LIBRO III

 

 

[1.][1] Compiute le esequie, la regina Gerberga invia messaggeri ai suoi fratelli, il re Ottone e l'arcivescovo poi duca[2] Brunone, oltre che a Ugo[3], duca delle Gallie, per chieder loro di farsi garanti che suo figlio Lotario[4] succeda nel regno al padre morto. E così si recano da lei sotto la guida di Brunone tutti i magnati della Belgica, inviati dal re Ottone[5], e anche alcuni dalla Germania. Si presenta anche Ugo, duca delle Gallie. Vengono anche alcuni grandi di Borgogna, d'Aquitania e di Gotia[6]. Giungono anche vescovi da varie città di quelle regioni. Tutti si riuniscono a Reims, presso la regina Gerberga, con una comune intenzione. C'è il consenso di tutti. Tutti desiderano che Lotario succeda a suo padre defunto.

 

[2.][7] E così con il consenso di tutti Lotario, all'età di dodici[8] anni, è consacrato[9] re dal signore Artaud, arcivescovo di Reims, col sostegno di Brunone, suo zio, e con l'approvazione dei grandi di numerosi paesi, nella basilica di San Remigio dove giace suo padre, tumulato con gli altri sovrani ivi sepolti; e una volta incoronato viene condotto in gloria e con gran pompa da sua madre e dai magnati a Laon, dove si sa che fin dai tempi antichi si trova la sede reale. Il duca lo assiste di continuo personalmente, e poiché aspira a una grande benevolenza da parte del re, dopo che i grandi hanno fatto ritorno nei propri domini, approfitta dei suoi colloqui privati con il sovrano, e per dimostrargli a fondo il valore della propria fedeltà, propone e ottiene dal re e da sua madre che visitino le sue città e le sue fortezze in tutta la Neustria.

 

[3.][10] Dunque il re, insieme alla regina sua madre, viene condotto dal duca attraverso la Neustria e grazie a lui viene accolto degnissimamente a Parigi[11], Orléans, Chartres[12], Tours, Blois[13] e in moltissime altre città e fortezze della Neustria. Da là vengono condotti con l'esercito anche in Aquitania[14] e, fattisi precedere da ambasciatori, poiché il duca Guglielmo[15] non ha voluto presentarsi, attaccano Poitiers[16], convinti che il duca si trovi lì. Quindi, mentre l'esercito attacca con violenza la città e impone per molto tempo il combattimento ai cittadini, il castello di santa Radegonda[17], contiguo alla città, viene preso con un assalto di sorpresa e messo a fuoco da alcuni uomini del re[18]. Però, una volta accertato che il duca non era là, dopo due mesi, con l'esercito fiaccato per la mancanza di viveri, abbandonano l'assedio.

 

[4.][19] Guglielmo in realtà, percorrendo il territorio dell'Alvernia[20], che è una parte dell'Aquitania, ha portato via soldati dalle fortezze, raccogliendo un esercito per la battaglia, e marcia contro il re con quelli che ha raccolto. Il re, appreso ciò, con il sostegno del duca, conduce l'esercito contro il nemico con gli stendardi spiegati. Si combatté molto aspramente, e molti caddero da entrambe le parti. Ma la cavalleria regia, trionfando, mette in fuga gli Aquitani. Le truppe regie subito li inseguono. In questa fuga molti Aquitani furono uccisi, e numerosi furono catturati. Guglielmo però, seguendo una via secondaria attraverso regioni scoscese, fugge con due compagni.

 

[5.][21] Il re dunque, fiero per il buon successo nella guerra, di nuovo ordina di attaccare Poitiers. Infatti si giudicava che a quel punto la città potesse essere presa molto facilmente, poiché l'esercito era ancora acceso per l'eccitazione della guerra recente e i cittadini erano molto demoralizzati per la paura, a causa dell'infelice episodio della fuga del loro principe e del suo esercito. E così il duca incoraggiando con grande favore l'ardimento del re conduce contro la città l'esercito alquanto affaticato, e tuttavia conquistato dalla sua benevolenza. Allora i cittadini spossati dallo sforzo bellico domandano grazia e supplicano perché la città sia risparmiata. Malgrado l'esercito volesse irrompere in città con la forza e portar via un bottino, il duca, dopo averli dissuasi, secondo gli ordini del re lascia intatta la città. Il re tuttavia prende dai cittadini tanti ostaggi quanti ne vuole, e così, per l'intervento del duca, la città è liberata dall'esercito e grazie a una tregua viene sciolta dall'assedio e il re, accompagnato dalla buona sorte, torna a Laon[22] insieme al duca e all'esercito. Il duca però tornato a Parigi cade in malattia, ed essendone troppo tormentato giunge alla fine della propria vita[23] e viene sepolto nella basilica del santo martire Dionigi.

 

[6.][24] Nel frattempo, mentre il re Ottone fa la guerra a Boleslao re dei Sarmati[25], un certo Reginaro[26], che il re aveva mandato nella Belgica perché la proteggesse, commetteva invece molti atti illeciti. Tra l'altro invase i palazzi reali e i beni regi della regina Gerberga[27] che erano in Belgica. La regina però non esitò a consultare privatamente i suoi sul modo di recuperare i domini e i palazzi reali.

 

[7.][28] Poiché tra costoro mio padre[29] fu giudicato adatto al compimento di quest'operazione, gli venne perciò chiesto di dirigerla. E cominciando egli stesso a organizzare la cosa disse: "Permettetemi per qualche giorno di studiare la situazione, e in questo intervallo di tempo vedremo fuori di dubbio se davvero l'azione sia pari alle nostre forze. Nel frattempo voi dedicatevi ad altre attività. Soltanto fate sì che, se da Dio ci verrà offerta l'opportunità di compiere quest'azione, non ci sia da parte vostra alcun ritardo nell'agire." E così si separarono gli uni dagli altri.

 

 

 

[8.] E così mio padre invia alla fortezza del suddetto Reginaro chiamata Mons[30], dove dimora anche la moglie di costui con due figli[31] piccoli, alcuni dei suoi che egli stesso aveva istruito nelle arti militari, affinché valutino la disposizione dei luoghi e il numero dei soldati, inoltre le opportunità presenti e le uscite dei servitori e la diligenza delle guardie. E così due soli si avviano in abito da poveri e giungono fino alla porta della fortezza. A quel tempo in quei luoghi erano in costruzione dei muri per edifici più possenti. Pertanto portatori di pietre e di cemento spesso entravano dalla porta e ne uscivano alla presenza di quello che dirigeva il lavoro. Le spie arrivano e si offrono per portare pietre; vengono assunti per il lavoro e viene data loro una gerla da trasporto; e così portano cemento e pietre e ricevono una moneta per ogni giorno. E due volte pranzano con i tagliatori di pietre e i muratori al cospetto della signora, guardando tutto quanto con curiosità. Notano con molta attenzione anche la camera da letto della signora e la stanzetta dei suoi figli e l'uscita e l'entrata dei servitori, il tempo dei lavori, e anche dove la fortezza sia più aperta ai colpi di mano. E trascorsi quattro giorni era la vigilia della domenica; e così ricevuto il compenso del lavoro vengono congedati dal cantiere. Quindi ritornano avendo spiato tutto e riferiscono queste cose a mio padre.

 

[9.][32] Questi, riponendo grandi speranze, informata la regina, con due coorti si reca alla fortezza e, guidato da quelli che aveva mandato avanti, entra di notte per un passaggio adatto, occupa tutte le porte e le uscite e pone dei guardiani affinché nessuno sfugga. Egli stesso si dirige in gran fretta verso la stanza della signora ed entratovi cattura la madre con i due figli. Altri si davano da fare a portar via gli arredi. Porta via anche la guarnigione e mette a fuoco la fortezza. Dopo averla bruciata ritornò dalla regina Gerberga con la signora e i figli e i soldati catturati.

 

[10.][33] Reginaro apprendendo questo fatto, spinto da una così grave esigenza supplica Brunone fratello della regina perché sia fissato quanto prima un colloquio là dove la regina vorrà, cosicché egli possa riprendere la moglie e i figli e la regina recuperi i palazzi e i domini; e ciò fu fatto al tempo fissato. Infatti sentite le spiegazioni di entrambe le parti la regina riceve dall'usurpatore i domini e questi riportò via la moglie, i figli e i soldati.

 

[11.][34] Dopo questi fatti, Roberto[35] conte di Troyes[36], figlio del signore Eriberto e fratello di Ugo il deposto, mise in atto contro il re Lotario un'offesa nel modo seguente. Egli bramava con molta cupidigia la fortezza regia che è detta Dijon[37], costruita sul bordo del torrente Ouche[38], poiché riteneva che, se avesse potuto possederla, grazie a quella avrebbe potuto far passare sotto il proprio dominio la più gran parte della Borgogna. E così tramite inviati propone a colui[39] che risultava essere a capo della fortezza il passaggio alla propria parte, garantendo molte cose e promettendo sotto giuramento cose ancor più grandi, affermando anche che dalla parte del re c'è molta scarsità di beni, presso di lui invece ci sono ricchezze sufficienti, numerose fortezze, e sostenendo con gran forza di avere ogni altra cosa desiderabile. Allora il giovane, preso dalla cupidigia dei beni, chiede la ricompensa per il tradimento. E quelli gli dicono la natura della ricompensa. Egli allora chiede e ottiene un giuramento relativo alle promesse; e a tempo debito fa entrare il signore con una gran truppa di soldati dentro la fortezza e, affidandosi a lui, promette fedeltà per la propria milizia. Tuttavia occupata la fortezza i soldati del re vengono cacciati con insulti, e là vengono condotti i soldati del signore.

 

[12.][40] Questi fatti furono riferiti al re. Il re allora manda ambasciatori allo zio Brunone, chiedendogli truppe. E Brunone non perde tempo, e con duemila armati dalla Belgica occupa la terra dell'usurpatore e cinge d'assedio la città di Troyes[41]; il re poi, insieme alla madre, conduce l'esercito verso la fortezza sottrattagli. L'usurpatore, essendo attaccato da due eserciti, cede e chiede indulgenza al re. E, costretto, concede quattro[42] ostaggi e giuramenti. Inoltre, sconfitto, consegna il traditore della piazzaforte. Questi subito, emessa dal re la sentenza, viene decapitato alla presenza di suo padre davanti alla porta della città.

 

[13.][43] Il re poi, impadronitosi della città, ritorna con la madre a Laon; qui si riuniscono presso il re da differenti regioni i grandi; sono presenti anche i due figli del duca defunto, Ugo[44] e Ottone[45], che anch'essi promettono con giuramento davanti a tutti servizio fedele al re. Il re dimostrando liberalità non minore della loro buona volontà nomina Ugo duca in luogo del padre ed estende la sua signoria sul territorio di Poitiers; a Ottone poi concede la Borgogna.

 

[14.][46] Durante questa distribuzione di beni, poiché il signore e reverendo arcivescovo Artaud si era troppo affaticato durante il giorno e aveva sudato con tutto il corpo a causa del calore del sole, e si era tolto la veste, il freddo autunnale penetrò attraverso i pori aperti dal calore. Ed essendo insorto dal raffreddamento interno un morbo del fegato,[47] afflitto da insopportabili dolori alla vigilia delle calende d'ottobre[48] nel ventesimo anno del suo episcopato chiuse l'ultimo giorno della sua vita.

 

[15.][49] Compiute le esequie di costui Ugo, da pochissimo fatto duca dei Franchi dal re, si presenta supplichevolmente al re e chiede che la dignità episcopale sia a lui restituita[50], poiché egli stesso prima di Artaud aveva goduto della stessa, e ricorda che non per sua colpa, ma per l'invidia del re Rodolfo, Artaud gli era stato anteposto; e così insisteva che gli fosse resa, e subito per decisione del re viene indetto un sinodo di vescovi, da tenersi dopo quaranta giorni.

 

[16.][51] Dunque, trascorsi i giorni, nel paese di Meaux[52] sulle sponde del fiume Marna, nel villaggio che si chiama ...., si riunisce[53] un sinodo di tredici vescovi dalle province di Reims e Sens, presieduti dall'arcivescovo[54] di Sens, tra i quali si trovavano anche alcuni sostenitori della parte di Ugo, e massimamente quelli che erano vicini al duca, come quelli di Orléans[55] e di Parigi[56], e anche quello di Senlis[57]. Questi vescovi davano pubblicamente la loro opinione. Tuttavia, poiché Roricone e Gibuino, vescovi di Laon e di Châlons, erano contrari e affermavano con molta forza che uno scomunicato da un gran numero di vescovi non poteva essere assolto da un numero più piccolo di questi, la questione viene lasciata, rimandandola fino a un'interrogazione del papa[58] di Roma.

 

[17.][59] E non molto tempo dopo viene inviata in Gallia un'ambasciata dal signore papa Giovanni, che già succedeva ad Ottaviano[60], successore del signore Agapito, la quale afferma che il deposto Ugo suddetto parimenti era stato scomunicato dai vescovi d'Italia, in un sinodo romano, che si era tenuto da pochissimo a Pavia[61], a meno che non si astenesse dalle pretese che illecitamente avanzava. Riferita a tutti quest'ambasciata, la discussione del reclamo venne a cadere. E così Ugo, accolto da suo fratello Roberto, per la troppa angoscia dopo pochissimi giorni morì a Meaux[62].

 

[18.][63] E così Brunone arcivescovo e duca chiedeva al re il vescovado per un tale di nome Odelric[64], del collegio dei canonici di Metz[65]. Avendo ottenuto ciò, lo fece presentare pubblicamente. A quell'uomo notevole, che era tanto famoso per le ricchezze e per la nobiltà e per la scienza letteraria, viene chiesto se ardirebbe accettare il vescovado dal re che glielo concede. E infatti allora esso era richiesto da un personaggio illustre[66] cui era dato sostegno anche dal duca. Ma quello, da uomo coraggioso, risponde che se il re glielo concedeva l'avrebbe preso e difeso contro tutti. Ciò gli procurò anche molto malanimo da parte del duca.

 

[19.][67] E così viene ordinato[68] nella basilica di Saint Remi dai vescovi diocesani della provincia ecclesiastica di Reims, cioè Guido di Soissons, Roricone di Laon, Gibuino di Châlons, Hadulf[69] di Noyon e Wicfrid[70] di Verdun. E fatto vescovo subito chiede agli usurpatori che avevano invaso i beni della sua chiesa che tornino a dar soddisfazione, secondo il diritto ecclesiastico; e poi concesse che ci pensassero per tre quarantine di giorni.

 

[20.][71] Passato qualche tempo, condanna alla scomunica Teobaldo di Tours con altri invasori dei beni ecclesiastici. Tuttavia dopo non molti giorni, spinti dal pentimento, ritornano dal vescovo con l'intento di dargli soddisfazione e restituiscono secondo la legge i beni occupati. E così il signor vescovo riceve da Eriberto il popoloso e ricco villaggio di Épernay[72] e da Teobaldo il castello di Coucy[73], e li libera dal vincolo della scomunica; e concede anche il castello al figlio di Teobaldo[74], che a lui si era affidato come vassallo, con l'impegno che mantenga la fedeltà.[75]

 

[21.][76] In quello stesso periodo lasciò questa vita[77] anche Arnolfo, conte di Fiandra. Lotario entrato nelle terre di costui generosamente le rese al figlio[78] del defunto e lo unì a sé insieme ai suoi soldati con un patto giurato.

 

[22.] E a quello[79] felicemente successe l'energico Adalbéron[80], uomo di nobiltà regale, anch'egli del capitolo di Metz. Quanto quest'ultimo sia stato di vantaggio ai suoi e quante cose più del giusto abbia subito dagli invidiosi sarà messo in evidenza nel seguito dell'opera. Questi all'inizio[81], dopo la sua promozione, si diede molto da fare per la ristrutturazione della propria chiesa; infatti demolì completamente le volte[82] che si estendevano dall'ingresso della chiesa pressappoco per un quarto dell'intera basilica. Di conseguenza tutta la chiesa fu abbellita grazie allo spazio più ampio e all'aspetto più decoroso. Inoltre collocò il corpo di san Callisto[83] papa e martire, per l'onore dovutogli, nell'ingresso stesso della chiesa in un luogo più elevato; e qui dedicandogli un altare, apprestò un oratorio comodissimo per elevare a Dio preghiere. Rinchiuse l'altare principale, decorandolo con croci d'oro, con cancelli splendenti da entrambe le parti.

 

[23.] Oltre a ciò fabbricò anche un altare gestatorio con lavoro di non minore qualità. Sopra questo, dove il sacerdote s'intrattiene con Dio, si trovavano le immagini dei quattro evangelisti scolpite in oro e in argento, collocate ciascuna in un angolo; le ali distese di ciascuno di questi coprivano i due lati dell'altare fino a metà; avevano i visi rivolti verso l'Agnello immacolato; in ciò appariva anche imitare l'arca di Salomone. Fece anche un candelabro a sette braccia[84]; il fatto che in questo sette sorgessero da uno appariva significare che da un solo Spirito si dipartono i sette doni della grazia. E decorò l'arca con opera non meno elegante; in questa rinchiuse la verga e la manna, ovvero le reliquie dei santi. Inoltre appese per la decorazione della chiesa corone fabbricate con spesa non certo piccola; e avendola illuminata con finestre raffiguranti varie storie[85], la rese come tonante con campane assai sonore.

 

[24.] Stabilì anche che i canonici, che si curavano soltanto dei fatti loro abitando in case private, vivessero secondo la regola della comunità; pertanto aggiunse un chiostro al monastero, nel quale potessero convivere abitandovi durante il giorno, e un dormitorio, dove potessero riposare in silenzio durante la notte, e un refettorio, dove sedendo insieme potessero nutrirsi del pasto comune, e scrisse delle regole, affinché in chiesa nel tempo della preghiera non chiedessero nulla se non mediante segni, a parte ciò che la spinta della necessità potesse richiedere, prendessero il cibo insieme in silenzio, dopo pranzo cantassero le lodi a Dio in azione di grazia, e una volta terminata la compieta, in nessun modo violassero il silenzio fino alle lodi mattutine; e allora svegliati da una sveglia rivaleggiassero nell'arrivare per primi a recitare le lodi. Prima della prima ora del giorno a nessuno era concessa la libertà di uscire dal chiostro, ad eccezione di quelli che si occupavano delle faccende comuni, e affinché nessuno trascurasse di fare qualcosa per ignoranza, ordinò che la regola di sant'Agostino[86] e i decreti dei padri fossero ogni giorno loro recitati.

 

[25.] Non è mai abbastanza dire poi con quanta passione e impegno corresse i costumi dei monaci e li distinse dal comportamento secolare. Non solo infatti si sforzò che essi apparissero insigni per la dignità della religione, ma fece anche prudentemente sì che, avendoli arricchiti di beni materiali, in nessun modo ne fossero sminuiti. Curandoli con molto amore, prediligeva tuttavia con particolare affetto i monaci del beato Remigio patrono dei Franchi; per cui desiderando che i loro beni fossero confermati per il futuro, si recò a Roma[87]; e in qualità di uomo nobile e attivo e noto a tutti per la fama della sua vita casta, fu accolto con molta reverenza dal papa Giovanni[88] di beata memoria. Dopo molte conversazioni, richiestone da lui, celebrò anche una messa solenne nel giorno natale del Signore[89], assistito da dodici vescovi. Era tenuto da lui in tanta grazia che ne veniva pregato, se desiderava qualcosa, di farne richiesta.

 

[26.] L'ARCIVESCOVO ADALBÉRON CHIEDE CHE SIA CONCESSO UN PRIVILEGIO DAL PAPA GIOVANNI PER I BENI DI SAN REMIGIO

Allora quell'uomo notevole così iniziando disse: "Poiché, padre santissimo, avendomi accolto come un figlio con grande carità ancor più mi attirasti verso te, non ritengo di chiederti qualcosa che ti sia oneroso. In verità so che un padre devoto è contento di tanto in tanto di essere impegnato per il figlio. Ma io mi proposi di chiedere qualcosa che non sia oneroso per un così grande padre e insieme procuri sufficiente vantaggio per chi chiede. Ho nelle Gallie un convento di monaci, sito non lontano dalla città di Reims. Dove anche riposa degnissimamente il corpo santissimo del beato Remigio, patrono dei Franchi, al quale viene anche reso l'onore dovuto. Desiderando che i beni di questo vengano assicurati fermamente per il futuro, presentemente domando che siano confermate con un privilegio della vostra autorità le terre sia coltivate che incolte, le selve e i pascoli, le vigne e i frutteti, i torrenti e gli stagni e l'autorizzazione a fortificare il castello di quelli, e la giurisdizione esente sui villaggi all'interno e all'esterno, e infine la dignità del vostro apostolato consolidi e confermi tutti i beni mobili e immobili. Concedo loro anche, alla vostra presenza e con la testimonianza di questi vescovi, l'abbazia del santo martire Timoteo, che risulta essere sotto la nostra giurisdizione, affinché sia d'ora in poi amministrata in favore dei poveri e la nostra memoria sia conservata nel convento dai servi di Dio. Dunque questa, aggiunta ai beni summenzionati, passi sotto la giurisdizione del predetto santo, e sia similmente confermata come sua propria dalla vostra autorità.

 

[27.] Il signor papa a ciò rispose: " Molto volentieri concedo che i beni del signore e patrono nostro Remigio siano confermati con una sentenza apostolica e siano resi sicuri in perpetuo, insieme a tutto quel che di tuo ti piace. Stabilisco anche che ciò sia corroborato con uno scritto non solo sulla base della mia autorità, ma anche di quella di questi vescovi che sono presenti." E subito ordinò che fosse scritto[90], e chiese che lo scritto fosse letto pubblicamente.

 

[28.] Il testo di ciò é siffatto: "Giovanni servo dei servi di Dio...."[91]

 

[29.] Essendo stato ciò letto fino in fondo per le orecchie di tutti quelli che erano presenti, lo marcò con il segno del suo sigillo e lo porse ai vescovi perché lo confermassero[92]. Fatto ciò l'arcivescovo partito con la licenza del signore papa e dei vescovi si ricondusse in Gallia, e devotamente si diresse per la strada più breve al sepolcro del santo predetto, e a lui rimise il privilegio scritto nell'assemblea dei monaci. I monaci ricevendo ciò che viene dato lo pongono nell'archivio per conservarlo e porgono grazie convenientemente per tanta liberalità.

 

 

 

 

[30.] ADALBÉRON FA CONFERMARE IL PRIVILEGIO DAI VESCOVI IN UN SINODO

Così svoltisi questi fatti, dopo sei mesi, fu tenuto dallo stesso arcivescovo un sinodo[93] di vescovi a Mont-Nôtre-Dame[94], che é una località della diocesi di Reims. Essendo questi riuniti in sessione, dopo qualche pratica utile al sinodo e vantaggiosa per la santa chiesa, l'arcivescovo così parlò pubblicamente: "Padri reverendi, poiché per la grazia dello Spirito Santo siamo qui riuniti e abbiamo deciso ciò che è sembrato utile per lo stato della santa chiesa, resta ancora una cosa che a me piace alquanto e che ora e in futuro sarà di vantaggio a molti figli della nostra chiesa; ritengo che questa cosa deva essere segnalata alla vostra dignità e da voi corroborata. Sette mesi fa, come anche a voi è perfettamente noto, mi recai in Italia, e giunsi a Roma e godendo insieme del colloquio e della benevolenza del signore apostolico Giovanni, da lui fui esortato a chiedere se desiderassi qualcosa. Avendo giudicato opportuno chiedere che confermasse i beni[95] del nostro signore e patrono Remigio con un privilegio della sua autorità contro qualunque usurpatore e unisse a quelli l'abbazia di san Timoteo martire da me concessa, ottenni ciò senza opposizione. Dunque egli scrisse ciò e ordinò che fosse riletto alla presenza di dodici vescovi e lo porse loro perché lo confermassero. E questo, marcato dal segno del sigillo del signore papa, io lo portai anche a voi perché lo confermaste affinché, sottoscritto dall'autorità di molti, non rischi di essere vanificato dalla macchinazione di nessuno. Quindi voglio che questo stesso sia confermato da voi." Il sinodo disse: " Sia confermato." Presentato dunque dall'arcivescovo fu riletto e porto a quelli, e da ciascuno di loro fu confermato con l'imposizione della mano. E questo, ricevuto dai monaci che erano presenti, fu riportato nell'archivio del monastero.

 

[31.] LAGNANZA DELL'ARCIVESCOVO RIGUARDO ALLA DISCIPLINA DEI MONACI E ALL'OSSERVANZA DELLA REGOLA.

E tra queste e altre utili cose che furono ivi stabilite, fu espressa dall'arcivescovo con vivissimo turbamento una lagnanza sulla disciplina dei monaci, in quanto sembrava che le regole stabilite dagli antichi fossero state corrotte e cambiate da parte di taluni. Pertanto, e in presenza dei vescovi, fu dallo stesso deciso che gli abati di diverse sedi si riunissero e poi si consultassero proficuamente; il tempo e il luogo in cui questa discussione doveva essere tenuta furono rapidamente stabiliti e così il sinodo fu sciolto.

 

[32.] L'ABATE RODOLFO FU IL PRESIDENTE DEGLI ABATI.

Frattanto giunse il tempo[96]; e gli abati di diverse sedi si riunirono insieme; di questi fu posto come più autorevole e presidente Rodolfo[97], uomo di santa memoria, abate del convento di San Remigio. Essendo costui presidente e avendo la dignità della precedenza, gli altri si disposero intorno; l'arcivescovo poi si sedette di fronte sulla sedia episcopale[98]. Avendo questi preso la parola su invito del presidente e degli altri padri, così parlò per primo:

 

[33.] ALLOCUZIONE DELL'ARCIVESCOVO AL SINODO DEGLI ABATI

"È gran cosa, padri santissimi, che tutti i buoni si riuniscano, se si impegnano per cercare di ottenere il frutto della virtù. Infatti in tal modo si procura il beneficio dei buoni e il buon andamento delle cose, come per contro è dannoso che si riuniscano i malvagi per cercar di ottenere e per compiere cose illecite. Pertanto esorto voi, che credo riuniti in nome di Dio, a cercar di ottenere cose ottime e vi ammonisco a non farvi muovere per nulla dalla malevolenza. L'amore secolare e l'odio, dai quali è snervata la giustizia e soffocata l'equità, non abbiano alcun luogo presso di voi. L'antica disciplina del vostro ordine, come è fama, deviò oltre misura dall'onestà del tempo antico; infatti non siete d'accordo tra voi sulla stessa applicazione della regola dell'ordine, poiché l'uno vuole e sente in un modo e l'altro altrimenti. Perciò fino a oggi molto è stato derogato dalla vostra santità. Pertanto giudicai utile, essendo voi qui riuniti insieme per grazia di Dio, persuadervi a volere e sentire le stesse cose, a operare insieme le stesse cose, cosicché grazie alla comune volontà, al comune sentimento, alla comune azione, la virtù negletta sia recuperata e il disdoro della malvagità sia violentissimamente espulso."

 

[34.] RISPOSTA DEL PRESIDENTE E INVETTIVA CONTRO I MALVAGI

A ciò il presidente degli abati rispose: "Ciò che viene qui da te dichiarato, padre santissimo, deve essere inciso profondamente nella memoria, poiché tu aspiri alla dignità dei corpi e alla salvezza delle anime. Risulta infatti che nessuno sia giunto all'abitudine della virtù se non chi si munì della determinazione necessaria per ricercare ciò che deve essere desiderato e per respingere ciò che deve essere evitato. Per cui è evidente che noi ci siamo meritati un qualche disdoro, poiché deviammo alquanto da ciò che si deve desiderare; la qual cosa deve essere anche rimproverata con molto biasimo, poiché né la fiacchezza ci ha fatti cadere né la miseria ci ha sospinto.

 

[35.] ULTERIORE INVETTIVA DEL PRESIDENTE

Quale forza infatti spinse a che il monaco, assoggettato ai servizi divini dentro i chiostri del monastero, abbia un compare e sia detto compare? E considerate quanto ciò differisca dalla nostra regola. Se uno é compare, dico io, come mi risulta plausibile tra le possibilità, é egli stesso padre insieme a uno che é padre. Ma se é padre, non c'è dubbio che abbia un figlio o una figlia. Quindi deve essere detto piuttosto donnaiolo che monaco. Ma che dire riguardo alla comare? Che cosa s'intende da parte dei secolari con questo nome, se non la condiscendenza alla turpitudine? Dicendo che ciò pare verosimile, non voglio emettere un giudizio sui secolari, ma condanno ciò che è illecito per il nostro ordine. Poiché ciò che appare inadatto deve essere inibito da una vostra proibizione."

Il venerando arcivescovo aggiungendo a ciò disse: "Se piace al sinodo, sia interdetto". Il sinodo disse: "Sia interdetto". E così per l'autorità dell'arcivescovo con il consenso di tutti fu vietato.

 

[36.] SECONDA PROTESTA DEL PRESIDENTE.

E avendo ripreso nuovamente il primate disse: "Ancor più voglio segnalare cose avverse al nostro ordine, nel quale si sa di alcuni cui divenne abituale il costume di uscire soli dai monasteri, di restare fuori soli, con nessun testimone delle loro azioni e, cosa che é pessima, di uscire senza la benedizione dei fratelli e ritornare senza di essa. Per cui non c'é dubbio che possano più facilmente cadere quelli che la benedizione dei fratelli oranti non protesse. Da ciò consegue che ci vengono rinfacciate dai detrattori la turpitudine della vita, la malvagità dei costumi, le ricchezze in possesso privato. Quindi é inevitabile che siamo sottoposti a queste calunnie, non potendo avere testimoni per la loro refutazione. La vostra censura proibisca anche ciò." Il sinodo disse: "Sia proibito". E il memorabile arcivescovo: "Anche ciò, disse, per la nostra autorità proibiamo."

 

[37.] TERZA INVETTIVA DEL PRESIDENTE

E il presidente aggiungendo a queste altre cose disse: "Poiché ho cominciato a parlare dei vizi del nostro ordine, giudicai che nulla dovesse essere lasciato da parte, cosicché, rimossi questi, la nostra pratica religiosa risplenda come sgombra da nuvole. Ci sono infatti, vi dico, alcuni del nostro ordine, che hanno cura di mettersi in testa in pubblico dei cappelli con le orecchie, e preferire pellicce esotiche al berretto regolare, e in luogo della consueta umile veste indossare vesti sontuosissime.[99] Infatti desiderano moltissimo tuniche molto costose, che essi stringono in tal modo da entrambe le parti, ornano di maniche e di risvolti fluenti, che, con i fianchi serrati e le natiche protese, da dietro assomigliano più a puttanelle che a monaci."

 

[38.] SULLA SUPERFLUA COLORAZIONE DELLE VESTI

"Che dire del colore delle vesti? Sono talmente ingannati da questo che confrontano i meriti della dignità ai colori; infatti se una tunica non é di colore nero, in nessun modo è gradito indossarla. Se anche il bianco è mescolato al nero del tessuto di lana, ciò rende tale veste spregevole. Anche il giallo è spregiato; e non basta il nero naturale, se non viene tinto anche con succhi di cortecce; e questo per quanto riguarda gli abiti."

 

[39.] SULLE CALZATURE SUPERFLUE

" Che cosa riferirò poi riguardo alla superfluità delle calzature? In effetti per queste perdono talmente tanto la testa da rinunciare per esse a moltissimo agio. Infatti le indossano talmente strette da esserne impediti quasi come da ceppi. A queste applicano anche speroni; qui poi aggiungono orecchie, e compiono un grosso sforzo affinché non si pieghino; incaricano poi dei servi complici di farle luccicare"

 

[40.] SULLE STOFFE E GLI OGGETTI SUPERFLUI

"Tacerò forse i tessuti costosi e le decorazioni di pelliccia? Dopo che dai predecessori fu concesso per mite clemenza che si indossassero pellicce modeste, il vizio del superfluo insorse. Per cui ora pongono intorno lembi di due palmi di decorazioni stravaganti e sopra li raddoppiano con panni del Norico[100]. In verità non fu mai concesso di servirsi di stoffe in luogo di coperte; ma da parte di taluni meno religiosi ciò è stato aggiunto a tutte le altre cose superflue. Poiché il numero di costoro, in luoghi diversi, è grande, ciò è stato indotto dalla maggioranza dei malvagi nello scarso numero dei buoni."

 

[41.] SUI FEMORALI IMMORALI

" Ma che cosa riferirò riguardo ai femorali immorali? E infatti le fasce di questi sono larghe quattro volte sei piedi e per la sottigliezza del tessuto non nascondono neanche le pudende a chi guarda; nella composizione di questi non basta a uno solo ciò di cui due potrebbero essere del tutto contenti. Queste cose qui pubblicamente riferite, se vogliate che siano proibite, dichiaratelo; tutte le altre in verità devono essere corrette in privato nei nostri concili." Il sinodo disse "Siano anch'esse proibite".

 

[42.] RISPOSTA DELL’ARCIVESCOVO AL PRESIDENTE

A queste cose l'arcivescovo aggiunse anche: "Invero fu proprio della vostra dignità risparmiare molti dicendo poche cose; ma, poiché ciò che abbiamo condannato è di competenza del vostro ordine,[101] e voi giudicate che alcune cose debbano essere corrette da noi, altre invece in concili riservati, io penso lo stesso, lo stesso io lodo. Pertanto ciò che qui la vostra saggezza chiede, la nostra autorità proibisce. Le cose che riservaste a voi stessi tacendo, le lasciamo da cambiare secondo i vostri giudizi." E dette queste cose, il sinodo fu sciolto. In quel tempo l'ordine dei monaci fiorì notevolmente, poiché l'arcivescovo espertissimo della loro disciplina fu esortatore e persuasore di questa cosa. E affinché corrispondesse in tutto alla sua nobiltà, cercava di istruire utilmente i figli della sua chiesa negli studi liberali.

 

 

 

 

 

 

 

[43.] ARRIVO DI GERBERT IN GALLIA

Mentre egli meditava dentro di sé qualcosa su questo tema, dalla Divinità stessa gli fu inviato Gerbert, uomo di grande ingegno e di eloquenza ammirevole, grazie al quale in seguito tutta la Gallia risplendette brillante come una lampada ardente. Aquitano di nascita, questi fu allevato dall’infanzia nel convento del santo confessore Geraldo[102] e vi apprese la grammatica. Mentre da adolescente ancora vi risiedeva, impegnato in ciò, accadde[103] che Borrel[104], duca della Spagna Citeriore[105], venisse al convento per pregarvi. Essendo stato ricevuto con molta cordialità dall’abate[106] del luogo, questi gli domandò, dopo parecchi discorsi, se ci fossero in Spagna uomini molto istruiti nelle arti. Avendo costui prontissimamente risposto in senso affermativo, l’abate lo persuase subito a prendere uno dei religiosi del monastero e a condurlo con sé per fargli apprendere le scienze. Lungi dal rifiutare, il duca acconsentì generosamente alla richiesta. Condusse con sé Gerbert con il consenso dei confratelli e lo affidò al vescovo Attone[107] perché lo istruisse. Presso di lui Gerbert studiò in modo approfondito e con successo le matematiche. Ma poiché la Divinità volle che la Gallia, ancora nelle tenebre, fosse rischiarata da una grande luce, suggerì al duca e al vescovo di recarsi a Roma in pellegrinaggio[108]. Effettuati i preparativi, costoro si misero in cammino e condussero con loro il giovane che era stato loro affidato. Arrivati nell’Urbe e dopo aver pregato davanti ai santi apostoli, si recano a visitare il papa …[109] di santa memoria, si presentano a lui e gli offrono graziosamente quelli tra i loro beni che gli saranno graditi.[110]

 

[44.] ATTONE DOPO AVER SOGGIORNATO A ROMA SE NE DIPARTE

L’intelligenza del giovane come pure la sua volontà di apprendere non sfuggirono al papa e, poiché la musica e l’astronomia erano allora completamente ignorate in Italia, fece conoscere senza indugio mediante un inviato a Ottone[111], re di Germania e d’Italia, l’arrivo di questo giovane così mirabilmente versato nelle matematiche e così capace di insegnarle con zelo. Il re non tardò a proporre al papa di trattenere il giovane e di non fornirgli in alcun modo la possibilità di ritornare. Al duca e al vescovo che erano venuti dalla Spagna con lui, il papa si limitò semplicemente a dichiarare che il re voleva che lo trattenesse momentaneamente e che l’avrebbe rinviato dopo poco con onore, aggiungendo che il re gliene sarebbe grato. Il duca e il vescovo[112] furono dunque persuasi a ripartire per la Spagna abbandonando il giovane a queste condizioni. Il giovane fu dunque lasciato al papa, che lo presentò al re. Quando fu interrogato sulle sue conoscenze, rispose che possedeva bene le matematiche, ma che voleva apprendere la scienza della logica. Poiché ci teneva a riuscirvi, non restò a lungo a insegnare là.

 

[45.] IL RE OTTONE LO AFFIDA A UN LOGICO

G.[113], arcidiacono di Reims, era considerato a quel tempo eccellente come logico. Lotario, re dei Franchi, l’aveva proprio in quel tempo inviato come ambasciatore presso Ottone, re d’Italia. Il giovane, pieno di gioia per il suo arrivo, si recò dal re e ottenne di essere affidato a G. Si unì a lui per qualche tempo e fu da lui condotto a Reims. E apprendendo da lui la scienza della logica progredì in essa rapidamente.

Viceversa, allorché G. si mise allo studio delle matematiche, vinto dalle difficoltà di questa scienza fu respinto dalla musica. Nel frattempo Gerbert, che aveva attirato l’attenzione del suddetto arcivescovo per l’eccellenza dei suoi studi, si conciliò più di ogni altro le sue grazie. Per cui questi, su sua richiesta, lo incaricò di insegnare le scienze a folte scolaresche.

 

[46.] IN QUALE ORDINE GERBERT SEGUÌ I LIBRI NEL SUO INSEGNAMENTO

Egli dunque spiegò con parole chiare la dialettica percorrendo nell’ordine i seguenti libri: in primo luogo in effetti l’Isagoge di Porfirio[114], ovvero le Introduzioni, secondo la traduzione di Vittorino[115] il retore, quindi spiegò le stesse anche secondo Manlio[116]; esponendo in seguito il trattato di Aristotele[117] sulle Categorie, ovvero sui predicamenti. Mostrò poi perfettamente quale impegno richieda il trattato Peri Hermeneias, cioè “Dell’interpretazione”; insegnò poi ai suoi uditori anche i Topici, cioè il fondamento delle prove, tradotti da Tullio[118] dal greco in latino e spiegati dal console Manlio con sei libri di commentari.

 

[47.] COME GERBERT PREPARÒ GLI ALLIEVI A RICEVERE L’INSEGNAMENTO DELLA RETORICA

Lesse inoltre e commentò in modo conveniente i quattro libri sulle differenze topiche, i due libri sui sillogismi categorici, i tre libri sui sillogismi ipotetici, il libro unico sulle definizioni e il libro ugualmente unico sulle divisioni.[119] Dopo lo studio di queste opere, volendo che i suoi allievi passassero alla scienza della retorica, temeva che non fosse possibile elevarsi all’arte oratoria senza quei modi d’elocuzione che devono essere appresi dai poeti. Pertanto fece ricorso ai poeti con i quali giudicava utile familiarizzarli. E così lesse e commentò i poeti Marone[120], Stazio e Terenzio, come pure i satirici Giovenale, Persio e Orazio[121], e anche lo storico Lucano[122]. Dopo che si furono familiarizzati con questi autori e istruiti sui loro modi di elocuzione, li fece passare alla retorica.

 

[48.] PERCHÉ GERBERT AFFIDÒ I PROPRI ALLIEVI A UN SOFISTA

Dopo aver dato loro questo insegnamento, li affidò a un sofista perché con lui si esercitassero alla controversia e grazie all’arte si esprimessero in modo tale da far sembrare che si esprimessero senza far uso dell’arte, la qual cosa rappresenta il massimo per un oratore.

 

[49.] LAVORO DA LUI COMPIUTO NELLE MATEMATICHE

Questo per quanto riguarda la logica. Ma non pare fuor di proposito indicare quanto sforzo fu dedicato alle matematiche.[123] Al primo posto nell’ordine collocò l’aritmetica, che è la prima parte della matematica. Poi insegnò a fondo anche la musica[124], in precedenza per molto tempo ignorata nelle Gallie, e rese perfettamente chiare le differenti note disponendole sul monocordo[125], dividendo le loro consonanze ovvero le loro sinfonie in toni e semitoni, in ditoni e in diesis e facendo corrispondere metodicamente i toni ai suoni.

 

 

[50.] COSTRUZIONE DI UNA SFERA SOLIDA

Per far apprezzare la sagacia di questo grand’uomo e far cogliere più comodamente al lettore l’efficacia del suo metodo non è affatto inutile indicare a prezzo di quali sforzi egli riunì i principi dell’astronomia. Pur essendo essa difficilmente intelligibile, tuttavia egli, ammirevolmente, la rese comprensibile per mezzo di certi strumenti. In primo luogo in effetti, argomentando sulla sfera del mondo per mezzo di un legno pieno e rotondo rappresentò la sfera grande mediante la somiglianza di quella piccola. Dopo averla, con i suoi due poli, inclinata obliquamente rispetto all’orizzonte[126], pose al polo superiore le costellazioni settentrionali e al polo inferiore le costellazioni australi. Ne regolò la posizione con il cerchio che i Greci chiamano orizon e i Latini limitante o determinante[127] perché è grazie a quello che si distinguono e si separano le costellazioni visibili da quelle che non lo sono. Avendo così collocato la sfera dentro l’orizzonte in modo da mostrare in maniera efficace e probante la levata e il tramonto degli astri, egli li iniziò alla scienza della natura e insegnò loro a conoscere gli astri. Infatti di notte egli si dedicava alle stelle brillanti e faceva loro osservare come esse sono inclinate sulle differenti parti del mondo, tanto alla loro levata che al loro tramonto.

 

[51.] IL SIGNIFICATO DEI CERCHI INTERMEDI

I cerchi che i Greci designano col nome di paralleli e i Latini col nome di equidistanti[128], e sul cui carattere incorporeo non può esservi dubbio, si possono conoscere avendoli capiti grazie a questa sua tecnica. Egli fece un semicerchio tagliato da un diametro in linea retta. Rappresentò questo diametro mediante un tubo, alle estremità del quale egli fece segnare i due poli, boreale e australe, poi divise il semicerchio in trenta parti da un polo all’altro. Avendone contate sei dal polo, egli collocò un tubo dal quale era segnata la linea del circolo artico. Poi, dopo aver contato le cinque parti successive, mise un nuovo tubo per indicare il cerchio dei paesi caldi. E avendone da lì contate quattro, aggiunse un tubo identico per evidenziare il cerchio equinoziale. Divise poi allo stesso modo il resto dello spazio fino al polo sud. Il dispositivo di questo strumento, in cui il diametro era diretto verso il polo e la convessità del semicerchio girata verso l’alto, era così valido che permetteva di acquisire la conoscenza di cerchi invisibili e li imprimeva a fondo nella memoria.

 

[52.] COSTRUZIONE DI UNA SFERA ADATTISSIMA A FAR CONOSCERE I PIANETI

Non sfuggì tuttavia alle sue ricerche in che modo potessero essere mostrate le orbite dei pianeti,[129] benché essi si muovano all’interno del mondo e si incrocino. In primo luogo infatti fabbricò una sfera armillare, cioè composta solamente di cerchi. Vi introdusse i due cerchi che i Greci chiamano coluri e i Latini incidenti[130], perché essi si tagliano, e fissò i poli alle loro estremità. Fece poi passare per i coluri cinque altri cerchi, che sono detti paralleli, in modo da dividere in trenta parti la metà della sfera da un polo all’altro, e ciò non in modo banale o arbitrario: poiché, sulle trenta parti dell’emisfero, egli ne comprese sei dal polo al primo cerchio, cinque dal primo al secondo, quattro dal secondo al terzo, pure quattro dal terzo al quarto, cinque dal quarto al quinto, sei dal quinto al polo. Su questi paralleli egli piazzò obliquamente il cerchio che è chiamato dai Greci loxos o zoe e dai Latini obliquo o vitale[131], perché contiene delle figure di animali per rappresentare le costellazioni. All’interno di questo cerchio obliquo egli sospese i cerchi dei pianeti mediante un meccanismo molto ingegnoso. Poté così mostrare in modo assai efficace le loro rivoluzioni[132], le loro altezze e anche le loro rispettive distanze. Ma, se noi non vogliamo allontanarci troppo dal nostro soggetto, non è possibile indicare qui, a causa della lunghezza dell’esposizione, in che modo ciò funzionasse.

 

[53.] COSTRUZIONE DI UN’ALTRA SFERA DESTINATA A FAR CONOSCERE LE STELLE

Oltre questa sfera, egli fabbricò un’altra sfera armillare, all’interno della quale egli non piazzò dei cerchi, ma sulla quale egli rappresentò le costellazioni per mezzo di un reticolo di filo di ferro e di rame. La fece attraversare da un tubo funzionante da asse, mediante il quale era indicato il polo celeste, di modo che, guardandolo, l’apparecchio rappresentava il cielo. Così le stelle di tutte le costellazioni erano rappresentate da segni su questa sfera. Quell’oggetto aveva questa caratteristica divina, che anche colui che era ignorante di scienza, per poco che gli si mostrasse una delle costellazioni, poteva riconoscere tutte le altre sulla sfera senza un maestro. Anche in questo egli istruiva con passione i suoi allievi. E fin qui per ciò che riguarda l’astronomia.

 

[54.] FABBRICAZIONE DI UN ABACO

Non dedicò minore impegno per insegnare la geometria.[133] Per l’introduzione ad essa, fece costruire da un fabbricante di scudi un abaco, cioè una tavola a scomparti, Nel senso della sua lunghezza, divisa in ventisette parti, dispose nove cifre[134] destinate a esprimere tutti i numeri. Fabbricò inoltre, a somiglianza di queste, mille caratteri in corno che, inseriti nei ventisette scomparti dell’abaco, indicavano la moltiplicazione e la divisione di qualunque numero. Essi dividevano o moltiplicavano una quantità di numeri con tanta rapidità che, grazie alla loro estrema abbondanza, si facevano i calcoli in meno tempo di quanto se ne occorresse per enunciarli. Chi desidera conoscere a fondo questa scienza, può leggere il suo libro[135], che egli indirizza al grammatico Costantino[136]. Vi troverà infatti queste cose trattate con sufficiente abbondanza.

 

[55.] LA FAMA DI GERBERT SI DIFFONDE ATTRAVERSO LE GALLIE E L’ITALIA

Si dedicava con passione agli studi, e il numero dei suoi allievi aumentava tutti i giorni, E la fama di un così grande dottore non si diffondeva soltanto nelle Gallie; essa si estendeva anche tra i popoli della Germania. E attraversò le Alpi e si diffuse in Italia fino al Tirreno e all’Adriatico[137]. A quel tempo Otric[138] era celebre in Sassonia. Poiché egli aveva udito lodare il filosofo, e poiché apprese che Gerbert in ogni discussione utilizzava una divisione ragionata degli argomenti, pregò i propri amici di riportargli dalle lezioni del filosofo qualche esempio di divisione, e soprattutto della filosofia, poiché era in una divisione metodica della filosofia, pensava, che si sarebbe potuta più facilmente apprezzare l’esattezza delle conoscenze di un uomo che era considerato un filosofo; in quanto essa viene detta la scienza delle cose divine e umane. Fu inviato dunque a Reims un Sassone che pareva capace di questa missione. Costui, assistendo alle lezioni e annotando con cura le divisioni dei generi adottate da Gerbert, tuttavia commise un grave errore di classificazione principalmente in quella ripartizione che divide nel suo complesso la filosofia.

 

[56.] LA TAVOLA DELLA FILOSOFIA DI GERBERT, DEFORMATA DA MALEVOLI, VIENE CRITICATA DA OTRIC

In effetti, mentre la fisica era stata posta da Gerbert come pari e coeva alla matematica, la stessa fisica fu da costui subordinata alla matematica, come la specie al genere. Non si sa se ciò fu fatto di proposito o per errore. E la tavola fu riportata così a Otric insieme alla divisione di molte altre materie. Dopo averla egli stesso studiata con molta attenzione, egli accusava Gerbert davanti ai propri allievi di aver mal effettuato la divisione, poiché la sua tavola rappresentava a torto una di due specie uguali subordinata all’altra come la specie al genere. Egli temerariamente concludeva che Gerbert non aveva capito niente della filosofia. Pretendeva addirittura che questi ignorasse completamente in che cosa consistano le cose divine e umane, nozioni senza le quali nessuno può filosofare. Egli portò dunque al palazzo la tavola medesima e davanti a Ottone Augusto[139], ne diede la spiegazione a quelli che parevano i più sapienti. L’Augusto poi, che era egli stesso molto curioso di queste questioni, fu sorpreso che Gerbert avesse sbagliato. Egli l’aveva visto, in effetti, e l’aveva inteso più di una volta discutere. Così egli desiderava molto vivamente ottenere da lui la spiegazione della tavola suddetta. E se ne presentò l’occasione.

 

[57.] In effetti, l’anno seguente il venerabile arcivescovo di Reims, Adalbéron, mentre si recava a Roma con Gerbert, incontrò[140] a Pavia[141] l’Augusto con Otric. fu ricevuto con magnificenza e fu condotto in battello sul Po[142] fino a Ravenna[143]. A una data fissata, tutti i sapienti che erano presenti si riunirono nel palazzo per ordine dell’imperatore. C’era il reverendo arcivescovo sopra nominato. C’era anche Adso[144], abate di Montiérender[145], che era venuto con lo stesso arcivescovo.[146] Otric che, l’anno precedente, si era posto come critico di Gerbert, era parimenti presente. Era venuto, inoltre, un numero non piccolo di scolastici che[147] attendevano con impazienza l’imminente svolgimento della discussione. E in effetti si domandavano se qualcuno avrebbe osato contraddire Otric[148]. Da parte sua l’Augusto cercava abilmente di provocare un dibattito. Si dava cura di opporre Gerbert non preavvertito a Otric, nella speranza che, attaccato senza preavviso, egli avrebbe messo un maggior ardore nella discussione contro l’avversario. Egli sollecitava invece Otric a sollevare un gran numero di questioni e non risolverne alcuna. Allorché tutti i partecipanti si furono seduti in ordine, l’Augusto, in mezzo a loro, così iniziò dall’alto del trono.

 

[58.] ALLOCUZIONE DELL’AUGUSTO OTTONE ALL’ASSEMBLEA DEI SAPIENTI RIUNITI PER LA CRITICA DELLA TAVOLA.

“Io stimo” disse “che riflessioni ed esercizi frequenti facciano progredire la scienza umana, alla condizione che i temi, posti in forma conveniente, siano trattati da tutti i sapienti in un linguaggio scelto. Poiché noi ci abbandoniamo troppo sovente all’ozio, è molto utile che qualcuno ci sottoponga le sue questioni per incitarci a riflettere. In questo modo più grandi sapienti hanno fatto scaturire la scienza; è così che ciò che fu da loro prodotto viene tramandato dai libri, e lasciato a noi per l’opportunità di farne buon uso. Occupiamoci dunque anche noi di qualche questione. grazie alla quale il nostro spirito, più elevato, possa essere condotto a una maggior certezza intellettuale. Allora, dico io, rivediamo subito quella tavola delle parti della filosofia che ci è stata mostrata l’anno scorso. Esaminatela tutti con la più grande cura, e che ciascuno di voi dica ciò che ne pensa o ciò che le rimprovera. Se per quanto si vede non le manca nulla, sia confermata dall’approvazione di voi tutti. Se invece appare che debba essere corretta, essa sarà, secondo l’opinione dei sapienti, rigettata o rettificata. Sia ora presentata davanti a voi affinché possiate vederla.” Otric allora esibendola apertamente dichiarò che era stata così disposta da Gerbert, e che era stata raccolta e scritta dai suoi uditori, e così la porse al signore Augusto perché la potesse leggere. Dopo che ne fu fatta la lettura, fu consegnata a Gerbert. Quest’ultimo, avendola percorsa attentamente, l’approvò su certi punti, la criticò su altri e dichiarò allo stesso tempo che egli non l’aveva disposta così.

 

[59.] DIVISIONE DELLA FILOSOFIA TEORETICA IN SPECIE

Invitato dunque dall’Augusto a effettuare la correzione, disse: “Io vedo, o grande Cesare Augusto, che tu sei superiore a tutti questi uomini. Obbedirò dunque come è giusto ai tuoi ordini, e non mi turberà il livore dei malevoli per la volontà dei quali è accaduto che la divisione assai corretta della filosofia, da me già stabilita in forma convincente e chiara, sia stata snaturata mediante la subordinazione di una delle specie.[149] Io dichiaro dunque che la matematica, la fisica e la teologia, su un piano di uguaglianza, sono subordinate a uno stesso genere e che la loro partecipazione a questo genere è identica. Non può accadere che una sola e medesima specie, per un unico e identico rispetto, sia uguale a un’altra specie e che sia allo stesso tempo subordinata alla medesima come la specie lo è al genere. Tale almeno è il mio sentimento sulla questione. Del resto, se qualcuno ha delle obiezioni da fare, cerchi di giustificarle e ci faccia comprendere un’idea che la ragione naturale non sembra avere ancora suggerito a nessuno.”

 

[60.] DIVISIONE DELLA FILOSOFIA

A questo punto, facendogli segno l’Augusto, Otric intervenne così: “Poiché tu hai brevemente alluso a qualche parte della filosofia, occorre che tu la classifichi completamente e che tu spieghi la ripartizione. E così potrà darsi, sulla base di una ripartizione condivisibile, che sia allontanato da te il sospetto di una tavola sbagliata.” Gerbert rispose allora: “Poiché ciò ha una grande importanza, in quanto comprensione della verità delle cose divine e umane, per non essere accusati di ignavia e per il beneficio di alcuni dei nostri ascoltatori, non esiteremo a esporre questa divisione secondo Vittorino[150] e Boezio[151]. La filosofia è un genere le cui specie sono la pratica e la teoria; la pratica da parte sua ha le sue specie, ovvero la dispensativa, la distributiva, la civile. Nella teoria sono invece comprese di solito la fisica naturale, la matematica intelligibile e la teologia intellettibile. Noi d’altronde non collochiamo senza ragione la matematica sotto la fisica.”

 

[61.] VANA CRITICA DELLA DIVISIONE DA PARTE DI OTRIC E RISPOSTA DI GERBERT

Otric, che cercava di proseguire la discussione, obiettò: “Io sono molto profondamente sorpreso che tu abbia così immediatamente posto la matematica sotto la fisica, poiché si può comprendere tra loro un genere subalterno, la fisiologia. Sembra in effetti un grosso errore se una parte cercata troppo lontano viene considerata la suddivisione di un genere.” Gerbert a ciò replicò: “Si sarebbe stati parecchio sorpresi se io avessi subordinato come una specie la matematica alla fisica, che è sua uguale. Poiché entrambe sono uguali e fanno parte dello stesso genere, sarebbe strano, dico io, che si subordinasse l’una all’altra. Ma io aggiungo che la fisiologia non è un genere della fisica, come tu pretendi, e io stimo che non vi sia tra loro altra differenza di quella che esiste tra la filologia e la filosofia; altrimenti occorrerebbe ammettere che la filologia è un genere della filosofia.” A queste parole, la folla degli scolastici si indignò che si fosse interrotta la divisione della filosofia e domandò all’Augusto che la si riprendesse. Ma Otric dichiarò che la si doveva riprendere un po’ più tardi, dopo aver discusso sulla causa stessa della filosofia. Girandosi allora verso Gerbert, gli chiese quale fosse la causa della filosofia.

 

[62.] QUAL E’ LA CAUSA DELLA CREAZIONE DEL MONDO

Avendogli Gerbert chiesto di indicare più chiaramente che cosa volesse, se si trattasse della causa che aveva creato la filosofia o la causa alla quale essa doveva il fatto di essere stata creata, “Io parlo” disse quello “della causa in vista della quale essa è stata creata.” Allora Gerbert replicò: “Ora che l’oggetto della tua domanda è chiaro, dirò che la filosofia è stata creata per permetterci di conoscere le cose divine e umane.” Otric intervenne: “Perché ti sei servito di tante parole per la causa di una sola cosa, allorché è forse possibile definirla con una sola parola ed è obiettivo dei filosofi ricercare la brevità? “

 

[63.] NON TUTTE LE DEFINIZIONI DELLE CAUSE POSSONO ESSERE ESPRESSE CON UNA SOLA PAROLA

Gerbert riprese: “Non tutte le cause possono essere espresse con una sola parola. E infatti, quando Platone[152] ha definito la causa del mondo creato non in una parola ma in tre: buona volontà divina, è evidente che questa causa del mondo creato non poteva essere espressa altrimenti. Se egli avesse detto, in effetti, che la volontà è la causa del mondo, ciò non sarebbe stato adeguato. Sarebbe sembrato che si trattasse di una volontà qualunque, che non è affatto il caso.” Otric replicò allora: “Se avesse detto che la volontà di Dio è la causa del mondo creato, si sarebbe espresso più brevemente e tuttavia in modo sufficiente, poiché la volontà di Dio non è mai stata altro che buona, perché non c’è nessuno che contesti che la volontà di Dio sia buona.” “Io non contraddico affatto assolutamente quest’asserzione” disse Gerbert “Ma rifletti; è certo che solo Dio è sostanzialmente buono, e che tutte le creature non sono buone che per partecipazione; la parola buona è stata dunque aggiunta per esprimere la qualità della natura di questa volontà, perché la bontà è il proprio di Dio, ma non della creatura. Infine, come che sia, è incontestabile che non tutte le cause possono essere designate da una sola parola.

 

[64.] LA CAUSA DELL’OMBRA.

Quale ti sembra, infatti, la causa dell’ombra? E’ possibile indicarla con una sola parola? Ma io dico che la causa dell’ombra è un corpo posto davanti alla luce. E non è in alcun modo possibile esprimere ciò più brevemente. Se dirai, in effetti, che la causa dell’ombra è un corpo, avanzerai una definizione troppo generale. Se vorrai che sia un corpo posto davanti, anche questo non sarà sufficiente nella misura in cui non sarà completato. Ci sono in effetti dei corpi che, anche posti davanti ad altri, non possono causare ombra. Io non contesto che le cause di molte cose possano essere espresse con una sola parola; come lo sono i generi, che nessuno ignora essere le cause delle specie, come lo sono la sostanza, la quantità, la qualità. Ma ci sono altri rapporti che non possono essere espressi così semplicemente, come quello tra il razionale e il mortale.”

 

[65.] QUAL E’ PIÙ COMPRENSIVO, IL RAZIONALE O IL MORTALE?

Allora Otric, assai vivamente sorpreso, disse: “Tu dunque subordini il mortale al razionale? Chi ignora che il razionale comprende Dio, l’angelo e l’uomo, ma che il mortale, più grande e più comprensivo, abbraccia tutti gli esseri mortali e, perciò, infiniti esseri? “ A ciò rispose Gerbert: “Se tu intraprendessi con Porfirio e Boezio, mediante un’analisi appropriata, una divisione della sostanza fino all’individuo, troveresti senza dubbio il razionale più comprensivo del mortale. E’ facile spiegarlo con argomenti pertinenti. E infatti, poiché si sa che la sostanza, il genere più generale, può dividersi in generi subalterni fino agli individui, bisogna vedere se tutti questi generi subalterni sono designati da una sola parola. Ora, è manifesto che gli uni hanno un nome formato da una parola, gli altri da più parole: da una parola come corpo, da più d’una come essere animato, sensibile. Per la stessa ragione, il genere subalterno, che è animale razionale, è attributo del soggetto che è animale razionale e mortale. Non dico che razionale preso isolatamente sia attributo di mortale preso anch’esso isolatamente, questo non è esatto; ma dico che razionale, unito ad animale, è attributo di mortale, anch’esso congiunto ad animale razionale.” E mentre egli si espandeva straordinariamente con parole e con frasi e si preparava a passare a un altro argomento; con un gesto dell’Augusto fu posta fine alla discussione, poiché in essa avevano consumato una giornata quasi intera, e la discussione lunghissima e ininterrotta affaticava ormai gli ascoltatori. Dopo aver ricevuto ricchi doni dall’Augusto, Gerbert ormai famoso rientrò in Gallia con il suo metropolita.

 

 

 

[66.] SINODO DI SAINTE-MACRE

Alla stessa epoca la regina Emma[153] e Adalbéron[154], vescovo di Laon, furono accusati del crimine infamante di adulterio; tuttavia l’accusa fu lanciata segretamente non essendovi un testimone noto di nessuna accusa. Ma poiché, a forza di essere sussurrata, essa era giunta alle orecchie di tutti, ai vescovi parve necessario che essa fosse discussa, affinché un loro fratello e collega non restasse sotto il peso di una così grave accusa. Fu dunque riunito a Sainte-Macre[155], località della diocesi di Reims, dal suddetto arcivescovo un sinodo di vescovi, che sedettero e fecero le inchieste necessarie, dopodiché l’arcivescovo…[156]

 

[67.] PROCLAMAZIONE DI OTTONE DA PARTE DEI GERMANI E DEI BELGI

Dopo la morte[157] del signore Ottone, re dei Germani, governò lo stato con energia e con successo suo figlio Ottone, eletto re dai Germani e dai Belgi, uomo di grande talento e di perfetta virtù, notevole per la conoscenza delle arti liberali, cosicché, quando discuteva, sapeva esporre le proposizioni con metodo e tirarne le conclusioni in maniera convincente. Il regno di Germania, così come una parte delle Gallie, restò nelle sue mani fino alla sua morte, ma in condizioni talvolta travagliate. Ci furono in effetti, tra Ottone e Lotario, re dei Galli, delle rivalità terribili, e la vittoria rimase incerta. Poiché Ottone possedeva la Belgica e Lotario cercava di impadronirsene,[158] i due re tentarono l’uno contro l’altro macchinazioni perfide e colpi di forza, poiché entrambi rivendicavano che il proprio padre l’aveva posseduta, e né l’uno né l’altro esitava a difendere il proprio diritto con un grosso esercito. In effetti il paese era appartenuto a Ludovico, padre di Lotario, e costui l’aveva in seguito dato a Ottone, padre del nostro Ottone. La Belgica fu di conseguenza la causa determinante della loro discordia.

 

[68.] COLLERA DI LOTARIO CONTRO OTTONE

Dunque quando Ottone risiedeva[159] al palazzo di Aquisgrana con sua moglie Teofano[160], che era incinta, Lotario fu vivamente irritato dal fatto che Ottone si fosse avvicinato così tanto. Dunque riunì a Laon il duca dei Franchi, Ugo, e gli altri grandi del reame per chiedere loro consiglio.[161] Il duca vi si recò. Gli altri che dovevano essere consultati furono in seguito ammessi alla presenza del re. Una volta riuniti in seduta, il re ricorda loro la doppia offesa che gli ha fatto il nemico, dapprima usurpando una parte del suo reame, in seguito avvicinandosi impudentemente alla sua frontiera. L’offesa più grande non è quella di aver occupato i suoi territori, ma di aver osato, dopo questa occupazione, avvicinarsi alla frontiera. Ed egli desidera molto vivamente vendicare questo insulto, se vogliono consentire al suo parere. Se non gli mancherà il numero di soldati necessari per l’azione sarà impossibile trattenerlo. E se generosamente acconsentiranno a realizzare ciò che desidera, egli poi sarà riconoscente

 

[69.] SPONTANEO ATTACCO DEI GALLI CONTRO OTTONE

Subito, senza nemmeno aver deliberato, il duca e gli altri grandi applaudono alla determinazione del re. Essi si impegnano a marciare di buon animo con lui per impadronirsi di Ottone, ucciderlo o metterlo in fuga. Il piano di queste operazioni, tenuto nascosto, poté allora giungere a conoscenza di pochi, al punto che quelli che andavano non sapevano verso quale meta. L’esercito infine raccolto avanzava in ranghi così serrati che le lance dritte somigliavano a una foresta piuttosto che ad armi. Esso avanzava a battaglioni, distinti da un’insegna. Dopo aver traversato i guadi della Mosa, i centurioni, che erano stati stabiliti e ordinati per centurie, osservarono attentamente che Ottone non aveva forze sufficienti. E così si avvicinavano e facevano conoscere la grande debolezza militare del nemico.

 

[70.] Quando queste notizie giunsero alle orecchie di Ottone, costui, che era di temperamento audace, rispose che Lotario non avrebbe mai attaccato là, né sarebbe riuscito a penetrare davvero nel suo territorio perché non gli bastava il numero delle truppe e non aveva sufficiente fiducia nei suoi. Ma, quando gli uni e gli altri gli dissero che Lotario era già alle porte, riferiscono che Ottone dicesse che non poteva decidersi a crederlo se non l’avesse constatato egli stesso vedendolo. Quindi, dopo che furono richiesti e condotti dei cavalli, Ottone partì per vedere. Riconobbe Lotario, che s’avanzava con 20.000 uomini. E così ora pensava di resistere, ora meditava di ritirarsi per il momento e in seguito ritornare con un esercito numeroso.

 

[71.] Alla fine, davanti a Lotario che lo pressava, non poté resistere. Si ritirò dunque, non senza lacrime, con la propria moglie Teofano, e i grandi del reame, abbandonando il palazzo e le insegne reali. Lotario arrivò con l’esercito, ben deciso a impadronirsi di Ottone; l’avrebbe certamente preso se l’esercito a causa dei convogli non l’avesse impedito nella sua marcia. In effetti, se fosse arrivato alla vigilia prima della partenza di Ottone, avrebbe potuto farlo prigioniero o ucciderlo. Il palazzo viene quindi occupato dai nemici; le tavole reali vengono ribaltate; serventi dell’esercito fanno man bassa sulle vettovaglie; le insegne reali stesse, strappate dai loro nascondigli, vengono portate via. Girarono verso oriente l’aquila di bronzo, che era stata fissata da Carlo Magno[162] sulla sommità del palazzo nell’atto di volare. Infatti i Germani l’avevano girata verso occidente per indicare in modo simbolico che la loro cavalleria avrebbe potuto battere i Galli in ogni momento. Avendo fatto invano quest’attacco, Lotario ricondusse indietro il proprio esercito senza ostaggi, né un accordo di tregua, poiché aveva la speranza di tornare più tardi.[163]

 

[72.] Ottone, che aveva sopportato tutto il peso della catastrofe, chiamava a sé i suoi con molteplici doni e con molti favori; ed essendo desideroso di vincere, se aveva danneggiato qualcuno lo richiamava a sé, o col restituire ciò che aveva sottratto, o col donare ciò che aveva promesso. Quando ebbe accontentato tutti e richiamato a sé quelli che per caso si erano allontanati, dopo aver riunito insieme i grandi del regno così parlo davanti a loro:

 

[73.] DISCORSO DI OTTONE AI SUOI FEDELI

“ Non senza motivo, illustri signori, ho voluto qui riunirvi. Il vostro valore mi ha suggerito l’idea di chiedere consiglio a voi, che l’intelligenza decora e il valore dell’animo adorna. E non dubitavo che avrei ricevuto da voi eccellenti consigli, poiché non ho dimenticato con quale coraggio, con quale energia voi siete rimasti fino a questo momento fermi nella vostra fedeltà. Voi avete finora agito, illustri signori, con straordinaria energia per avere l’onore e la gloria di un’eccellente reputazione, mostrandovi illuminati nel consiglio e invincibili in battaglia. Oggi occorre mostrare la stessa energia affinché a questa eccellente reputazione non faccia seguito un vergognoso disonore. Lottate dunque con tutte le forze e, se avete conseguito qualche onta, cancellatela da una così grande fama. Voi non ignorate che ci è stata appena inflitta da Lotario l’onta di una fuga. Quest’onta, la vostra grandezza impone di lavarla non solo con il combattimento, ma anche con la morte: le circostanze l’esigono e l’occasione stessa lo consiglia. Se dunque siete più pronti a comandare che a servire, non trascurate quest’azione finché l’età è vigorosa e l’anima è valente. Fate in modo, grazie al vostro grande coraggio, di risultare temibili per coloro che vi hanno trattato come vile plebaglia.”

Con questo discorso tutti i presenti si persuasero a far ciò.[164]

 

[74.] SPEDIZIONE DI CAVALLERIA DI OTTONE IN GALLIA

Ottone si apprestò allora a penetrare in Gallia con 30.000 cavalieri. Non tardò a partire dopo aver inviato centurioni in avanguardia. Invase la Gallia Celtica, che incendiò e saccheggiò.[165] E così inseguendo a sua volta Lotario lo obbligò, poiché questi aveva scarsità di truppe, ad attraversare la Senna e lo costrinse a recarsi piangente dal duca. Sorpresi dall’arrivo improvviso del nemico, il re raggiunse Etampes e il duca si fermò a Parigi per raccogliere un esercito. Mentre ciò accade, Ottone avanza con il proprio esercito, saccheggia e incendia il dominio reale di Attigny. Attraversando il territorio della città di Reims, fece grandi devozioni a san Remigio; attraversata anche la città di Soissons, e venerato san Medardo, distrusse quasi completamente il palazzo di Compiègne. Da parte loro, e a sua insaputa, i centurioni dell’avanguardia distrussero completamente e incendiarono il monastero di santa Baltilde[166] di Chelles[167]. Molto scontento di ciò, Ottone diede una forte indennità per il suo restauro. Arrivò infine al bordo della Senna, e là il suo esercito si accampò, avendo di fronte Parigi, e saccheggiò quasi tutta la regione per tre giorni.

 

[75.] I cavalieri dunque andavano e venivano tutt’intorno per centosessanta stadi[168], con serventi che si davano da fare per recuperare viveri. E poiché la Senna scorreva in mezzo, le due armate non potevano avvicinarsi. Il duca intanto raccoglieva soldati sull’altra riva del fiume; ma a costui non bastavano tre giorni per raccogliere un numero sufficiente di soldati, né poté costituirsi un effettivo adeguato per poter attaccare battaglia.

 

[76.] SINGOLAR TENZONE[169]

Mentre le due armate restavano in attesa e il pensiero della vittoria le assorbiva, un Germano, confidando nel proprio valore e nella propria forza, avanzò da solo in armi per battersi. Andò fino al ponte, le cui porte erano munite di sbarre e di chiodi di ferro, per combattere da solo contro uno solo. A più riprese egli sfidò il nemico a singolar tenzone. E quando si era già abbandonato a ingiurie offensive per i Galli senza che alcuno gli rispondesse, le sentinelle riferirono al duca e agli altri grandi venuti in piccolo numero che c’era alle porte un uomo che offriva di battersi in singolar tenzone, uno contro uno, e che quello ricopriva i grandi di invettive e di ingiurie verbali, e non si sarebbe ritirato finché non si fosse misurato in duello o non avesse fatto entrare tutto l’esercito dopo aver fatto a pezzi le porte. D’accordo con i grandi, il duca giudicando l’offesa intollerabile invita i vassalli o i giovani soldati a respingere questo pazzo furioso e a ricoprirsi di gloria lavando la propria reputazione[170] da una tale ignominia. Subito parecchi si presentarono, pieni d’ardore, per tener testa a costui. Dunque, sceltone uno[171] fra i tanti, questi s’avanzò per combattere. Gli fu offerta una ricompensa per il suo coraggio. E levate le sbarre furono aperte le porte. Ciascuno dei due avanzò contro l’avversario. Protetti dai loro scudi, che li difendevano dai dardi, si gettarono in faccia con tono furioso insulti grossolani. Poi il Germano, lanciato un dardo, con un colpo violento perforò la corazza del Gallo. E mentre, tirata fuori la spada, minacciava di saltargli addosso, fu subito dal Gallo trapassato con un dardo tirato di lato e privato della vita. Il Gallo vittorioso, strappate al nemico le armi, le portò via e le offrì al duca. Quest’uomo coraggioso reclamò la sua ricompensa e l’ottenne.

 

[77.] RITIRATA DI OTTONE DALLA GALLIA E FUGA DEI SUOI.

Ottone, non ignorando che l’esercito dei Galli s’ingrossava progressivamente, e sapendo anche che il suo rischiava di ridursi, tanto per il lungo cammino, quanto per gli attacchi dei nemici, si dispose a rientrare. Dato il segnale, levarono il campo. Si cercò anche di accelerare i convogli e tutti messisi in movimento andavano senza indugi e non senza paura. Alcuni affrettandosi avevano passato i guadi del fiume Aisne, altri invece vi stavano entrando, quando un esercito lanciato dal re arrivò alle spalle di quelli che si affrettavano. Quelli che furono raggiunti furono scannati dalle spade dei nemici; molti in verità, ma nessuno famoso per il nome. Nel frattempo Ottone, allontanatosi con l’esercito, raggiunse la Belgica, e là sciolse la spedizione. Mostrò tanto favore e tanta benevolenza verso i suoi, che essi promisero di esporsi ancora a ogni pericolo così come a quello appena passato.

 

[78.] Vedendo che non poteva prendere Ottone con l’inganno né batterlo, Lotario si interrogò a lungo per sapere se fosse meglio contrastare il nemico o riconciliarsi col nemico. Se l’avesse contrastato, riteneva possibile che il duca venisse corrotto con doni e ritornasse in amicizia con Ottone. Se si fosse riconciliato con l’avversario, la cosa doveva essere fatta rapidamente affinché il duca non se ne accorgesse e non cercasse anch’egli di riconciliarsi. Tutti i giorni Lotario rimuginava queste idee e perciò nei due casi diffidava del duca. Finalmente fu deciso dai suoi consiglieri che Ottone doveva essere richiamato all’amicizia con il re, in quanto era un uomo di valore, e tramite lui non soltanto sarebbe stato possibile rendere il duca trattabile, ma anche i tiranni di altri paesi avrebbero potuto essere profittevolmente sottomessi. Di conseguenza furono inviati da Lotario ambasciatori che. ricevuti molto cortesemente da Ottone, si impegnarono, all’insaputa del duca, per ottenere la riconciliazione dei due.

 

[79.] DISCORSO DEI GALLI A OTTONE

“Fino a oggi” dissero “quelli che amano la discordia, l’odio e il massacro hanno prosperato, poiché goduto di un grande credito presso i nobili re. La discordia dava loro gioia, perché ritenevano di poter trarre molto profitto dai re discordi. E in effetti meditavano la rovina generale per ottenere una maggiore opportunità di gloria e di onori presso sovrani conturbati. Ma sarebbe di grande vantaggio per lo stato se la cattiveria dei malvagi fosse prontamente repressa e se la virtù dei buoni brillasse con più splendore della luce. Che la virtù ritorni e fiorisca tra i sovrani molto gloriosi, cosicché per effetto della vostra virtù gli autori di tanti mali restino d’ora in poi tranquilli, e lo stato sia governato dalla vostra virtù, piuttosto che perire per la gelosia degli ambiziosi. Voi in effetti regnerete entrambi con maggiore sicurezza se, uniti in amicizia, voi avrete due armate in luogo di una sola. Se uno di voi vuol recarsi nelle province più lontane del proprio regno, troverà nell’altro un fratello, fedele tutore dei suoi beni. Piacciano dunque la pace e l’amicizia ai re serenissimi, che anche l’affinità di sangue congiunse. Siano legati dall’amicizia, poiché la loro discordia causa la rovina dello stato, mentre la loro concordia gli procura vantaggio e ne accresce la potenza.”

 

[80.] RISPOSTA DI OTTONE AI GALLI

Ottone a ciò rispose: “Io so quanto male la discordia ha spesso causato allo stato, tutte le volte che i sovrani dei regni si sono fatti la guerra fra loro; io non ignoro nemmeno quanta prosperità sia stata procurata allo stato per merito della concordia. Io dichiaro che io ho sempre amato molto la pace e la concordia e ho sempre avuto odio per le gelosie e le discordie dei malvagi. Siano dunque conciliati tramite voi, che vedo adattissimi a tal fine, gli animi dei contendenti, che finora con i reciproci attacchi hanno molto danneggiato lo stato. Approvo il senso del vostro consiglio. Che dunque gli atti si accordino con le parole.” Gli ambasciatori, essendo stati convincenti, ritornano, e riferendo a ciascuno dei due re la buona disposizione di ciascuno verso l’altro li riportano all’amicizia. Si fissa una data[172] per una conferenza e si sceglie un luogo comodo per entrambi.

E poiché i regni di entrambi confinavano presso il fiume Mosa, ai re piacque di incontrarsi nella località che è detta Margut[173].

 

[81.] RICONCILIAZIONE DEI RE LOTARIO E OTTONE

Dunque si incontrarono. Dopo essersi dati la mano destra, si baciarono affettuosamente senz’alcuna esitazione e si giurarono amicizia l’un l’altro. La parte della Belgica che era in discussione fu ceduta a Ottone. Fatta la pace nel suo regno, Ottone partì per l’Italia[174] e si recò a Roma per rivedere i propri sudditi, rendersi conto della situazione del proprio regno e anche per andare a reprimere i tumulti se per caso ve ne fossero e riportare alla pace i rivoltosi, nel caso in cui qualcuno dei grandi si fosse sollevato. Lotario poi, recatosi a Laon, valutò con i suoi ciò che era opportuno. Non aveva più niente da sperare dal duca poiché diffidava non poco di lui, a seguito del trattato che era stato appena concluso alle sue spalle. Quando ormai tutte queste cose erano divulgate, e per questo alcuni protestavano indignati in favore del duca, Ugo, nascondendo lo scontento, sopportava tutto con animo sereno e, secondo l’abitudine che aveva di mettere tutti gli affari in discussione, convocò i grandi e sedette tra loro per arringarli.

 

[82.] DISCORSO DEL DUCA AI SUOI FEDELI

Cominciò così iniziando a parlare davanti a loro: “ Mai senza profitto si chiede a uomini istruiti un consiglio utile e onesto. Solo a questi conviene rivolgersi e da loro, in una circostanza imbarazzante, si ottiene un consiglio ragionevole. Io stimo voi[175] capaci di consigliarmi, poiché non ho dimenticato grazie a quanta vostra virtù e intelligenza io abbia spesso superato gli avversari. E poiché non dubito che voi, impegnati con me con l’omaggio e col giuramento, mi conserverete una fedeltà inviolabile, chiedo senza esitazioni consiglio ai miei fedeli, Se voi me l’accordate, anche voi ne trarrete beneficio; se voi me lo rifiutate, forse non si eviterà un disastro, nel quale voi soccomberete nel disonore. Di conseguenza, poiché è in gioco la vita, datemi generosamente un buon consiglio. Voi non ignorate in effetti con quanta sottile perfidia il re Lotario ha tradito me che non stavo in guardia, cercando di riconciliarsi a mia insaputa con Ottone e facendolo. Egli ha completamente dimenticato con quanta generosità quanto grande pericolo io abbia affrontato, poiché è grazie a me che egli ha potuto di recente mettere in fuga il nemico e sgombrare la Belgica dalle insegne nemiche che vi erano state portate Cosa posso io ormai sperare, poiché egli ha perfidamente violato la propria parola? “

 

[83.] RISPOSTA DEI FEDELI AL DUCA

I grandi a ciò risposero: “ Non solamente sappiamo a quanti pericoli ti sei esposto con noi per il re Lotario, ma anche a quale rischio sia esposta la tua grandezza se i due re cospirassero contro di te, come corre voce. Poiché, se tu lanci un esercito contro uno di loro per la tua difesa, tu troverai che subito entrambi si contrapporranno a te. Se tu dirigi i tuoi sforzi contro entrambi, tu incapperai necessariamente in numerosi ostacoli: cavalcata insopportabile, imboscate ripetute, incendi, saccheggi e, ciò che è peggio, i discorsi abominevoli di una folla perfida che non dirà che noi ci difendiamo contro dei nemici, ma ci accuserà di metterci, come temerari e spergiuri, in stato di ribellione contro il re. E così sosterrà ingannevolmente, con chi vorrà ascoltarla, che si può, senza commettere un crimine, abbandonare i propri signori e alzare con arroganza la testa contro di loro.

Il suggerimento migliore e più efficace contro questo pericolo ci sembra, poiché i due sono uniti contro di noi, quello di staccarli l’uno dall’altro. Se è impossibile staccarli l’uno dall’altro, cerchiamo almeno di legarci d’amicizia a uno di loro, affinché quello che ci sarà devoto non accordi all’altro né rinforzi né incoraggiamenti. È anche possibile far sì che tu vada a trovare Ottone, che al momento si trova a Roma, ma agendo con precauzione e prudenza e inviando in avanscoperta degli ambasciatori. Ottone in effetti non è così privo di intelligenza da ignorare che tu sei superiore a Lotario per forza e ricchezza, poiché l’ha sentito spesso dire e ne ha fatta egli stesso esperienza. Per cui guadagnerai più facilmente la sua amicizia. Anche la vostra parentela ti aiuterà, poiché tu sei a lui congiunto dal sangue allo stesso grado[176] di Lotario.”

 

[84.] Questo discorso fu ricevuto favorevolmente dal duca. Dunque, inviati degli ambasciatori, il duca fece conoscere queste intenzioni a Ottone a Roma. Ottone accolse gli ambasciatori con una rimarchevole buona grazia. E non nascose di essere favorevolissimo a stabilire tra loro un’alleanza. Se il duca stesso fosse venuto da lui affinché entrambi provassero meglio la sincerità della loro amicizia, l’avrebbe accolto, insieme ai suoi, con riguardo ed onore. Gli ambasciatori, fatto ritorno, riferirono il messaggio al duca. Dunque il duca prendendo con sé alcuni particolarmente abili e saggi, cioè Arnolfo[177] vescovo di Orléans, Burcardo[178] e …[179] insieme ad altri uomini assolutamente necessari, partì allora per Roma[180]. Fece le sue devozioni ai santi apostoli e così si recò dal re.

 

[85.] INCONTRO DI OTTONE E DEL DUCA

Ottone, che desiderava procurarsi un successo, aveva deposto di proposito la propria spada su una sedia pieghevole, dopo aver fatto uscire tutti dalla sala reale. Il duca era stato introdotto da solo, accompagnato solo da un vescovo affinché, mentre il re parlava in latino[181], il vescovo interprete del latino spiegasse al duca ciò che diceva. Entrando nella sala i due personaggi furono accolti dal re con grande riguardo. Il re mise da parte le rimostranze per le offese, e dandogli un bacio e gli accordò le proprie buone grazie come a un amico. Dopo una lunga conversazione sull’amicizia che si doveva stringere, quando il re uscì e girandosi domandò la spada, il duca, allontanandosi un poco da lui, si abbassò per prendere la spada e portarla dietro il re. Era stata lasciata di proposito sulla sedia, affinché il duca, portando la spada mentre tutti vedevano, lasciasse intendere che era disposto a mettersi al servizio anche in futuro.[182] Ma il vescovo, che vegliava sul duca, gliela tolse di mano, e fu lui che marciò dietro il re reggendogliela. Il re, avendo ammirato la sua sagacia e insieme la sua finezza, spesso, in seguito, la raccontò ai suoi non senza elogi. E avendo preso il duca in grande amicizia, lo fece scortare fino quasi alle Alpi con riguardo e senza incidenti.

 

[86.] LETTERA DI LOTARIO A CORRADO

Il re Lotario, come pure la regina Emma, preparavano agguati ovunque e tendevano trabocchetti per farlo prigioniero mentre ritornava. Pertanto l’uno indirizzò a Corrado, re degli Alamanni[183] una lettera avente questo tenore: “ Lotario, per grazia di Dio re dei Franchi, saluta Corrado re degli Alamanni. Mi fu sempre gradito conservare inviolabilmente l’amicizia da molto tempo fra noi stabilita. I frutti essendo stati già molteplici da parte mia, ho giudicato bene mettervi al corrente di un affare, e chiedervi di agire conformemente i miei auspici. Voi sapete che finora ho trattato il duca Ugo come un amico. Avendo però appreso che mi è segretamente ostile mi sono allontanato dalla sua intimità. Per cui ora andando a Roma si è recato da Ottone per spingerlo fortemente al disprezzo nei miei confronti e alla rovina del mio regno. Impegnatevi perciò con tutte le risorse e con tutto l’ingegno affinché non sfugga. Salute“ E così, disposti dappertutto degli esploratori nelle spaccature delle montagne e delle rocce e allo sbocco delle strade, aspettavano il suo arrivo.

 

[87.] ALTRA LETTERA DELLA REGINA EMMA A SUA MADRE.

Da parte sua la regina Emma indirizzò alla propria madre una lettera di questo tenore: “Alla madre Adelaide[184], imperatrice sempre augusta, Emma regina dei Franchi augura salute. Benché separata da voi da un gran tratto di terra, vi domando la vostra assistenza come una figlia alla madre. Il duca Ugo non solo ha allontanato con inganni i grandi del nostro regno dalla fedeltà nei nostri confronti, ma cerca anche di alienarci mio fratello Ottone; e perciò è andato a visitarlo a Roma. Perché non possa vantarsi di aver realizzato il proprio desiderio, vi chiedo supplichevole, da figlia a madre, di impedire il ritorno di un tale nemico e, se possibile, che sia imprigionato o che non rientri impunemente. Ma affinché quest’uomo ingannatore non sfugga grazie alle proprie astuzie, ho preso cura di farvi notare le caratteristiche essenziali di tutto il suo fisico. “ A quel punto proseguendo indicava le particolarità dei suoi occhi, delle sue orecchie, delle sue labbra, anche dei suoi denti, del suo naso e di altre parti del suo corpo, e anche il suo modo di parlare così mal conosciuto, così da permettere a chi non lo conosceva di scoprirlo e di identificarlo grazie a questa descrizione.

 

[88.] UGO SFUGGE ALLE INSIDIE CON UN TRAVESTIMENTO.

Il duca, che non ignorava queste macchinazioni, accelerò il proprio rientro. Per prevenire le insidie, cambia d’abito e si finge uno dei domestici. Conduce e spinge egli stesso i cavalli che portano i bagagli. Carica e scarica i bagagli; si mette al servizio di tutti. Seppe dissimularsi così abilmente sotto il suo umile abito e nella sua tenuta trascurata che riuscì a superare i luoghi delle imboscate che non aveva potuto evitare e depistò con successo gli uomini in agguato. Una volta tuttavia, in un albergo, per poco non fu preso. Infatti al momento in cui si andava a coricarsi, gli veniva preparato con cura il giaciglio, e tutti quelli che erano intorno a lui si offrivano di servirlo. Gli uni inginocchiati gli toglievano le calzature e, una volta levate, altri le ricevevano. Altri ancora, seduti sotto di lui, frizionavano i piedi nudi a lui seduto e li asciugavano avvolgendoli nelle vesti. L’albergatore vedeva tutto ciò dalle fenditure della porta. Sorpresolo a guardare; subito lo chiamarono e lo fecero entrare perché non svelasse la cosa. Dopo averlo minacciato di morte con le spade sguainate se avesse fiatato, lo assalirono, gli legarono mani e piedi e lo gettarono in uno sgabuzzino. L’uomo, impossibilitato a parlare, vi restò coricato fino al crepuscolo. Poi calando la notte si alzarono proprio al crepuscolo. Preso l’albergatore e messolo su un cavallo, lo portarono fino a quando non ebbero attraversato i passaggi sospetti. Dopo averli passati, fattolo scendere lo rilasciarono e terminarono velocemente il resto del cammino. Ugo sfuggì parimenti alle insidie del re Corrado travestendosi e nascondendosi a più riprese poiché anche lì degli incaricati cercarono con insistenza di sorprenderlo. Infine, al sicuro da tanto grandi pericoli, rientrò in Gallia.

 

[89.] RICONCILIAZIONE DI LOTARIO E DI UGO.

Allorché i due ebbero conoscenza delle loro reciproche macchinazioni si accanirono aspramente l’uno contro l’altro, non colle armi ma con perfide insidie, così tanto che per qualche anno lo stato ebbe molto a soffrire per le discordie dei principi. Numerosi atti di brigantaggio, violenze contro i malcapitati, abominevoli attentati contro i più deboli furono commessi a quell’epoca da criminali. I più saggi consiglieri di entrambi, riunitisi per deliberare, deplorarono con molte lamentele che i principi fossero discordi.

 

[90.] Decisero che i partigiani dell’uno si sarebbero recati dall’altro per tentare di convincerli a una riconciliazione, cosicché, toccati dalle loro buone intenzioni reciproche, entrambi sarebbero stati più disposti a perdonarsi e si sarebbero pentiti più sinceramente per l’amicizia rotta. Ciò che si era progettato fu posto in esecuzione non molto tempo dopo. In effetti si riuscì a convincerli assai efficacemente e svilupparono un grande affetto l’uno per l’altro. E così la forza della loro mutua amicizia si trovò consolidata.

 

[91.] ELEVAZIONE DI LUDOVICO AL REGNO DEI FRANCHI

Poiché il re voleva che suo figlio Ludovico[185] gli succedesse sul trono, e chiese al duca di proclamarlo re, il duca rispose che si sarebbe volentieri incaricato di fare senza ritardo l’elevazione. Inviati messaggeri, convocò a Compiègne i grandi dei regni. E là Ludovico, proclamato re dal duca e dagli altri grandi, fu elevato al regno dei Franchi, nel santo giorno della Pentecoste[186], dal vescovo metropolitano di Reims, ovvero Adalbéron di degna memoria. Quando ci furono due re, il duca diede prova di molta cordialità e devozione per diversi giorni, esaltando in ogni modo la dignità reale e mostrandosi a loro sottomesso. E anche promettendo loro di fare in modo che entrambi rafforzassero l’autorità sui popoli già assoggettati e sottomettessero effettivamente quelli non ancora assoggettati. Riteneva poi che Lotario e Ludovico dovessero esercitare il potere reale essendo posti a capo di più di un regno, affinché la ristrettezza di un solo regno non limitasse troppo la maestà dei due re.

 

[92.] ELEVAZIONE DI LUDOVICO AL REGNO D’AQUITANIA E SUO MATRIMONIO

Mentre egli organizzava ciò con molto impegno, degli astuti personaggi, informati e desiderosi di attribuirsene la gloria, andando a visitare la regina Emma le dissero che dovevano trattare un affare molto importante. Ricevuti dalla regina, le dissero che sarebbe parsa ottima cosa far sposare al re Ludovico Adelaide[187], vedova di Raimondo[188], duca di Gotia, morto recentemente. E da ciò non soltanto si sarebbe potuta accrescere la potenza del suo regno, ma egli si sarebbe procurato altri vantaggi. E in effetti era possibile che egli potesse sottomettere insieme tutta l’Aquitania e la Gotia una volta che avesse sottomesso al suo comando, per il diritto derivante dalla moglie, le più munite piazzeforti. Un’altro elemento importante e vantaggioso di questo progetto si aggiungeva se padre e figlio, installati uno di qua e uno di là, avessero potuto senza tregua minacciare il duca e il resto dei loro nemici rinchiusi nel mezzo.

 

[93.] Dopo che questo progetto fu suggerito al re, esso fu adottato in presenza del conte Goffredo[189]. Le cose furono preparate all’insaputa del duca. Quando questi apprese la cosa, dissimulando il suo risentimento per non aver l’aria di manifestare ostilità contro i re non si oppose in alcun modo. Nel frattempo, convocati i grandi del regno, fu predisposta una spedizione regia, si portarono le insegne reali. Apprestate molte vettovaglie, queste furono poste su carri. Fatto ciò, i due re partirono per l’Aquitania[190] con numerosi cavalieri e si recarono nella fortezza di Brioude-le-Vieux[191].

 

[94.] PROMOZIONE DI ADELAIDE A REGINA D’AQUITANIA DA PARTE DI LUDOVICO E LORO DIVORZIO

La suddetta Adelaide li ricevette là con molta solennità. Al giorno fissato, dopo aver compiuto convenientemente le cerimonie e aver dato la dote legittima, il re Ludovico la sposò e l’associò al trono una volta incoronata dai vescovi. Tuttavia il titolo reale non valse loro abbastanza perché riuscissero a esercitare un’autorità reale sui principi. D’altra parte l’amore coniugale era tra loro pressoché nullo. In effetti poiché egli era ancora un adolescente ed ella era già una donna vecchia[192], a causa delle opposte abitudini avevano contrasti. Si rifiutavano di avere un letto comune e, per riposarsi, utilizzavano edifici differenti. Se talvolta dovevano incontrarsi sceglievano un luogo all’aria aperta. Per fare conversazione era loro sufficiente dire pochissime parole. E tra loro questa situazione durò per circa due anni; poi il loro comportamento divenne a tal punto discorde che non molto tempo dopo ne seguì un divorzio.

 

[95.] Ludovico, che non aveva un precettore, non si interessava, come gli adolescenti, che a cose futili. Aveva abbandonato in favore di costumi stranieri quello del proprio paese. E così la situazione divenne del tutto miseranda, poiché egli era degenerato nei costumi e screditato a causa della propria impotenza a governare. Egli che era, poco tempo prima, grazie alla propria nascita, alla propria reputazione e alle proprie ricchezze, un potente re, ora viveva in modo miserabile nella tensione e nella povertà, per mancanza di risorse personali e di forze militari. Avendo saputo da molti queste cose, il re Lotario pensava di richiamare suo figlio, non ignorando che la situazione sarebbe ancora peggiorata, poiché quello non riceveva laggiù gli onori propri della dignità reale. E così prepara una spedizione di cavalleria per andare a riprendere il figlio. Arrivato in Aquitania, si recò a Brioude. Riprese suo figlio e lo ricondusse via.[193] La regina, desolata di non avere più marito e temendo più gravi ingiurie, si recò da Guglielmo[194] d’Arles e lo sposò. E così dal divorzio conseguì un pubblico adulterio.

 

[96.] MORTE DI OTTONE

Alla stessa epoca, Ottone soccombette alla propria malasorte dopo una battaglia[195] contro i barbari. Perdette il proprio esercito, messo in rotta, ed egli stesso, dopo esser stato fatto prigioniero dai nemici, non dovette il proprio ritorno che alla grazia divina. Poi, poiché a Roma soffriva di disturbi digestivi ed era afflitto da una costipazione intestinale dovuta a umori di bile nera, egli per curarsi assunse un peso di quattro dramme di aloe. Il turbamento di viscere che ne risultò fu seguito da una diarrea continua che, prolungandosi, provocò delle emorroidi tumefatte e l’emorragia, divenuta eccessiva, portò la morte[196] dopo non molti giorni.

 

[97.] Il defunto lasciava un figlio di nome Ottone[197], dell’età di cinque[198] anni. Qualche grande avrebbe voluto che succedesse al padre sul trono, ma altri si opposero. Si finì per procurargli il regno, ma a prezzo di grandi sforzi e dopo molte vicissitudini. In effetti Hezilo[199], cugino germano del defunto re, che era ancora custodito in prigione da questi perché gli disputava la corona, scappò, per la sfortuna dello stato, grazie al tradimento di personaggi malvagi, e fu accolto nei castelli di molti di loro. Nobile come Ottone, egli era fisicamente elegante e vigoroso. Era un personaggio ambizioso e fazioso, di spirito vasto ma malvagio. Quest’uomo, appassionato dal potere, era entrato in intimità e in familiarità con tutti i criminali, con i condannati come pure con quelli che erano in attesa di giudizio per i loro delitti, in breve, con tutte le persone disonorate la cui coscienza era turbata.[200] Grazie alla complicità di questi individui, egli rapì il figlio sopravvivente del defunto re, Ottone il fanciullo, nella speranza di regnare al suo posto e, credendosi già padrone del regno, si dispose a prendere lo scettro e la corona. Poiché pensava di domandare l’appoggio di Lotario e di farselo alleato e amico cedendogli la Belgica, gli inviò ambasciatori per confermare con giuramento il loro trattato. Mediante questo giuramento i due re si impegnavano anche a incontrarsi sul Reno in un luogo indicato in precedenza.[201]

 

[98.] A seguito della promessa fatta dagli ambasciatori, Lotario attraversò la Belgica con il proprio esercito all’epoca fissata[202], per non violare il giuramento[203], e arrivò al luogo convenuto sul Reno. Hezilo, che dubitava, andandovi prima di Lotario, di essere sospettato dai grandi di volerlo accogliere nel regno, si rese colpevole di spergiuro astenendosi dal presentarsi. Vedendosi giocato, Lotario rientrò, ma non senza grandi difficoltà, poiché i Belgi, in mezzo ai quali era passato con la cavalleria, furiosi per il suo passaggio gli sbarrarono la strada mettendo alberi di traverso e arrestarono le truppe che rientravano inondando dei fossati. Il loro obiettivo non era di ingaggiare un combattimento in campo aperto, ma di tormentare da dietro i loro nemici una volta che li avessero visti bloccati dagli ostacoli o di mettersi al sicuro sulla cima dei monti per crivellarli di proiettili quando questi fossero passati nella vallata. Non volendo dunque restare allo scoperto, gli arcieri si appostarono con i loro archi e le loro balestre in passaggi accidentati e, durante il passaggio dell’esercito, crivellarono dall’alto una parte dei loro avversari con le proprie frecce e ne ferirono altri con differenti proiettili. Ma i fanti videro un passaggio praticabile per la salita, si rivoltarono contro questi nemici e col proprio accanimento ne ferirono alcuni e ne uccisero altri. Per tre volte caricarono contro di loro con tanta furia che il numero dei cadaveri ammucchiati sembrava una montagna. Altri poi colpendo con le spade tagliavano il folto dei rami che ostruivano la via o spingendo con le lance spostavano la massa degli alberi messa di traverso, e così si aprivano il cammino. Alla fine, dopo molti sforzi, si tirarono fuori dal mezzo dei nemici.

 

[99.] La Germania[204] non era allora governata da nessun re dal momento che, mentre la tenera età impediva al fanciullo Ottone di regnare, a Hezilo desideroso di regnare veniva negato il regno dai grandi. Così, intravedendo l’occasione Lotario pensava di invadere una seconda volta la Belgica per rimetterla sotto la propria autorità, poiché Ottone non c’era e i grandi erano in disaccordo e il regno non era governato dall’autorità di alcun re.

 

[100.] Lotario dunque, fatti venire Eude[205] ed Eriberto[206], personaggi illustri e potenti, espose loro il proprio desiderio segreto. Poiché egli aveva poco prima donato loro generosamente i magnifici possessi del loro zio[207], morto senza figli, con le piazzeforti munitissime che vi si trovavano, essi risposero subito di essere a sua completa disposizione in pace come in guerra. Quando il re rivelò a costoro, che gli erano favorevoli, che aveva intenzione di ritornare nella Belgica e di invaderla con le sue truppe, essi risposero che bisognava cominciare la campagna da Verdun, poiché era la città più vicina: essi l’avrebbero attaccata con un vigoroso assedio e non se ne sarebbero andati senza averla occupata. E quando la città fosse stata presa e sottomessa al re con un giuramento e con ostaggi[208] si sarebbe potuti avanzare oltre. Eude ed Eriberto si impegnarono, inoltre, a restare nella Belgica finché non fosse stata conquistata con le armi o fino a quando i Belgi vinti non si fossero tutti arresi. Ottenuta la loro promessa, il re subito condusse con loro l’esercito contro Verdun.[209]


[101.] PRESA DI VERDUN

Quella città è situata in un luogo tale per cui a coloro che si avvicinano offre l’accesso di fronte attraverso una piana senza ostacoli; ma, da dietro, essa è inaccessibile. Là infatti si estende a picco, da tutte le parti, un profondo baratro. Dalla base alla cima esso è costellato di rocce scoscese. Non soltanto la città abbonda di sorgenti e di pozzi che sono comodi per gli abitanti; ma inoltre è boscosa e bagnata dal fiume Mosa dalla parte della scarpata. Gli assedianti quindi disposero macchine da guerra di diversi tipi sul davanti, là dove si stende la pianura. Da parte loro quelli che erano in città si preparavano a resistere. Si combatté per quasi otto giorni di seguito. Ma, vedendo che nessun soccorso veniva inviato dall’esterno dai loro alleati, i cittadini, non potendo sopportare il peso di una lotta continua, presa una decisione si arresero ai nemici senza danni o perdite. Aprirono le porte e, vinti, si consegnarono a Lotario.[210]

 

[102.] Fatto ciò il re, per controllare la città, vi lasciò la regina Emma. Egli stesso ritornò con l’esercito a Laon e autorizzò i suoi fedeli a rientrare nelle proprie sedi. Mostrò tanta generosità nei loro confronti che questi gli promisero di tornare se egli l’avesse richiesto, di ricominciare il viaggio e di lasciare temporaneamente i propri focolari e i propri figli per battersi contro il nemico. In questo tempo Lotario discuteva con i suoi se fosse meglio ripartire per sottomettere con la forza e le truppe tutta la Belgica o, restando a Verdun, volgere a proprio favore i sentimenti dei nemici persuadendoli tramite ambasciatori. Se in effetti avesse tentato di vincerli con le armi, poiché la cosa non si sarebbe potuta fare senza molto spargimento di sangue, Lotario pensava che in seguito difficilmente si sarebbero fidati di lui, in quanto avrebbe causato la rovina dei loro amici. Pensava d’altronde che, se avesse aspettato di convincerli con la dolcezza, ci fosse il rischio che, durante una troppo grande inazione, i suoi nemici si facessero più insolenti.

 

[103.] ATTACCO DI VERDUN DA PARTE DEI BELGI

Mentre egli considerava ciò nel corso di molte consultazioni, il duca della Belgica Teodorico[211], Goffredo[212] personaggio nobile ed energico, Sigifredo[213], personaggio ugualmente illustre, così come i famosissimi e gloriosi fratelli Bardone e Gozilone[214], e altri tra i grandi tentarono di sorprendere Verdun e di cacciarne i Galli. Penetrarono con l’astuzia con truppe scelte nel chiostro dei mercanti, circondato da un muro come una cittadella, e separato dalla città dal corso della Mosa, ma unito ad essa da due ponti gettati sul fiume.[215] I soldati andando in giro convogliarono dai dintorni le provviste necessarie; requisirono anche, secondo l’uso militare, le derrate dei mercanti. Si ordinò che fossero raccolte travi di legno nelle Argonne[216] cosicché, se i nemici avessero applicato dall’esterno macchine belliche contro le mura, si potesse resistere dall’interno opponendo loro altre macchine. Intrecciarono robuste grate con rami e fogliame d’alberi per proteggere, in caso di bisogno, le macchine che sarebbero state erette; fabbricarono frecce appuntite di ferro, temprate col fuoco, per poter trapassare il più grande numero possibile di nemici; si fecero fabbricare in fretta dai fabbri vari tipi di proiettili; portarono un migliaio di rotoli di corda per diversi usi; ordinarono anche degli scudi, per essere in grado di formare la testuggine; alla fine c’era un centinaio di macchine di morte.

 

[104.] LOTARIO RICONQUISTA VERDUN

La notizia fu portata a Lotario. Questi, profondamente indignato che un simile misfatto fosse accaduto, richiamò l’esercito che aveva licenziato, e così si diresse verso Verdun con diecimila combattenti e piombò all’improvviso sui suoi avversari. Al primo urto furono lanciati gli arcieri contro i nemici. E le frecce e i dardi di balestra lanciati, così come gli altri proiettili, volavano così densi nell’aria che sembravano cadere dalle nuvole e sorgere dalla terra. Contro l’attacco di costoro, i nemici sul muro formarono davanti a sé e sopra le proprie teste una testuggine, sulla quale i proiettili scivolando cadevano vanificando il colpo. Dopo aver fatto questo attacco, i Galli disposero l’assedio tutt’intorno; essi fortificarono il loro campo per mezzo di fossi ripidi affinché i nemici non trovassero un facile accesso nel caso in cui tentassero una sortita all’improvviso.

 

[105.] COSTRUZIONE DI UNA MACCHINA DA GUERRA

Portarono delle grandi querce tagliate alla radice per costruire una macchina da guerra. Stesero sul suolo quattro di queste travi, di trenta piedi, in modo tale che due di esse, disposte nel senso della lunghezza e separate tra loro da un intervallo di dieci piedi si adattassero a due altre poste trasversalmente di sotto e ugualmente spaziate. La lunghezza e la larghezza comprese tra gli assemblaggi erano di dieci piedi. Tutta la parte che oltrepassava questi assemblaggi misurava ugualmente dieci piedi. Ai punti di congiunzione di queste travi innalzarono servendosi di pulegge quattro pezzi di legno di quaranta piedi a uguale distanza gli uni dagli altri su un piano quadrato, ma nel verso dell’altezza. Sulle quattro facce e in due punti, cioè a metà e in cima, posero delle traverse di dieci piedi per connettere fortemente le pertiche. Dall’estremità delle travi sulle quali posavano le pertiche, fatte partire quattro travi e avendole inclinate pressappoco fino alle traverse superiori, le congiunsero alle pertiche, in modo tale che la macchina, così consolidata all’esterno, non vacillasse. Sulle traverse che tenevano la macchina a mezz’altezza e in cima stesero delle assi, che ricoprirono anche con graticci, per cui i combattenti standovi in piedi sopra e trovandosi più in alto avrebbero potuto bersagliare i loro avversari con proiettili e pietre. Una volta costruita questa macchina, si proponevano di condurla fino alle posizioni dei nemici. Ma, poiché diffidavano degli arcieri, cercavano il modo di avvicinarsi ai nemici senza danno per i propri uomini. Infine, facendo un ragionamento più profondo, fu trovato che si poteva spingerla con un ottima tecnica verso i nemici.

 

[106.] LA MACCHINA SUDDETTA VIENE CONDOTTA CONTRO I NEMICI

Infatti ordinarono che fossero piantati in un terreno solido quattro pioli molto grossi, infossati per dieci piedi in terra, e sporgenti invece dal suolo per otto piedi. Questi furono consolidati ponendo sbarre robustissime trasversalmente sui quattro lati. Sulle sbarre messe di traverso si dovevano arrotolare delle corde. Le estremità di queste corde, che venivano tirate allontanandosi dal nemico, furono legate, la parte superiore alla macchina da guerra, la parte inferiore a un tiro di buoi. La parte inferiore era più allungata della parte superiore. L’estremità superiore della corda, che teneva attaccata la macchina, era più corta, cosicché la macchina si trovasse tra il nemico e i buoi. Ne risultava che quanto i buoi si allontanavano dai nemici tirando, altrettanto la macchina, trascinata, si avvicinava ai nemici. Grazie a questo dispositivo, e posti sotto dei rulli per facilitare il movimento, la macchina fu condotta contro il nemico senza che nessuno fosse ferito.

 

[107.] VITTORIA DI LOTARIO

Anche gli avversari costruirono una macchina simile, ma inferiore per altezza e solidità. Quando le due macchine furono costruite, vi si montò sopra da una parte e dall’altra. La lotta fu accanita da entrambe le parti, e nessuno cedette. Il re, essendosi avvicinato alla muraglia, fu ferito al labbro superiore da un proiettile lanciato da una fionda. I suoi, eccitati dalla sua ferita, entrarono in combattimento con maggior ardore. E poiché i nemici, forti della loro macchina da guerra e delle loro armi, non indietreggiavano minimamente, il re ordinò che fossero impiegati uncini di ferro. Quando questi uncini, attaccati a corde, furono lanciati sulla macchina dei nemici ed ebbero arpionato le traverse di legno, alcuni gettarono delle corde e altri le ripresero. Per opera di questi la macchina degli avversari fu fatta inclinare e quasi ribaltata. Per cui gli occupanti scendevano cadendo attraverso gli interstizi dei legni; altri si gettavano a terra con un salto; e qualcuno, preso da disonorevole panico, tentò di salvare la propria vita nascondendosi. Vedendo un pericolo mortale minacciarli, i nemici si arrendono ai loro avversari e domandano loro grazia supplicando. Ricevuto l’ordine, depongono e consegnano le proprie armi.[217] Subito fu emesso dal re un decreto per cui i nemici dovevano essere catturati senza rappresaglie e condotti a lui illesi. E così arrestati furono presentati al re disarmati e indenni, salvi i colpi che avevano ricevuto in battaglia. Prosternati ai suoi piedi, chiedevano salva la vita. Infatti, rei e condannati per lesa maestà, temevano per la vita.

 

[108.] Il re, conseguita la vittoria, inviò ai suoi i principi della Belgica catturati ai suoi affinché fossero custoditi[218], ma anche a tempo debito rilasciati. Permise al resto della truppa di ritornare a casa. Egli stesso ritornò con l’esercito a Laon, e là sciolse la spedizione militare. Conservò la città di Verdun fino all’ultimo giorno della propria vita e senza nessuna opposizione. Preparava poi il modo in cui procedendo ulteriormente avrebbe potuto estendere il suo regno, poiché i suoi affari stavano avendo un grandissimo successo, e la fortuna del regno grazie ai principi catturati lo persuadeva a ciò. Ma la Divinità determinando le cose di questo mondo portò ai Belgi la pace e a lui la fine del regno.

 

[109.] MORTE DI LOTARIO

Infatti mentre la clemenza primaverile in quello stesso anno[219] ritornava alla natura afflitta dall’inverno, a causa del clima mutato egli cominciò a sentirsi male a Laon. Per cui tormentato da quella malattia che è detta colica dai medici, fu costretto a letto. Aveva un dolore intollerabile alla parte destra sopra le pudende; anche dall’ombelico fino alla milza, e poi fino all’inguine sinistro, e fino all’ano, era tormentato da dolori molesti; C’era qualche disturbo anche dell’intestino e delle reni; lo stimolo[220] a evacuare era continuo, l’evacuazione sanguinolenta; la voce talvolta era impedita. Di tanto in tanto era intirizzito per il freddo delle febbri; aveva rumori intestinali, una nausea perenne; conati di vomito senza effetto, gonfiore del ventre, bruciore di stomaco. E così il palazzo risuona tutto per il grave lutto; si sentono suoni differenti, vari clamori; in effetti per nessuno di quelli che erano presenti quella disgrazia era senza lacrime. Dunque essendo sopravvissuto per dieci anni a Ottone, nel trentasettesimo anno da quando essendo morto il padre era entrato in possesso del regno, nel quarantottesimo anno da quando, regnante il padre, aveva ricevuto la corona e lo scettro essendo destinato a regnare, nel sessantottesimo anno da quando era nato venendo a mancare cedette alla natura.[221]

 

[110.] Allora il funerale del re viene preparato con cura e magnificenza, con molto sfoggio di ricchezze reali. Viene preparato per lui un letto adornato con le insegne reali; il corpo viene vestito con una veste di seta, e sopra viene coperto con un mantello purpureo ornato e intessuto di gemme. I grandi dei regni trasportavano il letto. Lo precedevano i vescovi e il clero con i vangeli e le croci; presso questi avanzava gemendo anche colui che portava la sua corona, splendente di molto oro e di gemme preziose, con molte altre insegne. Il canto funebre a stento veniva intonato perché le lacrime lo impedivano; anche gli ufficiali con volto mesto avanzavano secondo il loro ordine; anche tutto il resto della truppa seguiva con lamenti. Fu sepolto a Reims nel monastero di san Remigio, col padre e la madre, come aveva in precedenza ordinato ai suoi; questo dista duecentoquaranta stadi dal luogo in cui giunse al termine della vita; fu condotto per un così lungo tratto con molto ossequio da parte di tutti e con pari affetto.



[1] Fonte: Flodoard, Annales, anno 954 (ma vedi anche anno 957 in relazione alla nomina di Brunone)

[2] Brunone (†11.X.965), arcivescovo di Colonia, nel 953 fu nominato da Ottone I duca di Lorena;

[3] Ugo il Grande, duca di Francia

[4] Lotharius (fr. Lothaire), Lotario IV (941†2.III.986), re di Francia (954-986), figlio di Ludovico IV e di Gerberga, sposò (966) Emma (948/950†2.XI.d.988), figlia di Lotario re d’Italia e di Adelaide di Borgogna, da cui ebbe i figli Ludovico V re ed Eude (†13.XI av.986) canonico a Reims

[5] Flodoard non parla del ruolo di Ottone

[6] Flodoard non parla dei grandi di Gotia

[7] Fonte: Flodoard, Annales, anno 954

[8] In realtà tredici

[9] Domenica 12 novembre 954

[10] Fonte: Flodoard, Annales, anno 955

[11] Secondo Flodoard il giorno di Pasqua (15 aprile 955)

[12] Carnotum nel testo (dép. Eure-et-Loir); sede vescovile (prov. Sens)

[13] L’elenco delle città non figura in Flodoard

[14] Tra giugno e settembre 955

[15] Guglielmo III Testa di Stoppa (†963/4), conte di Poitiers

[16] Pictauis nel testo (dép. Vienne); sede vescovile (prov. Bordeaux) e comitale (attaccata nell’agosto 955)

[17] Sancta Radegundis nel testo, abbazia nei pressi di Poitiers

[18] Secondo Flodoard l’azione contro l’abbazia fu compiuta da Rainaldo conte di Roucy

[19] Fonte: Flodoard, Annales, anno 955

[20] Aruernia nel testo

[21] Fonte: Flodoard, Annales, anno 956

[22] Ottobre 955

[23] Il 16 0 17 giugno 956

[24] Fonte: Flodoard, Annales, anno 955

[25] Bulizlaus rex Sarmatarum, Boleslav I principe di Boemia (929/935-967/973); R. fraintende Flodoard, secondo il quale Boleslao combatte a fianco di Ottone I contro gli Ungari (nella battaglia di Lechfeld il 10.VIII.955)

[26] Ragenerus (fr. Regnier, ted. Reginar), Reginaro III (†d.958), conte di Hainaut, figlio di Reginaro II conte di Hainaut (fratello di Gisleberto di Lorena)

[27] Beni che costituivano la dote lasciata a Gerberga dal primo marito Gisleberto, e che dovevano passare a Reginaro dopo la morte della regina

[28] Il racconto di R. deriva da informazioni dirette raccolte in ambito familiare, ed è quindi in questo caso, contrariamente al solito, più attendibile della versione di Flodoard, che parla di una fortezza sul fiume Chiers

[29] Rodolfo, fedele del re Ludovico IV (vedi Libro II) e della regina Gerberga.

[30] Mons Castrati Loci nel testo, città dell’attuale Belgio (Hainaut)

[31] La moglie era Adela (†961), madre di Reginaro IV (†1013) di Hainaut e Lamberto (†1015) di Lovanio

[32] Fonte: Flodoard, Annales, anno 956, ma la sua versione dei fatti è differente

[33] Fonte: Flodoard, Annales, anno 956

[34] Fonte: Flodoard, Annales, anno 959

[35] Rotbertus (fr. Robert) (†d.966), conte di Meaux e Troyes, figlio di Eriberto II

[36] Trecarum nel testo

[37] Diuion nel testo (dép. Côte-d’Or)

[38] Oscara nel testo, fiume della Borgogna, affluente della Saône, lungo 85 Km

[39] Secondo Flodoard un figlio di Odelrico conte di Dijon

[40] Fonte: Flodoard, Annales, anni 959 e 960 (Le due narrazioni sembrano tuttavia riferirsi a un singolo episodio)

[41] Trecasina urbs nel testo (dép. Aube); sede vescovile (prov. Sens)

[42] La cifra è aggiunta a piè di pagina

[43] Fonte: Flodoard, Annales, anno 960

[44] Hugo (fr. Hugues), Ugo Capeto (v.940†24.X.996), duca di Francia (960), re di Francia (987-996), figlio di Ugo il Grande e di Hedwig di Sassonia, sposò (v.970) Adelaide d’Aquitania

[45] Otto (fr. Otton) (v.945†23.II.965), duca di Borgogna (960-965), figlio di Ugo il Grande e di Hedwig, sposò (955) Lietgardis figlia di Gisleberto conte d’Autun e Châlon

[46] Fonte: Flodoard, Annales, anno 961

[47] “dal raffreddamento interno” e “del fegato” sono aggiunte a margine

[48] Il 30 settembre 961 (pridie Kal.Oct.); secondo altre fonti il 1 ottobre

[49] Fonte: Flodoard, Annales, anno 962

[50] Clamorosa incongruenza di R., che interpreta distrattamente Flodoard e attribuisce a Ugo Capeto una pretesa di Ugo di Vermandois, peraltro più volte richiamata nel Libro II

[51] Fonte: Flodoard, Annales, anno 962

[52] Meldensis pagus nel testo

[53] Nell’aprile 962

[54] Archembaud (†29.VIII.967), arcivescovo di Sens (958-967)

[55] Verisimilmente Ermenteo, vescovo di Orléans (v.942-v.971/2)

[56] Molto poco è noto sui vescovi di Parigi di questo periodo, e non è possibile un’identificazione certa

[57] Ivo I vescovo di Senlis (948-v.965/7)

[58] Giovanni XII (955-964)

[59] Fonte: Flodoard, Annales, anno 962

[60] Octouianus e Iohannes sono la stessa persona, papa Giovanni XII (†14.V.964), figlio di Alberico signore di Roma, che per primo cambiò il proprio nome assumendo il pontificato nel 955 alla morte di Agapito II

[61] Papia nel testo, capitale del regnum Italicum

[62] Meldis nel testo (dép. Seine-et-Marne); sede vescovile (prov. Sens)

[63] Fonte: Flodoard, Annales, anno 962

[64] Odelricus (†6.XI.969), arcivescovo di Reims (962-969), secondo Flodoard figlio del conte Ugo (lorenese)

[65] Mettis nel testo (dép. Moselle); sede vescovile della Lotaringia (prov. Treviri)

[66] Non è noto chi fosse il competitore di Odelrico, a meno che R. non si riferisca ancora a Ugo di Vermandois

[67] Fonte: Flodoard, Annales, anno 962

[68] Dopo l’8 settembre e prima dell’8 dicembre 962

[69] Hadulfus (†25.VI.977), vescovo Nouiomensis (955-977)

[70] Uuicfridus (†30/31.VIII.984), vescovo Uirdunensis (959-983/4)

[71] Fonte: Flodoard, Annales, anno 964

[72] Sparnacum nel testo (dép. Marne), località situata 24 Km a SO di Reims

[73] Codiciacum nel testo (dép. Aisne, arr. Laon), località situata 60 Km a NO di Reims

[74] Verisimilmente Eude I (†996), conte di Blois, Chartres e Tours

[75] L’ultima frase è stata rimaneggiata da R.

[76] Fonte: Flodoard, Annales, anno 965 (Ultimo riferimento di R. a Flodoard, i cui Annales terminano nel 966)

[77] Il 27 marzo 964/5

[78] Il figlio Baldovino III di Fiandra (†962) era già morto; il figlio di questi, Arnolfo II, era ancora molto giovane

[79] Odelrico morì il 6 novembre 969

[80] Adalbero (†23.I.989), arcivescovo di Reims (969-989), figlio di Gozelin conte palatino (della casa d’Ardenne) e di Uda di Metz, fratello di Goffredo (†d.995) conte di Verdun

[81] In realtà sappiamo da altre fonti che le opere di restauro della cattedrale furono avviate nel 976

[82] Probabilmente una cripta

[83] Kalistus, Callisto I, santo, papa dal 217 al 222 (Per le sue reliquie vedi anche Flodoard, Annales, anno 959)

[84] septifidum nel testo: vocabolo attestato solo nella Vita s.Germani di Heiric d’Auxerre (v.875)

[85] È probabilmente la più antica attestazione dell’esistenza di vetrate con raffigurazioni bibliche

[86] Augustinus, santo (354-430 ), vescovo di Ippona, uno dei maggiori Padri della Chiesa, autore di una regola molto diffusa, in differenti varianti, durante tutto il medioevo

[87] Questo viaggio non è attestato dalle fonti coeve.

[88] Iohannes, Giovanni XIII papa (965-972), successe ai brevi pontificati di Leone VIII e Benedetto V

[89] Il 25 dicembre 971

[90] La bolla papale (conservata) è datata 23 aprile 972

[91] Il foglio intercalare (al quale il testo di R. rinvia), che riportava il testo della bolla, non è stato conservato

[92] La bolla non porta alcuna sottoscrizione di vescovi

[93] Probabilmente nel maggio 972

[94] Mons Sanctae Mariae nel testo (dép. Aisne, arr. Soissons, cant. Braine), località situata 33 Km a O di Reims

[95] Qui R. ha cancellato “mobili e immobili”

[96] Il luogo di questo secondo sinodo non è conosciuto, e il tempo è compreso tra il 973 e il 983

[97] Rodulfus (fr. Raoul) (†30.VIII.983) abate di San Remigio (v.970-983)

[98] cliotedrum nel testo

[99] Qui R. ha cancellato “mentre tutti  i buoni sono contenti con un qualunque copricapo. Non si sono dunque costoro allontanati dalla vita religiosa? Infatti, poiché si compiacciono della dignità delle vesti, senza dubbio disprezzano del tutto l’umiltà di quelle povere, da cui in parte si riconosce la condizione di religioso”

[100] Noricum nel testo; regione storica della Germania (Baviera)

[101] L’inciso è aggiunto a margine

[102] Sanctus Geroldus, abbazia di Aurillac (dép. Cantal), in Alvernia

[103] Probabilmente nel 967, in occasione del matrimonio di Borrel con Liutgarda (Ledgardis), figlia di Raimondo Pons, conte di Rouergue e marchese di Gotia

[104] Borrellus (†992/3) conte d’Urgel, conte di Barcellona (966-992/3), figlio (?) di Wifred II

[105] Hispania citerior nel testo, Marca di Spagna (tra i Pirenei e il fiume Ebro)

[106] Geraldo di Saint-Céré, abate di Aurillac (v.960-986)

[107] Hatto (†22.VIII.971/2), vescovo di Vich (957-971/2)

[108] Probabilmente con l’obiettivo di ottenere dal papa la trasformazione del vescovado di Vich in arcivescovado

[109] Il papa (non menzionato nel testo) è sicuramente Giovanni XIII (965-972)

[110] Borrel e Attone erano a Roma nel gennaio 971

[111] Ottone I il Grande era a Roma per il Natale 970

[112] Attone fu forse ucciso a Roma il 22 agosto 971

[113] Senza dubbio Geranno (Gerannus), arcidiacono, che sottoscrisse il Decretum Adalberonis nel 972/3

[114] Porphirius (†301/5), filosofo della scuola di Alessandria

[115] Uictorinus (C Marius Victorinus) ( IV sec.), autore di un commentario sulla Retorica di Cicerone, che Gerbert fece copiare a Bobbio

[116] Manlius (Anicius M. Torquatus Severinus Boethius), Boezio (†524), filosofo e autore di Commentari sull’Isagoge

[117] Aristoteles

[118] Tullius (C. Tullius Cicero)

[119] De differentiis topicis, De syllogismo categorico, De syllogismo hypothetico, De diffinitione, De divisione: sono tutte opere di Boezio

[120] Maro (P. Virgilius Maro)

[121] Statius (di cui Gerbert fece copiare l’Achilleide), Terentius, Iuuenalis, Persius, Horatius

[122] Lucanus, il poeta autore della Pharsalia, era considerato anche uno storico

[123] Le conoscenze di Gerbert sono documentate in Gerberti Opera Mathematica (ed. Bubnov)

[124] Le discipline (matematiche) del Quadrivium sono aritmetica, musica, geometria e astronomia

[125] monocordum

[126] “rispetto all’orizzonte” è una nota aggiunta a margine

[127] limitans sive determinans

[128] aequidistantes

[129] Qui inizialmente R. aveva scritto: “Ciò a proposito dei circoli intermedi. Non costerà fatica dire anche con quanto impegno rese visibili le orbite dei pianeti.”

[130] incidentes

[131] obliquus vel vitalis

[132] absidae nel testo

[133] Inizialmente R. aveva scritto: “Il discorso inadeguato non basta a dire quanto impegno egli dedicò alla geometria, della quale in precedenza i Galli non avevano scritto nulla”

[134] Si tratta della prima indicazione dell’uso delle cifre (cosiddette arabe) nell’Europa cristiana

[135] pubblicata in Gerberti Opera Mathematica

[136] C(onstantinus), scolastico di Fleury (Saint-Benoît-sur-Loire), poi abate di Saint-Mesmin fino al 1021/2

[137] Thirrenum et Adriaticum nel testo

[138] Otricus (†7.X.981), scolastico a Magdeburg fino al 978, poi alla corte di Ottone II

[139] Otto Augustus. Ottone II (v.955†7.XII.983 Roma), imperatore del Sacro Romano Impero (973-983), figlio di Ottone I e di Adelaide di Borgogna, sposò a Roma (13.IV.972) Teofano Skleros, principessa bizantina

[140] L’incontro avvenne alla fine del 980; l’imperatore era a Pavia il 5 dicembre

[141] Ticinum nel testo

[142] Padus nel testo

[143] Rauenna nel testo; Ottone II vi risiedette dal Natale 980 fino al 18 gennaio 981

[144] Adso (fr. Adson) (†992), abate di Montiér-en-der,  ne fece costruire la chiesa abbaziale (tuttora esistente)

[145] Deruensis nel testo (dép. Haute-Marne), abbazia della Champagne, circa 100 Km a SE di Reims

[146] L’inciso è aggiunto a margine

[147] Qui R. ha cancellato “avevano esaminato la questione e perciò”

[148] Inizialmente al posto di “Otric” era scritto “il più dotto fra loro”

[149] Qui R. ha cancellato “Non ignoro infatti che chiunque sia buono viene spesso diffamato dalle calunnie dei malevoli”

[150] R. scrive Uitruuii, ma è un evidente lapsus

[151] Boetius nel testo: la classificazione che segue è tratta pressoché letteralmente dalle sue opere

[152] Plato, ma non si tratta di una citazione letterale

[153] E(mma) ( † 1/2.XI.d.988), regina di Francia, figlia di Lotario re d’Italia e di Adelaide di Borgogna, sposò Lotario re

[154] Ad(albero) (†19.VII.1030/1), vescovo di Laon (977-1031), noto anche con l’ipocoristico Ascelin

[155] Sancta Magra nel testo (dép. Marne, arr. Reims, cant. Fismes); località situata circa 25 Km a O di Reims

[156] Qui la pagina del manoscritto è stata tagliata

[157] Ottone I morì il 7 maggio 973

[158] Questa frase risulta da una correzione, ma il testo originario non è più leggibile

[159] Nel giugno 978

[160] Teuphanu (†15.VI.991 Nimega), figlia di Costantino Skleros e Sofia Phokas, nipote di Giovanni I imperatore di Bisanzio, moglie di Ottone II (972) e madre di Ottone III,  fu reggente dell’Impero (983-991)

[161] Forse già in aprile/maggio 978

[162] Karolus Magnus (fr. Charlemagne, ted. Karl der Grosse) (2.IV.742/8†28.I.814), imperatore (25.XII.800)

[163] La sosta di Lotario ad Aquisgrana durò tre giorni, alla fine di giugno del 978

[164] Questo discorso è inventato da R. e ancora una volta ispirato a Sallustio, Coniuratio Catilinae

[165] Ottone II entrò in Francia il 1 ottobre 978 e vi rimase almeno fino al 30 novembre

[166] Sancta Baltildis nel testo, regina dei Franchi (†v.680), santa, fondatrice dell’abbazia di Chelles

[167] Chelae nel testo (dép. Seine-et-Marne, arr. Meaux); località situata sulla Marna, circa 20 Km a E di Parigi

[168] Circa 30 Km; lo stadium era un’unità di misura di lunghezza romana equivalente a 125 passus, ovvero a 185,21 m;

8 stadi equivalevano a un miglio e 12 stadi equivalevano a una lega (romana)

[169] Qui R. ha cancellato la frase “Non sembra da omettersi lo scontro di due, dei quali uno era Germano, l’altro Gallo”

[170] La frase “lavando la propria reputazione” è inserita in sostituzione di “per l’eternità e a mondare non solo sé ma anche tutta la propria gente ”

[171] Il nome Iuo è cancellato nel manoscritto; un personaggio di tal nome è attestato tra i fedeli di Ugo Capeto nel 981. Anche di questo episodio semileggendario si ha un riscontro nella Chronica de gestis consulum Andegauorum

[172] All’inizio dell’estate del 980 (tra maggio e luglio)

[173] Margolius nel testo (dép. Ardennes, arr. Sedan, cant. Carignan); località sul Chiers, al confine tra Francia e Belgio

[174] Nel novembre 980; Ottone trascorse a Roma la Pasqua del 981 (27 marzo)

[175] Qui R. ha cancellato “che l’intelligenza nel pensare e la ragionevolezza nel parlare ha reso famosi, e che non dubito vi rammarichiate delle calamità dei buoni, e ai quali pare cosa di grande valore dispiacere ai malvagi”

[176] I tre erano tra loro cugini primi, poiché Gerberga madre di Lotario e Hedwig madre di Ugo erano sorelle di Ottone I

[177] Arnulfus (fr. Arnoul), vescovo Aurelianensium (963/972-1003)

[178] Burchardus (fr. Bouchard) (†1005), conte di Vendôme, figlio di Burcardo Ratepilate, fu fedele vassallo di Ugo Capeto e suo costante sostenitore. Fonte importante per la sua biografia è la Vita di Burcardo il Venerabile

[179] Qui c’è una riga vuota nel manoscritto, probabilmente lasciata per poter inserire qualche nome

[180] Vi giunse intorno a febbraio/marzo del 981, e vi trascorse la Pasqua (27 marzo)

[181] latiariter nel testo

[182] La seconda parte della frase è aggiunta a margine

[183] rex Alamannorum nel testo, Corrado II il Pacifico (†993), re di Borgogna, figlio di Rodolfo II, fratello di Adelaide e marito di Matilde figlia di Ludovico IV, e di conseguenza cognato di Lotario e zio di Emma

[184] Adelaidis (†17.XII.999), figlia di Rodolfo II di Borgogna e sorella di Corrado, sposò in prime nozze Lotario (†950), re d’Italia, da cui ebbe Emma regina di Francia, e in seconde nozze (951) Ottone I il Grande, da cui ebbe Ottone II

[185] Ludouicus (fr. Louis), Ludovico (Luigi) V (v.966†21.V.987), re di Francia (979-987) e di Aquitania, figlio di Lotario e di Emma

[186] L’8 giugno 979

[187] Adelaidis (†1026), figlia di Folco il Buono d’Anjou, sposò in prime nozze Stefano di Gévaudan, in seconde nozze Raimondo di Tolosa, in terze nozze Ludovico V, e dopo il divorzio si unì a Guglielmo conte di Provenza, da cui ebbe Costanza, futura sposa di Roberto II re di Francia

[188] Ragemundus (fr. Raimond) (†978?), conte di Tolosa, figlio o nipote di Raimondo III Pons, fu marito di Adelaide d’Anjou, vedova di Stefano di Gévaudan, dalla quale ebbe Guglielmo Taillefer conte di Tolosa

[189] Gozfredus (fr. Geoffroi), Goffredo Grisegonelle (†21.VII.987), conte d’Anjou, figlio di Folco e fratello di Adelaide

[190] Forse nel 980

[191] Bridda nel testo, al centro dei possedimenti del conte di Gévaudan

[192] Adelaide poteva avere all’epoca una quarantina d’anni, mentre Ludovico ne aveva una quindicina

[193] Verisimilmente nel 982

[194] Uuilelmus Arelatensis, conte di Provenza; divenne monaco al più tardi nel 994

[195] La battaglia di punta Stilo (capo Colonna) si svolse il 15 luglio 982, contro i saraceni comandati dall’emiro di Sicilia Abu-al-Qasim

[196] Il 7 dicembre 983

[197] Otto, Ottone III (VI/VII.980†23/24.I.1002) imperatore del S.R.I. (983-1002), che regnò dapprima sotto la reggenza della madre Teofano (983-991), poi della nonna Adelaide (991-994)

[198] In realtà aveva tre anni

[199] Heinrihcus/Hezilo (ipocoristico di H.), Enrico II duca di Baviera (†995), figlio del duca Enrico I (†955) fratello di Ottone I, si era ribellato a Ottone II suo cugino ed era stato deposto e affidato in custodia a Folkmar vescovo di Utrecht

[200] Il ritratto di Hezilo che R. presenta è ispirato a Sallustio, Coniuratio Catilinae XIV

[201] IL luogo è Breisach, sul Reno, e si desume da una lettera di Gerbert (n.39)

[202] Il 1 febbraio, ma non è chiaro se del 984 o del 985

[203] “per non violare il giuramento” è una nota aggiunta a margine

[204] Qui R. ha cancellato “e la Belgica”

[205] Odo (fr.Eudes) (†12.III.996), Eude I conte di Blois e Chartres, figlio di Teobaldo conte di Blois e di Liutgarda di Vermandois

[206] Herbertus (fr.Herbert), Eriberto il Giovane (†993/996) di Vermandois, conte di Meaux e Troyes, figlio di Roberto conte di Troyes

[207] Eriberto III il Vecchio (†980/984) di Vermandois, figlio di Eriberto II e fratello di Liutgarda e di Roberto di Troyes

[208] “e con ostaggi” è una nota aggiunta

[209] La data del primo assedio di Verdun è controversa (984/985)

[210] Nel febbraio 985

[211] Teodericus (fr. Thierry) (†1026/27), duca di Alta Lorena

[212] Godefridus (fr. Godefroi) (†3.IX.d.996), conte di Verdun

[213] Sigefridus (fr. Sigefroi) (†d.997), conte di Lussemburgo

[214] Bardo (fr.Bardon) e Gozilo (fr. Gozilon/Gothelon) (†993/6) conte di Bastogne, nipoti di Adalbéron di Reims e fratelli di Ascelin di Laon

[215] La descrizione accurata e precisa fa pensare che R. avesse conoscenza diretta dei luoghi

[216] Argonna nel testo, regione collinare e boscosa, a sinistra della Mosa, tra Reims e Verdun

[217] La seconda resa di Verdun avvenne prima del 31 marzo 985, data in cui Gerbert incontrò Goffredo prigioniero

[218] Dalla corrispondenza di Gerbert si desume che Goffredo di Verdun, suo figlio Federico e Sigifredo furono affidati a Eude ed Eriberto e rinchiusi in un castello sulla Marna

[219] In realtà dell’anno successivo

[220] thenasmus nel testo

[221] Lotario morì il 2 marzo 986, dopo aver regnato per trentadue anni, ed era nel quarantacinquesimo anno di vita