicando egli che dalla concordia dei
suoi potessero risultare eventi più favorevoli. E così avendoli convocati cerca
di convincerli all’amicizia; promettendo che[143]
egli si porrà come giudice tra loro, per rendere completamente giustizia a
entrambe le parti. E così essi accettano e obbediscono agli ordini del re, e
avendo fissato dei garanti si assoggettano ai giudizi dell’arbitraggio. Il re
volendo favorire entrambi pensava di effettuare una donazione a entrambi.
Rendendosi conto che Arnolfo esitava a proposito di una ricompensa per i beni
sottratti e che Erluino insistentemente richiedeva i beni perduti, e che
Arnolfo avrebbe dovuto restituire una maggior quantità di beni, in quanto egli
aveva danneggiato Erluino con una più ampia perdita di beni, concesse ad Erluino
Amiens in compensazione dei beni perduti a favore di Arnolfo, e così avvenne
che a Erluino fosse restituito il suo e che i beni di Arnolfo non gli fossero
diminuiti. E così riportati all’amicizia grazie all’impegno del re, da quel
momento in poi curavano gli interessi del re.
[41.] DIMOSTRAZIONE PRODIGIOSA DELLA ROVINA DEI BRETONI.[144]
Si raccontava che in quel tempo a Parigi un turbine sorto
improvvisamente fosse andato in giro con così tanta violenza che muri elevati a
Montmartre[145]
con grande quantità di pietre furono ribaltati dalle fondamenta; e che demoni
dall’aspetto di cavalieri furono visti abbattere una certa chiesa sita non
lontano e lanciare le travi di questa contro i muri succitati con tanta
efficacia che li fecero rovinare; e che essi sradicarono anche le vigne di
quello stesso monte e devastarono le coltivazioni.
Subito dopo che fu visto il prodigio, seguì il disastro dei Bretoni.
Questi, discordi per il litigio tra i principi Berengario[146] e
Alano, invasi dai Normanni con i quali avevano stabilito un patto, furono
distrutti con grande strage. Anche la città di Nantes[147] fu
presa. Il suo vescovo, mentre era costretto per la paura dei nemici a
rifugiarsi in chiesa, fu schiacciato e soffocato dall’affollamento dei suoi. I
Bretoni in quello stesso assalto, recuperate le forze, respinsero i nemici
dalla città con un intenso sforzo e avendoli assaliti li sterminarono con
grande strage. I Bretoni poi, confortati dal più favorevole volgere della
sorte, nel terzo giorno similmente invadono e assaltano la flotta. Da entrambe
le parte innumerevoli perirono; ma i Bretoni, non reggendo le forze degli
avversari, sono spinti alla fuga. Ma i Normanni, ottenuta la vittoria, uccidono
alcuni dei Bretoni con la spada, spingono altri nei flutti, altri poi cacciano
fuori dai confini della Bretagna, eccettuati quelli che non ricusarono di
sottomettersi al giogo della servitù.
[42.] IL RE INVADE E CONQUISTA LA TERRA DEI NORMANNI.[148]
Essendo stato ciò riferito alle orecchie del re, il re fece chiamare i
conti Arnolfo ed Erluino e insieme alcuni vescovi di Borgogna; era infatti
evidente che alcuni di loro erano venuti meno alla fedeltà ed erano passati a
Ugo; e con l’esercito si porta contro di loro. Arnolfo, precedendo il re con i
suoi, scontratosi con successo presso Arques[149] con
i Normanni che controllavano un posto di guardia, li distrusse e accelerò
l’avanzata del re. Il re, giungendo a Rouen, fu accolto da quelli che
mantennero la fedeltà. I traditori poi si allontanarono, dirigendosi verso il
mare; ma lasciarono le piazzeforti guarnite di truppe. Il re, considerando che
le truppe dei malvagi erano troppe, chiede tramite inviati al duca Ugo dei
rinforzi per combattere e, affinché venga egli stesso con truppe sufficienti,
gli concede la città di Bayeux se l’espugnerà insieme alle altre restanti. Il
duca, accettando il dono del re, prepara i rinforzi e viene in soccorso al re.
E così con i suoi e certi magnati Cisalpini prendendo il cammino che attraversa
la Senna giunge a Bayeux. Avendola assalita la stringe con un forte assedio.
Nel frattempo, persuasi dagli agenti del re, i Normanni ritornano al re. Ma il
duca premeva su quelli di Bayeux. Il re ordina al duca mediante inviati di
sciogliere l’assedio. Ma quello attacca più duramente, in quanto concessogli
dal re. E il re di nuovo manda a dire che se non si ritirerà rapidamente egli
gli andrà contro con le truppe. Il duca, non essendo in grado di contrastare
gli ordini del re, costretto[150] si
ritira dall’assedio. In seguito il re entra nella città. Dopo aver ricondotto a
sé i cittadini di questa, si dirige verso Evreux e vi entra senza che nessuno
faccia resistenza; e avendo ricevuto ostaggi dagli abitanti di Evreux, occupò
anche il resto senza opposizione.
[43.] IL DUCA ESORTA I SUOI ALL’OFFESA CONTRO IL RE.[151]
Il duca, ricordando spessissimo ai suoi quest’offesa, tramava a danno
del re, esortando i fedeli e gli amici affinché si affrettassero a che fosse
vendicata. E amplificandola con molte lamentele spinge i suoi contro il re. E
così Bernardo[152]
di Senlis[153]
e Teobaldo[154]
di Tours, per soddisfare quello che si lamentava, invadendo la fortezza regia
di Montigny nei giorni stessi di Pasqua[155] la
prendono e la distruggono. penetrano anche all’improvviso nel palazzo della
sede regia di Compiegne e, strappandole, portano via tutte le insegne regali. E
non molto tempo dopo il medesimo Bernardo catturando i cacciatori e i cani del
re li portò via con i cavalli e gli spiedi da caccia.
[44.] IL RE STRINGE D’ASSEDIO LA CITTA’ DI REIMS.[156]
Il re, apprendendo queste cose a Rouen, raccoglie un numeroso esercito
di Normanni e dopo averlo raccolto ritorna, attaccando il distretto di
Vermandois e devastandolo completamente. Chiamati anche i conti Arnolfo,
Erluino, un altro Bernardo[157],
Teodorico[158],
si porta contro la città di Reims e la circonda, avendo disposto un assedio
tutt’intorno, per il fatto che Ugo, vescovo della medesima città, che favoriva
la parte del duca, negava l’ingresso al re. Dunque nel primo assalto si
combatté furiosamente. Infatti, collocati arcieri qui e là, quelli che
resistevano sulle mura vengono feriti dalle frecce. Rimossi quelli, altri non
colpiti subentrano, impegnandosi al loro posto nel combattimento. Ma, essendo
state gettate dall’esterno pietre e dardi, alquanti vengono colpiti e si
ritirano. Più di una volta riprendono gli scontri, talvolta combattendo presso
le porte, talvolta lungo le mura. Da una parte e dall’altra accaniti nell’animo
non si accingono in alcun modo a cedere; e non avrebbero mai cessato fino allo
sterminio se l’assedio, sciolto per le suppliche dei mediatori, non fosse stato
levato.
[45.] IL DUCA TRAMITE INVIATI CERCA DI CONVINCERE IL RE AFFINCHÉ
SI RITIRI DALL’ASSEDIO.[159]
E in effetti il duca durante l’assedio stesso chiese tramite inviati che
il conte Rainaldo[160],
ricevuti da lui degli ostaggi, venisse da lui per parlargli. E fu concesso dal
re che ciò avvenisse. E così, inviato con la garanzia di ostaggi, venne dal
duca. Il duca, a lungo discutendo con lui, s’adopera infine affinché il re,
ricevendo ostaggi dal vescovo e dai cittadini, si ritiri dall’assedio della
città, e affinché il vescovo medesimo si presenti a rendere spiegazioni dove e
quando voglia il re. Rainaldo, riferendo al re le intenzioni del duca e
approvando il proposito, cercava di convincerlo a che si facesse in quel modo; e
avendo raccolto ostaggi idonei il re nel quindicesimo giorno sciolse l’assedio
e fissò il tempo per udire le spiegazioni,[161]
quaranta giorni dopo, nel giorno stesso delle calende di luglio[162].
Essendosi nel frattempo occupati da altro, venne il giorno in cui si doveva
tenere il colloquio; e il duca, intendendo parlare dell’affare di cui sopra, si
presentò davanti al re. Ma avendo esposto le loro ragioni, difficilmente si
trovavano d’accordo e poiché le discussioni non andavano avanti in modo
abbastanza soddisfacente non fu stabilito nessun accordo di pace, se non che
avrebbero differito la discussione fino alla metà di agosto con un accordo di
tregua.
[46.] MORTE DI TEOTILONE VESCOVO DI TOURS.[163]
A quel tempo mentre Teotilone[164] di
beata memoria, presule della città di Tours si batteva con tutte le forze
affinché si rinnovasse la pace dei principi e, massimamente occupato in questo
sforzo, stava lasciando Laon, fu colpito nel viaggio stesso da una
peripolmonite. Poiché questa provocò nei polmoni gonfiore e bruciore, nel
quarto giorno dacché era sorta la malattia se ne andò a questa vita.
E quando nel tempo della notte egli rese infine l’anima, subito un globo
di luce, come si narra, fu visto nell’aria da coloro che vegliavano. Servendosi
della sua luce in misura sufficiente per respingere l’oscurità della notte,
quelli che trasportavano il corpo esanime di lui portarono per centocinquanta
miglia il corpo beatissimo con l’assistenza di questa luce fino alla città di
Tours, nella basilica di san Giuliano[165]
martire, che lo stesso sant’uomo aveva con grandissima pietà costruito, e lo
tumularono con grande reverenza.
[47.] CATTURA DEL RE DA PARTE DEI NORMANNI.[166]
Dopo che costui fu sepolto, poiché fino a quel punto tra il re e il duca
non era stata conclusa alcuna pace e il re non comprendeva ancora gli inganni
dei simulatori, raccolti Erluino e gli altri suoi egli ritornò a Rouen, non
preoccupato di dimorare là con pochi, poiché egli ne aveva l’abitudine.
L’inganno preparato dai traditori presso il duca, che in precedenza era rimasto
nascosto, essendone sorta l’opportunità per la scarsità dei soldati venne allo
scoperto. In effetti proprio al tempo in cui stava arrivando, essendo stato
invitato tramite un’ambasciata convincente da Hagrold[167],
che era a capo di quelli di Bayeux, si recò tranquillo con pochi uomini a
Bayeux da quello che l’invitava,[168]
come da un fedele che egli non aveva tenuto in nessun sospetto. Il barbaro
invece, resosi conto della scarsità di soldati, assale con una moltitudine di
armati il re non pronto a difendersi.[169]
Ferendo alcune delle sue guardie, uccidendone altre, costringe il re alla fuga.
E forse l’avrebbe catturato, se non fosse stato per qualche tempo trattenuto da
un armigero di lui, subito ucciso sul posto. Grazie a quel ritardo il re,
trascinato per vie traverse dalla velocità del cavallo, giunge solo a Rouen e,
entrato nella città, fu preso[170] e
trattenuto dai cittadini, in quanto essi si erano messi d’accordo con quelli di
Bayeux.
[48.] IL RE E’ LASCIATO LIBERO DAI NORMANNI MEDIANTE OSTAGGI E DI
NUOVO E’ CATTURATO CON L’INGANNO DAL DUCA.[171]
Il duca Ugo, apprendendo che il re è stato catturato a Rouen, si reca a
Bayeux, per rendere grazie per la cattura del re e per argomentare affinché il
prigioniero gli sia affidato. I Normanni invece rispondono[172] che
la cosa deve essere fatta a condizioni eque, cosicché, se il duca riceve il re,
essi ricevano tutti i figli del re con il vincolo di ostaggi; e non lasceranno
andare il re sulla base di una diversa clausola. Il duca, nascondendo la
cattura, come se avesse disposto la cosa per volontà del re, manda inviati alla
regina Gerberga per i figli del re. ma la regina conoscendo la reale
circostanza invia il minore[173]
sotto giuramento, non potendo lasciarsi convincere a mandare il maggiore.
Infatti erano soltanto due[174].
Dunque consegnato come ostaggio il minore, per i Normanni non fu sufficiente,
richiedendo essi con forza il maggiore. Ma poiché a quelli ai quali era rimasta
una coscienza più fedele era chiaro che la nobiltà della stirpe regia poteva
completamente sparire se tutti i figli insieme al padre fossero stati tenuti
dai traditori, risposero che non l’avrebbero fatto, e avrebbero dato soltanto
il minore, e al posto del maggiore essi stessi avrebbero mandato chiunque di
loro avessero chiesto. Dunque quelli chiedono Guido vescovo di Soissons, che
vedevano come il più importante di tutti, e lo ricevono come ostaggio con il
figlio del re. E così il re lasciato andare, mentre si pensava che venisse
condotto nella sua sede dal duca, da quello stesso fu trattenuto e affidato per
essere tenuto in custodia a Teobaldo di Tours. Per cui fu anche evidente che il
tiranno avrebbe voluto far sparire completamente la nobiltà del regio casato
con la scomparsa del padre e[175] dei
figli. Ma la cosa fu condotta al termine opposto, e un solo figlio del re
sfuggì alla cattura.
[49.] OTTONE ED EDMONDO RE DEI GERMANI E DEGLI ANGLI SI MUOVONO
CONTRO IL DUCA IN FAVORE DEL RE.[176]
Subito la regina fa conoscere la sequenza di questi fatti tramite
inviati eloquenti a Edmondo[177] re
degli Angli e ad Ottone re dei Transrenani e comunica mediante lettere la sua
grandissima lamentela a proposito di ciò. Ottone, dolendosi della sorte del re
e della sorella, subito invia a Ugo un’ambasceria in favore della liberazione
del re, chiedendo molte cose, e minacciandone anche alcune. Anche il re
Edmondo, a tal punto toccato dalle disgrazie del cugino, manifesta allo stesso
duca con un’ambasceria dei suoi una grande indignazione d’animo; indicando che
se non lo restituirà egli farà molto contro di lui, e contro di lui condurrà
nemici per mare e per terra e devasterà completamente la sua terra; che se si
chiuderà in una qualunque piazzaforte disporrà con grande impegno un assedio e
riceverà dai Galli rinforzi in maggior misura che non il duca; e se non renderà
il re quanto prima, sarà attaccato quanto prima per terra e per mare.
[50.] INDIGNAZIONE DEL DUCA NEI CONFRONTI DEL RE EDMONDO.[178]
Il duca, toccato dalla grave ambasceria, in parte dissente da Ottone, in
parte è d’accordo.[179]
Invece agli inviati di re Edmondo risponde che non intende far ciò né in breve
tempo né oltre il ragionevole; nulla egli farà per le minacce degli Angli; essi
stessi, se verranno, faranno immediatamente la prova di quanto valgano i Galli
in armi; che se, toccati dalla paura, non verranno, ciononostante una volta o
l’altra conosceranno, a causa dell’esibizione di arroganza, le forze dei Galli
e ne soffriranno la pena. E così, adirato, manda via gli inviati e ritiratosi
per deliberare, si giova dei consigli dei suoi e dopo il consulto si reca da Ottone.
Ma richiedendo tramite inviati un’opportunità di colloquiare, pur insistendo
non ottenne di parlare con lui; e straordinariamente irritato tornò nella
propria sede e, avuto il consiglio dei suoi, si reca dal re e così gli parla:
[51.] DISCORSO DI UGO AL RE.[180]
“O re, l’accanimento degli avversari un tempo spinse te piccolo nei
paesi ad di là del mare. Ma richiamato da là per la mia abilità e il mio
consiglio fosti ristabilito nei regni. In seguito, finché ti servisti dei miei
consigli, godesti dei benefici delle circostanze favorevoli. Giammai, se non
per la pervicacia della tua ira, mi staccai da te. Avendo fatto ricorso ai
suggerimenti di uomini infimi ed imprudenti, ti allontanasti molto dai consigli
dei sapienti. Per cui giustamente ne è conseguita la rovina.[181] In
che modo infatti ritieni che possano senza di me pervenirti le cose necessarie
e portatrici di gloria? Io dico che in quest’affare molte cose sono state da te
sbagliate. Ricordati che già sei un uomo. Considera anche che cosa convenga al
tuo interesse; e così ritorni la virtù, che ci richiami alla benevolenza, tu
comandante e io al tuo servizio, e riconduca al tuo servizio tramite me anche
gli altri. E poiché tu, da me fatto re, nulla mi hai donato, concedi
generosamente almeno Laon a chi si accinge a servirti. E ciò sarà anche un modo
per preservare la fedeltà.” Il re come soggiogato acconsentì ai detti di chi
parlava. Per cui una volta liberato[182],
concessa Laon, si ritirò a Compiegne. C’è la regina Gerberga, memorabile per la
grande virtù; ci sono anche alquanti vescovi dalla Belgica; accorrono anche
diversi uomini nobili.
[52.] LAMENTELA DEL RE CON I SUOI PER LA PERSECUZIONE DI UGO
E con loro il re si lamentò con queste parole e dicendo: “Ahi tu, Ugo!
Ahi tu Ugo! di quanti beni da te privato, da quanti mali tormentato, e in
quanta disgrazia ora mi trovo! Hai invaso la città di Reims, mi hai strappato
Laon. Soltanto in queste due ero accolto, in queste due mi richiudevo. Mio
padre catturato e gettato in carcere abbandonò insieme con l’anima queste
preoccupazioni che mi premono. Ma io precipitato nelle stesse, del regno
paterno non offro che l’immagine. Ormai non è desiderabile vivere e non è
lecito morire. E così dove mi rifugerò?” E mentre si accingeva a lamentarsi
ulteriormente, ne fu trattenuto da quelli indignati; quindi, calmando l’animo,
tenne consiglio con i suoi.
[53.] Ciò fatto, mostra al re Ottone tramite inviati la propria
spoliazione, ricordando di essere stato prima catturato, ma ora privato di
tutti i beni; per cui ora porti egli soccorso a un amico; aiuti a riprendere le
città perdute; se farà ciò, sarà poi ricompensato da una grande gratitudine.
Ottone, accogliendo l’ambasciata con grandissima benevolenza, promette di
andare nuovamente in soccorso del re con le truppe e fissa il tempo. Gli
inviati ritornano e riferiscono i messaggi. E chiede e riceve truppe anche da
Corrado[183]
re dei Genauni[184].
[54.][185] Nel
frattempo il re Ottone, guidando l’esercito attraverso la Belgica dopo aver
attraversato il Reno, va incontro al re Corrado che, sortito allora dalle Alpi,
con una grande spedizione si affrettava a soccorrere Ludovico. Dunque unitisi
entrambi avanzavano con molta cavalleria. Ludovico apprendendo il loro arrivo
accorre più speditamente. E così i tre re, riuniti insieme, decidono che lo
sforzo del primo combattimento deve essere portato contro Laon e senza indugio
conducono là l’esercito. Ma quando videro di fronte l’altezza del monte ed
ebbero esplorato il sito da tutte le parti, avendo capito che là avrebbero
combattuto invano, si allontanano da quella città e assaltano Reims[186].
Là, poiché la pianura offriva un’opportunità agli eserciti, fu disposto
tutt’intorno un assedio. E nel primo combattimento si combatté corpo a corpo.
Dardi e pietre vi erano lanciati tanto fittamente quanto talvolta scende densa
la grandine. Dunque per l’intero giorno la città fu assalita con continui
attacchi. Ma poi per sette volte[187] si
combatté corpo a corpo e ciò per quasi sei giorni.
[55.][188] E
tuttavia i cittadini, in nessun modo vinti dai continui combattimenti, non
cedevano, quando il loro presule Ugo andò a parlare fuori città[189] con
certi fra i principi[190] che
gli venivano incontro per una qualche parentela, chiedendo loro indicazioni,
cioè perché gli dicessero che cosa dovesse essere fatto, che cosa dovesse
essere evitato; se pareva che con l’intersessione di qualcuno la cosa potesse
essere rimediata; se c’era necessità di preghiere, se bisognasse continuare nel
combattimento. Subito quelli, mostrando l’animosità dei re, affermano che è
fisso in loro di non ritirarsi per l’intervento di nessuno, ma di dar seguito
all’assedio fino al risultato; che se avvenga che la città sia presa con la
forza, caveranno gli occhi al presule stesso, e ciò è così deciso e fissato;
per cui deve affrettarsi ad andarsene per sottrarre i suoi all’indignazione dei
re. Il presule atterrito da ciò lo rende noto ai suoi. E, tenuto consiglio, nel
sesto giorno dell’assedio, se ne va con i suoi. Le porte vengono spalancate ai
re.
[56.][191] I
re poi recuperando Artaud lo fanno entrare in città al seguito. In mezzo tra
due arcivescovi, Federico[192] di
Magonza e Roberto[193] di
Treviri per mano loro è restituito alla passata sede. E gli stessi tre re
subito, incaricando là della custodia la regina Gerberga con alcuni nobili, si
portano con l’esercito contro il duca Ugo. Dopo aver anche tentato di penetrare
in Senlis[194]
con la forza, considerate le difese della piazzaforte si allontanano di là,
tuttavia non senza l’incendio del sobborgo e l’uccisione di alcuni; e così si
dirigono verso il fiume Senna.
[57.] COME POCHI GIOVANI, RECUPERATE CON L’ASTUZIA LE NAVI
PORTATE VIA DAL DUCA, LE CONDUSSERO ALL’ESERCITO.[195]
Ma il duca, presentendo il loro attacco, aveva ordinato che tutte le
navi fossero condotte via dalla riva vicina ai nemici per venti miglia, cosicché
agli avversari non si offrisse l’opportunità di attraversare. Ma è noto che le
cose andarono molto diversamente, essendo risultato frustrato il suo proposito.
Infatti dieci giovani in numero, ai quali era fisso nella mente risoluta di
sottomettersi a ogni pericolo, trasformando l’abito militare in quello dei
pellegrini, avevano preceduto i re, fingendo voti di preghiera.[196] E
così procedono, con le bisacce appese alle spalle, con bastoni ferrati, e
fingendo l’abito pellegrino, attraversano sui ponti la città di Parigi con la
Senna. Nessuno fu loro molesto, e si diressero verso la sponda esterna alla
quale erano ormeggiate le navi, e così entrando nella casa di un certo mugnaio
raccontano di essere venuti dall’altra riva[197] al
fine di vedere i luoghi dei santi. Il mugnaio, osservando dei giovani belli
sebbene in abito umile, offre generosamente ospitalità e li tratta con
gentilezza. Costoro, avendo meditato l’inganno, donano monete e avendo
acquistato del vino ubriacano l’ospite; e così trascorrono tutto il giorno
nella gioia del convivio. I giovani, vedendo l’ospite più disponibile a causa
del vino, lo interrogano su quale sia il suo lavoro. Quegli ricorda che è un
mugnaio. ma quelli proseguendo lo interrogano se sappia fare qualcosa di più.
Quegli afferma anche di essere maestro dei pescatori del duca e che gli viene
un qualche beneficio dalla locazione delle navi. Quelli poi dicono: “Poiché ti
abbiamo trovato molto benevolo, ti chiediamo anche di più. E quindi se farai
una certa cosa per noi ti promettiamo che ti offriremo dieci soldi, affinché
cioè tu ci trasporti[198]
attraverso il fiume, in quanto non vogliamo procedere ulteriormente nel
pellegrinaggio, affaticati per la lunghezza del cammino.” All’ospite poi, che
rispose che le navi erano state portate sulla riva interiore per ordine del
duca affinché non si aprisse l’accesso ai Germani che invadevano, quelli
replicarono che la cosa poteva essere fatta nel tempo notturno senza
rimproveri. Quello, desideroso di denaro. riceve il prezzo del trasporto e
s’impegna a eseguire il lavoro. Giunse la notte. I giovani chiedono che si
faccia quanto promesso. Quello subito, preso con sé un ragazzo suo figliastro,
con i giovani nel tempo notturno si affretta verso le navi. Lo accompagnano
anche i giovani. Costoro, vedendo la solitudine, rapito il fanciullo lo gettano
nel fiume. Prendono poi per la gola l’ospite che tenta di gridare e lo
minacciano di morte se non farà ciò che vogliono, cioè che sciolga le navi.
Dunque assalito e atterrito scioglie le navi; e preso consiglio gettano il
vinto in una nave e portano alla riva ciascuno una nave. Gettato poi fuori
l’ospite vinto tutti quanti, saliti su una sola nave si dirigono verso le altre
e di nuovo ne portano via nove. E avendo riattraversato il fiume otto volte,
portarono via le navi in numero di settantadue.
[58.][199]
Mentre si compievano queste cose, l’esercito dei re in quello stesso giorno
giunse al fiume mentre sorgeva l’aurora, trovò le navi preparate con i remi, e
i coscritti saliti su di esse con le armi navigano e sbarcano. Allora andando
in giro tutt’intorno, poiché nessuno lo impediva ne portarono via altre da
diversi porti e le portarono agli eserciti. Infatti coloro che vivevano nella
campagna erano tutti fuggiti per paura degli invasori. Il duca poi si era ritirato
a Orléans[200].
Perciò non c’era chi resistesse. E così, avendo connesso le navi e avendole
unite insieme con molta forza, rendono solidali i battelli. Salito su di essi,
l’esercito attraversa il fiume. Quindi tornati a terra, devastano con incendi e
feroci saccheggi tutta la regione fino alla Loira. Dopodiché si portano nella
terra dei pirati e la radono al suolo; e così avendo atrocemente vendicato
l’ingiuria del re, volgono il cammino verso le proprie sedi. Il re Ludovico poi
ritorna a Reims.
[59.] COME DEROLDO FU INGANNATO DA UN CERTO MEDICO E LO INGANNÒ[201]
A quel tempo uscì da questa vita il vescovo d’Amiens Deroldo[202],
uomo spettabile e membro della corte, e a suo tempo anche grandemente caro al
re, espertissimo nell’arte della medicina. Di lui si narra anche che, quando
ancora prestava servizio al re nel palazzo, fu ingannato da un certo medico
Salernitano[203]
e lo ingannò. E infatti poiché entrambi erano massimamente capaci nell’arte
della medicina e costui sembrava preferibile al re, mentre il Salernitano sembrava
più esperto alla regina[204],
grazie a un sotterfugio del re fu trovato chi di loro conoscesse meglio le
scienze naturali. E infatti egli ordinò che essi sedessero come convitati
davanti a lui, dissimulando completamente la ragione della cosa e ponendo
spesso loro delle domande. Ciascuno risolveva i quesiti come poteva. Deroldo
invero, in quanto erudito nelle arti letterarie, determinava le risposte alle
domande in modo plausibile; ma il Salernitano, sebbene non dotato di alcuna
conoscenza delle lettere, tuttavia grazie al naturale ingegno aveva una grande
esperienza delle cose. E così per ordine del re ogni giorno siedono insieme e
continuamente hanno accesso alla mensa regia. E un certo giorno si discute
delle differenze tra i dinamidia[205]
e si tratta assai ampiamente di quali proprietà farmaceutiche essi abbiano, di
quali poi chirurgiche, e anche di quali proprietà botaniche. Ma il Salernitano,
non conoscendo i nomi stranieri, arrossendo si trattenne dalla loro
interpretazione. Dunque divenne molto invidioso e meditò di preparare un veleno
per la morte dell’altro, fingendo ingannevolmente una grande benevolenza.
Avendo poi preparato il maleficio, mentre sedevano insieme a pranzo, il
Salernitano, avendo avvelenato l’unghia del medio[206],
contaminò in modo letale la salsa pepata nella quale allo stesso modo
intingevano il cibo. Avendolo Deroldo incautamente assunto, subito cominciò a
sentirsi male, poiché il veleno si diffondeva; portato via dai suoi, respinse
la forza del veleno con la teriaca. E ritornando in pubblico passati tre
giorni, stava insieme al Salernitano. Interrogato poi su cosa gli fosse
capitato, rispose di essere stato lievemente colpito da un raffreddamento degli
umori, nascondendo di aver percepito alcunché dell’inganno. Per cui rese il
nemico incauto. E così, resi nuovamente commensali, Deroldo avendo nascosto un
veleno tra il mignolo[207] e
l’indice[208]
ne cosparse il cibo che doveva essere mangiato da quello. Subito questo,
diffondendosi nelle vene, toglieva il calore della vita; e addolorato fu
portato via dai suoi. Questi, dandosi da fare per espellere il veleno, non
otteneva nessun effetto benefico. E così lodando Deroldo, e dichiarando che
egli era il più grande nella medicina, chiedeva con il massimo vigore la sua
cura. Questi, piegato dall’ordine del re, avendogli dati gli antidoti, di
proposito non lo guarì del tutto.[209]
Infatti, presa la teriaca, la forza del veleno si ridusse completamente nel
piede sinistro; al punto che, come egli raccontava familiarmente ai suoi
intimi, il veleno, come si narra, risalendo dal piede per la vena come un cece,
era respinto nel piede dall’antidoto che gli si opponeva. Gli effetti così
scontrandosi per moltissimo tempo, il piede si fora alla superficie della
pelle; ed essendosi formata un’infezione viene in seguito dolorosamente
tagliato dai chirurghi.
[60.][210] Nel
frattempo il duca, dolendosi della Neustria bruciata e saccheggiata, prepara
l’esercito e si lancia duramente contro Arnolfo, non osando farlo contro il re.
Attacca anche alcune sue piazzeforti Ma poiché per sei giorni non ne poté
prendere nessuna, frustrato nel suo proposito ritornò alla propria sede. Mentre
queste azioni venivano compiute dal duca, il re stringeva d’assedio Mouzon[211] in
quanto Ugo il nipote del duca, cacciato dalla carica vescovile, risiedeva là. E
così tormentava costui per offesa al duca. Ma apprendendo che il duca si era
ritirato dall’assedio, anch’egli ritornò a Reims. A quella stessa epoca Bovone,
vescovo di Châlons, se ne andò da questa vita. E a lui subito successe per
volontà del re Gibuino[212],
giovane egregio, per elezione di tutto il clero, e fu consacrato vescovo dal
signore Artaud arcivescovo di Reims.
[61.][213]
Dopodiché il re si ritirò poi nella Belgica, e là gli venne incontro per
parlargli il re Ottone, e avendo regolato tutto ciò che era necessario,
entrambi i re celebrano la Pasqua[214] ad
Aquisgrana[215]
e con molto rispetto si onorano reciprocamente, e ciò ancor di più da parte di
Ottone, e Ludovico è da lui onorato assai generosamente con doni regali.
[62.] IL DUCA MUOVE GUERRA ALLA CITTÀ DI REIMS.[216]
Mentre avvenivano queste cose, il duca trattava con i suoi dell’offesa
del re, affermando l’opportunità, in assenza del re, di prendere la città di
Reims, poiché allora la città era priva tanto del vescovo quanto di soldati, e
il re stesso altrimenti impegnato si dedicava ad altro. Per cui affermava che
era possibile prendere la città con un facile attacco, e di voler fortemente
tentare ciò. I vassalli convinti da questi argomenti decidono di mandare le
truppe contro la città. Avendole riunite marciano col duca, si dirigono verso
la città e la cingono d’assedio tutt’intorno; si sparpagliano anche da tutte le
parti e riportano frumento dalle località vicine per i bisogni del
combattimento; fortificano l’accampamento con fossati e lo circondano di
graticci. Portano dunque un attacco una volta o due al giorno; nondimeno anche
i cittadini resistono con grande vigore. E già così facevano da nove giorni
quando fu riferito dagli osservatori che il re ritornava massimamente indignato.
E subito sciolto l’assedio il dodicesimo[217]
giorno si ritirano dalla città.[218]
[63.][219] E
senza indugiare a lungo il re entra nella città per portare soccorso. I
principi subito riuniti presso di lui tengono consiglio per il bene suo e
quello comune. E poiché l’interesse della cosa richiedeva che Ottone prendesse
parte ai consigli, sono inviati ambasciatori, tramite i quali gli viene
mostrata la necessità e gli viene proposto di avere un colloquio lungo il fiume
Chiers[220]
alla fine del mese di agosto[221].
[64.][222] Mentre
ciò avveniva il duca si lamentava che il nipote fosse stato scacciato dalla
carica vescovile. E così lo consigliava di mantenere le funzioni episcopali e,
perché non apparisse completamente privo della dignità, di promuovere di grado
qualche persona. Dunque questi fa chiamare Teobaldo[223]
diacono della chiesa di Soissons, e lo ordina prete e poi, dato che il duca lo
spinge, lo consacra vescovo della chiesa di Amiens. In ciò apparve essere
d’accordo soltanto Guido vescovo di Soissons. I fatti successivi dimostreranno
che egli poi se ne pentì. Ma giunse il tempo in cui i re dovevano parlarsi e si
vennero incontro lungo il fiume Chiers. E non mancò il duca, il quale fissò
egli stesso l’accampamento presso il villaggio di Douzy[224],
per poter sostenere presso i vescovi la causa in favore del nipote.
[65.] IL DUCA SI IMPEGNA AFFINCHÉ LA CAUSA IN FAVORE DI SUO
NIPOTE SIA TRATTATA DAVANTI AI VESCOVI.[225]
E così mentre i re trattavano i loro affari, il duca esponeva la causa
del nipote ai vescovi, ai quali mostrava anche una grandissima indignazione,
facendo presente che il nipote era stato deposto ingiustamente[226] e
senza nessuna colpa evidente. Quando ciò fu segnalato ai re, dal momento che
Ottone sollecitava ciò, fu deciso che fosse là discussa dai vescovi la causa di
Artaud e di Ugo, tuttavia a patto che anche il duca a tempo debito rendesse
soddisfazione al re. E così, avendo i vescovi preso in esame la causa, poiché
malgrado le tantissime cose che furono là spiegate essi contestarono con la
massima fermezza che Ugo, privato della carica, aveva ordinato il vescovo di
Amiens illecitamente, la decisione dei re stabilì che una causa di tal genere
doveva essere trasferita a un altro sinodo. E infatti pareva che questo litigio
non potesse essere risolto secondo giustizia abbastanza adeguatamente se non
fosse stato convocato un sinodo a tal fine. E per decreto regio fu annunciato
che esso si doveva tenere nel quindicesimo giorno prima delle calende di
dicembre[227].
Nel frattempo poi la sede di Reims è affidata ad Artaud, a Ugo poi è concesso
di risiedere nella piazzaforte di Mouzon, e una tregua tra il re e il duca
viene concessa da entrambi per la mediazione di Ottone e viene confermata con
giuramento fino al tempo in cui si dovrà tenere il sinodo.[228]
[66.] SINODO TENUTO A VERDUN.[229]
Giunge il tempo, e il sinodo dei vescovi è riunito e tenuto a Verdun[230],
avendo a capo Roberto arcivescovo di Treviri, con Artaud di Reims, e sedendo
insieme Adalbéron[231] di
Metz, Gauzlin[232]
di Toul, Hildebold[233] di
Munster, Israel il Bretone[234], e
presenziando anche l’uomo venerabile e abate Brunone[235],
con gli altri abati e monaci venerandi Agenoldo[236] e
Odilone[237].
Ugo, chiamato a questo sinodo, non volle venire, pur essendo stati mandati a
prenderlo i vescovi Adalbéron e Gauzlin. Per cui una deliberazione dei vescovi
concesse ad Artaud di tenere il vescovado. E così senza aver determinato le
ragioni il sinodo fu sciolto.
[67.] SINODO TENUTO A MOUZON.[238]
Ne viene poi fissato uno da tenersi alle idi di gennaio[239]; e
trascorso il tempo si tenne un secondo sinodo nella chiesa di san Pietro[240]
presso la fortezza di Mouzon, anche questo presieduto dal predetto Roberto,
arcivescovo di Treviri[241],
con quasi tutti i vescovi della sua provincia e alcuni di quella di Reims, partecipando
anche Artaud, la cui causa doveva essere discussa. E non era assente Ugo; però
non volle entrare nel sinodo, ma trasmise tramite i suoi[242] una
lettera firmata col nome del papa Agapito[243] da
leggersi nel sinodo. Quando questa fu aperta e letta, apparve che non aveva
alcun’autorità canonica e non indicava nulla in favore della sua causa, se non
che gli venisse restituita la carica vescovile. Dopo averla letta tutta, dopo
che i vescovi si furono riuniti a consiglio, decisero che dovesse essere annullata,
in quanto senza ragione ordinava che fosse restituita al deposto la cosa che
era oggetto della lite. E poiché poco prima dallo stesso papa Agapito era stata
rimessa tramite Federico vescovo di Magonza e data a Roberto arcivescovo di
Treviri, alla presenza dei re e dei vescovi di Gallia e di Germania una lettera[244] che
aveva l’autorità di un ordine apostolico, e una parte delle disposizioni di
quella era già stata eseguita, subito per comune consenso fu deciso che ciò che
era iniziato regolarmente fosse portato avanti razionalmente e in modo
canonico; e contemporaneamente e subito fu ordinato dall’arcivescovo che fosse
recitato il capo diciannovesimo del concilio di Cartagine[245],
che tratta dell’accusato e dell’accusatore; e dopo che fu letto, secondo le disposizioni
di quello stesso capitolo, stabilirono che l’arcivescovado di Reims fosse
restituito ad Artaud, che non si era rifiutato di udire le decisioni di nessun
sinodo, e che Ugo, che già convocato a due sinodi aveva disdegnato di venire,
si astenesse dalla reggenza del vescovado di Reims fino a quando non si fosse
presentato a un terzo sinodo per giustificarsi delle accuse. Il suddetto
capitolo fu poi messo per iscritto e autenticato dai vescovi e inviato al
medesimo Ugo. Ugo, avendo visto in esso l’autenticazione sottoscritta dai
vescovi, mosso all’ira, lo rinviò insolentemente a Roberto che aveva presieduto
il sinodo, affermando che non avrebbe dato alcun peso al giudizio dei vescovi;
e così il sinodo fu sciolto senza che la causa fosse stata completamente
discussa. Viene poi fissato un terzo sinodo da tenersi alle calende di agosto[246].
[68.][247]
Compiute così queste cose, Artaud dirige alla sede romana una lettera,
contenente con grande chiarezza sia la sequenza delle offese fatte a lui sia il
tenore dei fastidi del re. E così il signor papa Agapito, volgendo l’animo a
grande benevolenza, subito chiamò il venerabile vescovo di Ostia Marino[248],
uomo di grande equità e prudenza, spiegandogli la forza della lettera e
invitandolo con grande vigore a una correzione delle cose. Dunque il venerabile
Marino viene inviato, come vicario del signor papa, dal re Ottone al fine di
convocare e riunire un sinodo universale; e vengono inviate lettere
specialmente ad alquanti vescovi tanto della Germania quanto della Gallia per
persuaderli a un giudizio equo dei fatti.
[69.] ULTERIORE SINODO TENUTO A INGELHEIM.[249]
Nel frattempo al tempo stabilito[250] fu
riunito un sinodo universale secondo la disposizione del papa Agapito, sotto
Marino suo vicario[251],
nel palazzo di Ingelheim[252],
che significa casa degli angeli, lungo il fiume Reno, nella chiesa del beato
Remigio apostolo dei Franchi. E così, presiedendo il signore Marino, anche i
vescovi, che si erano riuniti insieme da luoghi diversi, sedettero insieme
secondo il diritto ecclesiastico, cioè Roberto arcivescovo di Treviri, Artaud
arcivescovo di Reims, Federico arcivescovo di Magonza, Wicfrid[253]
arcivescovo di Colonia, Adaldag[254]
vescovo di Amburgo, Hildebold vescovo di Münster, Gauzlin vescovo di Toul,
Adalbéron vescovo di Metz, Berengario[255] vescovo
di Verdun, Fulberto[256]
vescovo di Cambrai, Rodolfo vescovo di Laon, Richgowo[257]
vescovo di Worms, Reimbold[258]
vescovo di Spira, Poppo[259]
vescovo di Würzburg, Corrado[260]
vescovo di Costanza, Ulrich[261]
vescovo di Augusta, Thiethard[262]
vescovo di Hildesheim, Bernardo[263]
vescovo di Halberstadt, Dudone[264]
vescovo di Paderborn, Lioptach[265]
vescovo di Ribe, Michael[266]
vescovo di Ratisbona, Faraberto[267]
vescovo di Liegi, Dodo[268]
vescovo di Osnabruck, Ebergis[269]
vescovo di Minden, Baldrich[270]
vescovo di Utrecht, Herold[271]
vescovo di Salisburgo, Adalberto[272]
vescovo di Passau, Starchand[273]
vescovo di Eichstätt, Borath[274]
vescovo di Schleswig, Wichard[275]
vescovo di Basilea, Liefdach[276]
vescovo di Ribe.
[70.] A PROPOSITO DELL’ORDINE DELLE COSE DA TRATTARSI E DI CHI
DEBBA AVERE LA PRECEDENZA NEL GIUDIZIO.[277]
Sebbene a ciascuno di tutti costoro fosse consentito dai canoni o dai
decreti di dichiarare qualunque cosa apparisse opportuna in merito all’affare,
tuttavia la facoltà di dare la parola e il commento delle argomentazioni furono
affidati al signore Roberto di Treviri, in quanto era considerato il più
insigne per la conoscenza delle cose divine e umane e per l’efficacia
dell’eloquenza. La formulazione del giudizio poi rimase al signore Marino,
vicario del signor papa; ed essendo tutti seduti insieme, dopo aver premesso le
preghiere secondo l’ordine con cui deve essere celebrato il concilio, e dopo
che furono riletti i sacri capitoli dei decreti, furono ammessi al sacro sinodo
i serenissimi re Ludovico e Ottone. Quando anche loro furono seduti, il venerando
signore Roberto avendo così iniziato cominciò dicendo:
[71.] PREAMBOLO DI ROBERTO ARCIVESCOVO DI TREVIRI NEL SINODO.[278]
“Molti sono gli affari, padri reverendi, per i quali qui sediamo riuniti
in un sol luogo davanti ai re serenissimi; e moltissimi quelli che appaiono
dover essere regolati dalla vostra rettitudine. A quasi tutta la Gallia è noto
che lo stato è turbato dalla temerarietà dei malvagi ed è alquanto sottoposto a
pericoli. Dunque le leggi divine ed umane sono disprezzate senza distinzione
dai malevoli[279],
poiché colui al quale sono dovuti i diritti dei regni[280] ed
è attribuito per trasmissione paterna il potere di comandare, è stato catturato
per la persecuzione dei suoi, e gravissimamente rinchiuso in prigione, e ancora
è minacciato dalle spade dei suoi. E i briganti si accaniscono ferocissimamente
contro la città di Reims senza pastore, il culto divino è disprezzato, la
religione canonica non è tenuta in nessun conto. Dunque su queste cose, padri,
io giudico che si debba insistere con grandissima forza, e si debba con grande
diligenza fare uno sforzo da parte di noi che per grazia dello Spirito Santo ci
siamo riuniti qui insieme, affinché ciò che prima era sciolto torni a un
legame, cosicché al signore e serenissimo re sia restituita la libera potestà
di regnare e per tramite suo alla chiesa di Reims sia restituito l’onore ad
essa dovuto.”[281]
[72.] RISPOSTA DI MARINO LEGATO DELLA SEDE ROMANA.[282]
A ciò il signore Marino vicario della santa sede romana replicò: “Ottimamente
e vantaggiosamente il fratello e covescovo Roberto espose la serie dei fatti. E
infatti, pur sapendo egli stesso benissimo che le leggi divine devono essere
anteposte a quelle umane, considerata tuttavia la situazione disse che
innanzitutto doveva essere restaurato il comando della dominazione regia
affinché, una volta consolidata la sua autorità e vantaggiosamente ristabilita
la sua potenza, poi in seguito grazie alla sua generosità torni a crescere
l’onore delle chiese di Dio, ed esercitandosi il suo patrocinio ritorni la
capacità di agire a tutti quelli che sono buoni. Affinché ciò possa, Dio
permettendo, avvenire, in primo luogo appare che si debba ascoltare e con il
massimo impegno giudicare la causa del signore e serenissimo re, se ciò sarà
stabilito anche dalla valutazione del vostro giudizio.” Il sinodo disse: “Si
ascolti.”
[73.] LAMENTELA DEL RE LUDOVICO AL RE OTTONE E AL SINODO DEL
REGNO.[283]
Allora il re Ludovico, alzandosi di fianco al re Ottone, chiedeva con
grande modestia di presentare in piedi le proprie lamentele. ma pregatone dal
sinodo rimettendosi a sedere espose una lamentela di tal genere, dicendo:
“Quanto sono costretto a lamentarmi per la provocazione di Ugo, e quanto per la
sua sollecitazione, ne è testimone colui grazie al quale poco fa è stato
riferito che voi siete qui riuniti. Il padre di costui, per far sì che io
esordisca dal principio, invidiando il regno a mio padre, mentre invece gli
doveva il servizio civile e militare, lo privò orribilmente del regno e chiese
che fosse chiuso in prigione fino alla fine della sua vita.[284]
Costrinse poi me piccolo, nascosto dai miei in un fascio di fieno, a fuggire
nei paesi ad di là del mare e quasi fino ai Rifei. Tuttavia, morto mio padre ed
essendo io inviato in esilio, costui ricordandosi di suo padre, ucciso
dall’orgoglio, aveva paura di assumere la cura del regno. E così, avendo
ostilità per noi, promosse Rodolfo. Ma la Divinità, determinando le vicende di
lui così come tutte le altre, quando volle gli diede il termine del regnare.
Mentre di nuovo il regno era vacante, per consiglio dei buoni richiamò me esule
dai paesi stranieri e con l’accordo di tutti mi elevò al regno, non lasciando a
me nulla eccetto Laon; e poiché, una volta elevato. tentavo di recuperare ciò
che appariva di diritto del re, egli sopportava ciò assai malamente. Diventato
dunque nascostamente avversario, distoglieva con denaro gli amici se ne avevo
qualcuno, incitava i nemici maggiormente all’odio. Finalmente premendolo
l’invidia agì presso i pirati affinché fossi da loro catturato con l’inganno,
giudicando che il regno potesse pervenire a lui se fosse capitato che ciò
avvenisse. E non mancò l’effetto dell’imboscata: fui catturato, e gettato in
carcere[285].
Egli poi fingendo di volermi liberare chiedeva che i miei[286] figli
fossero consegnati a titolo di ostaggi. Ma poiché quelli che mi erano legati da
fedeltà si rifiutavano di consegnarli tutti, avendone inviato uno solo mi
riprese dai pirati. Già sperando la libertà, volevo andare dove l’animo mi
spingeva. Risultò vero che le cose erano andate diversamente. In effetti,
avendomi preso, subito mi gettò in catene e mi rinchiuse in carcere per un
anno. Dopodiché, quando si accorse che sarebbe stato attaccato dai miei parenti
e amici indignati, promise la libertà se avesse ricevuto Laon. Qui soltanto
potevo rinchiudermi, solo qui potevo rifugiarmi con la moglie e i figli. Che
fare? Anteposi la vita alla fortezza; guadagnai la libertà in cambio della
fortezza.. Ed ecco, privato di ogni cosa, chiedo l’assistenza di tutti. Se il
duca osa contraddire queste cose, sia a noi soltanto concesso di combattere in
singolar tenzone.”
[74.] DISCORSO DI ROBERTO IN FAVORE DI LUDOVICO.
Dopo che queste cose furono pubblicamente dichiarate, l’arcivescovo
Roberto parlando aggiunge:
“Poiché abbiamo udito la lamentela del signore e serenissimo re,
espressa abbastanza brevemente e lucidamente, e secondo me ottimamente, appare
conseguente che noi giudichiamo la sua causa in quanto ciò è lecito. Dunque,
poiché egli trasferì a sé quasi tutti i diritti del regno e non siamo in grado
di resistergli con la forza, giudico che si debba tentare più dolcemente, con
molta ragionevolezza e molta riflessione, a ché il duca, che non teme Dio e non
rispetta l’uomo, sia ricondotto alla norma, a Dio piacendo. Pertanto secondo i
decreti dei padri e la regola dei canoni, in primo luogo deve essere
fraternamente ammonito a dare soddisfazione e con parole convincenti deve
essere a ciò con grande modestia richiamato. Se dopo una blanda ammonizione di
richiamo non avrà voluto pentirsi, che sia colpito dall’anatema di tutti,
avendo ciò a garanzia, che già è stato redarguito dal signor papa e gli è stato
ordinato di cessare dalla persecuzione del suo signore.”
[75.] RISPOSTA DEL LEGATO MARINO IN FAVORE DELLO STESSO.
E a ciò il signore Marino parlando aggiunse: “Ricordo che il signor papa
un anno fa ha inviato un anatema contro quelli che perseguitavano questo
signore e re dei Franchi; e anche una lettera persuasiva affinché non lo
abbandonino, indirizzata a tutti quanti i buoni, e che una lamentela riguardo
alla medesima cosa espressa per iscritto era stata indirizzata a quelli che
hanno la mente più sana. Per cui io ritengo che sia stato giustissimamente
detto, poiché in precedenza è stato richiamato e redarguito dal papa, che ora
egli deve essere richiamato nuovamente in nome della carità e ammonito con
grandissima forza di persuasione affinché si allontani dalle azioni malvagie, e
in seguito deve essere condannato con un anatema; e non solo lui, ma anche
tutti quelli che lo hanno favorito e lo favoriscono nelle azioni malvagie. Ma
egli riceverà da noi soltanto quest’aiuto. Forse che non riceverà qualche aiuto
da un altro? La sua lamentela nella sua conclusione richiede l’aiuto di tutti.
Ma se da parte nostra gli si porta soccorso, che cosa riceverà dal signore
Ottone? E le sante decretali dichiarano che, dopo che contro i tiranni viene
lanciato dai vescovi un anatema di condanna, la forza deve essere esercitata da
parte dei buoni e dei potenti affinché, se quelli non vogliono tornare alla
norma a causa delle sanzioni ecclesiastiche, siano almeno costretti dalla forte
violenza dei potenti a ritornare al bene, cosicché il bene prevalga anche
malgrado loro.”
[76.] DISCORSO DEL RE OTTONE IN FAVORE DELLO STESSO.
A ciò il re Ottone disse: “Molti sono, padri, i benefici che potranno
essere vantaggiosamente resi da voi al signore e serenissimo re Ludovico. E
infatti se assalirete i suoi persecutori con le armi divine, di conseguenza o
cederanno vinti in un facile combattimento o, se resterà qualcosa da
combattere, ciò sarà più facilmente fiaccato dalle nostre armi. Voi dunque,
poiché lo ordina il legato del signor papa, tirate fuori gli strumenti del
vostro ordine e attraversate con la spada dell’anatema gli avversari di un così
grande re. Se poi oseranno alzare la testa contro di questo e non hanno paura
di resistere agli interdetti divini, da quel punto spetterà a noi, ai quali è
stato dato in questa parte del mondo il compito di proteggere la santa chiesa
di Dio, prendere le armi contro tali persone e in tal modo debellarli. E se la
necessità premerà, strette in pugno le spade li massacreremo fina a una
gigantesca strage di uomini del tutto perduti, avendo avuto una causa di
giustissima indignazione contro di loro, poiché intraprendono azioni illecite e
ammoniti a causa delle azioni illecite non si correggono. E così voi insistete
soltanto nel vostro ambito, e dopo la vostra moderazione seguirà il nostro
vigore.
[77.] LETTERA INDIRIZZATA DAL SINODO A UGO.
Detto ciò, subito per decreto del sinodo fu scritta e letta
pubblicamente una lettera[287],
contenente questa sequenza di parole: “Il santo sinodo tenuto con profitto nel
palazzo di Ingelheim sotto i signori e re ortodossi Ludovico e Ottone, al duca
Ugo. Con quanti mali e con quanta persecuzione hai vessato quella venerabile
città di Reims, e con quanta crudeltà ti sei scatenato contro il re tuo
signore, lo dicono le bocche di tutti, fra tutti se ne discute. Quanto ciò sia
scellerato e pernicioso, le leggi divine e umane lo dimostrano abbondantemente.
Per cui compatendoti ti ammoniamo a cessare tali comportamenti e ti esortiamo a
ritornare quanto prima al tuo signore con molta umiltà e mansuetudine. Se
disprezzerai ciò, prima che ritorniamo a luoghi differenti senza dubbio ti
colpiremo con l’anatema, fino a quando tu dia soddisfazione o ti diriga a Roma
per giustificarti presso il signor papa. Già due volte sei stato ammonito dalle
sue lettere e interdetto da un così grave delitto. per cui anche noi dopo di
lui già per la terza volta ti richiamiamo alla correzione.” Essendo stato ciò
convalidato dall’autorità di tutto il sinodo, subito fu spedito al duca tramite
inviati.
[78.] CAUSA DI ARTAUD.[288]
Dopodiché alzandosi l’arcivescovo Artaud espose in modo eccellente la
sequenza dei fatti, ma anche l’inizio della lite stessa che si svolgeva tra lui
e Ugo vescovo a lui sostituito. Anzi produce una lettera recentissimamente a
lui diretta dal signor papa, mediante la quale questi indicava che l’episcopato
dovesse essere da lui conservato. Dopo la traduzione di questa, un certo
Sigeboldo[289]
chierico del predetto Ugo, subito porse al sinodo un’altra lettera, munita
della firma del signor papa e a lui portata dall’Urbe.[290]
Anche questa fu letta al cospetto dei vescovi e fu assai accuratamente
discussa. Nel testo di questa si diceva soltanto che Rodolfo, vescovo di Laon,
e Guido di Soissons, come pure Ildegario[291] di
Beauvais, e tutti gli altri vescovi della provincia di Reims avevano inviato
alla sede apostolica una lettera in favore del ristabilimento di Ugo e
dell’abdicazione di Artaud. Per cui anche il signor papa avrebbe voluto che si
facesse tutto secondo i loro voti e la loro richiesta. Dopo la lettura di
questa, subito i vescovi predetti[292]
alzandosi insieme confutarono completamente il contenuto della lettera e
dichiararono il portatore delle calunnie uomo del tutto perduto. Non potendo
egli contrastarli, indirizzando loro varie maledizioni li accusava
pubblicamente di perfidia.
[79.] CONDANNA DEL CALUNNIATORE DA PARTE DEI VESCOVI.[293]
Allora da parte del signore Marino si delibera che vengano letti i
capitoli emanati a proposito dei calunniatori. Subito dopo che questi furono
letti, poiché il calunniatore non poté fare obiezioni, per giudizio dei vescovi
fu privato dell’ufficio del diaconato che egli esercitava e oltraggiosamente
riprovato fu forzato a uscire dal cospetto del sinodo. Il sinodo poi decreta e
conferma che la dignità episcopale secondo le prescrizioni dei canoni e i
decreti dei padri deve essere posseduta da Artaud, in quanto non ha rifiutato
di partecipare ai dibattimenti di alcun concilio. E queste cose vengono
stabilite nel primo giorno del consesso.
[80.][294] Nel
secondo giorno poi, dopo aver letto le lezioni dell’autorità sacra e dopo
l’allocuzione del signore Roberto, viene stabilito dal signore Marino che, dal
momento che la dignità episcopale, secondo la disposizione della legge sacra, è
stata restituita ad Artaud, sia pronunciata la condanna del sinodo contro il
suo usurpatore. E così vengono letti i decreti dei canoni e le prescrizioni dei
santi padri, Innocenzo, Alessandro, Simmaco, Sisto, Celestino, Zosimo, Leone,
Bonifacio,[295]
e altri illustri dottori della santa chiesa di Dio. Sulla base dei decreti di
costoro unanimemente lanciano l’anatema ed escludono dalla comunione di tutta
la chiesa Ugo usurpatore della chiesa di Reims, fino a quando pentito faccia
ammenda ed offra soddisfazione agli offesi dal suo crimine.
[81.][296] Nei
giorni successivi invece si delibera a proposito dei matrimoni incestuosi e
illeciti dei preti, a proposito dei preti che consacrano l’eucaristia in stato
d’indegnità, e delle chiese indebitamente usurpate dai laici, e là fu anche
sollevata qualche altra questione, che fu affrontata con grande attenzione e
definita opportunamente; e così il sinodo fu sciolto. Fu poi stabilito di
tenerne nuovamente uno dopo trenta giorni[297] a
Laon nella chiesa di san Vincenzo[298]
martire, perché fosse là emesso l’anatema contro il tiranno Ugo.
[82.] ANATEMA DEI VESCOVI CONTRO IL DUCA E I SUOI SOSTENITORI.[299]
Compiuti questi atti con diligenza e secondo i canoni, il re Ludovico
ricevette dal re Ottone truppe di soldati al comando di Corrado[300]
contro il tiranno Ugo. Mentre queste venivano raccolte nel corso di quaranta
giorni[301],
i suddetti vescovi nel trentesimo giorno dopo che si era tenuto il sinodo si
riunirono nella chiesa di san Vincenzo martire a Laon alla presenza del re
Ludovico.[302]
E nuovamente, presiedendo il predetto Marino, dopo le pagine della sacra
scrittura, che furono là lette e discusse con molta considerazione, condannano
con l’anatema il tiranno Ugo e lo espellono dalla santa chiesa, a meno che,
pentito, non dia soddisfazione al suo signore, oppure si diriga a Roma per
argomentare in favore della propria assoluzione presso il signor papa.[303] In
quel sinodo si discute anche dei vescovi che furono convocati insieme al duca e
trascurarono di venire, e di quelli che illecitamente parteciparono alla
consacrazione del vescovo Ugo già deposto o di quelli che contro il lecito
risultavano promossi da quello stesso già espulso o dopo che era stato deposto.
E così vengono condannati due pseudovescovi ordinati da Ugo, cioè Teobaldo[304] e
Ivo[305],
dei quali il primo era stato consacrato vescovo di Amiens dall’espulso, l’altro
invece vescovo di Senlis dal deposto. Fu condannato anche Adelelmo[306],
diacono della chiesa di Laon, accusato dal suo vescovo Rodolfo in quanto aveva
introdotto temerariamente in chiesa lo scomunicato Teobaldo[307].
Questi infatti, già convocati al sinodo precedente insieme al duca, avevano
disdegnato di dare soddisfazione. Viene poi convocato Ildegario vescovo di
Beauvais, mediante un’ambasciata del signore Marino e dei vescovi, affinché o
venga da loro o si diriga verso la sede apostolica per giustificarsi del
proprio delitto, in quanto era stato presente all’ordinazione dei già menzionati
pseudovescovi. Fu convocato anche Eriberto[308],
figlio del tiranno Eriberto, a causa dei mali che enormemente portava alle
chiese e ai vescovi. Guido poi, vescovo di Soissons, poiché era accusato da
molti in quanto egli stesso aveva consacrato Ugo vescovo, confessandosi reo nel
sinodo e deplorando il reato con grande pentimento, ottenne da loro di essere
assolto, poiché intercessero per lui presso il sinodo gli arcivescovi Artaud e
Roberto. Anche Wicfrid[309]
vescovo di Therouanne, che era accusato di aver partecipato, fu trovato immune
dal crimine. Fu poi presente un inviato di Transmar[310],
vescovo di Noyon, il prete Silvestro[311],
che affermò che il suo vescovo era trattenuto da una tale violenza di febbri
che non aveva potuto venire al sinodo, la qual cosa egli dimostrò anche con
testimoni al cospetto del sinodo. Dopodiché i vescovi ritornano alle proprie
sedi. Il signore Marino poi, pregato tramite inviati dal re Ottone, si reca
nelle terre di Germania e là consacra[312] la
chiesa del monastero di Fulda[313] e
trascorso l’inverno ritorna a Roma. Compiuti questi fatti Rodolfo vescovo di
Laon, sopraffatto da un’ultima malattia del corpo lasciò questa vita. A lui
successe poi Roricone[314],
fratello del re da una concubina, rinomato per le conoscenze in ogni campo.
[83.]
IL RE MANDA LE TRUPPE A MOUZON E LA PRENDE.[315]
Nel
frattempo raccolto presso il re un esercito da tutta la Belgica al comando di
Corrado, tre coorti vengono inviate a Mouzon per ordine del re. Infatti egli
aveva appreso che il deposto Ugo era là rinchiuso e che aveva una grande
scarsità di truppe. Dunque le coorti avendo attaccato la piazzaforte proprio al
crepuscolo[316] l’investono tutt’intorno
con un assalto repentino. Stanno anche per prenderla di forza. E poiché in
realtà sapevano che i soldati erano pochissimi e a mala pena avevano qualche
arma, senza desistere lanciano le forze e li pressano con le armi. Ma a quelli
affaticati ne succedono altri freschi; e così senza interruzione i tanti
premono i pochissimi. I difensori della piazzaforte poi, spossati dal continuo
assalto, il giorno successivo mentre già scende il sole sono tutti costretti
alla resa con il loro signore. In questa battaglia sfugge il deposto Ugo, non
si sa con quale modalità di fuga. Tra i soldati poi quelli che apparivano i
comandanti furono presi e condotti al re, essendo stati assegnati altri alla
piazzaforte.
[84.] IL RE PRENDE MONTAIGU.[317]
Il re poi attaccava con l’esercito la fortezza che è detta Montaigu[318],
che è prossima a Laon. E poiché non era abbastanza chiusa da una cinta di mura né
una sufficiente moltitudine di soldati poteva comodamente abitarvi, i difensori
della fortezza non erano in grado di resistere a lungo a un pressante assedio.
Dunque vinti cedono e rinunciano a resistere. E così. presa la piazzaforte, il
re incarica i suoi e così riconduce l’esercito a Laon; dispone l’assedio[319] in
luoghi adatti e riunisce grandi forze. Spessissimo si combatté da lontano; ci
si batté anche nove volte di seguito; ma l’assalto del re in quel tempo non
brillò per alcun successo dovuto alla fortuna favorevole. E di fatto erano
imminenti le intemperie dell’inverno: per cui in quel lasso di tempo[320] non
si potevano fabbricare macchine belliche, senza le quali non è possibile che si
espugni una tale elevazione di montagna. E così per ordine del re l’esercito
torna indietro, con l’intenzione di tornare, una volta passato l’inverno. Il re
poi si ritira a Reims senza scorta.
[85.][321] Ma
il duca Ugo, vilipendendo l’anatema dei vescovi e sprezzando di sottomettersi
al re, con molte truppe di Normanni assale la città regia di Soissons e la
preme con un grande assedio. E così, avendoli assaliti, uccide alcuni con la
spada, altri poi ferisce mortalmente con una nuvola di frecce e di baliste; e
avendo lanciato fuochi con i dardi incendia la sede della chiesa madre e il
chiostro dei canonici e con le fiamme brucia la maggior parte della città fino
al suolo. Non potendola prendere, inferocito volse il cammino verso il
distretto di Reims, dove allora il re dimorava senza scorta. Udendo del suo
arrivo quelli che vivevano in campagna si rifugiano con le loro cose nelle
chiese dei santi. Ma si narra che il tiranno, privo di misericordia per i
poveri della città, ne bruciasse dentro le chiese più di cinquecentosessanta; e
così si riporta nella propria sede.
[86.][322] Il
re Ludovico poi invia la regina Gerberga da Ottone suo fratello affinché gli
invii rapidamente truppe.[323] E
così ella parte nell’imminenza della festività pasquale e celebra la santa
Pasqua[324]
nel palazzo di Aquisgrana col fratello Ottone. Si riuniscono diversi principi
dalla Germania; dalla Belgica sono presenti tutti; e non mancano gli inviati
dei Greci, degli Italici, degli Angli e numerose ambasciate di altri popoli.
Dunque la regina, avendo tenuto consiglio con il fratello e avendo da lui
ricevuto la promessa di un aiuto, rassicurata ritorna dal re Ludovico.
[87.] Ma Ludovico, arrabbiato col tiranno, per troppa agitazione
d’animo meditava di agire prima dell’aiuto di Ottone. E in effetti valutava che
nel corso di una lunga attesa dell’esercito l’ingiuria apparisse non vendicata.
E così si riunisce a consiglio con mio padre, in quanto questi era un suo
vassallo, adatto ai consigli, ricco insieme di facondia e di audacia; per cui
il re lo frequentava molto e con lui si consultava moltissimo. Suggeriva dunque
mio padre al re e ai pochi che erano presenti questo schema per prendere Laon:
in primo luogo diceva che avrebbe osservato l’opportunità e segnalava che
avrebbe esplorato con la massima cura se la disposizione dei luoghi si prestasse
e se i cittadini fossero molto attenti nella vigilanza della città; quindi
diceva che avrebbe disposto efficacemente ogni cosa e l’avrebbe condotta a
effetto così vantaggiosamente che dopo di lui a nessuno sarebbe stato lasciato
qualcosa da aggiungere a causa di un lavoro non completato.
[88.] Dunque mentre il re dimorava a Reims per qualche giorno,
Rodolfo[325]
– così infatti era detto mio padre – per mezzo dei suoi esplorava
la possibilità di compiere l’azione; e avendo inviato spie apprese che i palafrenieri
dei cittadini tutti i giorni uscivano dalla città all’ora del tramonto in
cinquanta o in sessanta e riportavano in città fasci di foraggio, con le teste
coperte per l’ardore del sole, e ciò ogni giorno e alla stessa ora. Quando ciò
fu riferito dagli osservatori a mio padre, egli comprese che con una manovra
simile era possibile ingannarli. Dunque si reca dal re e così, con pochissimi
presenti, gli comunica ciò che ha pensato, dicendo:
[89.] “Sembrerebbe gran cosa, o re, se quest’impresa dovesse essere
tentata soltanto con le armi e con le forze. Ma poiché, come a me sembra,
l’opportunità suggerisce di affrontare il suo inizio con l’astuzia, bisogna
disporre alcune coorti lungo il monte in nascondigli. Bisogna anche aspettare
in quale momento i palafrenieri conducano i cavalli a fare erba e a bere. A suo
tempo, quando costoro saranno usciti e la loro uscita e il loro numero verranno
riferiti a noi dalle spie, subito dei giovani sceltissimi nello stesso numero,
con la stessa foggia d’abito e lo stesso numero e con le teste coperte come
quelli, dovranno portare foraggio sui cavalli alla porta dalla quale poco prima
erano usciti i palafrenieri, come se i palafrenieri stessi ritornassero. Poiché
essi potranno nascondere l’aspetto grazie all’altezza dei fasci, entreranno
nella città con facile ingresso. E, affinché non sospettiate che sia stato
detto da me qualcosa di impossibile,[326] mi
offro come loro comandante in questo combattimento. Soltanto, essi siano fermi
d’animo. Il risultato poi se Dio vorrà sarà favorevole. Se poi i cittadini si
accorgeranno dell’inganno più rapidamente e faranno guerra a noi che siamo in
minor numero, ci sia fermo nell’animo soltanto di difendere l’entrata della
porta fino a quando le coorti sollecitate dal clamore delle trombe ci vengano
in soccorso, oppure di morire coraggiosamente con grande fermezza nel luogo che
ciascuno avrà occupato.”
[90.][327] Un
piano di tal fatta appare a tutti adeguato. E così le spie inviate riferiscono
assai prontamente le abitudini dei palafrenieri e il loro abito, e anche il
tempo e il numero. E a seguito del loro rapporto vengono collocate coorti in
nascondigli lungo il monte. E soldati in numero pari a quello dei palafrenieri
vengono inviati con mio padre dopo aver giurato di portare a termine l’impresa.
E così i palafrenieri in numero di sessanta, prese le armi, con le teste
coperte scendono per il foraggio secondo il solito costume per i fianchi del
monte e, occupati a raccogliere carici, per qualche tempo tardano a ritornare.
Ma mio padre, e quelli che erano con lui avendo giurato, avanzano con animo
impetuoso; e messisi in marcia con le teste coperte al modo dei palafrenieri,
affrettano più rapidamente il ritorno con i fasci di foraggio, nascondendo
completamente i volti grazie alla grandezza dei fasci. La porta viene aperta
per loro che arrivano, ed entrano indivisi in città. E così gettano i fasci e
tirano fuori le spade, suonano le trombe e turbano la città con grandi clamori.
I cittadini dunque, rendendosi conto dell’inganno, si portano con le armi
contro i nemici. Accorrono tutti e con grande determinazione in molti attaccano
i pochi. Ma i soldati del re erano protetti a sinistra dalla torre, a destra
poi dalle case, dietro invece dal muro della città, avendo davanti tutta la
violenza dello scontro, per cui combattevano con maggior protezione. E non
osavano avanzare ulteriormente contro i nemici, cosicché gli avversari non
raggiungessero nuovamente da dietro la porta invasa ed essi trovandosi in mezzo
ai nemici perissero. E così ciascuno sta fermo nel posto che occupa. E già
tutti troppo feriti quasi cedevano, quando le coorti del re richiamate dalle
trombe vengono fuori dai nascondigli e con grande impeto vengono in aiuto a
quelli già quasi vinti ed entrano nella porta difesa e attaccano i cittadini
con grandissima strage. Questi subito furono vinti e catturati dalle coorti, ad
eccezione di pochi che si rinchiusero nel presidio della torre[328].
[91.][329]
Dunque il re Ludovico impadronitosi della città, non potendo conquistare la
torre con nessun assalto, la isola dalla città circondandola con un muro
interno. Il duca, apprendendo che ciò era accaduto, accorre con l’esercito. Ma
non riuscendo a esibire nessuna forza, ritornò nelle proprie sedi non senza
afflizione. Si narra che la sola cosa che fece fu mandare truppe alla
cittadella.
[92.][330] Era
giunto il tempo nel quale il re attendeva le truppe da re Ottone. Si presenta
dunque il duca Corrado[331] con
un esercito da tutta la Belgica[332],
mandato dal re Ottone. Il re Ludovico poi con l’esercito dalla Belgica entra
nella terra del duca. In primo luogo poi va verso la città di Senlis. Volendo
avere là il primo scontro, rimuove dalla città tutti gli ostacoli. E così
incendia il sobborgo tutt’intorno e rade al suolo qualunque cosa apparisse
trovarsi all’esterno; stabilisce l’assedio e circonda la città. Da entrambe le
parti si combatte con aspri scontri; e da entrambe le parti molti vengono
feriti. I Belgi poi, poiché erano fortemente attaccati dai cittadini con le
balestre[333],
rinunciano a resistere. Infatti non avevano nulla con cui contrastare se non
soltanto la testuggine di scudi. Per cui per ordine del re se ne vanno da
quella città, non solo per l’attacco delle balestre, ma anche per la
fortificazione di numerose torri.
[93.][334] E
così volgono altrove il cammino e perseguitano terribilmente ogni cosa che
risulti del duca per quaranta miglia fino al fiume Senna. Ma poiché il fiume
impediva l’ulteriore spedizione del re, il re rese grazie all’esercito e lo
ricondusse con sé fin dove si separò da lui. Il duca invece raccolto subito un
esercito lo condusse nel distretto di Soissons.
[94.][335]
Mentre là egli si impegnava contro il re, poiché intercessero i vescovi Guido[336]
d’Auxerre e Ansegiso[337] di
Troyes, la loro resa dei conti fu differita fino a Pasqua[338] con
una tregua, avendo entrambi prestato giuramento. Tutto ciò si svolse nel mese
di luglio[339].
[95.][340] In
quel tempo si tenne anche un sinodo a Roma nella basilica di san Pietro
apostolo sotto la presidenza del signor papa Agapito. In esso lo stesso signor papa
confermò davanti ai vescovi d’Italia il concilio tenuto l’anno precedente a
Ingelheim e stabilì che fosse da loro confermato. E anch’egli stesso condanna
Ugo, duca delle Gallie, condannato nel suddetto sinodo, fino a quando dia
soddisfazione al suo re oppure venga a Roma per giustificarsi; e subito un
anatema redatto e sottoscritto dal sinodo viene inviato ai vescovi delle
Gallie.
[96.][341] E
così i vescovi delle Gallie scossi dall’anatema si riuniscono[342]
presso il duca e quindi si rammaricano assai gravemente, mostrando al duca
sulla base dei decreti dei padri e dei sacri canoni che nessuno deve
contrastare ostinatamente il proprio signore né ardire di intraprendere
alcunché contro di lui. E mostrano anche con la massima evidenza che secondo
l’Apostolo[343]
il re deve essere onorato, e asseriscono che non solo il re ma ogni potestà
superiore deve dominare i subordinati; oltre a ciò affermano anche che è
pericolosissimo vilipendere ostinatamente un anatema apostolico, poiché questo
è una spada che penetra il corpo fino all’anima e così respinge i colpiti dal
regno degli spiriti beati. Gli fanno presente che sarebbe pericoloso anche per
loro, se per negligenza non rendessero noto ciò che arreca pericolo alle anime.
[97.][344] Il
duca persuaso da tali affermazioni, chiede umilmente al re di riconciliarsi e
promette di rendergli soddisfazione. Gli organizzatori di questo accordo e
della pace furono il duca Corrado e Ugo detto il Nero, e i vescovi Adalbéron e
Fulberto.[345]
E nel giorno stabilito il re e il duca si incontrano ed essendosi parlati lungo
il fiume Marna, con i principi predetti come intermediari, ritornarono in somma
concordia con grande benevolenza. E quanto più violentemente in precedenza si
erano maltrattati, tanto più d’allora in poi si trattarono con amicizia. E così
il duca Ugo diventa uomo del re per imposizione delle mani e per giuramento e
rende al re la torre di Laon evacuata dai suoi, promettendo che da quel momento
in poi manterrà una grande fedeltà.
[98.][346]
Dunque per ordine regio prepara per il re un esercito in Aquitania. Raccolto
questo in breve tempo il re conduce l’esercito con sé nella parte interna della
Borgogna poiché le circostanze lo richiedevano. Avendo dunque fissato
l’accampamento nel territorio di Mâcon[347] si
presentò a lui Carlo Costantino[348],
principe della città di Vienne[349], e
divenne suo uomo, impegnandosi alla fedeltà con un giuramento. Costui era in
verità nato da stirpe regale, ma era sminuito da un’ascendenza bastarda fin dal
trisavo, era un uomo anziano e intensamente logorato da molti fatti di guerra e
che nei precedenti conflitti con i pirati molte volte aveva brillato di gloria
in scontri fortunati. Venne anche Stefano[350],
presule[351]
degli Alverniati, e si sottomise al re; anche da Guglielmo principe degli
Aquitani furono inviati ambasciatori solerti per offrire da parte del proprio
principe il giuramento di impegnarsi alla fedeltà. Dopo che a costoro furono
trasmessi gli ordini reali, il re insieme al duca condusse l’esercito[352]
nella città di Besançon[353],
che è la capitale dei Genauni, situata nelle Alpi, davanti alla quale scorre il
Doubs[354].
E là Letaldo[355]
principe della medesima città passò con giuramento al suo servizio.
[99.][356]
Avendo felicemente e vantaggiosamente regolato questi affari, poiché avanzando
l’autunno[357]
venne un cambiamento del tempo, il re, ammalatosi al fegato, cadde in preda di
una febbre acuta. Poiché dunque, tormentato dalla malattia, non poteva curare
le questioni militari, il duca, da lui comandato, condusse indietro l’esercito.
Il principe Letaldo poi nella stessa malattia del re servì il sovrano assai
fedelmente e umanamente. Ma, giunto disugualmente il giorno critico dopo
l’inizio della febbre, entrò in convalescenza saldamente e senza ricadute, e
trascorsi trenta[358]
giorni dopo la guarigione del corpo egli tornò in Francia col principe Letaldo.
[100.][359] E
quando già raggiungeva i confini della Borgogna dal resoconto dei viaggiatori
apprese che certi che infestavano la provincia con latrocini e incursioni, cioè
Angelberto[360]
e Gozberto[361],
avevano costruito una fortezza che era chiamata Brienne[362],
nella quale si rinchiudevano dopo le azioni criminose. Dunque il re, avendola
assalita, la circonda con l’assedio:; e la spossa con il continuo combattimento
e con la fame; e infine la prende, e la distrugge fino al suolo. Ai briganti
poi, giacché lo richiede Letaldo, permette di andarsene con un giuramento.
[101.][363] Nel
frattempo[364]
mentre il re era ancora trattenuto nel territorio della Borgogna, la regina
Edgiva sua madre, a sua insaputa, si sposò con il conte Eriberto[365] e,
lasciata la città di Laon, fu da lui condotta via. Il re fortemente indignato
per ciò si affretta a ritornare ed entra in Laon con la regina Gerberga sua
moglie; e confiscando alla madre i domini e i palazzi reali li affida alla
moglie.
[102.][366] Nel
frattempo la regina Gerberga a Laon mette al mondo due gemelli, dei quali uno
viene chiamato Carlo[367],
l’altro Enrico[368]. Ma
Enrico muore in fasce subito dopo aver ricevuto il santo battesimo. Carlo
invece cresce con naturale vigore di forze.
[103.][369]
Ludovico poi, tornando da Reims, mentre si avvicinava al fiume Aisne, vide nei
campi un lupo che lo precedeva. Inseguendolo con il cavallo lanciato al galoppo
si getta per vie traverse. Impaziente volgeva il cavallo in quasi tutte le
direzioni, e non accettava di fermarsi finché non avesse vinto il fuggitivo con
il combattimento equestre. Ma il cavallo forzato a vie impraticabili inciampò
in una zolla e cadde. Il re poi, gravissimamente ferito per la caduta e
raccolto dai suoi, con grande dolore di tutti viene trasportato a Reims. E così
era tormentato in tutto il corpo da crudeli dolori; e dopo una lunga malattia
con le viscere internamente corrotte per l’eccesso di umori, viene invaso
miseramente in tutto il corpo dalla malattia dell’elefantiasi. Afflitto ancora
a lungo da questa, nel diciottesimo anno del suo regno e nel trentaseiesimo[370]
dalla nascita chiuse il giorno estremo della vita e fu sepolto nel cenobio dei
monaci di san Remigio, che dista circa un miglio dalla città, con molti lamenti
di tutti.
[1] Nei capitoli 1-4 R. amplifica, con finalità
prevalentemente letteraria, la breve narrazione di Flodoard
[2] Ludouicus (fr. Louis), Ludovico IV
d’Oltremare (10.IX.921†10.IX.954), re di Francia (936-954), figlio di Carlo III
e di Edgiva, figlia di Edoardo I l’Anziano re di Mercia, trascorse l’infanzia
in Inghilterra alla corte del nonno e dello zio
[3] Adelstanus, Aedelstanus (Athelstan)
(†27.X.939), primo re di tutta l’Inghilterra (2.VIII.924-939), figlio di
Eadweard I l’Anziano (†924) e fratellastro di Edgiva (Eadgifu) e di Eadmund
[4] Fonte: Flodoard, Annales, anno 936
[5] Roberto I
[6] Carlo III il Semplice
[7] Qui R. ha cancellato la frase “proclamano
che Ludovico deve essere richiamato”
[8] Morinum (Thérouanne) nel
testo, ma inserito come correzione a Bononia (Boulogne) che
effettivamente, a differenza di Thérouanne, si trova sul mare
[9] Euruich nel testo, città
dell’Inghilterra centro-orientale, in realtà in mano ai Danesi dall’866 al 954
[10] Fonte: Flodoard, Annales, anno 936
[11] Bononia nel testo (dép.
Pas-de-Calais), città e porto sulla Manica
[12] Dettaglio inverosimile, frutto della
fantasia di R. e della sua scarsa conoscenza dei luoghi
[13] “ai Galli che lo aspettavano” è una nota
aggiunta
[14] Fonte: Flodoard, Annales, anno 936
(con numerosi dettagli aggiunti da R. e non documentati)
[15] “abate” nella redazione originaria
[16] Odo (ing. Odo/Oda) (†2.VI.958/9),
santo, vescovo di Ramsbury (923/7-942), arcivescovo di Canterbury (942-958/9)
[17] Canthorbricensis nel testo
[18] “nelle Gallie” è una nota aggiunta
[19] Nella redazione originaria era scritto “le
rimise al conte Eriberto; e anche quello fece da armigero fintantoché egli
stesso, ricevutone l’ordine, le rimise al conte Arnolfo. E così con i magnati
delle Gallie al suo servizio”
[20] “a quindici anni” è una nota aggiunta
[21] Il 19 giugno 936
[22] “insieme a venti vescovi” è una nota
aggiunta
[23] Fonte: Flodoard, Annales, anno 936
[24] Burgundia nel testo, regione storica
della Francia centro-orientale
[25] Hugo (fr. Hugues), Ugo il Nero
(†952), duca di Borgogna, figlio di Riccardo e fratello di Rodolfo re
[26] Lingonica urbs nel testo (dép.
Haute-Marne); sede vescovile (prov. Lyon)
[27] In realtà secondo altre fonti la città si
arrese senza assedio
[28] Heiric vescovo di Langres (v.934-943/8)
[29] Fonte: Flodoard, Annales, anno 937
[30] Ethgiua (fr. Ogive, ingl. Eadgifu)
(†v.951), figlia di Eadweard I re di Mercia e moglie di Carlo III il Semplice
[31] Fonte: Flodoard, Annales, anno 937
[32] Uualo (fr. Walon)
[33] Castrum Teoderici nel testo (dép.
Aisne), cittadina sulla Marna, 50 Km a SO di Reims, sulla strada per Parigi
[34] Hungari nel testo, popolo nomade, che
fece numerose scorrerie in tutta l”Europa centrale nel corso della prima metà
del X secolo, fino a quando, sconfitto a Lechfeld nel 955 da Ottone I, si
stanziò nell’area dell’attuale Ungheria
[35] Fonte: Flodoard, Annales, anno 938
[36] Montiniacum nel testo (dép. Aisne,
arr. Soissons, cant. Vic-sur-Aisne)
[37] Serlus (fr. Serle)
[38] Guiso nel testo (dép. Pas-de-Calais,
arr. Calais); l’identificazione non è certa, forse Wissant (dép. Pas-de-Calais)
[39] Arnulfus (fr. Arnoul, ted. Arnulf)
(v.889†27.III.964/5), Arnolfo I conte di Fiandra (918-964/5), figlio di
Baldovino II, sposò Adele (910/5†10.X.960), figlia di Eriberto II di Vermandois
[40] Causostis nel testo (dép. Marne, arr.
Reims, cant. Ay, com. Mareuil), sulla Marna, 23 Km a S di Reims
[41] Fonte: Flodoard, Annales, anno 938
[42] Fonte: Flodoard, Annales, anno 938
[43] Fonte: Flodoard, Annales, anno 939
[44] Erluinus (fr. Hélouin) (†945), (II)
conte di Montreuil, figlio di Ildegaudo, conte di Ponthieu, citato in [I.51]
[45] Monasteriolum nel testo (dép.
Pas-de-Calais)
[46] Non v’è alcuna evidenza documentaria di
quest’indicazione di R.
[47] Fonte: Flodoard, Annales, anno 939
[48] Fonte: Flodoard, Annales, anno 939
[49] Uuilelmus (fr. Guillaume), Guglielmo Lungaspada
(v.905†942), figlio di Rollone
[50] Fonte: Flodoard, Annales, anno 939
[51] Fonte: Flodoard, Annales, anno 939
[52] Fonte: Flodoard, Annales, anno 939
[53] R. sembra qui interpretare arbitrariamente
il testo di Flodoard, che non accenna a nessuna rivolta
[54] Riferimento geografico da associarsi
probabilmente all’incontro di Ludovico con Ugo in Alsazia (cap. 17)
[55] Fonte: Flodoard, Annales, anno 939
[56] Elisatius pagus, regione storica
della Germania (oggi Francia), tra il Reno e i Vosgi
[57] Ugo il Nero duca di Borgogna
[58] Cisalpinus, riferimento geografico
peraltro improprio se riferito a Ugo il Nero
[59] Otto (fr. Otton, ted. Otto), Ottone I
il Grande (912†7.V.973 Memleben), re di Germania (936-973) e imperatore del
S.R.I. (2.II.962), figlio di Enrico I re di Germania e di Matilde di
Ringelheim, fratello di Gerberga regina di Francia e di Brunone arcivescovo di
Colonia e duca di Lorena, sposò in prime nozze Editha di Wessex e in seconde
nozze (951) Adelaide di Borgogna, regina d’Italia, dalla quale ebbe Ottone II
[60] Theodericus (fr. Thierry, ol. Dirk),
Dirk II (†988), conte d’Olanda, marito di Ildegarda, figlia di Arnolfo di
Fiandra
[61] Isaac, conte di Cambrai (908-946),
genero di Rodolfo di Cambrai fratello di Baldovino II di Fiandra
[62] Ludovico IV era a Laon nell’agosto 939
[63] Rodulfus (fr. Raoul), Rodolfo II
(†948), vescovo di Laon (936-948)
[64] Fonte: Flodoard, Annales, anno 939
(Questa prima spedizione di Ottone avvenne nella primavera del 939)
[65] Sclavi nel testo
[66] Fonte: Flodoard, Annales, anno 939
[67] La battaglia di Andernach si svolse il 2
ottobre 939
[68] Gerberga fu consacrata regina da Artaud
arcivescovo di Reims (Flodoard, Hist.Rem.Eccl., IV, 35)
[69] Fonte: Flodoard, Annales, anno 940
[70] Ambianensis pagus nel testo (dép.
Somme); sede vescovile (prov. Reims)
[71] In realtà a Rollone
[72] Fonte: Flodoard, Annales, anno 940
[73] Vedi al cap. 8
[74] Secondo Flodoard con l’aiuto del re
sopraggiunto nel corso dell’assedio
[75] Fonte: Flodoard, Annales, anno 940
(maggio/luglio)
[76] Ugo il Grande
[77] Auenniacensis nel testo (dép. Marne,
arr. Reims, cant. Ay), località situata 20 Km a S di Reims; l’abbazia
benedettina fu rasa al suolo al tempo della Rivoluzione
[78] Sanctus Basolus nel testo (dép.
Marne, arr. Reims, comm. Verzy), abbazia distrutta, 15 Km a SE di Reims
[79] Fonte: Flodoard, Annales, anno 940
(luglio/agosto)
[80] Fonte: Flodoard, Annales, anno 940
[81] Campania nel testo, regione storica
della Francia nord-orientale
[82] Nella prima redazione compariva “Eriberto e
Ugo”, poi sostituito da “i tiranni”
[83] Uuido (fr. Gui), Guido I, vescovo di
Soissons (937-966/85), figlio di Folco I d’Anjou
[84] Settembre/ottobre 940
[85] Fonte: Flodoard, Annales, anno 941
[86] Sinodo del 28 marzo 941
[87] Crispinus et Crispinianus (fr. Crépin
et Crépinien)
[88] Probabilmente il 4 aprile 941
[89] Arnoldus (fr. Ernaud), castellano di
Douai
[90] Landricus (fr. Landri)
[91] Fonte: Flodoard, Annales, anno 941
[92] Anche qui nella prima redazione compariva
“Eriberto e Ugo”
[93] Porcensis pagus nel testo (dép.
Ardennes), circa 35 Km a NE di Reims
[94] “Laon” è una correzione inserita al posto di
“Reims” che compariva nella prima redazione
[95] Secondo Flodoard si trattava
dell’arcivescovo Artaud e di Ruggero II conte di Laon
[96] Altus mons nel testo (dép. Ardennes,
arr. Mezières), località situata 65 Km a NE di Reims, non citata da Flodoard in
questo contesto, ma da lui ricordata all’anno 943 come fortezza contesa da Ugo
e Arnaud
[97] Fonte: Flodoard, Annales, anno 942
[98] Damasus, secondo Flodoard ordinato
vescovo a Roma dal papa al fine di compiere questa missione
[99] Stephanus, Stefano VIII (IX) (†942),
papa (14.VII.939-X.942); successe a Leone VII (3.I.936-13.VII.939)
[100] Fonte: Flodoard, Annales, anno 942
[101] Rotgerus/Rotgarius (fr. Roger),
Ruggero II (†942) conte di Laon (927-942), figlio di Ruggero I (†926) e di
Heiluidis
[102] Uuilelmus (fr. Guillaume), Guglielmo
III Testa di Stoppa (†30.IV.963/4), duca d’Aquitania (935-963/4)
[103] “Aquitani” è una correzione per “pirati”,
che compare nella prima redazione
[104] Alanus (fr. Alain), Alain II
Barbetorte (†952), duca di Bretagna
[105] Isara nel testo, fiume della Francia
settentrionale, affluente di destra della Senna, lungo 302 Km
[106] Particolare inventato da R.
[107] Fonte: Flodoard, Annales, anno 942
[108] Gerberga (vedi cap. 19)
[109] Qui R. ha cancellato “duca dei Galli”
[110] Qui R. ha cancellato “coperto di cuscini e
di ogni altra cosa necessaria”
[111] Nella redazione originaria era scritto
“simulando a Guglielmo col massimo impegno benevolenza”
[112] Nella prima redazione R. aveva scritto:
“irritato manifestava indignazione per l’ingiuria che gli era stata fatta da
Guglielmo, quando era stato da lui costretto ad alzarsi dal letto”
[113] Summa nel testo, fiume della Francia
settentrionale, lungo 245 Km; il riferimento è aggiunto a margine
[114] Frase rimaneggiata da R.
[115] Fonte: Flodoard, Annales, anno 943.
Ma l’episodio colpì profondamente i contemporanei e diede luogo a narrazioni
dai toni leggendari, tra cui in particolare un compianto (Planctus) in
versi latini che anche R. potrebbe aver conosciuto
[116] Pinchinea insula nel testo (dép.
Somme, arr. Amiens)
[117] Il 16 o il 17 dicembre 942
[118] Fonte: Flodoard, Annales, anno 943
[119] Gennaio/febbraio 943
[120] Sprota (nome incerto, attestato solo nella
seconda metà dell’XI secolo)
[121] Richardus (fr. Richard), Riccardo I
(†996) duca di Normandia (943-996)
[122] Fonte: Flodoard, Annales, anno 943
[123] Setrich, capo normanno di origine
scandinava
[124] Thurmodus
[125] Nota aggiunta a margine
[126] Questa frase è aggiunta a margine
[127] R. aveva prima scritto 4.000, poi aggiunto
sopra la riga 5.000, infine riscritto a margine 9.000
[128] Compendium nel testo (dép. Oise),
sede di un palazzo reale
[129] Fonte: Flodoard, Annales, anno 943
[130] Fonte: Flodoard, Annales, anno 943
[131] 23 febbraio o 30 marzo 943
[132] Sanctus Quintinus nel testo (dép.
Aisne), cittadina del Vermandois
[133] Eude (915†d.946), Eriberto (926/8†980/4),
Adalberto (931/4†987) e Roberto di Troyes (931/4†d.966), oltre al già
menzionato Ugo
[134] Fonte: Flodoard, Annales, anno 943
[135] Fonte: Flodoard, Annales, anni 943 e
944
[136] Verso la fine del 943
[137] Matilde (943†981/92), che sposerà Corrado
(†993) re di Borgogna
[138] Qui R. ha cancellato “di Francia”
[139] Nivernica urbs nel testo (dép.
Nièvre); sede vescovile (prov. Sens)
[140] Ragemundus (fr. Raimond):
Raimondo-Pons III (†940/4) di Tolosa o Raimondo (†960/1), conte di Rouergue,
figlio di Ermingaudo citato in [I.64]
[141] Vi si trovava tra il 7 e il 10 luglio 944
[142] Fonte: Flodoard, Annales, anno 944
[143] “promettendo che” è un’aggiunta rispetto
alla prima redazione
[144] Fonte: Flodoard, Annales, anno 944
[145] Mons Martirum nel testo, quartiere di
Parigi
[146] Berengarius (fr. Bérenger), Juhel II
Bérenger (†965/77) conte di Rennes
[147] Namtae nel testo (dép.
Loire-Atlantique); sede vescovile (prov. Tours); ma Flodoard cita invece Dol
[148] Fonte: Flodoard, Annales, anno 944
[149] Arcae nel testo (dép. Seine-Maritime,
arr. Dieppe, cant. Offranville)
[150] “costretto” è un’aggiunta rispetto alla
prima redazione
[151] Fonte: Flodoard, Annales, anno 945
[152] Bernardus (fr. Bernard) (v.875†d.945)
conte di Senlis, (figlio di Guido conte?), nipote (da figlio o figlia) di
Pipino di Vermandois (†28.I.893), e quindi cugino di Eriberto II di Vermandois
[153] Silletensis nel testo
[154] Teutboldus (fr. Thibaud) (†975/7),
conte di Blois e Chartres, visconte di Tours
[155] La Pasqua cadde il 6 aprile 945
[156] Fonte: Flodoard, Annales, anno 945
[157] Bernardus, Bernardo conte (?) di
Rethel, ma l’identificazione è incerta; per altri conte di Beauvais
(†d.10.XI.949)
[158] Theodericus (fr. Thierry), secondo
Flodoard è nipote del precedente Bernardo, e nel 949 assedia Omont
[159] Fonte: Flodoard, Annales, anno 945
[160] Ragenaldus (fr. Renaud) (†967), conte
di Roucy
[161] “per udire le spiegazioni” è un’aggiunta
rispetto alla prima redazione
[162] Il 1 luglio 945; peraltro R. forza
l’indicazione di Flodoard (verso la festa di S. Giovanni, 24 giugno)
[163] Fonte: Flodoard, Annales, anno 945
[164] Theotilo (fr. Théotolon)
(†28.IV.945), arcivescovo di Tours (932-945)
[165] Sanctus Iulianus, abbazia di Tours
[166] Fonte: Flodoard, Annales, anno 945
[167] Hagroldus, comandante normanno di
Bayeux
[168] “da quello che l’invitava” è un’aggiunta
[169] Lo scontro avvenne sulle sponde della Dive,
nei pressi di Corbon-en-Auge (Calvados)
[170] Il 13 luglio 945
[171] Fonte: Flodoard, Annales, anno 945
[172] Qui R. ha cancellato “al duca diffidente”
[173] Carlo (945†av.953)
[174] Lotario (nato nel 941) e Carlo (945†av.953);
gli altri figli (Ludovico e i gemelli Carlo ed Enrico) nacquero più tardi
[175] “del padre e” è un’aggiunta rispetto alla
prima redazione
[176] Fonte: Flodoard, Annales, anno 946
[177] Edmundus (ingl. Eadmund/Edmund)
(†946), re d’Inghilterra (939-946), figlio di Eadweard I.; non è citato a
questo punto nella prima redazione, mentre viene menzionato in una correzione
successiva
[178] Fonte: Flodoard, Annales, anno 945
[179] L’inciso “in parte è d’accordo” è aggiunto
in una nota a margine
[180] Fonte: Flodoard, Annales, anno 946
(Il discorso è invece un’imitazione del discorso di Micipsa in Sallustio, Bellum
Iugurthinum 10, 1 e di brani da Coniuratio Catilinae 44, 5
[181] Qui R. ha cancellato la frase “In che modo
infatti può restar su colui che la stupidità fa precipitare?”
[182] Maggio/giugno 946
[183] Conradus/Chonradus/Conrhadus (fr.
Conrad, ted. Konrad), Corrado il Pacifico (†993), re di Borgogna (Giurana)
(937-993), figlio di Rodolfo II re di Borgogna e fratello di Adelaide regina
d’Italia e moglie di Ottone I imperatore
[184] Genauni nel testo, un popolo delle
Alpi Retiche, che R. connette arbitrariamente ed erroneamente a Genève
[185] Fonte: Flodoard, Annales, anno 946
[186] Ottone I si trovava a Reims il 19 settembre
946
[187] “per sette volte” è un’aggiunta a margine
[188] Fonte: Flodoard, Annales, anno 946
[189] Qui R. ha cancellato “senza che i suoi lo
sapessero”
[190] Flodoard nomina Arnolfo I di Fiandra,
cognato dell’arcivescovo Ugo, Udo I (†12.XII.949) conte di Wetterau, che aveva
sposato (v.915) Cunegonda(?) sorella di Eriberto II, ed Ermanno (†10.XII.949),
duca di Svevia e fratello di Udo
[191] Fonte: Flodoard, Annales, anno 946
[192] Fridericus (†25.X.954), arcivescovo Maguntinus
(937-954)
[193] Rotbertus (†19.V.956),
arcivescovo Treuerensis (931-956)
[194] Silletum/Siluanectis nel testo (dép.
Oise)
[195] Narrazione leggendaria, da accostarsi
probabilmente all’analoga vicenda riportata più tardi (v.1100) nella Chronica
de gestis consulum Andegavorum.
[196] R. ha qui cancellato la frase “Si dice che ciò
fu escogitato dall’astuzia del conte Bernardo”
[197] “dall’altra [riva]” è una nota aggiunta a
margine
[198] Qui R. ha cancellato “di notte”
[199] Fonte: Flodoard, Annales, anno 946
[200] Aurelianis nel testo (dép. Loiret);
sede vescovile (prov. Sens)
[201] Fonte: Flodoard, Annales, anno 946
(ma Flodoard si limita a riferire della morte di Deroldo)
[202] Deroldus (fr. Deroud), vescovo
d’Amiens (929-946)
[203] Salernitanus: si tratta di uno dei
primi riferimenti (forse il primo in assoluto) all’esistenza di una tradizione
medica a Salerno, destinata a sfociare nella famosa Scuola Salernitana, che
godette di vastissima fama per diversi secoli
[204] R. aveva qui scritto, ma poi cancellato, il
nome Frederuna. La regina Frederuna (†916/7), figlia del conte
Teodorico, sorella di Matilde e del vescovo Bovone, fu la prima moglie di Carlo
III, che alla sua morte sposò Etgiva di Wessex
[205] Vocabolo tratto da Isidoro di Siviglia, che
con esso indica la potestas herbarum, id est vis et possibilitas
[206] impudicus nel testo
[207] auricularis nel testo
[208] salutaris nel testo
[209] Nella prima redazione R. aveva scritto “lo
guarì quasi completamente dalla forza del veleno”
[210] Fonte: Flodoard, Annales, anno 947
[211] Mosomum nel testo (dép. Ardennes,
arr. Sedan), sulla sponda destra della Mosa, quindi in Lotaringia
[212] Gibuinus/Gipuinus/Gubuinus (fr.
Giboin) (†v.998), vescovo di Châlons (947-v.998), figlio di Ugo conte di Dijon
e fratello di Riccardo di Dijon e di Ugo conte d’Atuyer
[213] Fonte: Flodoard, Annales, anno 947
[214] L’11 aprile 947
[215] Aquisgranum nel testo (fr. Aix-la-Chapelle,
ted. Aachen), capitale imperiale (Germania)
[216] Fonte: Flodoard, Annales, anno 947
[217] Nella prima redazione “il decimo”
[218] Flodoard non pone in relazione la fine
dell’assedio con il ritorno del re
[219] Fonte: Flodoard, Annales, anno 947
[220] Kara nel testo, fiume della Francia
nord-orientale, affluente di destra della Mosa, lungo 112 Km
[221] Errore di R.: in realtà Flodoard parla
dell’inizio di agosto
[222] Fonte: Flodoard, Annales, anno 947
[223] Tetbaldus (fr. Thibaud), vescovo
d’Amiens (947-949, poi di nuovo 972-975, dopo la morte di Ragembaldo)
[224] Duodeciacum nel testo (dép. Ardennes,
arr. Sedan, cant. Mouzon)
[225] Fonte: Flodoard, Annales, anno 947
[226] Qui R. ha
cancellato “dalla sede arcivescovile”
[227] Il 17 novembre 947 (XV Kal.Dec.);
anche in questo caso R. interpreta Flodoard
[228] Frase rimaneggiata da R.
[229] Fonte: Flodoard, Annales, anno 947
[230] Uirdunum nel testo (dép. Meuse); sede
vescovile (prov. Treviri)
[231] Adalbero (fr. Auberon, ted. Adalbero)
(†26.IV.962) vescovo Mettensis (929-962), figlio di Wigeric e Cunegonda
[232] Gauslinus (fr. Josselin, ted.
Gauzlin), vescovo Tullensis (922-7.IX.962)
[233] Hildeboldus, vescovo Mimegarduurdensis
(941/7-967/9)
[234] Israhel Brittigena, vescovo di
origine celtica, di sede sconosciuta, morto monaco a St.Maximin di Treviri
(d.947)
[235] Bruno (fr. Brunon, ted. Brun)
(v.925†11.X.965), abate (di Lauresheim?), poi arcivescovo di Colonia (953-965),
figlio di Enrico I e fratello di Ottone I imperatore, che gli affiderà il
governo della Lotaringia (953-959)
[236] Agenoldus (fr. Eginold, ted. Einold),
abate di Gorze (933-967/973)
[237] Odilo (fr. Odilon, ted. Odilo), abate
di Stablo (Stavelot) (937/8-953/4)
[238] Fonte: Flodoard, Annales, anno 947
[239] Il 13 gennaio 948 (Id. Ian.)
[240] Sanctus Petrus, presso Mouzon
[241] Treuericus nel testo
[242] “tramite un certo suo chierico” nella prima
redazione
[243] Agapitus, Agapito II (†955), papa
(946-955); successe a Marino II (30.X.942-VI.946)
[244] Trascritta nei Regesta Imperii
[245] Concilio del 419: Canones in causa
Apiarii cap.19
[246] 1 agosto 948 (Kal. Aug.): termine poi
anticipato
[247] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
[248] Marinus, Ostiensis episcopus:
errore di R., in quanto in realtà era vescovo di Bomarzo (942-958)
[249] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
(R. ignora gli atti sinodali, trascritti in MGH Conc. 6, 1)
[250] In realtà il 7 giugno 948
[251] Nella prima redazione era scritto “vescovo”, poi sostituito con “suo vicario”
[252] Angleheim/Engleheim nel testo;
palazzo imperiale sul Reno, a O di Magonza, fatto costruire da Carlo Magno
[253] Uuicfridus, arcivescovo Coloniensis
(924-9.VII.953)
[254] Adaldacchus, vescovo Hammaburgensis
(937-988)
[255] Berengarius, vescovo Uirdunensis
(940/1-958/9?)
[256] Fulbertus, vescovo Cameracensis
(934-1.VII.956)
[257] Richoo, vescovo Uuarmacensis
(v.914-949/50)
[258] Reimboldus, vescovo Spirensis
(941-949/50)
[259] Boppo, vescovo Uuirzburgensis
(941-961)
[260] Chounradus, vescovo Constantiensis
(934-975)
[261] Odelricus, vescovo Augustensis
(923-973)
[262] Thethardus, vescovo Hildinesbeimsis
(928-954)
[263] Bernardus, vescovo Alfureestedensis
(923/4-968)
[264] Dudo, vescovo Poderbrunnensis (935-959/60)
[265] Lioptacus, vescovo Ribunensis
(947/8-?)
[266] Michahel, vescovo Radisponensis (940/4-972)
[267] Farabertus, vescovo Tungrensis
(947-28.X.953)
[268] Doddo, vescovo Osnebruggensis
(918/21-948/9)
[269] Euherus, vescovo Mindensis
(927/32-950)
[270] Baldricus, vescovo Treiectensis
(917/8-975)
[271] Heiroldus, vescovo Salzburgensis
(939/40-958)
[272] Adalbertus, vescovo Pazsoensis
(946/8-971)
[273] Starchandus, vescovo Eistetiensis
(933-966)
[274] Borath, vescovo Sleosuuicensis
(947/8-971/2)
[275] Uuichardus, vescovo Basiliensis
[276] Liefdach Ripuensis: R., ricopiando
Flodoard, copia anche l’errore di ripetizione del vescovo di Ribe
[277] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
[278] Questo preambolo non figura negli atti del
sinodo, ed è invenzione di R.
[279] “dai malevoli” è un’aggiunta
[280] Nella prima redazione era scritto “delle
Gallie”
[281] Frase rimaneggiata da R.
[282] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
(Il contenuto del discorso è tuttavia invenzione di R.)
[283] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
(Anche qui con molte invenzioni e incoerenze di R.)
[284] L’ultima frase a partire da “e chiese che” è
aggiunta a margine
[285] Qui R. ha cancellato “per un anno”
[286] Qui R. ha cancellato “due”
[287] Non v’è alcuna evidenza che questa lettera
sia stata effettivamente scritta; si tratta probabilmente di un’invenzione di
R., stimolata dalla richiesta relativa alle litterae vocationis
presentata al successivo sinodo di Treviri
[288] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
(Qui stranamente R. non utilizza la lettera di Artaud al sinodo riprodotta in
Flodoard, Hist.Rem.Eccl. IV, 35)
[289] Sigeboldus, diacono della chiesa di
Reims
[290] R. interpreta e modifica il testo di
Flodoard, travisandone il senso
[291] Hildegarius (fr. Augier), vescovo di
Beauvais (933-972/987)
[292] In realtà Guido e Ildegario non erano
presenti al sinodo
[293] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
[294] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948 (8
giugno)
[295] Si tratta di una lista di papi: Innocentius
I (402-417), Alexander I (105-115), Symmachus (498-514), Sixtus
(?), Celestinus I (422-432), Zosimus (417-418), Leo I
(440-461), Bonefacius II (530-532)
[296] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
(Ma con interpretazioni arbitrarie di R. relativamente ai temi in discussione)
[297] Illazione infondata di R.
[298] Sanctus Uincentius, abbazia nei
pressi di Laon; la città era a quel tempo occupata da Teobaldo di Blois
[299] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
[300] Chonradus/Conradus (ted. Konrad),
Corrado il Rosso (v.922†10.VIII.955 Lechfeld), duca di Lorena (944-953), figlio
di Werner conte di Worms, sposò Luitgardis figlia di Ottone I imperatore
[301] Dato senza fondamento, basato probabilmente
sull’illazione relativa alla data della riunione
[302] In realtà non erano presenti i vescovi
tedeschi
[303] I temi in discussione e le deliberazioni si
riferiscono in realtà al successivo sinodo di Treviri (ottobre 948)
[304] Tetbaldus, vescovo di Amiens, già
citato al cap. 64
[305] Iuo (fr. Yves), Ivo I vescovo di
Senlis (948-965/7)
[306] Adelomus (fr.Alleaume)
[307] Teobaldo di Blois
[308] Heribertus (fr. Heribert), Eriberto
III il Vecchio (926/8†980/4), conte di Meaux e Troyes, figlio di Eriberto II
[309] Uuicfridus (fr. Guifroi, ted.
Wicfrid), vescovo Morinensis (935-959)
[310] Transmarus (Transmar), vescovo Nouiomensis
(937/8-940/950)
[311] Siluester (fr. Silvestre), nome
citato solo da R.
[312] L’1 novembre 948
[313] Uuldense monasterium nel testo;
importantissima abbazia tedesca, sita in Franconia
[314] Rorico (fr. Rorgon) (†20.XII.976),
vescovo di Laon (949-976), figlio illegittimo di Carlo il Semplice
[315] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
(seconda metà di luglio)
[316] La specificazione “proprio al crepuscolo” è
una nota aggiunta
[317] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
[318] Mons Acutus nel testo (dép. Aisne,
arr. Laon, cant. Sissonne), località sita 35 Km a NO di Reims, 16 Km a E di
Laon
[319] Un assedio di Laon nel 948 non è attestato
dalle fonti coeve, e la notizia è forse frutto di un malinteso di R.
[320] L’espressione “in quel lasso di tempo”
figura in una nota aggiunta a piè di pagina
[321] Fonte: Flodoard, Annales, anno 948
(Ma R. come al solito ingigantisce le cifre)
[322] Fonte: Flodoard, Annales, anno 949
[323] Frase rimaneggiata da R.
[324] Il 22 aprile 949
[325] Ro(du)l(fus) (fr. Raoul), forse
castellano di Clastres (Lauer)
[326] Quest’inciso è aggiunto a margine
[327] Fonte: Flodoard, Annales, anno 949
(maggio/giugno)
[328] Questa torre, secondo Flodoard, era stata
fatta costruire dallo stesso Ludovico IV
[329] Fonte: Flodoard, Annales, anno 949
[330] Fonte: Flodoard, Annales, anno 949
(autunno)
[331] Presenza non attestata; secondo Flodoard era
invece presente Arnolfo di Fiandra
[332] “da tutta la Belgica” è una nota aggiunta
[333] arcobalista: è una delle prime
menzioni medievali di quest’arma
[334] Fonte: Flodoard, Annales, anno 949
[335] Fonte: Flodoard, Annales, anno 949
(ma il riferimento al mese di luglio è dovuto a R. ed è errato)
[336] Uuido (fr. Gui), vescovo Autisiodorensis
(933-6.I.961)
[337] Ansegisus (fr. Anseïs), vescovo Trecasinus
(914-960/970)
[338] Il 7 aprile 950
[339] Nella prima redazione era scritto “al tempo
d’agosto”
[340] Fonte: Flodoard, Annales, anno 949
[341] Fonte: Flodoard, Annales, anno 950
[342] Riunione non attestata dalle fonti coeve
[343] Vi sono qui due citazioni quasi letterali
dalle lettere di Pietro (1.Petr. 2, 17) e di Paolo (Rom. 13, 1)
[344] Fonte: Flodoard, Annales, anno 950
(gennaio-marzo)
[345] R. a differenza di Flodoard non parla del
viaggio di Ludovico oltre Mosa per cercare l’appoggio di Ottone
[346] Fonte: Flodoard, Annales, anno 951
[347] Matisconiensium ager nel testo (dép.
Saône-et-Loire)
[348] Karolus Constantinus (v.900†962),
conte di Vienne (926-962), figlio illegittimo di Ludovico il Cieco
[349] Uiennae nel testo (dép. Isère); sede
arcivescovile
[350] Stephanus (fr. Étienne), (II) vescovo
di Clermont (943-984?)
[351] Nella prima redazione R. aveva scritto
“principe”
[352] La spedizione di Ludovico IV nel regno di
Borgogna è del tutto inverosimile, ed è invenzione di R.
[353] Uesontium nel testo (dép. Doubs); sede
arcivescovile, sulla via Francigena
[354] Aldis Dubis nel testo, fiume della
Francia centro-orientale, affluente della Saône, lungo 430 Km
[355] Letoldus (fr. Liétaud) (†961), conte
di Mâcon
[356] Fonte: Flodoard, Annales, anno 951
[357] In realtà al principio del 951
[358] Nella prima redazione “venti”
[359] Fonte: Flodoard, Annales, anno 951
[360] Angelbertus (fr. Angebert/Engelbert)
(v.900†v.968/9), conte di Brienne
[361] Gozbertus (fr. Joubert), fratello di
Angelberto
[362] Briona (dép. Aube, arr.
Bar-sur-Aube), località situata 35 Km a E di Troyes, sulla via Francigena
[363] Fonte: Flodoard, Annales, anno 951
[364] L’indicazione cronologica è quasi certamente
inesatta, e incoerente col testo di Flodoard
[365] Eriberto III il Vecchio
[366] Fonte: Flodoard, Annales, anno 953
[367] Karolus (fr. Charles) (953†d.991),
duca di Lorena, competitore di Ugo Capeto per il regno di Francia
[368] Heinricus (fr. Henri)
[369] Fonte: Flodoard, Annales, anno 954
[370] In realtà il trentatreesimo: qui R. è in contraddizione
anche con se stesso (vedi cap. 5); tutta la nota cronologica è aggiunta a
margine