I COGNOMI IN SPAGNA

Noi spagnoli abbiamo due cognomi, non uno come in Italia e in molti altri paesi. Per capire il meccanismo della assegnazione dei cognomi, proveró a fare un esempio. Immaginiamo che il signor Antonio A B (nome Antonio e cognomi A e B) ha un figlio con la signora María C D (nome María e cognomi C e D). Allora il figlio, maschio o femmina che sia, avrà i cognomi A C (mentre il nome, come da ogni parte del mondo viene scelto dai genitori con criteri personali). Cioé i figli acquistano i primi cognomi dei genitori: quello del padre diventa il loro primo cognome e quello della madre il secondo.

Ad esempio il mio nome completo é Bartolome Allés Salom, il che vuol dire che mio padre aveva come primo cognome Allés mentre il primo cognome di mia mamma faceva Salom. Come si vede i secondi cognomi, quelli che sempre provengono dalla madre, si perdono alla seconda generazione.

Contrariamente a quanto si dice spesso, il doppio cognome spagnolo non é un modo paritario tra uomo e donna di assegnare i cognomi ai figli. Infatti il cognome materno si perde già alla seconda generazione, mentre quello paterno resta (un modo veramente paritario sarebbe che per esempio la coppia di genitori potesse scegliere in modo totalmente autonomo se usare il cognome del padre o della madre). Inoltre, tenete presente che il meccanismo di assegnazione di cognomi fu creato molti secoli fa, quando le idee femministe non esistevano ancora, tantomeno nella maschilista Spagna. La verità é un'altra: questo meccanismo fu introdotto per evitare eventuali confusioni tra parenti, per esempio al momento di decidere le eredità. Invece in Italia due parenti con notevole differenza di età che si chiamassero Mario Rossi e Antonio Rossi, cosa sarebbero? zio e nipote (in cui caso l'eredità del padre andrebbe solo al secondo) oppure fratelli (in cui caso l'eredità si spartisce tra i due)? Con l'aggiunta di un cognome proveniente dalla madre questa ambiguità scompare nella maggior parte dei casi.

Tuttavia non é infrequente l'uso, anche in Spagna e per motivi di brevità, del solo primo cognome. Ad esempio un recente primo ministro spagnolo viene spesso chiamato Felipe González (anche dalla stampa spagnola) ma in realtá il suo nome completo é Felipe González Márquez. E sempre per dare un esempio, io spesso firmo i miei lavori come "B. Allés", dimenticando il mio secondo cognome.

Questo é il motivo per cui a volte i nomi spagnoli possono sembrare assai lunghi. In più, a volte i cognomi sono composti, come ad esempio "Ladrón de Guevara" oppure "Montes de Oca" (questi cognomi spesso hanno precedenti nobili, notate infatti la "de"). Se poi si aggiunge un nome di battesimo pure composto, come ad esempio Juan Carlos (é il nome di battesimo dell'attuale Re) allora vengono nominativi chilometrici: Juan Carlos Ladrón de Guevara Montes de Oca. Questi sono i veri nomi lunghissimi che spesso sorprendono gli stranieri. In nomi del genere, c'é da chiedersi come faranno a crearne i nomignoli! (ad esempio, il nomignolo di un tale chiamato "Felipe Juan Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbón y Grecia" é "Principe di Spagna" —lo era fino a quando non diventó re, nel 2014).


IL DISTINTIVO SPAGNOLO PER LE MACCHINE: SP OPPURE E?

Un errore molto buffo che ho notato spesso in Italia riguarda il distintivo internazionale delle autovetture spagnole, per intenderci quello che in Italia si scrive come I. C'é in giro la credenza che in Spagna questo distintivo sia SP (che starebbe per Spagna oppure Spain). In realtà questa idea é del tutto sbagliata. Il distintivo é E che sta per España. Ma allora, da dove proviene questa confusione?

Alcune autovetture sono di uso pubblico (autobus, taxi, camion, ecc.). In Spagna (e probabilmente anche in altri paesi tra cui l'Italia) tali vetture pagano una aliquota di tasse diversa. Inoltre per legge queste macchine erano obbligate in Spagna a circolare con un distintivo SP che stava per "Servicio Público" e che ne indicava appunto la tassazione particolare a cui erano soggette. É per questo che spesso si vedono autovetture con due distintivi E e SP, che vuol dire macchina spagnola di uso pubblico. Vattelappesca che cosa avrete immaginato che doveva voler dire quella E in più!


SULLA STORIA RECENTE DELLA SPAGNA

Ora vorrei scrivere su un argomento che é tutt'altro che leggero come quelli precedenti ed é probabile che alcuni dettagli vi risultino perfino spiacevoli.

Sembra che in Italia sia diventato quasi di moda fare delle affermazioni alquanto bizzarre sulla storia recente del mio paese di origine, la Spagna. Potrebbe sembrare che ci sia in atto un "revisionismo" della dittatura del Generale Francisco Franco. Si sente dire per esempio che Franco salvó la Spagna dall'entrare nella seconda guerra mondiale oppure che preparó la Spagna per il cambio democratico che avrebbe compiuto il suo successore, l'attuale Re Juan Carlos.

A senso stretto la prima affermazione é una verità parziale. Vero é che nella guerra mondiale la Spagna, allora governata da Franco, non ci entró ma il contenuto di verità della frase finisce qui. Ad esempio ci sono tanti documenti che dimostrano che il Caudillo (vuol dire condottiero ed é il titolo con cui lui si presentava) voleva entrare nella guerra a fianco delle potenze dell'Asse per poter appropriarsi delle colonie francesi in Nord Africa nonché invadere e annettere il Portogallo. In questa pagina del "The Telegraph" britannico si legge che recenti documenti desegretati hanno permesso di capire che onde evitare l'entrata in guerra della Spagna furono consegnati soldi ai franchisti. Alla fine del 1940 mandó il suo ministro degli esteri, Ramón Serrano Súñer in visita a Berlino per incontrare il collega tedesco Joachim von Ribbentrop. Lo scopo della visita era quello di definire i termini dell'entrata in guerra della Spagna. Franco, consigliato dai suoi colleghi militari, aveva capito che il paese era allo stremo dopo la lunga guerra civile, ma lo stesso voleva che entrasse in guerra a fianco dell'Asse, per cui pretendeva da Hitler che, come contropartita al coinvolgimento della Spagna nella guerra, la Germania fornisse armi e viveri per i combattenti spagnoli. Definire questo "scambio di favori" era lo scopo fondamentale della visita di Serrano Súñer. Per fortuna i tedeschi non accettarono e cosí la Spagna franchista evitó la guerra mondiale. Dati storici alla mano e volendo riassumere la facenda con una frase semplicista, ci sarebbe dunque da concludere che chi "salvó la Spagna dall'entrare nella guerra mondiale" fu Hitler stesso!

L'intesa tra franchismo e nazismo era cosí stretta che alla fine della guerra mondiale, molti nazisti trovarono aiuto nella Spagna franchista (e nella chiesa cattolica) per fuggire in sudamerica dopo un breve soggiorno in Spagna (vedete questa pagina del giornale "El País" oppure quest'altra del "Il Secolo XIX"). Alcuni anche vi restarono e oggi sono sepolti in cimiteri spagnoli. Uno di loro é Otto Skorzeny, l'uomo che liberó Musssolini sul Gran Sasso. La sua tomba si trova nel cimitero di Denia (Alicante).

Di fatto, per ingraziarsi Hitler, Franco arrivó a mandare una intera Divisione alla battaglia di Leningrado (oggi San Pietroburgo) al fianco dei tedeschi, la cosidetta "División Azul". E come accadde per le truppe mandate da Mussolini, anche la División Azul diventó una strage di militari mal preparati, con vestiti non adatti all'inverno russo e con armamento del tutto inferiore a quello dei nemici. La Germania odierna continua a pagare pensioni agli excombattenti e a vedove e figli dei caduti di quella División (vedete questa pagina del giornale "El Mundo").

Luis Montero

Gli entusiasmi alla partenza della División Azul (1941).

      

Cimitero spagnolo di Grigorowo, vicino Nowgorod.

Ma il fatto che in me solleva più stupore consiste nella totale mancanza di logica storica della sudetta frase. Anche immaginando che davvero Franco avesse lavorato allo scopo di evitare al paese la sofferenza di una guerra mondiale, non bisogna dimenticare che Franco spronfondó il paese in una guerra civile che duró 3 anni (dal 1936 al 1939) e nella quale morirono tra un milione e un milione e mezzo di persone (viste le enormi difficoltà per reperire dati certi in un epoca in cui le fucilazioni sommarie, assassini indiscriminati e truppe irregolari reclutate quasi alla rinfusa tra la popolazione erano molto frequenti, la cifra dei morti durante la guerra varia molto da autore a autore; ad ogni modo chi ottiene un conteggio più elevato non eccede il milione e mezzo e chi ne ricava la cifra più bassa non va sotto il milione). Dopo la guerra il paese rimase devastato. Moltissime strade, ferrovie e ponti, già di scarsa qualità in un paese arretrato come lo era la Spagna degli anni 30, rimasero distrutti. Nei grandi centri si moriva di fame e, quel che é peggio, l'intero paese subí persecuzioni post-belliche contro i vinti. Uno degli esempi di questo accanimento contro i vinti furono i campi di concentramento franchisti.

Dopo queste considerazioni mi chiedo come si puó affermare che Franco salvó la Spagna dalla seconda guerra mondiale. Il ragionamento che porta a tale conclusione mi sembra del tutto distorto. Vi faccio un esempio: nei filmati d'epoca si vede spesso a Hitler giocare con bambini, trastullandoli, carezzando le loro guance. Queste immagini inducono a pensare che probabilmente Hitler volesse bene ai bambini. Voi avreste il coraggio di andare da un ebreo e dirgli "guarda che comunque Hitler voleva tanto bene i bambini"? Le verità parziali, oltre offendere, rischiano di creare una visione distorta dei fatti della storia.

Luis Montero

Il dittatore Francisco Franco osservando una parata militare.

      

L'ammiraglio Luis Carrero Blanco. Un'attentato dell'ETA impedì che alla morte di Franco ne diventasse il successore, come invece era previsto.

Prima ho accennato ai campi di concentramento franchisti. É un tema raramente toccato dagli storici (ma vedete ad esempio questa pagina del quotidiano "El País"). Ne voglio parlare brevemente. Questi campi furono creati dopo la guerra civile allo scopo di mantenere un clima di scontro tra vincitori e vinti e furono chiusi soltanto alla fine degli anni 40 (quando la sconfitta dell'Asse e gli interessi strategici verso gli Stati Uniti consigliarono una politica interna più morbida). C'erano campi di due tipi: di lavori forzati o di semplice raccolta di prigionieri. Nei primi si lavorava nelle ore di luce senza sosta e trascurando le più basilari regole di sicurezza. Il trattamento brutale, le condizioni di lavoro quasi schiavo e l'alimentazione insufficiente fece un numero enorme di vittime. Purtroppo non si conoscono i numeri precisi dei morti in quei campi ma, dal racconto dei sopravvissuti e del numero di fosse comuni trovate, si stima in qualche decina di migliaia. Franco sapeva di essere al riparo dalle critiche internazionali sentendosi protetto dalle amiche potenze dell'Asse, almeno finché duró la guerra mondiale. Alcuni dei risultati di quei lavori forzati esistono tuttora e sono anche visitabili. Tra i più noti c'é la Basílica del Valle de los Caídos che doveva essere ed é il Mausoleo di Franco.

Immagine del "Valle de los Caídos".

Poi c'erano i campi di raccolta di prigionieri. Venivano trattenuti in attesa di essere fucilati. Pochissimi di loro sopravvissero, tra cui mio padre. Il campo dove fu imprigionato mio padre si trovava a Son Catlar, nel comune di Campos, sull'isola di Maiorca (in tutta l'isola ce n'erano una diecina di campi con circa 2000 detenuti in tutto che furono spesso usati per i lavori forzati nella costruzioni di strade). Mio padre non parlava volentieri di questo periodo di prigionia. Ma le poche volte che lo fece, ricordava le mattine in cui presto erano svegliati ed alcuni dei suoi compagni prelevati e portati via a forza. Nessuno di loro tornó. La loro fucilazione avveniva nel comune dove la sentenza era stata comminata per cui spesso dovevano fare un ultimo doloroso viaggio di ritorno verso i loro paesi di origine.

Nel campo dormivano in stalle abbandonate, in condizioni subumane. Non c'erano bagni e per le necessità fisiologiche si dovevano pulire impugnando un sasso. Ogni mattina erano obbligati ad alzarsi cantando il "Cara al Sol", l'inno del partito fascista. C'era uno spaccio ma per usarlo i familiari dovevano mandare soldi (i quali non sempre arrivavano al destinatario). Si potevano mandare cartoline brevi ma tutte erano controllate dalla censura del campo. Contattando vicini della zona (trovati durante le uscite per i lavori forzati), era possibile fare arrivare anche lettere preziose ai familiari dove raccontavano la verità sulle condizioni della prigionia. C'erano uomini giovani, come mio padre, ma anche vecchi, alcuni con età fino agli 80 e 90 anni. Il figlio di uno di quest'ultimi era stato fucilato ma lui non lo sapeva e continuava a mandare lettere e cartoline al figlio. Nessuno dei suoi compagni del campo ebbe il coraggio di dirgli la verità, cioé che quelle lettere non le leggeva nessuno.

Juancampo

Foglio di via consegnato a mio padre il 29 settembre di 1939. (Traduzione: Campi di Concentramento e Unità di Lavoratori delle Baleari; Tribunale classificatore; In seguito alle istruzioni ordinate dalla "Asesoría Jurídica" dello Stato Maggiore di Sua Eccellenza il Generalissimo in data 12 aprile 1939, sulla riclassificazione di prigionieri, questo tribunale accordó concedere permesso provvisorio al prigioniero attualmente concentrato in questa isola, Juan Allés Barber, nato a Ferrerias (Minorca), provincia di Baleari, di 18 anni di età, stato civile celibe, figlio di Bartolomé e di Francisca, che si recherà a Mahón, Via Puente Castillo 28, luogo dove aveva la residenza all'inizio del Glorioso Movimento Nazionale Salvatore della Spagna; Palma di Maiorca, 29 settembre 1939; Anno della Vittoria; il presidente; Importante: l'individuo iscritto in questo foglio dovrà recarsi al suo arrivo a destinazione, all'autorità militare, comandante della caserma della Guardia Civil o al comune del luogo per consegnare le due schede in bianco che ha ricevuto.)

Credo che sia interessante spiegare il motivo per cui mio padre fu imprigionato. La maggior parte dei detenuti nei campi di raccolta erano condannati a morte. Tra loro c'erano politici (di qualunque area dello spettro politico purché avessero abbracciato gli ideali della democrazia), sindacalisti, ecc. Anche ogni ufficiale dell'esercito che avesse lottato a fianco della Repubblica, il che rappresentava la legalità contro i golpisti franchisti, veniva automaticamente condannato a morte. Un fratello di mio padre era pilota d'aereo, cioé militare di carriera e quindi rientrava tra quest'ultima categoria (allo scoppio della guerra civile, quasi tutta l'arma aerea si dichiaró fedele allo stato repubblicano). Ma, una volta finito il conflitto, lui che sapeva già di questa legge emanata durante uno dei primi consigli di ministri franchisti, fuggí con il suo aereo in Francia. Allora, la Guardia Civil fermó mio padre, quale fratello più giovane del fuggiasco come ricatto per indurlo a ritornare in patria (e, si evince, fucilarlo). Mio padre riuscí a fare arrivare una lettera a mio zio dove gli spiegava la situazione e lo esortava a non fare ritorno. La logica di mio padre era semplice: se ritornava sicuramente ci sarebbe stato un lutto in famiglia, se non ritornava forse mio padre se la sarebbe cavata lo stesso. Dopo molte pressioni da amici della famiglia, mio padre fu liberato (nella foto si vede il foglio di via che gli fu consegnato alla fine della prigionia e che custodisco in casa). Tranne che per qualche sporadico e breve ritorno in Spagna (dagli anni sessanta e all'inizio in modo clandestino) mio zio restó per sempre in Francia, a Tolosa, dove oggi é sepolto.

ManoConFede

Nei primi anni 2000 sono state realizzate diverse riesumazioni di fosse comuni di detenuti fucilati durante o dopo la guerra civile. Grazie alle testimonianze dei pochi superstiti, ne sono state trovate mezzo centinaio (ma si crede che si tratti solo di una piccola parte). A Villamayor de los Montes (Burgos), nel 2004, furono trovati resti di 46 persone assassinate il 24 settembre del 1936. Come mostrato nella foto, una delle vittime portava la fede.

Le atrocità compiute durante il franchismo sono tante. Ne ricordo due che mi colpirono quando ero giovane (Franco morí nel 1975, quando io avevo 15 anni). Nel 1978 o nel 1979 (quindi 3 o 4 anni dopo la morte del dittatore) furono intrapresi lavori di ammodernamento del Palazzo di Giustizia di Barcellona. Tra l'altro si volevano ampliare i locali sotterrani. Ad un certo punto si abbatté una parete e si scoprí che dietro c'era una stanza la cui porta era stata murata molto tempo addietro. Dentro c'era ció che sembravano i resti di una intera famiglia lasciata morire di fame. C'erano un uomo e una donna adulti e tre giovani maschi. A mia conoscenza non furono mai identificati né mai nessuno reclamó quei poveri resti.

Luis Montero
      

In attesa di essere spedito in nave verso il campo di raccolta, mio padre fu imprigionato durante alcuni giorni nel carcere della fortezza militare navale de "La Mola", a Minorca. Le due istantanee mostrano i resti del carcere in disuso e coperto di sterpaglia e furono scattate durante l'estate del 2013.

Nel mese di maggio di 1981 tre giovani studenti di Santander (una regione al nord del paese, vicina al Paese Basco) presero la macchina per scendere fino all'Andalusia (nel sud del paese) ed essere presenti nella Prima Comunione del fratello di uno di loro. Non arrivarono mai. Quando passavano con la loro macchina per una strada di Almeria, una pattuglia della Guardia Civil li fermó. Confusi come terroristi baschi, furono portati fino ad una caserma abbandonata presso Casafuerte e torturati fino alla morte. Si chiamavano Juan Mañas, Luis Montero e Luis Manuel Cobo. Ho un preciso ricordo di questo fatto terribile perché qualche tempo dopo, ascoltando una intervista alla mamma di uno dei tre ragazzi, capii la brutalità delle atrocità commesse in quella caserma. Ad un certo punto della intervista, la mamma in lacrime imploró che quantomeno le fossero restituite le gambe del figlio perché voleva seppellirlo tutto intero.

Luis Montero

Luis Montero.

Luis Cobo

Luis Manuel Cobo.

Juan Manas

Juan Mañas.

       Bartolome Alles

La disperazione dei familiari di fronte alle bare.

Solo tre degli undici membri della Guardia Civil che parteciparono a quei fatti furono giudicati. Questo sono due ricordi che ho di quel tempo. Ed erano gli anni dopo la morte del dittatore. Quelli prima non furono migliori.

Morto Franco, il Re Juan Carlos decise di cambiare il regime franchista in una democrazia. Certamente il cambiamento richiedeva tempo e tanta pazienza perché Franco aveva lasciato tutto, per usare le stesse sue parole, "legato e ben legato". L'Esercito, la Guardia Civil, membri del partito fascista ("El Movimiento Nacional"), notevoli settori dell'economia e naturalmente familiari e tutto lo stuolo di adulatori formavano una cricca che non era disposta a mollare una sola delle prebende con cui Franco li aveva premiati. Questa cricca veniva chiamata, nel gergo dell'epoca, "il bunker". Inoltre Franco aveva stabilito che l'erede del regime sarebbe stato il Re Juan Carlos, convinto che era la persona giusta perché non cambiasse nulla. Quindi quando il bunker realizzó che Juan Carlos non aveva nessuna intenzione di mantenere il regime, il che altro non voleva dire che un palese tradimento alla volontà del dittatore, decise di rendere la vita impossibile alla monarchia. Gruppi paramilitari, elementi delle stesse forze dell'ordine, gruppi di estrema destra, ecc. iniziarono una campagna di attentati e provocazioni che durarono oltre un lustro (vedi questa pagina del quotidiano "El País"). A modo di esempio voglio segnalare i seguenti tentati (e per fortuna falliti) colpi di stato:

Che Franco e il franchismo volevano assolutamente che il regime non venisse modificato é del tutto confermato da tante testimonianze nonché da documenti ufficiali ed é opinione condivisa da tutti gli storici (stranieri o spagnoli). Alcuni opinionisti, osservando la veemenza con cui Juan Carlos intraprese la via democratica, hanno erroneamente affermato che Franco aveva già previsto, e dunque approvato, questo cambiamento. In realtà, come dimostrato dalla traiettoria del Re quando ancora era principe, Juan Carlos semplicemente teneva ben nascosti i suoi piani di ammodernamento del paese. A prova di tutto ció bisogna ricordare che, sebbene Franco volesse che il capo dello stato dopo la sua morte fosse Juan Carlos, il primo ministro indicato dal dittatore fu invece l'ammiraglio Luis Carrero Blanco, un convinto franchista della prima ora. La designazione avvenne a giugno del 1973 ma la mattina del 20 dicembre dello stesso anno, l'organizzazione terroristica basca ETA frustró l'idea di Franco ammazzando Carrero Blanco con una carica di dinamite che esplose al passaggio dell'auto blu che lo portava al lavoro.

CMB CMB
CMB CMB

In senso orario: (1) Tejero appena entrato in Parlamento minaccia i deputati (notate a destra della fotografia, verso l'alto, come alcuni di essi si chinano per usare i banchi come parapetti); (2) momenti di confusione (chi scende la scalinata é Adolfo Suárez, primo ministro che lavoró a fianco del Re Juan Carlos per modificare la costituzione e preparare le prime elezioni democratiche, intanto alcuni membri della Guardia Civil stanno malmenando Manuel Gutiérrez Mellado, uno dei pochi generali favorevoli al cambio democratico e che allora occupava il dicastero della Difesa); (3) carri armati a Valencia comandati dal golpista Jaime Milans del Bosch (anche i carri armati della prima Divisione Corazzata Brunete dovevano uscire per occupare Madrid ma per fortuna il deciso contrasto del Re impedí loro di attuare questo piano che senza dubbi avrebbe decretato irrimediabilmente la fine dell'esperimento democratico in Spagna); (4) segnalati alcuni fori causati dagli spari intimidatori effettuati dai membri della Guardia Civil durante i primi concitati momenti dopo l'irruzione in Parlamento.

Infine, per chi ha dimenticato lo stato in cui versava la Spagna alla fine del franchismo, devo sottolineare che alla morte del dittatore il paese era letteralmente allo stremo. Franco era un militare la cui carriera era stata fatta sul campo (nelle guerre coloniali in Marocco). Di strategia militare capiva qualcosa ma di economia e di come dirigere un paese di 30 milioni di abitanti ne sapeva ben poco. Durante i primi anni (dalla fine della guerra civile nel 1939 fino al 1960) decise, con i suoi ministri (quasi tutti anche loro militari), che la Spagna poteva bastarsi da sola e quindi affondó l'intera economia del paese, già provata dalla guerra civile, con una autarchia assurda in un paese tradizionalmente privo di buone università e tecnologia proprie. Di questo crasso errore il paese ne risentí per molti anni. Ricordo, quando cominciai a studiare all'Università di Barcellona, nell'anno 1979, che in alcune trattorie vedevo bambini fuori dalla porta di entrata. Aspettavano che uscissero i clienti per fiondarsi dentro ed arraffare i pezzi di pane che normalmente vengono dimenticati sul tavolo alla fine del pasto. Questa era la Barcellona di allora, dell'immediato dopo-franchismo. Quella città che oggi ammirate.

Non penso che una revisione delle colpe del franchismo possa venire avallata dal rigore storico. Leggere gli storici di professione infatti permette di capire molti aspetti del passato. Per chi possa esserne interessato, aggiungo una breve bibliografia. Tra i principali esperti di storia spagnola figura lo scienziato inglese Paul Preston (London School of Economics and Political Science). Sono particolarmente interessanti i suoi due libri [1] e [2]. Un'altro esperto di storia spagnola é Raymond Carr (Oxford University) e vale la pena il suo libro [3]. Infine c'é uno storico italiano il cui lavoro ha una qualità notevole, Gabriele Ranzato (Università di Pisa). Ho letto il suo libro [4] nel quale dimostra una profonda conoscenza della Spagna attuale.


LA QUATTORDICESIMA SPAGNOLA

Sondaggi recenti mostrano che quasi nessuno in Spagna ricorda con favore la dittatura franchista. Ovunque sono stati rimossi monumenti che evocavano il dittatore ed il suo regime. L'esercito, che per più di un secolo era stato il serbatoio di "golpisti", oggi é una istituzione che sembra essere perfettamente ancorata nella democrazia del paese. Analogo commento vale per la Guardia Civil, per le forze dell'ordine, ecc.

Una statua equestre del Caudillo viene rimossa da una piazza di Saragozza nel 2006.

Ma un'aspetto del regime sopravvive ancora senza che nessuno osi eliminarlo. Nessun partito, per quanto possano essere profonde le sue radici democratiche, sia di sinistra o di destra, ha mai tentato di fare a meno di quel vestigio di dittatura. Tantomeno i sindacati, perfino quando si presentano col pugno alzato.

Sto parlando della quattordicesima che in Spagna naturalmente non si chiama così ma bensì "paga extra de julio" (stipendio extra di luglio). Franco, per sottolineare la "gioia" con cui tutti gli spagnoli dovevano ricordare la data dell'inizio della guerra civile (la crociata, come la chiamava lui, scoppió il 18 luglio del 1936), stabilì che ogni lavoratore sarebbe stato gratificato con uno stipendio in più in quella data ogni anno. Così nacque la quattordicesima spagnola (c'era già, come in molti paesi, una tredicesima a dicembre).

A mia conoscenza soltanto il recente primo ministro socialista Zapatero ha tentato di eliminare quello stipendio extra diluendo il suo ammontare nei 12 stipendi ordinari dell'anno. Ma i sindacati non si sono fidati e hanno preferito continuare con le rimembranze del passato. Tanto, forse pensano loro, se il passato non lo puó più cambiare nessuno, meglio non toccare nemmeno lo stipendio!


IL CONFLITTO CATALANO

Anni fa, quando abitavo a Milano, sono andato una sera al cinema con mia moglie per vedere il film che quell'anno aveva vinto il Leone d'oro nella Mostra Internazionale di Cinema di Venezia. Si intitolava "Così ridevano" con regia di Gianni Amelio. Sono passati parecchi anni (correva il 1998) ma ancora ricordo un film bello, belle immagini, ottimi attori... peccato che il film, ambientato tra gli immigrati siciliani che negli anni 60 andarono a Torino per trovare lavoro, era quasi interamente parlato in siciliano stretto. Io, da bravo straniero, non capii nulla, neppure la trama.

Ma non é di disavventure idiomatiche, solite grane dei forestieri, che voglio parlare qui, bensì di un curioso fatto che notai all'uscita del cinema: nessuno protestó. Intendo dire che, essendo la città Milano, di spettatori che capissero il siciliano vero non ce ne potevano essere più di tanti (anche se Milano é una città molto cosmopolita). Anche mia moglie (pure lei milanese) mi confesó di aver capito poco, sebbene sicuramente capì meglio di me. Ma nessuno protestó. Il cinema era gremito e all'apparire di "FINE" ed accendersi delle luci, tutti raccolsero cappotti, pelliccie, ecc. e si diressero verso l'uscita in silenzio. Come si fa con qualunque altro film.

Sapete perche questo mi sorprese? Perche questo in Spagna é impensabile. Quando il film "La ciutat cremada" (la città bruciata), lungometraggio prevalentemente in lingua catalana già che situato nella Barcellona tra gli anni 1899 e 1909, del regista Antoni Ribas e vincitore del premio speciale della giuria nel Montreal World Film Festival nell'anno 1976 fu proiettato a Madrid, non duró molto in sala perche scritte sui muri, atti vandalici, qualche lancio di Molotov e altri atti estremisti obbligarono alla direzione della sala cinematografica a cambiare la programmazione. A certi madrileni non piaceva che un film non fosse facilmente capibile. Neanche ho mai sentito di un film parlato in una delle lingue diverse dallo spagnolo standard (detto "castigliano") che fosse mai proiettato a Madrid (le lingue iberiche diverse dal castigliano sono catalano, basco e galiziano).

Prima di proseguire conviene che chiarisca il termine "castigliano". A senso stretto vuol dire "abitante della Castiglia", regione centrale che si estende su gran parte della penisola iberica (nella suddivisione amministrativa creata dopo la dittatura, la Castiglia fu spezzata in 3 regioni: "Castiglia y Leon", "Madrid" e "Castiglia-La Mancha"). Tuttavia, "castigliano" si usa anche per chiamare la lingua spagnola standard (quella usata da Almodóvar nei suoi film oppure quella di "Don Quijote de la Mancha" oppure quella che si parla in Sudamerica) nonché un cittadino che la parli di consueto e non conosca invece le altre lingue (catalano, galiziano o basco). "Catalano" invece farebbe riferimento a un abitante della Catalogna ma é anche il nome della lingua che spesso si parla lì e così viene chiamato anche chi la parla. Anche qui c'é da chiarire che il catalano viene solitamente parlato anche nelle Isole Baleari (costituiscono una regione a sé) e a Valencia (un'altra regione a sé). C'é infine uno stato sovrano dove la lingua catalana ne é la lingua ufficiale: Andorra.

Conviene che dica anche che la regione (intesa come divisione amministrativa) in Spagna si chiama "Comunidad Autónoma". Il nome appare molto roboante ma in realtà le comunità autonome spagnole hanno grosso modo le stesse competenze (sanità, scuola, ecc.) che le regioni in Italia. In più, in quelle regioni dove la lingua solita non é il castigliano (Catalogna, Galizia, Paese Basco, Isole Baleari, ecc.), lo spagnolo o castigliano figura come lingua co-ufficiale assieme alla lingua del posto. Così, ad esempio, nelle Isole Baleari ogni modulo o documento ufficiale (riguardante il governo centrale oppure quello regionale -cioé, quello "autonómico") viene rilasciato in lingua spagnola nel prospetto e in lingua catalana sul tergo (intendiamoci: questo succede ora, perche durante la dittatura franchista si poteva usare in ogni circostanza una sola lingua: il castigliano).

Le bandiere regionali. Quella della regione catalana si chiama "la senyera".

Tornando dunque al nostro racconto, voglio aggiungere che, anche se so che fate fatica a capire, dovete sapere che questo (questa stupidata della lingua che a volte é diversa in diverse regioni) é alla base del conflitto che ancora crea diffidenze e incomprensioni tra i diversi popoli della Spagna: i castigliani (intesi come quelli che solo parlano lo spagnolo standard) non sopportano che altri parlino altre lingue. So che sembra assurdo, anche surreale, ma é così. Potremo dire che si tratta di pura insofferenza verso la parlata in una lingua che nel sentirla, i castigliani non colgono alla perfezione, anzi, spesso si rifiutano di netto di continuare ad ascoltare. Dire che si tratta di razzismo mi sembra riduttivo anche se, chiaramente, si addice come definizione.

So perfettamente che questo che ho scritto sopra suona a roba da pazzi. Che sembra una mia esagerazione se non una erronea interpretazione. Capisco che possiate pensare così perche, dopo anni in Italia, ho imparato che ci sono paesi (l'Italia tra questi) dove un napoletano puó parlare tranquillamente in uno scompartimento di treno nella sua lingua (che qui chiamate dialetti, ma fa lo stesso) e addirittura rendersi simpatico se il suo parlare é ardito e intelligente (ovviamente sempre a patto che nessuno degli altri occupanti dello scompartimento abbia voglia di dormire o di estraniarsi). In Spagna due catalani che provassero a dialogare nella loro lingua in uno scompartimento di treno pieno di castigliani rischiano (non sempre accade, ma accade spesso) di venire bruscamente interrotti da qualcuno più spavaldo degli altri con un "qui siamo in Spagna e si parla in spagnolo!" detto a volte perfino urlando. A me é successo più volte (nel treno oppure in un bar, ecc.).

In Italia Camilleri puó scrivere i suoi gialli sulle inchieste del commissario Montalbano mezzo in italiano e mezzo in siciliano (suppongo una versione facile del siciliano visto che lo capisco pure io) e diventare un successo editoriale. In Spagna mai un autore catalano ha fatto qualcosa di simile riuscendo a vendere il suo libro oltre il confine della regione catalana. Se mai (se il libro ne valeva la pena) ha venduto tanto in Catalogna ma non fuori. Ad esempio, i libri del commissario Montalbano vengono tradotti interamente in castigliano, così sprecando il loro stile bilingue.

Nel 1991 abitavo a Pisa. Un giorno andai in questura per rinnovare il mio permesso di soggiorno (questa pratica, che oggi si deve realizzare in comune, allora si sbrigava in questura). Nella fila, davanti a me, c'erano 4 ragazze delle Asturie (una regione a parlata castigliana) che erano a Pisa con una borsa Erasmus (quella con cui uno studente universitario di un paese europeo puó trascorrere un anno della laurea studiandola in un'altro paese, sempre europeo). Durante la lunga attesa in fila abbiamo chiaccherato e alla fine abbiamo risolto di trovarci per cenare insieme pochi giorni dopo. Alla cena io mi presentai con un mio amico catalano (di Barcellona) e un'altro di Albacete (una città che, trovandosi in Castiglia-La Mancha, é a parlata castigliana). Questi due ragazzi erano anche loro a Pisa per un'anno, uno per realizzare un tirocinio in una ditta di chimica e l'altro per imparare metodi per il trattamento dei rifiuti solidi. Nel fare le presentazioni, le ragazze si sorpresero che uno di noi fosse proprio di Barcellona. Fatte le ordinazioni, due delle 4 ragazze iniziarono a protestare con frasi adirate contro di lui e anche contro di me perche lo avevo portato (tengo a precisare che quel mio amico, che di nome faceva Francesc, era una persona mite e gentile, preoccupato solo per il pallacanestro e per il suo futuro professionale, nulla più). Io, a seconda delle ragazze, "andavo bene" perche, pur parlando il catalano, ero delle Baleari (!!), ma il mio amico, essendo catalano vero, non andava altrettanto bene. Profondamente sbigottito e dispiaciuto per il mio amico, lo difesi e tutta la cena andó avanti con critiche e asprezze del tutto gratuite contro di lui. Fino al, diciamo così, botto finale in cui una delle ragazze affermó il seguente: "il problema catalano si risolverebbe se da un certo momento in poi tutti i bambini nati in Catalogna fossero asportati dalle loro famiglie naturali, portati nel seno di una famiglia castigliana e lasciati crescere fino all'età di, diciamo, 10 anni in cui sarebbe tornato alla sua famiglia originaria; in questo modo il problema verrebbe risolto perche in poche generazioni la lingua catalana si perderebbe per sempre dato che quei bambini, cresciuti in famiglie castigliane, non avrebbero modo di impararlo". La frase é lunga ma la ricordo alla perfezione perche mi lasció di stucco. Ancora oggi stento a credere che una persona, addirittura giovane, possa pronunciare una simile stupidità. Ma così fu. Voglio puntualizzare che le ragazze erano a Pisa, come ho detto per studiare un anno di laurea..., in giurisprudenza!

Notate la ottusa e radicata opinione (radicata tra i castigliani) che una lingua non puó essere né capita né parlata se non la si impara da piccolo. Di fatto, le lingue straniere é uno dei talloni di Achille della scuola spagnola (molto peggio che in Italia).

Desidero anche precisare che l'amico di Albacete era pure lui allibito e addirittura ebbe la correttezza di chiederci, come castigliano che era, scuse. Giudico importante chiarire questo perche non voglio dare la impressione errata che "tutti" i castigliani siano come sopra descritto. Non lo era così l'amico di Albacete e nemmeno le altre due delle 4 ragazze. E neanche parecchi altri amici e amiche che posso vantare e che sono castigliani. Ma ciò non toglie che il problema esista e che ci sia una larga fetta della popolazione spagnola (tra quella castigliana) che non sopporta minimamente le diversità linguistiche. Diversità che in altri posti, tra cui l'Italia, vengono viste come quello che sono: ricchezza culturale che é un bene non perdere e che, se usata con criterio, permette di arricchire il paese, la sua parlata e, come nel caso dei libri di Camilleri, la sua cultura.

Va anche detto che in genere i catalani non si mostrano mai altrettanto scortesi con i castigliani. Anzi, normalmente, quando capiamo che l'interlocutore é castigliano, noi (catalano-parlanti) cambiamo lingua per renderlo partecipe del nostro discorso. Non é esattamente deferenza ma piuttosto praticità, cioé consapevolezza del fatto che l'altro probabilmente capirà poco. Un pò come farebbe per esempio un calabrese davanti a un italiano proveniente da un'altra regione. Ma, se per caso un catalano non coglie al volo che il suo interlocutore é castigliano ed inizia un discorso in catalano, capita spesso di venire interrotto bruscamente dal castigliano che, con faccia offesa e arrabbiata, gli urla "¡No he entendido nada!" (non ho capito niente!). Quando all'estero o in Spagna (mi capitó nel Paese Basco anni fa) mi succede di non capire una lingua solitamente mi scuso per la mia impreparazione e chiedo gentilmente che mi venga ripetuta la frase. Mica impongo niente.

Una lingua si impara quando la senti parlare e non puoi fare a meno di parlarla anche tu. Per questo motivo, una delle cose più difficili a Barcellona é imparare il catalano per il semplice motivo che pressoché chiunque si rivolge in castigliano quando il suo interlocutore non sa il catalano. Pochissimi tra i miei amici castigliani abitanti di Barcellona sono riusciti a parlare il catalano bene. La tolleranza con le lingue arriva al punto che addirittura c'é chi, dopo molti anni a Barcellona, ha finito per imparare il catalano ma continua a esprimersi in castigliano solo perche non trova il bisogno di fare lo sforzo di abituarsi a parlare in catalano.

Solo in un'occasione ho visto una persona di Barcellona, catalano-parlante, rifiutarsi di esprimersi in spagnolo e con ciò relegare uno dei suoi interlocutori, che era castigliano, all'ignoranza. Segnalo che, dato il fastidio che producono i comportamenti sopra descritti, purtroppo questi casi diventano sempre più frequenti.

Mi é sembrato di notare che un castigliano interpreti il che due catalani dialoghino nella loro lingua come un affronto, addirittura come un modo di reivindicare non si sa quale pretesa di imposizione del catalano. Ed é allora che il castigliano scatta e con grande scortesia impone l'uso del castigliano. Neanche lontanamente riesce a cogliere che i due parlino in catalano soltanto perche li risulta più naturale, perche questa é la loro lingua materna e si sentono più comodi usandola (sottolineo che la fonetica delle due lingue, castigliano e catalano, é assai diversa per cui, la pronuncia castigliana di un catalano viene sempre bruttoccia, difficoltosa e notevolmente forzata). Non mi sfugge che é con questi ateggiamenti che il cosidetto "problema catalano" si crea. Sì, perche questo problema non lo hanno tirato fuori i catalani, ma gli spagnoli non catalano-parlanti mostrando quei atteggiamenti.

In un occasione spiegai a un castigliano, uno che era gentile, ma che non capiva la questione il seguente: tu e tua mamma parlate bene l'inglese (infatti era così, entrambi lo parlavano fluidamente), perche allora sempre dialogate solo in castigliano? Non capisci che lo fate perche, per quanto bene possiate parlare le lingue diverse da quella con cui vi siete sempre espressi tra voi, vi risulta più facile, naturale, perfino direi comodo, comunicare in castigliano? Lui, che era intelligente, capì.

Qualcuno potrà chiedermi come mai il problema esiste solo con i catalani e non con i baschi (con i quali un problema c'é, si, ma non riguarda la lingua) o con i galiziani. Il motivo é semplice: il galiziano e il basco lo parlano in pochi. Tornando all'esempio di prima, non é probabile che due baschi seduti fianco a fianco sappiano entrambi la lingua basca e quindi é normale che da subito si parlino in castigliano.

Come si é potuto arrivare fin qui? Che é successo in Spagna perche una lingua (semplice veicolo per trasmettere informazione verbale) venga trattata come se fosse un arnese di guerra?

Il periodo della dittatura franchista peggioró la situazione bandendo per legge l'uso della lingua catalana. Ricordo i metodi spicci con cui nella scuola franchista ci obbligavano a parlare in castigliano abbandonando ogni uso del catalano (anche una semplice espressione in catalano usata in soccorso del discorso in castigliano era assolutamente vietata). Alcuni abitanti di Barcellona, colti mentre parlavano in pubblico in catalano, furono addirittura imprigionati e fucilati durante i primissimi anni della dittatura, quando questa si sentiva forte dalla recente vittoria militare durante la guerra civile. Tuttavia bisogna dire che il problema ha origini anteriori alla dittatura franchista. Ad esempio, quando intorno al 1890 Angel Guimerà (il miglior dramaturgo catalano) decise di scrivere le sue opere non più in castigliano ma in lingua catalana, fu duramente criticato ed il numero di opere sue rappresentate, anche quelle originali in castigliano, diminuì molto nella Spagna di parlata castigliana. Lui soltanto voleva, seguendo la moda allora in atto, dare il suo contributo alla rinascita della lingua catalana. Rinascita nel senso letterario: certamente era (come lo é oggi) largamente parlata in Catalogna, ma si pretendeva di estendere questo uso anche nella letteratura. Per inciso, questo processo venne chiamato "La Renaixença" (La rinascita). Io, personalmente, non ci vedo nulla di male. Come non lo vedrei se qualcosa di simile fosse attuata (forse di fatto lo é) con il siciliano, per esempio. Immagino che voi siate della stessa idea.

Un buon libro che affronta il problema é [1]. La tesi dell'autore é che, mentre la Catalogna si trova di fronte al Mediterraneo e sul confine francese (quindi sotto l'influsso di idee, persone, popoli, invasioni, ecc. di ogni genere), la Castiglia é molto più isolata. Sono pochi i popoli viaggiatori che l'abbiano frequentata (sia per commercio che per guerre). Questo, secondo l'autore, avrebbe causato una eccessiva chiusura (leggete provincialismo) dei castigliani i quali, per dirla in qualche modo, si sentono sicuri entro il loro mondo. Non appena questo mondo si apre, provano lo sconforto causato dall'incertezza dell'ignoto.

Sono in parte d'accordo con questa teoria (consiglio di leggere comunque il libro perche da una idea chiara della complessa formazione della Spagna). Di fatto, ho conosciuto più persone nella Castiglia e all'interno della Spagna che, pur avendo oltre i 40 anni di età, mai (ripeto mai), avevano visto il mare. Il loro più lungo viaggio era consistito nell'arrivare al paese poco sopra la collina per vedere meglio e dall'alto il proprio paese, giù nella pianura. E altrettanto vale con le loro conoscenze: io ero forse la seconda o terza persona di origini lontane che avevano avuto occasione di trovare.

Tuttavia, voglio sottolineare che a mio parere esistono altre cause più subdole. Nella mentalità spagnola non é ancora stata ben digerita la perdita delle colonie (l'ultima fu persa nella guerra di Cuba, 1895-1898). A prova di questo posso dire che pochi spagnoli sopportano che si parli delle brutalità commesse dai "conquistadores" (notate questa notizia del quotidiano di destra post-franchista "ABC" che segnala un episodio di tremenda crudeltà degli aztechi contro i "conquistadores" spagnoli: a parte un breve accenno all'inizio, mai si ricorda il genocidio compiuto dai "conquistadores" e l'articolo é corredato da immagini esplicite assai forti e, a quanto pare, solo giustificate dalla stizza degli indios per i nuovi arrivati dovuto al fatto di essere questi troppo "barbudos"; la stessa notizia presentata da "El País" qui é assai più rigorosa ma tuttavia anche questo scritto sorvola molto sulle vere colpe degli spagnoli; vedete anche questa notizia, sempre di ABC che ha scovato una presunta storica esperta affermando che i "conquistadores" persino evitavano che gli indigeni fossero torturati... ma non precisa da chi). Un'altro segno di questa persistente mestizia é che quando si sfogliano i giornali spagnoli (di destra come di sinistra) notizie riguardanti investimenti di ditte spagnole all'estero sembra di stare leggendo di vittorie militari (se per esempio una ditta spagnola di lavori pubblici vince un appalto all'estero non poche volte si leggono frasi altisonanti come "España construirá autopista en Brasil", anche quando il giornale é economico e quindi la notizia dovrebbe servire agli operatori del settore a capire il valore della ditta vincitrice dell'appalto, un aspetto cioé, prettamente tecnico). Non é mai scomparso del tutto il lutto per il passato glorioso dell'impero perso. Basti segnalare che la festa nazionale della Spagna (l'equivalente del 25 aprile italiano) si celebra ogni 12 ottobre, il giorno della scoperta dell'America. Fino a pochi anni fa questa festa veniva chiamata (testualmente) "El Día de la Hispanidad". Ho trovato parecchie persone colte e di pensiero aperto (a questo punto devo specificare: sia catalani che castigliani) che sono della stessa idea sopra descritta e a cui questa "Hispanidad" provoca più che altro ilarità. Mi é difficile spiegarlo (non sono un esperto di sociologia), ma credo di aver intuito che in questa situazione, la volontà di essere diversi (per la lingua o altri costumi) di una parte del popolo spagnolo non venga ben accettata. Parlo ovviamente della lingua catalana e i catalani. In più bisogna ricordare che proprio durante la guerra di Cuba i catalani si ribellarono perche non volevano mandare i figli a morire nella lontana guerra solo per mantenere la "spagnolità" dell'isola cubana (oramai Cuba non recava alcun vantaggio economico per il paese). Ci fu una rivolta analoga nel 1909, sempre in Catalogna, perche non volevano mandare i figli nelle guerre coloniali in Marocco (queste guerre altro non erano che un tentativo di riesumare il passato coloniale). Questa protesta sfoggió nella cosidetta "setmana tràgica" causando circa un centinaio di morti e sono gli avvenimenti raccontati nel film "La ciutat cremada" citato all'inizio.

Tutta questa agressività gratuita nei confronti di un fatto così naturale come é il semplice parlare, ha fatto nel tempo risvegliare nei catalani un senso di impotenza che trova sfogo solo nel sogno del separatismo. E non aiuta a calmare le acque il fatto che spesso queste ondate di separatismo vengano aspramente criticate o minacciate con velate intimidazioni di intervento militare (vedete questa notizia del quotidiano "El Mundo"). Spesso la storia degli uomini produce sentimenti e risentimenti che sopravvivono a lungo e che vengono risvegliati con facilità. Mettete dunque assieme quell'agressività riguardante la lingua con i ricordi (ormai solo scritti sui libri) della sconfitta dei catalani contro le truppe del Re Filippo V durante la Guerra di Successione (1713-1714) e avrete il ribollire di un sentimento secessionista che ripete le sue scenografie ogni 11 settembre (data della sconfitta) nel Fossar de les Moreres (Barcellona, dove sono sepelliti alcuni martiri di quella disfatta) oppure davanti il monumento che ricorda Rafael de Casanova (sempre a Barcellona, fu il governatore della Catalogna durante quella guerra). Provate a immaginare quanto sarebbe dura la risposta dei sardi (per fare solo un esempio) se all'improvviso decideste di rendere difficile, o addirittura illegale, l'uso della lingua sarda.

Uno scorcio del "Fossar de les Moreres" a Barcellona.

Questi moti separatisti (sorti già nel 1800 come corollario dell'ondata di nazionalismi che portarono alla creazione di stati nuovi come l'Italia o la Germania) non hanno mai entusiasmato più di tanto chi scrive. Ma non posso non riconoscere nella loro manifestazione, il giusto sfogo alla rabbia e alla frustazione contro una nazione, la Spagna, incapace di riconoscere le molteplici realtà del paese. A mia conoscenza la Spagna é l'unico paese multilingue in cui la maggior parte della popolazione (castigliana) sa solo una lingua, il castigliano appunto, e si rifiuta di netto di capire alcuna delle altre lingue usate nella nazione. Madrid dovrebbe essere, come ogni capitale di un grande paese, un centro cosmopolita, agglutinante dei tanti popoli che compongono la nazione. Un luogo, insomma, dove ogni cittadino si sente come in casa. Non trovo quindi accettabile che sia invece il luogo dove io non posso esprimermi in pubblico in catalano. Come posso chiamare capitale del mio paese una città del genere?

Monumento a Rafael de Casanova nella Ronda de Sant Pere di Barcellona.

      

Componenti della squadra di calcio del Barcellona portando un simbolo di riconoscimento verso il monumento di Casanova (2009).

Voglio anche spiegare brevemente perche non vedo nell'indipendentismo la soluzione ideale ai problemi sopra descritti. Tralasciando il fatto ovvio che la separazione non é mai da considerare una soluzione ideale, qualunque sia il conflitto in atto, ho visto certe espressioni di indipendenza che mi lasciano molto preoccupato. Ad esempio, Barcellona é una delle capitali più colte in Spagna, dove più gente legge, dove più persone hanno una biblioteca in casa. Non vedo quindi normale che siano stati spesi ingenti quantità di soldi pubblici per pagare dei pessimi traduttori per avere nelle librerie noti romanzi di lingua castigliana tradotti in lingua catalana (come "Cent'anni di solitudine" di García Márquez e tanti altri). Lo giudico una offesa a quella fetta consistente di catalani che hanno la sana consietudine di leggere (e che saprebbero leggere senza alcuna difficoltà il libro nella sua lingua originale castigliana). Oppure non mi sono mai tornati i discorsi sul presunto depredamento dei soldi catalani da parte della Spagna (discorso fumoso ma caro ai politici che, a volte con sincere intenzioni ma più spesso per puro calcolo elettoralista, sfoderano supposti buchi di miliardi di euro nei conti pubblici dello stato centrale a sfavore dei catalani). Ogni volta che, basandomi nelle considerazioni precedenti, ho fatto delle domande scettiche sull'idea dell'indipendenza della Catalogna mi sono trovato con delle sfuriate ingiustificate. E già questo depone poco bene...

      

Vignetta che mostra l'attuale (2014) presidente della regione catalana, Artur Mas del partito di destra nazionalista CiU, nascondendo sotto un tappetto a forma di "lingua catalana" i problemi che oggi attanagliano la Catalogna: disoccupazione e corruzione (dovrei aggiungere anche una burocrazia regionale elefantiaca sia in regole che in personale).

Per conoscenza aggiungo che l'indipendentismo e' stato sempre il cavallo di battaglia della sinistra catalana (il principale partito é ERC, cioé Esquerra Republicana de Catalunya -Sinistra Repubblicana di Catalogna). La destra al massimo ha usato l'argomento per ottenere voti (in testa CiU, cioé Convergència i Unió).

Aspetto della manifestazione pro-catalana in una "diada de Catalunya". Le "diades" si celebrano ogni 11 settembre ed é giorno festivo.

      

Bandiere indipendentiste durante una diada. Queste bandiere sono simili alla senyera ma hanno in più un triangolo stellato.

Ma, qualunque sia il peccato veniale o capitale commesso dagli indipendentisti, mi dispiace dirlo, io vedo molto peggio l'atteggiamento provocatorio dei castigliani (ripeto: non tutti) che al problema lo hanno creato. Non so biasimare più di tanto chi, oberato dall'agressività proveniente dal proprio coniuge decide di andarsene!


IL FLAMENCO

Molte volte sarete andati all'estero. Oppure avrete conosciuto stranieri di passaggio in Italia. Ha soddisfatto il vostro senso di patria il fatto che queste persone vi abbiano chiesto di suonare il mandolino? Oppure di cantare "O sole mio"? Oppure che vi abbiano interrogato sulla mafia come se ogni italiano ne debba conoscere ogni perfido e maleodorante anfratto?

Se, come immagino, la vostra risposta é "no" a tutte le anteriori domande, allora capirete subito che la richiesta, spesso rivolta a noi spagnoli, di ballare il flamenco ci causi analoghe perplessità. Per di più, siamo in tanti gli spagnoli che giudichiamo il flamenco, quello vero, il ballo più noioso che esista. Perché?

Quando negli anni sessanta la Spagna franchista scoprí nel turismo un affare favoloso, in TV ci propinavano intere serate di flamenco senza anestetico. Credo di aver capito che cosí si voleva che il popolo spagnolo fosse unanime: ai turisti bisognava dare l'impressione di un paese che balla il flamenco in ogni occasione, mentre esce a comprare le sigarette, mentre attende l'arrivo del pulman, mentre mangia un panino nella pausa pranzo... In realtà, manco a dirlo, questo bombardamento mediatico ottenne l'effetto contrario.

L'invasione televisiva di flamenco fu accompagnata di una analoga invasione della "corrida de toros a las cinco de la tarde" (proprio l'ora in cui, appena finita la scuola di pomeriggio, in TV solitamente facevano i cartoni animati che, quindi, venivano sostituiti in certi giorni per una bella e patriottica corrida). Gli spagnoli non potevamo non essere anche affezionati alla nobile ammazzatina di cornuti per il sollazzo del pubblico pagante e per la gioia dei ragazzini che a casa, panino alla mano, speravamo invece di goderci la merendina con una carrellata di cartoni animati.

Una scena di "cante jondo" (canto profondo, nome di stile dato alla versione cantata del flamenco).

Detto tutto questo devo chiarire che Paco de Lucía (che a me piace da impazzire) NON suona il vero flamenco. E che le "Sevillanas", che é un ballo a coppie bellissimo, allegro e ameno, é soltanto un parente artistico del vero flamenco.

Finisco facendo notare che quando nel 1992-1993 lavorai a Granada (Andalusia, terra del flamenco), scoprii con grande mia sorpresa che in generale neanche gli andalusi sopportano più il flamenco. Lo dico quasi ridendo perche, sapendo che é la terra che ha dato i natali a questo ballo, fino ad allora avevo sempre immaginato ingenuamente che fosse la diversione generale di ogni andaluso. Invece, pure loro ne hanno i cabasisi pieni!


I SALVATORI DELLA PATRIA

L'elenco dei luoghi comuni sbagliati riferiti alla Spagna é lungo. Ve ne ho esposto diversi, alcuni dei quali forse vi hanno amareggiato mentre altri magari vi hanno fatto sorridere. Termino questo scritto aggiungendo un'altro luogo comune che ritengo particolarmente delicato. Non é una credenza sbagliata solo degli italiani ma di quasi tutto il mondo. Questo perché non si tratta di un errore casuale o provocato da un'interpretazione leggera di alcuni fatti visti o sentiti, ma di un sistematico e determinato scompaginamento della realtà con uno scopo preciso: la chirurgica cauterizzazione di ogni, seppur lieve, dubbio sulla verità. Questo lavoro certosino si é protratto lungo decenni allo scopo di costruire un'altra "verità" e di farla accettare da tutti.

Ció di cui vi sto parlando e di cui ora scriveró riguarda le atrocità del franchismo e dei franchisti. Prima di iniziare voglio avvertire che ció che state per leggere é la discesa agli inferi dell'abiezione umana. Ci sono sentimenti di odio o di aggressività che possono essere capiti, per i quali si puó trovare una qualche forma di discolpa. Invece, per molte delle aberrazioni che hanno insanguinato la Spagna dagli anni 30 agli anni 50 del secolo scorso una tale giustificazione é introvabile a meno che non si rinunci a quanto di basilare c'é nella convivenza umana.

Fino al 1931 la Spagna era una monarchia. Il paese era preponderantemente rurale con un alto tasso di latifondismo, soprattutto in Andalusia, Extremadura e Castiglia. Ma contemporaneamente si era andata sviluppando una incipiente voglia di modernità. Lungo le regioni mediterranee e nei Paesi Baschi era pian piano apparsa una struttura industriale che propizió l'apparizione di una classe media e di certi "vezzi" moderni come il femminismo o la richiesta di uno schema legale che stabilisse alcuni, sepur basilari, diritti dei lavoratori.

Bisogna chiarire che il femminismo o i diritti dei lavoratori così come oggi li conosciamo, hanno solo una pallida somiglianza con quelli di cui parlo. Nella Spagna degli anni 30 essere femminista voleva dire sperare di imparare a leggere e scrivere o ad aprire bocca e opinare durante le riunioni familiari piene di uomini. Analogamente, i diritti che i lavoratori pretendevano consistevano nel raggiungimento di stipendi che almeno tenessero conto delle loro necessità più essenziali: sfamare i piccoli della casa, limitare le ore lavorative diarie, ecc. Erano rare le donne che per esempio sapessero suonare uno strumento musicale come lo era che un bracciante potesse permettersi di riposare la domenica.

Le elezioni comunali del 1931 svelarono un risultato sorprendente anche se non del tutto inatteso. Vinsero i candidati dei partiti che spingevano per il rovesciamento della monarchia e la proclamazione della repubblica. Di conseguenza il re (nonno dell'attuale re Juan Carlos) abdicó. Entro pochi mesi fu redatta una costituzione repubblicana e furono indette elezioni.

Il compito che i governanti repubblicani dovevano affrontare era da titani. Giusto per dare una idea della situazione in cui versava il paese, segnalo che più del 25% della popolazione era analfabeta e che c'era una improrogabile necessità di nuove scuole, il che contrastava con l'esagerato numero di militari di ogni grado. Non si trattava di un paese arretrato ma di un sistema di servi della gleba contrapposti ad una casta formata dai militari e dai ricchi (ma nullafacenti). Le riforme che il paese necessitava erano spalleggiate non solo dalla sinistra per ovvie ragioni ma anche dalla destra repubblicana che capiva che migliorare le condizioni dei lavoratori voleva dire offrire loro più opportunità e aprire le porte della chiusa cerchia della classe dirigente a tutti e con criteri di merito. Questo concetto, nato dalla rivoluzione francese e oggi assimilato dalla classe politica di ogni paese sviluppato, era allora in Spagna inviso da tutta la destra antirepubblicana il che equivaleva a dire la classe benestante. Mentre gli uni spingevano per introdurre i principi che avevano reso possibili i grandi sviluppi tecnologici e sociali del diciannovesimo secolo, gli altri non esitavano a propugnare l'Inquisizione e il feudalesimo come modo di vita.

CMB CMB

I due presidenti democraticamente eletti che ebbe la Repubblica: Niceto Alcalá-Zamora e Manuel Azaña.

In questo modo la riforma agraria (che osava eliminare latifondi e permettere di lavorare la terra a tutti) fu fortemente osteggiata dai propietari di quei latifondi che spesso preferivano mantenerli incolti mentre la riforma del lavoro (che timidamente provava ad allontanare i lavoratori dalle condizioni di schiavitù in cui spesso erano obbligati a vivere) fu decisamente contrastata dalle classi abbienti.

Non bisogna dimenticare che la Chiesa Cattolica (unica presente nella Spagna di quei anni) si schieró con quasi unanime decisione a favore delle classi agiate. Solo alcune diocesi basche e qualche prete di parrocchia si mostrarono favorevoli alle riforme e presero la difesa dei diseredati. Molti di questi preti sarebbero poi stati trucidati dai franchisti per il loro atteggiamento.

ManoConFede

Il saluto fascista di alcune autorità ecclesiastiche assieme a militari e civili nel 1937, durante la guerra. Da sinistra a destra si vedono il vescovo di Lugo, l'arcivescovo e il canonico di Santiago di Compostela e i generali Aranda e Dávila (vedi anche questa pagina di "El País").

Quando il parlamento di Madrid cominció a sfornare riforme ed emanare leggi che mettevano a repentaglio i privilegi dei pochi, questi non stettero con le mani in mano. Nelle zone rurali dell'Andalusia ed Extremadura generalmente queste leggi vennero ignorate. Quando questo fatto originó delle proteste, spesso la Guardia Civil prese le difese dei privilegiati. Là dove invece la nuova legalità imposta dallo stato diventó schiacciante, la reazione dei ricchi fu quella di creare squadroni di difesa, anche violenta, dei propri privilegi. Fu cosí che nacque la "Falange", che operava in modo simile agli squadroni di camice nere in Italia (loro, per identificarsi, avevano scelto di vestire camice blu) ed era formata da giovani fanatici (il facile sodalizio tra fanatismo e gioventù é sempre stata l'arma vincente dei demagoghi). Un'altra formazione molto attiva erano i "Requeté", soprattutto nel Paese Basco, Navarra e nord della Castiglia. Il loro ideale era il ritorno dell'assolutismo vecchia maniera. Oltre questi due bisogna aggiungere gruppi di latifondisti, forze dell'ordine (quasi tutta la Guardia Civil) e non pochi preti foribondi per la piega laica che lo stato stava prendendo (inoltre la Chiesa era padrona di immense distese di terreno senza coltivazione né guadagno e quindi anche sotto minaccia delle nuove leggi contro i latifondi).

ManoConFede

José Antonio Primo de Rivera, fondatore della Falange, durante il secondo congresso dell'organizzazione celebrato il 8 giugno del 1935. Fu fucilato nel novembre di 1936, pochi mesi dopo l'inizio della guerra civile, da reparti repubblicani.

Il sostegno ideologico di quelle formazioni era costruito sulla lotta contro un immaginario bolcevismo che esisteva più nella loro fantasia che nella realtà dei fatti (bastava avere in casa un libro di Voltaire o una fotografia del presidente americano Roosevelt per essere giudicato "pericoloso"). Il ruolo di queste formazioni consisteva semplicemente nel sabotare lo stato, provocare i sindacati e gruppi o partiti politici repubblicani sempre allo scopo di fomentare un clima di tensione sociale che spesso sfoció in assassini e rivolte. Persino alcune attività commerciali furono attaccate solo perché proprietà di ebrei (come i magazzini SEPU nel 1935). Membri della Falange si distinsero per il loro attivismo in questo senso. Ci furono casi di francotiratori che sparavano contro manifestanti pacifici e disarmati oppure che bruciavano circoli e sedi di sinistra. Per lo stato, il mantenimento dell'ordine pubblico diventó estremamente difficoltoso.

Le frange più estremiste della sinistra, giustamente arrabbiate per il sistematico sabotaggio dell'operato del governo, purtroppo si lasciarono condurre in questa spirale di violenza creata dalla Falange, Requeté, ecc. Fu cosí che si occuparono latifondi (solo per coltivarli) e si bruciarono chiese e conventi (ma poche volte furono aggrediti preti o suore). La destra reazionaria non aspettava altro. Questi fatti furono ingigantiti dalla stampa di destra e presentati come "evidenti prove della decadenza della Spagna per mano di orde di sinistra" che, secondo quei giornali, stipendiate dall'Unione Sovietica quando non da oscure e non ben identificate organizzazioni internazionali sovversive (spesso sioniste oppure massoniche) "volevano annientare l'intero paese e le sue tradizioni cattoliche".

Ai Requeté e i Falangisti ben presto si unirono i militari "Africanistas". Questi erano i generali e ufficiali impegnati nelle guerre coloniali in Nordafrica (precisamente nell'attuale Marocco). Questi militari si distinsero per i metodi brutali impegnati in una guerra in cui i nemici (i "mori") venivano considerati subumani. Nessuno si faceva alcuno scrupolo a sterminare villaggi interi, con bambini, vecchi e donne, per il puro piacere di farlo, come un bambino farebbe quando, annoiato, schiaccia formiche con il polpastrello. Perché secondo la loro visione, non stavano conquistando terre appartenenti ad un'altro paese ma più semplicemente eliminando una noiosa popolazione di esseri troppo diversi da poter essere considerati simili.

ManoConFede

Franco e Millán-Astray (quest'ultimo fu il fondatore e primo comandante della Legión Española) in una istantanea presa nella loro giovinezza. Loro e gli altri Africanisti furono educati in un mondo antico e tribale, quello della Spagna di inizio secolo, dove l'onore, l'appartenenza ad una casta e le forme militaresche costituivano la struttura portante della società.

ManoConFede

Soldati spagnoli in Nordafrica mostrando teste mozzate di indigeni come trofei.

Tra questi militari figuravano veri e propri assassini senza scrupoli come Franco, Mola, Yagüe, Millán-Astray, ecc. In particolare Mola si distuinguì nella formazione e preparazione dei reggimenti di "Regulares", i mercenari nativi del Nordafrica che erano passati con gli spagnoli, cioé con il nemico. Per quei meandri inscrutabili dell'animo umano succede spesso che in questi casi, i traditori passati col nemico diventino più crudeli del nemico stesso. E infatti l'arrivo di unità di Regulares in una certa località equivaleva all'annientamento della popolazione che, indifesa e ignara del proprio destino, erano colpevoli solo di essere fisicamente troppo simili ai loro aguzzini. I loro metodi spicci comprendevano spezzare corpi o aprire stomaci di vittime ancora vive... Durante la guerra civile unità di Regulares sarebbero state impegnate, assieme a Falangisti, Requeté e altri esaltati, nell'avanzata delle colonne di militari golpisti.

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Alcuni combattenti di un battaglione di Regulares.

Per quanto riguarda il ceto militare, Africanista e non, generalmente non piacquero le nuove leggi che mandavano in pensione quasi metà dei loro ranghi allo scopo di sostituire le ingenti spese necessarie ad onorare i loro stipendi in nuove scuole e nuove leve di insegnanti. Non pochi tra gli alti gradi militari videro questo come un affronto e un attacco al loro onore.

Molti ufficiali ricevevano periodicamente delle pubblicazioni provenienti da esuli russi anticomunisti (spesso da Parigi) che denunciavano paranoiche minacce e supposti complotti ai danni di tutta l'Europa. Questi opuscoli, preparati ad arte per sollevare la preoccupazione nelle nazioni occidentali contro la minaccia sovietica, riuscirono a creare una ansia da invasione nelle menti semi analfabete degli Africanistas. É da notare infatti, che Franco spesso inveiva contro il giudaismo e le organizzazioni massoniche (erano terminantemente proibite durante la dittatura). Questo odio non può non essere collegato alla lettura dei "Protocolli dei savi di Sion" in cui si presentano i massoni come ingenui gentili che permettono il dilagare di un supposto complotto mondiale dei giudei per dominare tutte le nazioni (una falsità ordita per osteggiare un mondo cambiante e che ebbe notevole successo durante il periodo compreso tra 1870 e la seconda guerra mondiale; i pogrom in Russia e le camere a gas del nazismo ne furono la conclusione inevitabile).

La peggior conseguenza del latifondismo era che i propietari non erano interessati a coltivare le loro terre. Erano ricchi, convinti di appartenere ad una classe di privilegiati che non doveva nulla a nessuno e che invece tutto fosse loro dovuto. In questo modo, le classi umili restavano senza lavoro e letteralmente alla fame (in quei anni erano normali malattie causate dalla fame o scarsa nutrizione, in particolare, la carne era una assoluta rarità nella dieta). Lo stato repubblicano emanó leggi che obbligavano a coltivare quelle terre. Questo, oltre dare lavoro ai braccianti e sfamarli, avrebbe costituito un'ulteriore fonte di reddito per i latifondisti. Ma persino questo era visto da loro come una intrusione e i braccianti come servi indegni di usare le loro terre. I tentativi delle autorità per far rispettare la legge trovarono mille difficoltà.

Quando la pressione esercitata dalle autorità (sindaci in testa) per far rispettare le nuove leggi diventó insopportabile per i latifondisti e la pubblicità dei fatti delittuosi della sinistra ingigantiti abbastanza, il tempo era scoccato per sovvertire tutte le leggi e il golpe inizió. Era il 18 luglio del 1936. Unità di Regulares, Africanistas e Legionarios (dalla Legión Española) furono sbarcati in Andalusia dall'Africa. Queste unità, assieme a Falangisti, Requeté, latifondisti, i loro rampolli, Guardia Civiles e altri fanatici cominciarono una avanzata verso nord e verso tutta l'Andalusia che avrebbe provocato, a guerra finita, e solo nell'Andalusia ed Extremadura quasi 60,000 morti dovuti alla repressione, non nel campo di battaglia (la repressione nel complesso della Spagna provocó una cifra di morti che va oltre il doppio: più di 130,000 morti). In questi numeri sono compresi anche i morti causati dagli antifranchisti.

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Morti ovunque e sopravvissuti per piangerli. Questo sono le guerre.

All'arrivo in qualche città o paese di una queste colonne, si scatenava la furia omicida dei loro facinorosi componenti. Entravano a sacco nelle case, violentavano donne o bimbe, ammazzavano, smembravano. Poi rubavano ogni oggetto di loro gusto. Ci furono anche a volte roghi di libri. La loro crudeltà era raffinata e metodica come sparare prima ai figli per aumentare la sofferenza dei genitori che comunque sarebbero lo stesso ammazzati immediatamente dopo. Oppure violentare le bimbe, le madri, le nonne in presenza dei maschi della famiglia. Nei seguenti giorni, basandosi nelle informazioni ricevute dai ricchi del paese oppure dal prete della parrocchia, venivano rastrellate persone di orientamento repubblicano o semplicemente liberale o più semplicemente il maestro della scuola o le donne che avevano imparato a leggere e scrivere. Giorno dopo giorno questi venivano portati in qualche zona appartata o dietro il muro del cimitero per essere fucilati, senza processo, senza un barlume di quel concetto del diritto che si chiama difesa. A volte le fucilazioni accadevano in piazza e i familiari erano obbligati a osservarle. Chi abitava vicino ai muri di fucilazione avrebbe ricordato per il resto della vita le grida dei condannati chiedendo clemenza. Solo fino a poche ore prima avevano lavorato nei campi o avevano insegnato nella scuola o avevano gestito le loro faccende, ignari che oggi stesso e tra pochi minuti la loro vita sarebbe finita.

A volte i braccianti venivano coperti di insulti prima di essere fucilati e si sentivano dire "ecco la riforma agraria: ora tutta la terra che vorrai sarà per te". Le fosse comuni dove i loro corpi finirono furono spesso scavate da loro stessi. Le torture prima della morte arrivavano a un grado insopportabile di sadismo come obbligare a bere alcol mischiato con segatura fino a che il malcapitato non moriva da crampi intestinali. A volte venivano ammazzati i parenti del condannato poiché lui era fuggito. Certe volte capitava tra i fucilati una donna incinta. In tali casi spesso prima veniva sparato un colpo alla pancia e poi la donna veniva finita con un'altro colpo alla testa. A volte le vittime furono cosparse di benzina e bruciate vive dopo essere state legate a coppie con filo di ferro nei polsi. A Castilleja del Campo, Siviglia, nel 17 agosto del 1936 accadde che una donna incinta era già al nono mese di gravidanza quando fu mandata al muro. Per il comprensibile affanno e tensione partorí spontaneamente pochi attimi prima di essere raggiunta dalle pallottole sparate dal plotone di esecuzione. Il neonato, ancora con il cordone ombelicale attaccato alla mamma, fu finito con il calcio dei fucili.

Ben presto la fama criminale delle colonne di franchisti si estese. Non mancó chi, sapendo del loro imminente arrivo, si tolse la vita. Altri fuggivano. Altri, sapendo di non aver commesso alcun reato, ingenuamente restavano. Certuni addirittura, pur di fede repubblicana, avevano fatto di tutto per calmare gli spiriti bollenti dei braccianti inferociti contro i latifondisti che non volevano accettare le nuove leggi. Speravano che il loro lavoro di mediazione li avrebbe salvato dalla carneficina. Ma queste attese hanno un senso quando si sta di fronte a una struttura legale assestata. Purtroppo questa logica non regge quando si é davanti ad un branco di criminali ubriachi di sangue e di conseguenza, tranne che in rarissimi casi, pure loro furono trucidati.

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Siamo al 22 luglio 1936, 4 giorni dopo il colpo di stato. Uno dei militari insorti, il comandante Rafael Ortíz de Zárate della guarnigione di Guadalajara (vicino Madrid), viene portato via per essere giustiziato. Notate che mancano i distintivi del grado militare sulla divisa. Probabilmente gli sono stati strappati dagli stessi uomini che lo stanno portando via. L'espressione del suo viso é eloquente. Un suo fratello, il comandante Ricardo Ortíz de Zárate rimase fedele alla Repubblica e per questo motivo fu fucilato invece dagli insorti il 24 luglio 1940, un'anno e mezzo dopo la fine della guerra.

In alcune città come Siviglia il golpe trionfó già dal primo giorno (i militari rivoltosi ebbero la meglio su quelli fedeli alla legalità repubblicana). In altre città invece il golpe non trionfó ma furono comunque conquistate dopo una battaglia svoltasi con metodi e obiettivi pienamente militari come Málaga dalle truppe italiane del CTV (Corpo Truppe Volontarie) il 8 febbraio del 1937 (ad ogni modo, persino quando la battaglia si svolse con metodi pienamente concordi con le leggi internazionali della guerra, a volte i franchisti non esitarono ad usare come scudi umani mogli e figli di personalità repubblicane previamente fucilate). Le nuove autorità franchiste insediatasi nelle città appena conquistate commisero efferatezze analoghe a quelle sopra elencate come a Badajoz o come a Granada dove dieci professori dell'Università morirono perché cinque di loro avevano osato protestare contro gli eccessi dei Falangisti.

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Alcune fotografie del massacro di Badajoz. Il colonello Yagüe era al comando delle truppe che perpetrarono la strage e per questo motivo sarebbe poi noto come "el carnicero de Badajoz". Furono trucidate circa 4,000 persone su una popolazione totale di 40,000 abitanti, un 10%.

Lo scopo del golpe non era quello di conquistare territorio al nemico repubblicano ma quello di ripulire la Spagna sterminando la popolazione di pensiero moderno, aperto e liberale. In questo modo un'intera generazione di persone istruite che spesso spiccavano nella Spagna arretrata di allora fu annichilata. Infatti, raramente furono fatti prigionieri. Le fucilazioni sommarie subito dopo le battaglie erano la regola. A volte navi colme di rifiugiati che scappavano erano cannoneggiate da navi militari (successe in Almeria) oppure é rimasto famoso il caso delle navi britanniche SS Seven Seas Spray e SS Bobie cariche di profughi baschi che partirono dal porto di Santoña, Santander, verso la Francia il 31 agosto del 1937. Dato che i franchisti pretendevano ammazzarli tutti, navi italiane scortarono le due navi inglesi. Poco dopo, rassicurati da Franco stesso sull'incolumità dei profughi, gli italiani li lasciarono andare togliendo la scorta. Ma a tradimento, furono bloccate e i passeggeri obbligati a scendere a terra. Gli italiani rimasero allibiti quando seppero che, mancando alla parola data, quasi tutti i prigionieri furono poi fucilati.

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La nave inglese Devonshire portó via molti profughi minorchini salvandoli dalla fucilazione dopo la fine della guerra civile. Nella foto si vedono alcuni di loro sulla nave all'arrivo nel porto de La Valletta. Causa l'improvvisa salpata della nave, non tutti i combattenti repubblicani poterono partire (come riporta [1]).

La foga devastatrice dei golpisti non aveva limiti. Il Museo del Prado e la Biblioteca Nacional, entrambi a Madrid, furono bersaglio degli attacchi aerei del giorno 16 novembre 1936.

La sistematica barbarie fu regola generale su tutto il territorio conquistato dai franchisti. Molti ospedali di campagna furono metodicamente bombardati dagli aerei tedeschi e italiani, agendo sotto ordini franchisti. Alla caduta di Barcellona, i feriti di guerra degenti nell'ospedale di Vallcarca furono visti uscire, i più impediti strisciando per terra e molti nudi al freddo del gennaio 1939, pregando di essere salvati e portati in un posto sicuro. Purtroppo, nel fuggi fuggi della Barcellona di quelle ore, nessuno di quei feriti di guerra riuscí a salvarsi dall'orrore e dalle vendette. La fossa di Jinámar nell'isola di Gran Canaria (una delle isole Canarie), quella di Legarrea (Navarra, vicino a Pamplona) e altre cavità naturali furono usate per buttarci corpi (a volte ancora vivi) di repubblicani. A tutt'oggi vi si trovano resti umani, (vedi questa pagina del quotidiano "El País").

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Immagine di un bombardamento di Barcellona da parte di aerei italiani il 17 marzo 1938. La "Sagrada Familia" si trova fuori dalla fotografia verso il basso, a poche centinaia di metri dal luogo coperto di fumo. La strada che si vede ombreggiata e che va da dove c'é più fumo fino al mare, é la Rambla. La seconda fotografia mostra una vista di Guernica dopo il tristemente famoso bombardamento realizzato il 26 aprile 1937 da parte di aerei della Legion Condor tedesca e della Aviazione Legionaria italiana.

Quando le notizie sulle atrocità arrivavano nelle regioni ancora in mano alla Repubblica, i governanti faticavano a fermare gli esaltati che, per vendetta, volevano infliggere la stessa sorte ai ricchi, Falangisti, militari golpisti, ecc. a volte detenuti nelle carceri. Non poche volte le masse infuriate riuscirono a catturare e fucilare alcuni di essi. Famoso é il caso dei circa 8,000 morti a Paracuellos, vicino Madrid, mandati a morire da chi, anni dopo, sarebbe diventato il segretario generale del Partido Comunista de España, Santiago Carrillo. Ma in ogni caso, lo sforzo realizzato dalle autorità repubblicane fu notevole e dopo i primi mesi in cui il golpe aveva sbaragliato le strutture dello stato, esse furono ripristinate e ogni persona presuntamente colpevole di sedizione ebbe un giudizio pulito, con la difesa che le leggi di uno stato di diritto, qual era la Repubblica, deve sempre garantire (vedi anche questa pagina di "El País"). Non mancarono casi in cui colpevoli di aver linciato presunti golpisti finirono alla sbarra. Questo atteggiamento fu sempre in stridente contrasto con i giudizi sommari, brevissime formalità, assenza di difensore (o impossibiltà di consultarlo prima dell'unica e rapida udienza) quando non fucilazioni in diretta, che i golpisti usarono.

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Morti dopo un bombardamento a Madrid. Probabilmente le vittime non fecero in tempo a mettersi al riparo in uno dei rifugi antiaerei della metropolitana.

In ogni modo, gli atti delittuosi compiuti nel lato repubblicano, pur in numero spropositatamente inferiore a quello dei delitti in campo golpista, furono sapientemente ingigantiti dai franchisti. Perfino alcune fotografie di stragi (come quella di Talavera de la Reina, Toledo) furono falsamente attribuite alla Repubblica (e più spesso a morti in battaglie inesistenti). In questo modo i franchisti riuscirono a far sí che le democrazie occidentali negassero il necessario aiuto militare ed economico alla Repubblica. Esagerando i legami con il comunismo sovietico (che pur esistendo, erano secondo gli storici attuali, totalmente irrisori) il franchismo riuscí ad evitare quegli aiuti alla Repubblica mentre lui riceveva collaborazione in uomini, armi e tecnologia dal nazismo tedesco e dal fascismo italiano. Con una sfrontatezza che sorprende per la sua lucidità, mentirono ad ogni giornalista o esperto internazionale che visitasse il bando franchista attribuendo ai repubblicani crimini che invece avevano commesso loro. Inoltre, una rigida censura impedí alla stampa di parlare liberamente. In questo modo la memoria delle sofferenze e dei morti fu sepolta e, semmai, collegata falsamente alla Repubblica. Invece, nel lato repubblicano, dove quella censura non esisteva, come non poteva esistere in uno stato che si era dichiarato di diritto, ogni crimine o linciamento veniva reso noto. Se poi il giornale era di fede antirepubblicana, non mancava di aggiungere alla descrizione del delitto ogni particolare reale o inventato che ne esaltasse la ferocia.

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I corpi dei fucilati il 3 settembre di 1936 nella Calle Carnicerias di Talavera de la Reina (durante gli anni della Repubblica, questa cittadina si chiamava Talavera del Tajo). Erano falegnami scesi dalla Galizia per svolgere alcuni lavori nei boschi della zona. Durante anni la fotografia fu manipolata per esporla come supposta "barbarie delle orde marxiste".

In questa maniera, non solo in Italia ma, come ho detto prima, in tutto il mondo fu creata ad arte l'immagine di uno stato repubblicano "canaglia" come oggi verrebbe chiamato, contrastato da "un grappolo di ammirevoli uomini coraggiosi, i salvatori della patria, che lo combattevano valorosamente con lealtà e per il bene dell'intero occidente". Questa menzogna é sopravvissuta fino ad oggi ed é ancora comune trovare persone in Spagna o fuori che, con poca formazione storica, sono convinti della veridicità degli eccessi attribuiti alla Repubblica e credono che Franco davvero salvasse la Spagna. Alla fine della guerra (finí a febbraio del 1939) e una volta assunto il potere su tutto il territorio nazionale, i franchisti si lanciarono ad una disperata persecuzione dei liberali, politici o non, di sinistra o non, che potessero essere rimasti vivi dopo la guerra e che non fossero fuggiti all'estero. Non vi fu nessuna forma di conciliazione. Per più di un decennio, la politica interna fu dominata dalle rappresaglie (vedi queste pagine di quotidiani spagnoli).

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Federico García Lorca e Blas Infante, due degli esponenti della cultura andalusa. Trucidati entrambi dai golpisti, uno a Granada e l'altro a Siviglia. Il corpo di Lorca non é mai stato trovato.

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Antonio Machado, uno dei più brillanti poeti del 1900 spagnolo ("Campos de Castilla", "Soledades", ecc.). Pur essendo poco noto in Italia, uno dei primi filologi ispanisti a studiare la sua opera e la sua vita fu proprio un italiano: Oreste Macrì, nel 1959. Finita la guerra, decise di fuggire perché sapeva di rischiare la vita come intellettuale liberale che era. Ma il suo cuore, stanco e amareggiato, no resse all'attraversamento dei Pirenei e morí appena arrivato in Francia. La seconda fotografia, l'ultima che si conosce di lui, mostra i segni della stanchezza e l'età. Oggi é sepolto a Collioure, un piccolo villaggio francese sul mare, poco al di là del confine spagnolo.

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La prima fotografia mostra Leopoldo Alas Argüelles, figlio dello scrittore Leopoldo Alas Clarín, noto per le sue idee liberali e per i romanzi in cui, in modo arguto, denunciava la società immobile e bachettona della Spagna di allora. Alas Argüelles era rettore dell'Università di Oviedo, Asturie, quando fu fucilato dai franchisti. La seconda fotografia mostra Ramón J. Sender con la moglie Amparo Barayón. Anche Sender era uno scrittore impegnato. Sfuggito alla fucilazione, non poté salvare la moglie, donna colta e raffinata. Questa, l'ideale della donna emancipata di allora, fu trucidata a Zamora dai franchisti l'11 ottobre del 1936. Suo marito non seppe della morte della consorte fino ad alcuni mesi dopo. Nell'ultima foto a destra si vede Sender, già professore negli Stati Uniti (dove visse esiliato), poco prima della sua scomparsa avvenuta nel 1982.

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La Spagna e gli spagnoli non hanno mai capito fino in fondo le responsabilità e le colpe associate al peso della storia. É per questo che in molte città della Spagna potete trovare strade dedicate a veri e propri criminali come "calle Hernán Cortés" oppure "calle Pizarro" dedicate ai "conquistadores" (non ne troverete molte di "Hitlerstrasse" in Germania o "Viale Mussolini" in Italia). Oppure dedicate alla División Azul (vedete "Sulla storia recente della Spagna" più sopra). Ed é anche per questo che il tacito accordo per non perseguire i colpevoli del franchismo non é mai apparso come una evidente falla della giustizia. "Sono cose del passato" si sente dire. Non mancano perció casi di gerarchi franchisti, alcuni persino macchiati di sangue, che durante la democrazia sono stati pienamente riabilitati e coperti di ammirazione pubblica (con il consenso di mezzi di informazioni vigliacchi a dir poco). Nella foto si vede Juan Antonio Samaranch (presidente del CIO -Comitato Olimpico Internazionale- tra il 1980 e il 2001). É il quarto contando da destra tra quelli che fanno il saluto fascista. Siamo al 18 luglio del 1974 e i congregati (tutti membri del partito fascista "La Falange") stanno celebrando l'anniversario del golpe franchista. Soltanto lo scrittore Manuel Vázquez Montalbán (quello su cui si basó Camilleri per dare nome a uno dei suoi più famosi personaggi letterari) osó accusare Samaranch di connivenze con il franchismo, ma non fu mai ascoltato: era troppo importante il lavoro di Samaranch al CIO per portare le olimpiadi in una città spagnola (infatti le olimpiadi del 1992 furono a Barcellona). Questo lavoro non fu sempre esento di sospetti su tangenti (come poi fu dimostrato) e comunque era più importante dei morti che Samaranch provocó nella Barcellona del 1939, appena occupata dai franchisti dopo la vittoria militare.

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Samaranch in una cerimonia della "Falange". Il secondo da sinistra al fondo é Franco e il primo a sinistra é l'almiraglio Carrero Blanco che sarebbe poi designato come successore di Franco (vedete sopra "sulla storia recente della Spagna").

Quando fu chiaro che la democrazia attuale in Spagna non avrebbe perseguitato gli assassini e questi si sentirono tranquilli (la paura di un secondo golpe era molto concreta nella Spagna dell'immediato dopo franchismo, vedete "sulla storia recente della Spagna" più sopra) fu possibile affrontare un lavoro storico di ricerca della verità. Testimoni o i loro figli, alcuni pochi franchisti pentiti e qualche scarso documento sopravvissuto alle maglie della censura franchista hanno permesso di ricostruire ció che oggi appare una delle peggiori carneficine tra le tante che hanno insanguinato l'Europa del 1900. Anche io avevo sentito da bambino racconti che solo ora possono finalmente essere corredati da nomi, luoghi, date, da fosse comuni e spesso da dettagli raccapriccianti. Ancora resta molto da fare. Soltanto dal 2000 in poi é stato affrontato il doloroso compito di cercare e aprire fosse comuni e assegnare nomi ai resti che vi si trovavano. Questa decisione, presa dal governo Zapatero con una legge ad hoc, provocó le ire isteriche da chi, per propria colpevolezza o per oscuri legami ancora attivi con gli assassini, preferisce che tutto rimanga taciuto; e infatti il governo di Mariano Rajoy del "Partido Popular" (ex-franchisti) derogó di facto questa legge nel 2013 per il semplice metodo di impedirne l'attuazione privandola dai necessari fondi pubblici (vedi questa pagina del quotidiano "El País").

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Una fiumana di profughi spagnoli si riversó in Francia fuggendo dalle rappresaglie franchiste. La fotografia, scattata nel campo d'internamento di Bram (Carcassonne), mostra l'arrivo di nuovi interni in un momento del mese di marzo 1939. I campi d'internamento francesi albergarono circa mezzo milione di spagnoli repubblicani.

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I principali campi d'internamento francesi.

Credo che quei pochi che ancora oggi vedono il franchismo di buon occhio cambierebbero opinione se sapessero dell'ecatombe umana e sociale provocata dalla mandria di assassini capeggiati da Franco. In seguito mostro un elenco di alcuni tra i molti libri che affrontano la questione con rigore storico. Ci sono libri dedicati alla repressione in certe regioni (come [1] e [2] che riguardano l'isola di Minorca oppure [3] che analizza i fatti accaduti a Tarifa, Cadice, oppure [4] che studia il lungo assedio di Madrid). Giudico interessante anche [5] che parla del poeta Antonio Machado e in particolare della sua morte avvenuta mentre scappava in Francia nel freddo dell'inverno sui Pirenei nonché fornisce una dettagliata descrizione dell'arretratezza culturale e sociale della Spagna di inizio 1900. Il volume [6] invece é un trattato omnicomprensivo. [7] é un romanzo che, pur in modo romanzato, racconta fatti che sono veramente accaduti molto spesso e con totale impunità nella Spagna franchista. Infine voglio segnalare articoli giornalistici che ogni tanto compaiono e che aiutano a scoprire gli orrori per tanti anni taciuti, (vedi ad esempio questa pagina o quest'altra o quest'altra o quest'altra o quest'altra del quotidiano "El País" o quest'altra del quotidiano "Menorca" ). Non mancano neanche tentativi di coprire tutto come se nulla fosse successo, (vedi qui sempre del quotidiano "El País", oppure qui sul quotidiano "ABC", oppure qui sui massacri dei "conquistadores" sul quotidiano "El País").

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Da destra a sinistra: Franco, sua moglie e sua sorella seduti osservando una parata della Falange durante i primi anni 40.